Irreperibilità dell’imputato e sospensione del processo
Stretto tra la tradizionale disciplina della contumacia e le pressanti sollecitazioni di Strasburgo ad innestare nuove garanzie per il rito degli irreperibili e nuove regole per il processo in absentia, il rito penale italiano attende, ormai da diverse legislature, l’intervento riformatore del legislatore. All’analisi dell’ultimo e dettagliato disegno di legge in materia, attualmente in discussione in Parlamento, è dedicato il contributo che segue.
Il Parlamento italiano è in procinto, ancora una volta, di riformare la disciplina dei procedimenti a carico degli irreperibili e di apportare alcune non irrilevanti modifiche al cd. giudizio in absentia. Dopo l’approvazione da parte della Camera dei deputati, il 4 luglio 2013, è attualmente all’attenzione del Senato il disegno di legge A.S. n. 925, di iniziativa governativa, recante Delega al Governo in materia di depenalizzazione, pene detentive non carcerarie, sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. L’attuale progetto normativo, nel testo unificato delle proposte di legge n. 331 e 927, ripropone temi già discussi nella precedente legislatura e riproduce, nell’impostazione, l’atto licenziato dalla Camera il 4 dicembre 2012 (A.C. n. 519-bis) e trasmesso al Senato (A.S. n. 3596). Iter poi interrotto a causa dell’anticipato scioglimento delle Camere.
A differenza della precedente proposta, articolata in principi, quella attualmente in discussione si caratterizza per l’offerta di una disciplina direttamente precettiva. Il testo attuale si compone di quindici articoli, divisi in tre capi, attraverso i quali viene delegato il Governo ad introdurre all’interno dell’ordinamento: le pene detentive non carcerarie (capo I); l’estensione dell’istituto della sospensione del procedimento penale con messa alla prova anche al processo penale per adulti, seppur in relazione a reati di minor gravità (capo II); ed in ultimo, al capo III, la sospensione del processo nei confronti degli irreperibili.
I sette articoli che compongo quest’ultimo capo forniscono la definizione dei casi di sospensione del processo – quando non si riesca a reperire l’imputato – e correlativamente l’ipotesi in cui si possa procedere anche in sua assenza, qualora vi sia ragione di ritenere che ne abbia avuto conoscenza, superando così la disciplina della contumacia.
Ad un primo sguardo, la nuova disciplina sembra svilupparsi intorno ad un presupposto fondamentale: l’avvenuta conoscenza del “procedimento” da parte dell’imputato.
Nelle intenzioni del legislatore delegante, così come esplicitate nella relazione che accompagna la nuova iniziativa legislativa, la disciplina «si dovrebbe articolare essenzialmente attorno a tre ipotesi: conoscenza certa dell’udienza del processo (udienza preliminare o udienza dibattimentale); conoscenza presunta dell’udienza per conoscenza certa del procedimento; non conoscenza dell’udienza e del procedimento», situazioni queste alle quali dovrebbero «corrispondere: a) processo in assenza; b) processo in assenza, ma con rimedi ripristinatori per l’imputato che dimostri la incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo; c) sospensione del processo».
1.1 Ragioni della riforma normativa
Si intende così superare la disciplina della contumacia ma, in ordine temporale, l’attuale iniziativa è solo l’ultima di una serie di progetti di riforma volti ad adeguare la disciplina positiva alle numerose sollecitazioni provenienti non solo dalla giurisprudenza europea ma anche dalla dottrina, soprattutto a seguito della riforma del “giusto processo”.
Dopo un primo significativo tentativo di riforma ad opera del disegno di legge n. 2664 del 2007 (c.d. decreto “Mastella”) – con la previsione della sospensione del processo in caso di imputati irreperibili ed una dettagliata riforma del sistema delle notificazioni – è seguito il tentativo, nella successiva legislatura, del disegno di legge “Alfano” (specificamente il d.d.l. S n. 1440 del marzo 2009), che propone di nuovo, sia pur con varie omissioni e più di una carenza, la disciplina della sospensione del processo celebrato in assenza dell’imputato con una commistione di rimedi preventivi e restitutori, secondo la natura dei reati per i quali si procede.
