IS.
– e origini dell’ISI in ῾Irāq. Dal-l’ISI all’ISIS: la guerra civile siriana e le ambizioni del califfato. Attentati, offensive e uso dei media: le strategie dell’IS. La risposta internazionale allo Stato islamico. Bibliografia
Le origini dell’ISI in ῾Irāq. – Per Stato islamico (al-Dawla al-Islāmiyya, noto come IS, Islamic State) si intende l’emanazione di una formazione politico-militare, Da᾿ish (al-Dawla al-Islāmiyya fī al-῾Irāq wash-Shām) che ha progressivamente acquisito il controllo di porzioni significative dei territori di ῾Irāq e Siria. Differisce profondamente dalle organizzazioni jihadiste che lo hanno preceduto per il fatto di ambire alla costituzione di un vero e proprio ordinamento giuridico di natura teocratica, laddove era invece obiettivo di al-Qā῾ida la destabilizzazione di un certo numero di Paesi chiave del mondo arabo e musulmano: in primo luogo, Arabia Saudita, Egitto e Pakistan.
La tendenza alla territorializzazione manifestata dallo Stato islamico (fig. 1) è comune ad altre organizzazioni contemporanee di stampo jihadista, come il Boko Haram nigeriano, che del resto condivide con l’IS anche la gran parte delle metodologie operative.
A partire dal 24 giugno 2014, lo Stato islamico si è autoattribuito la veste formale del califfato, istituto giuridico risalente agli albori dell’era musulmana, abolito in Turchia da Kemāl Atatürk nel 1924. Si ritiene tuttavia che modello della formazione sorta a cavallo tra Siria e ῾Irāq non sia tanto l’esperienza del Sultanato ottomano quanto quella degli Abbasidi rovesciati dai Mongoli nel 1258. Della guida dell’istituzione califfale, che teoricamente cumula la direzione politica e religiosa dell’intera comunità mondiale dei musulmani, l’Umma, e non conosce quindi confini certi, si è autoinvestito il capo del movimento, un jihadista iracheno nato nel 1971 a Sāmarrā᾿, catturato nel 2004 dagli americani nei pressi di al-Fallūja e recluso per qualche mese come ‘internato civile’ a Camp Bucca, un centro di detenzione situato nelle vicinanze di Umm Qasr, nel meridione iracheno: Ibrāhīm ῾Awwād Ibrāhīm al-Badrī, oggi meglio conosciuto sotto il proprio nome di battaglia, Abū-Bakr al-Baghdādī, che evoca tanto il primo successore di Maometto quanto l’originaria matrice irachena dell’organizzazione.
La nascita dello Stato islamico è stata il punto di arrivo di un processo molto complesso, per alcuni cominciato addirittura alla fine degli anni Novanta, ma che pare più corretto ricondurre all’azione dei nuclei di resistenza qaedista all’occupazione militare internazionale dell’Irāq iniziata nel 2003.
Risalirebbe al 13 ottobre 2006 la fondazione dello Stato islamico dell’Irāq, o ISI (Islamic State of ῾Irāq): un’organizzazione effettivamente legata ad al-Qā῾ida che avrebbe attratto proseliti come forza armata di opposizione al governo centrale iracheno, diretto dallo sciita Nūrī al-Mālīkī e accusato di perseguire politiche pregiudizievoli per la parte sunnita della popolazione nazionale.
Questa circostanza spiega il rilevante apporto dato al suo consolidamento da alcune delle maggiori tribù sunnite irachene dopo la conclusione infelice dell’esperienza dei cosiddetti Consigli del risveglio, che erano nati nel 2007 durante il periodo di comando in ῾Irāq del generale David H. Petraeus. Agli inizi del 2015, il Da᾿ish poteva contare sul sostegno della maggioranza dei Dulaymi, forti di un migliaio di clan di importanti tradizioni militari e tre milioni di persone residenti nell’al-Anbār; degli al-Djuburi, i più numerosi dell’Irāq, con sei milioni di membri; e degli Shammar, di ascendenza yemenita e pari a tre milioni di persone, in larga parte residenti nella regione di Mōsul.