A ciò si aggiungano i lavori delle commissioni ministeriali per la riforma del codice di rito: quella, ad esempio, presieduta dal Prof. Riccio, che ripropone ancora una volta l’idea del superamento della disciplina del giudizio contumaciale1.
L’attenzione rivolta a questo tema dai progetti di riforma risponde, in effetti, alla precisa necessità di fornire adeguata risposta “di sistema” alle condanne ed ai moniti ricevuti in sede sovranazionale.
Numerose, difatti, sono state negli anni le decisioni adottate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo relative al processo contumaciale italiano. Tra le prime, quella degna di maggior nota è sicuramente la sentenza Colozza2, con la quale, nella vigenza del codice Rocco, la Corte europea condannava l’Italia per violazione dell’art. 6, § 1, CEDU proprio in considerazione della disciplina dettata per la celebrazione del giudizio in contumacia ed, in particolare, per l’assenza di rimedi volti a garantire all’imputato, una volta avuta notizia del processo a suo carico, la possibilità di ottenere che un organo giurisdizionale «si pronunci di nuovo dopo averlo ascoltato sulla fondatezza dell’accusa portata contro di lui». Con la stessa decisione si sottolineava altresì che gli strumenti ripristinatori offerti all’imputato dovevano assumere il carattere dell’effettività: in questa impostazione risuonano alcuni dei principi contenuti nella Risoluzione n. 11 del 1975 del Consiglio d’Europa3 che aveva dettato i “criteri da seguire nel giudizio in assenza dell’imputato” ossia nove “regole minime” da rispettare per quegli ordinamenti che prevedono un processo in absentia.
L’adozione del nuovo codice di rito e la coeva riforma della disciplina censurata dalla Corte europea non è apparsa a quest’ultima soddisfacente in quanto analoghi rilievi, nei confronti della legislazione italiana, venivano riproposti con le decisioni Sejdovic4 e Somogyi5.
Sostanzialmente con le due pronunce, che hanno portato ancora una volta alla condanna del nostro Paese, si è sottolineato che la rinuncia a partecipare al processo da parte dell’imputato presuppone che si sia accertato che il condannato sia stato effettivamente e ritualmente informato della natura e dei motivi dell’accusa nonché del giorno e del luogo dell’udienza ove svolgere le proprie difese, soprattutto laddove sorga una contestazione che non appaia prima facie infondata.
In particolare, con la decisione Sejdovic il giudizio offerto dalla Corte sulla legislazione italiana diviene assolutamente categorico: una conoscenza ipotetica e non ufficiale delle accuse non soddisfa le esigenze della Convenzione, in quanto avvisare una persona del procedimento avviato a suo carico costituisce «un atto giuridico di un’importanza tale da dover rispondere a condizioni formali e di merito poste a garanzia dell’effettivo esercizio dei diritti dell’imputato» ed inoltre va garantito con l’istituto della restituzione in termini il diritto «incondizionato» ad ottenere che «un ufficio giudiziario deliberi nuovamente sulla fondatezza dell’accusa».
La risposta del legislatore nazionale è stata tempestiva quanto non del tutto appagante: certamente non di ampio respiro. Con il d.l. 21.2.2005, n. 17, convertito con modifiche in legge dalla l. 22.4.2005, n. 60, si è intervenuti, sostanzialmente sull’istituto della restituzione in termini, ed in particolare, per quel che qui interessa, sul co. 2 dell’art. 175 c.p.p. al fine di garantire all’imputato contumace l’automaticità della restituzione in termini per l’impugnazione del provvedimento contumaciale. La parzialità dell’intervento, in uno con le deficienze di coordinamento dell’intera materia (si pensi a titolo esemplificativo alla mancata modifica dell’art. 603, co. 4, c.p.p.), hanno influito non poco sui risultati perseguiti dal legislatore tanto da far persistere la sensazione di un sistema che non persegue una compiuta valorizzazione del diritto alla presenza dell’imputato come, già da tempo sottolineato da più di una voce in sede speculativa6.
In particolare, il legislatore ha evitato di fare i conti, ancora una volta, non solo con l’impronta accusatoria impressa al sistema processuale dall’attuale codice di rito7, ma soprattutto con quanto attualmente stabilito dall’art. 111 Cost. In maniera assolutamente efficace e condivisibile si è sottolineato che nella logica della norma costituzionale «la presenza dell’imputato al processo rappresenta … qualcosa di più del semplice esercizio di un diritto soggettivo»8, in quanto se all’accusato non viene fornita la possibilità di intervenire nel giudizio non si può ritenere rispettato il principio del contraddittorio: «né nel senso “debole” cui allude il 2° comma dell’art. 111 Cost. né tanto meno nel senso forte cui allude … il 4° comma». Impostazione che non ha trovato però eco nelle decisioni della Consulta, la quale con la sentenza n. 117/20079 ha di fatto affermato la compatibilità del rito contumaciale con le garanzie dell’equo processo.
L’analisi delle modifiche che il legislatore vuole apportare alla disciplina della procedura in absentia muove dall’articolo d’esordio del capo dedicato alla sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili: con esso, il legislatore fornisce la nuova disciplina del giudizio in absentia, formula, questa, che segue alla definitiva soppressione dell’istituto della contumacia. Per tale ragione viene innanzitutto sostituito l’avvertimento all’imputato, contenuto all’interno dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare che «non comparendo sarà giudicato in contumacia», con la nuova formulazione secondo la quale «qualora non compaia si applicheranno le disposizioni di cui agli articoli 420 bis, 420 ter, 420 quater e 420 quinquies».
Ma il legislatore sembra dimenticare le altre disposizioni normative nelle quali compare lo stesso avvertimento: il co. 1, lett. f) dell’art 429 c.p.p., per il decreto che dispone il giudizio o l’art. 552 c.p.p. per la citazione diretta a giudizio. Né la nuova formula normativa rifulge per chiarezza: più che attraverso il richiamo ad una serie di articoli, assai poco intellegibile per un profano, occorrerebbe indicare all’imputato che, «qualora non compaia, sarà giudicato in sua assenza», eventualmente aggiungendo «secondo quanto previsto dagli artt. 420 bis e 420 quater c.p.p.».
Quanto ai casi in cui si può procedere in absentia dell’imputato, nel nuovo primo comma si individua la prima ipotesi nell’eventualità in cui l’imputato, libero o detenuto, non sia presente all’udienza e anche se impedito abbia «espressamente rinunciato ad assistervi».
Alla dichiarazione di assenza si può inoltre pervenire, sempre che non sussistano i presupposti per ravvisare una situazione di legittimo impedimento dell’imputato o del suo difensore10, anche nelle ipotesi disciplinate nel co. 2 della stessa disposizione, che riunisce differenti eventualità insuscettibili di essere ricondotte ad unica ratio. Nella stessa disposizione sono infatti contemplate sia l’ipotesi in cui l’imputato, non presente, abbia avuto effettiva conoscenza del processo a suo carico – ossia quando sia stato raggiunto personalmente dalla notifica dell’avviso dell’udienza – sia quella in cui questa conoscenza può ritenersi solo “presunta”, avendo l’imputato contezza della pendenza del procedimento lato sensu inteso. In questa classe vengono ricompresi i casi di elezione o dichiarazione di domicilio, di sottoposizione a misure cautelari o pre-cautelari e di nomina fiduciaria di un difensore. Quale ipotesi di chiusura, si prevede infine che alla dichiarazione di assenza si pervenga anche qualora «risulti con certezza» che l’imputato sappia dell’esistenza del «procedimento» (acquisita evidentemente attraverso mezzi diversi da quelli “ufficiali”)o si sia volontariamente sottratto alla sua conoscenza o ad atti del medesimo. Verificate queste circostanze il giudice, con ordinanza, ordina che si proceda in assenza dell’imputato.
2.1 Revoca dell’ordinanza di assenza
L’ordinanza di assenza viene, anche di ufficio, revocata, qualora l’imputato, successivamente alla sua emissione, compaia (co. 4)11. Il tema assolutamente centrale è quello concernente i rimedi che il legislatore ha previsto nell’ipotesi in cui l’imputato intervenga al processo. La Corte europea, come ricordato in precedenza, ha più volte sottolineato che occorre assicurare all’imputato “assente” per cause indipendenti dalla sua volontà la possibilità di essere sentito e di fornire ad un organo giurisdizionale la propria versione dei fatti, prima che questi decida di nuovo sull’imputazione. Non senza dimenticare che per ritenere che la sua scelta di non partecipare al processo sia stata volontaria, lo stesso deve aver avuto una “conoscenza” ufficiale delle accuse che gli vengono mosse e della pendenza del “processo” a suo carico e, soprattutto, che non incomba sull’imputato l’onere di provare che non intendeva sottrarsi alla giustizia.
Per queste ragioni desta più di una perplessità l’onere imposto all’imputato, dal 4 co. dell’art. 420 bis, di provare che la sua assenza sia dovuta ad «una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo», per poter essere reintegrato nei diritti che la stessa disposizione gli riconosce.
La medesima norma prevede che si proceda nello stesso modo laddove l’imputato dimostri che fosse assolutamente impossibilitato a comparire12 e la prova dell’impedimento sia pervenuta «con ritardo senza sua colpa».
Quanto ai diritti concessi in caso di successivo intervento, la nuova norma prevede che, in sede di udienza preliminare, l’imputato, una volta comparso, possa chiedere al giudice l’acquisizione di atti e documenti, eventualmente superando anche il limite temporale dell’art. 421, co. 3, c.p.p.13 Più complessa la situazione per il dibattimento emergendo la disciplina non solo dal co. 4 dell’articolo in esame, ma anche dal novellando art. 489 c.p.p. Quest’ultimo dispone che: a) in sede di atti introduttivi l’imputato assente in udienza preliminare possa chiedere di rendere dichiarazioni spontanee, b) se dimostra che la sua assenza sia stata incolpevole, può ancora presentare istanza dei riti deflattivi del dibattimento. Ed ancora, l’imputato che intervenga a dibattimento ancora aperto ha la possibilità di formulare richieste di prova ai sensi dell’art. 493 c.p.p. e, pur rimanendo valide le attività probatorie già compiute, può chiedere la rinnovazione di prove già assunte.
2.2 I casi di sospensione del processo
Con il novellato art. 420 quater il legislatore introduce la nuova disciplina della sospensione del processo per assenza dell’imputato, che si pone in alternativa alla dichiarazione prevista dall’articolo precedente. La scelta operata dal legislatore appare certamente condivisibile, come quella di maggiore sintonia con i principi del giusto processo. La nuova disposizione prevede che nel caso in cui l’imputato non sia presente – e sempre che non si debba procedere alla rinnovazione degli avvisi o si sia in presenza di un legittimo impedimento dell’imputato o del suo difensore e fuori dalle ipotesi di nullità dell’avviso stesso – il giudice debba disporre il rinvio dell’udienza provvedendo alla notifica dell’avviso all’imputato personalmente mediante la polizia giudiziaria. Qualora non risulti possibile procedere a tale notifica, e non si debba pronunciare sentenza ai sensi dell’art. 129 c.p.p., il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo nei confronti dell’imputato assente.
Una lettura coordinata delle disposizioni conduce a ritenere che si dovrebbe giungere alla sospensione in ipotesi di irreperibilità dell’imputato, di latitante che sia assistito da un difensore di ufficio, di imputato all’estero con notifiche al difensore di ufficio. Disciplina della separazione dei processi (espressamente richiamata) e possibilità per la parte civile di proseguire l’azione di danno (espressamente contemplata) valgono a garantire un saggio bilanciamento di interessi in caso di sospensione: oltre alla previsione che il giudice (in sintonia con l’art. 467 c.p.p.), possa acquisire le «prove non rinviabili».
2.3 Revoca della sospensione
La sospensione del processo è comunque interlocutoria, imponendo al giudice che l’ha emessa di verificare, con cadenza quantomeno annuale, la permanenza delle condizioni che ne hanno imposto l’adozione. In questo senso l’art. 420 quinquies stabilisce che il giudice «quando ne ravvisi l’esigenza», e comunque allo scadere di ogni anno dalla pronuncia della propria ordinanza, disponga nuove ricerche dell’imputato per la notifica dell’avviso. L’esito positivo delle ricerche conduce alla revoca del provvedimento di sospensione. Analoga decisione viene adottata qualora sia intervenuta la nomina fiduciaria di un difensore o comunque in ogni altro caso in cui vi sia la prova certa che «l’imputato è a conoscenza del procedimento». Ultima ipotesi di revoca quella in cui possa essere pronunciata sentenza a norma dell’art. 129 c.p.p. Con l’ordinanza che la dispone il giudice fa dare avviso alle parti tutte ed alla persona offesa della data della nuova udienza, nel corso della quale l’imputato può essere rimesso in termini per formulare richieste di definizione anticipata del processo secondo le forme degli artt. 438 e 444 c.p.p.
2.4 Disposizioni in materia di impugnazione
Rispetto all’impugnazione della decisione emessa in assenza dell’imputato, la scelta del legislatore sembra indirizzata verso l’adesione ad un modello ampiamente “restitutorio”, sì da consentire all’imputato non presente al processo di primo grado di ottenerlo di nuovo.
Con l’inserimento all’interno dell’art. 604 del co. 5-bis il legislatore introduce nuove “questioni di nullità” della sentenza di primo grado legate alla legittimità della decisione “in assenza”. La prima ipotesi di nullità della sentenza è quella della mancata sospensione, pur doverosa. Accertata la nullità, il giudice di appello trasmette gli atti al giudice di primo grado.
La seconda ipotesi di annullamento della sentenza ricorre, con la nuova formulazione, nel caso in cui l’imputato provi che si sia proceduto in sua assenza, ma che questa «è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo». Si deve infine sottolineare che, con la regressione del procedimento in primo grado, l’imputato, alle condizioni previste dall’art. 489, co. 2, è rimesso nel termine per formulare le richieste dei riti premiali.
Tra le disposizioni che riformano il giudizio di appello si deve poi segnalare anche quella che abroga interamente il co. 4 dell’art. 603, scelta questa che appare consequenziale a quella di far retrocedere il procedimento al primo grado quando si provi che l’assenza dal processo fosse “incolpevole”.
2.5 Rescissione del giudicato
La previsione del nuovo art. 625 ter c.p.p. costituisce ulteriore novità tra quelle introdotte dal disegno di legge in esame. La tutela offerta in questo caso al diritto dell’imputato di partecipare al proprio processo viene, per così dire, portata fino alle estreme conseguenze, considerando “annullabile”, a determinate condizioni, anche il giudicato formatosi intorno ad una decisione emessa in absentia. La scelta del nome attribuito al nuovo istituto, mutuando, forse, categorie civilistiche, sembra indice della volontà del legislatore di attribuire all’imputato un’azione volta a togliere efficacia ad una sentenza che, alla stregua di un contratto, appaia geneticamente viziata dalla mancata conoscenza del processo da parte di colui che lo patisce.
Non dovrebbero sorgere eccessive difficoltà nell’inquadrare il nuovo strumento tra i mezzi di impugnazione straordinari. La richiesta di rescissione è difatti proponibile, avverso una sentenza passata in giudicato, dal condannato – o dal sottoposto a misura di sicurezza – qualora si sia proceduto in sua assenza per tutta la durata del processo, a condizione che lo stesso provi che «l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo».
Fedele all’impostazione dell’intera riforma, il legislatore pone, ancora una volta, a carico del condannato l’onere di dimostrare che la mancata effettiva conoscenza del processo – da intendersi come conoscenza dell’accusa e della data dell’udienza – non gli sia addebitabile a titolo di negligenza ed imprudenza. Anche qui si può ribadire come siffatta condizione non sembri rispondere agli input provenienti dall’Europa, e soprattutto alla necessità di fornire all’imputato mezzi effettivi per far valere le proprie ragioni qualora il processo si sia celebrato in sua assenza. Giova riaffermalo: ad assumere rilievo, per le fonti sovranazionali, è la circostanza che l’imputato si sia deliberatamente sottratto al processo e non la sua eventuale condotta colposa.
La nuova disposizione attribuisce alla Suprema Corte la competenza a conoscere del nuovo mezzo di impugnazione. Il procedimento è introdotto da una “richiesta” che, a pena di inammissibilità, deve essere presentata dall’interessato personalmente o da un difensore munito di procura speciale entro trenta giorni dal momento dell’avvenuta conoscenza del procedimento. A differenza di quanto previsto degli artt. 625 bis e 635 c.p.p. – che espressamente prevedono la possibilità che si possa disporre con ordinanza la sospensione dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza – la nuova disposizione omette ogni disciplina sul punto.
In ipotesi di accoglimento della richiesta, la Corte revoca il giudicato, ordinando la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, innanzi al quale, ricorrendone le condizioni, l’imputato viene rimesso in termini per avanzare eventualmente richieste di definizione del processo con le forme previste dagli artt. 444 e 438 c.p.p.
Infine, l’ult. co. dell’art. 9 interpola proprio il co. 2 dell’art. 175 c.p.p., che, nella nuova veste, conterrebbe la sola disciplina della restituzione in termini per proporre impugnazione avverso il decreto penale di condanna.
2.6 Le modifiche sistematiche
Per concludere l’esame della presente iniziativa legislativa occorre brevemente analizzare gli ultimi articoli che la compongono, volti ad introdurre disposizioni dettate dall’esigenza di armonizzare la nuova disciplina del processo in assenza con l’intero sistema.
Con l’art. 10 il nuovo progetto introduce, opportunamente, modifiche in tema di prescrizione del reato. All’interno dell’art. 159 c.p. si introdurrebbe, difatti, una nuova previsione espressa di sospensione del corso della prescrizione, e precisamente un n. 3-bis, qualora il processo sia stato sospeso ai sensi dell’art. 420 quater del codice di rito. L’ulteriore modifica prevista è quella maggiormente significativa. Con un nuovo co. 4 all’interno dell’art. 159 c.p. il legislatore vuole di fatto impedire che in ipotesi di sospensione del processo per irreperibilità dell’imputato il corso della prescrizione possa venir sospesa anche indefinitamente. Si prevede, in effetti, che in questi casi la durata della sospensione della prescrizione non possa superare i termini stabiliti dall’art. 161 c.p.p. Scelta questa dettata dall’evidente necessità di consentire che, nell’ipotesi in cui non si abbiano più tracce dell’imputato e questa situazione non sia destinata a sbloccarsi, il corso della prescrizione riprenda comunque a decorrere una volta superati i limiti temporali che il legislatore ha fatto coincidere con quelli indicati nell’art. 161 c.p. ed evitare così quella situazione di eterno giudicabile sulla quale anche di recente la Consulta ha avuto modo di interloquire (per il cui commento si rimanda alla Rassegna).
Con il successivo art. 12 si introduce un nuovo art. 143 bis disp. att. c.p.p., disciplinante gli adempimenti da adottare in caso di sospensione del processo per assenza dell’imputato, con la previsione della trasmissione della relativa ordinanza e della vocatio in iudicium (nelle sue differenti forme) alla locale sezione di polizia giudiziaria per il suo inserimento nel centro di elaborazione dati.
L’articolo conclusivo del capo novella il t.u. sul casellario giudiziario (d.P.R. 14.11.2002, n. 313) aggiungendo all'art. 3, tra i provvedimenti da iscrivere per estratto, quelli di sospensione del processo per assenza dell’imputato, e, all’art. 5, tra le iscrizioni da eliminare, lo stesso provvedimento di sospensione ove revocato.
Terminata l’analisi dell’intero capo del progetto di legge all’attenzione del Parlamento italiano, destinato ad inserire all’interno del sistema processuale la nuova disciplina del processo in assenza, si può, seppur per sommi capi, tentare di tracciare un bilancio consuntivo.
Assolutamente positivo appare il giudizio sulla scelta, operata dal legislatore, di giungere alla sospensione del processo per gli “irreperibili”. Questa opzione appare innanzitutto quella maggiormente in grado di tutelare il pieno rispetto del principio del contraddittorio, oggi costituzionalmente tutelato. Ma non solo. Disporre la sospensione dei procedimenti a carico di chi non è mai stato, di fatto, raggiunto dalla notizia del processo e che molto probabilmente non sarà raggiunto neppure in sede esecutiva, appare come la scelta che consente di favorire una gestione complessivamente più economica degli affari penali. Sarebbe infatti questo un modo per consentire un uso maggiormente razionale delle risorse per l’amministrazione della giustizia.
Se il giudizio è certamente positivo per il rimedio di tipo preventivo, non altrettanto si può dire per quello di tipo riparatorio. Non vi è alcun dubbio che la scelta di celebrare il processo in absentia sia una scelta che si possa considerare come convenzionalmente compatibile a condizione però che si fornisca l’imputato di strumenti effettivi di salvaguardia della sua posizione. Da questo punto di vista, lo si è notato più volte nel testo, appare contestabile la soluzione di far ricadere sull’imputato la dimostrazione che la mancata partecipazione al processo non gli sia colposamente addebitabile, soprattutto laddove dal processo non emerga la prova della sua effettiva conoscenza da parte dell’imputato. Da questo punto di vista si coglie forse il maggior limite dell’iniziativa legislativa in commento ossia quello di non aver affatto considerato la disciplina delle notificazioni, tema imprescindibile qualora si voglia riformare l’istituto della contumacia. Solo intervenendo in questo campo con strumenti che consentano di ritenere integrata l’effettiva conoscenza del processo, rectius dell’imputazione, da parte dell’interessato si potrà ritenere di aver adottato una disciplina positiva che sia allo stesso tempo rispettosa della Costituzione e convenzionalmente ortodossa.
1 Per una più compiuta analisi delle varie iniziative sin qui ricordate, v. Mangiaracina, A., Garanzie partecipative e giudizio in absentia, Torino, 2012, 454 ss.
2 Cfr. C. eur. dir. uomo, 12.2.1985, Colozza c. Italia, in Foro it., 1985, IV, 221.
3 Il testo è consultabile, nella traduzione italiana, in Indice pen., 1976, 538 s.
4 Cfr. C. eur. dir. uomo, 10.11.2004, Sejodivc c. Italia, in Guida dir., 2005, fasc. 5, 92.
5 Cfr. C. eur. dir. uomo, 18.5.2004, Somogyi c. Italia, in Cass. pen., 2004, 3797.
6 Sulle linee da seguire per un serio ripensamento della materia si vedono le prospettive sviluppate, già nel 2004, nella Tavola rotonda, Vecchie e nuove problematiche in tema di contumacia, svolta su sollecitazione di E. Marzaduri, con contributi di F. Caprioli, G. Lattanzi, F. Lazzarone, e G. Ubertis, pubblicata in Legisl. pen., 2004, 585.
7 Su rapporti tra il diritto dell’imputato alla presenza nel processo e logiche dei sistemi processuali si veda l’interessante studio di Negri, D., L’imputato presente al processo. Una ricostruzione sistematica, Torino, 2012, 3 ss.
8 Così Caprioli, F., “Giusto processo” e rito degli irreperibili, in Legisl. pen., 2004, 589.
9 Cfr. C. cost., 21.3.2007, n. 117, in Giur. cost., 2007, 1118.
10 Non si riesce a comprendere la ragione per la quale nell’incipit del co. 2 sia stato escluso il riferimento all’art. 420 bis (che invece compare nell’articolo che regola la sospensione del processo) ed al co. 2 dell’art. 420 c.p.p.: dovendo considerarsi preliminare ad ogni altro giudizio la verifica della regolarità delle notifiche.
11 Altra ipotesi di revoca è prevista dal co. 5 nell’eventualità in cui il giudice, in ogni momento, si avveda che occorreva procedere alla sospensione del processo, giusta il disposto dell’art. 420 quater c.p.p.
12 Per caso fortuito forza maggiore o altro legittimo impedimento.
13 Nulla viene detto sulla possibilità che l’imputato possa avanzare richiesta di riti alternativi, qualora fossero decorsi i termini per presentare la relativa istanza.