Il predominio sciita a Baghdād, accentuatosi dopo il perfezionamento del ritiro statunitense deliberato da Barack Obama, sarebbe altresì alla base dell’adesione all’ISI di importanti personalità del vecchio esercito baathista. Né nelle citate tribù, né nei quadri militari del vecchio regime di Ṣaddām – rivelatisi essenziali nell’inquadramento delle milizie del Da᾿ish, nel loro addestramento all’uso di sistemi d’arma complessi e nella loro direzione sul campo di battaglia – non si riscontrerebbe peraltro una vera condivisione della radicale ideologia takfirista affermata dai dirigenti del califfato, che equipara a un’eresia da reprimere qualsiasi espressione religiosa diversa dall’islam del le origini. Il consenso acquisito dallo Stato islamico poggerebbe quindi soprattutto su considerazioni opportunistiche, oltreché sull’intimidazione: circostanza che permetterebbe di ritenerlo meno solido di quanto apparso in un primo momento.
Dall’ISI all’ISIS: la guerra civile siriana e le ambizioni del califfato. – L’ISI deve allo scoppio della guerra civile nell’attigua Siria l’espansione territoriale che lo ha messo nelle condizioni di scardinare i confini stabiliti nella regione dagli accordi di Sykes-Picot, sottoscritti nel 1916 e sopravvissuti alla decolonizzazione.
Secondo alcune fonti, le prime infiltrazioni dell’ISI in Siria daterebbero addirittura all’agosto 2011, quando l’organizzazione diretta da al-Baghdādī avrebbe contribuito alla creazione della rete di cellule terroristiche dalla quale sarebbe poi scaturito il Fronte al-Nuṣra, costituitosi formalmente nel gennaio 2012. Ma è l’operazione Distruzione delle frontiere, intrapresa nel 2013 e culminata nella conquista di Raqqa, realizzata mentre in ῾Irāq i miliziani si avvicinavano a Baghdād, ad aver marcato l’affermazione dell’ISI come nuovo soggetto politico-militare effettivamente binazionale.
Stando alle ricostruzioni più accreditate, nell’aprile 2013 ISI e al-Nuṣra si sono fuse, dando vita all’ISIS (Islamic State of ῾Irāq and al-Shām), la cui denominazione sanciva ufficialmente l’allargamento della dimensione territoriale dell’organizzazione fino a comprendere i territori del Levante (al-Shām o ‘grande Siria’). Ma si è trattato di un’unione di breve durata, minata sin dalle origini dalle forti tensioni interne insorte sui rapporti da intrattenere con la dirigenza di al-Qā῾ida, che sarebbero sfociate nella separazione tra le due organizzazioni, divenute infine a tutti gli effetti rivali, in seguito al rifiuto di al-Baghdādī di sottomettersi al leader qaedista Ayman al-Ẓawāhirī. Nella competizione, al-Nuṣra ha avuto la peggio. Dopo la rottura con l’ISIS, oltre a cedere parte dei propri uomini al gruppo concorrente, ha infatti sperimentato un processo di drastica riduzione del proprio raggio d’azione, che l’ha portata a concentrarsi nei pressi delle alture del Golan e in qualche sacca nel Nord della Siria.
Al momento della loro separazione, ISIS e al-Nuṣra differivano anche nella composizione delle proprie milizie, essendo preponderanti nel primo gli iracheni e i cosiddetti foreign fighters provenienti da altri Paesi musulmani e dalle minoranze islamiche residenti in Occidente, e invece maggioritaria nel secondo la componente siriana. Secondo alcune fonti, le due formazioni si sarebbero peraltro riavvicinate nel 2015, in seguito all’autorizzazione a cooperare con il Da᾿ish o a confluirvi, concessa da al-Ẓawāhirī ai qaedisti. Tuttavia, secondo altre, personale appartenente ad al-Nuṣra sarebbe invece andato a costituire il cosiddetto Esercito della conquista, sorto il 24 marzo 2015 per intensificare gli sforzi contro il regime di Damasco e sostenuto da molti Paesi che combattono l’IS: Arabia Saudita, Giordania, Qaṭar, Stati Uniti e Turchia in primo luogo.
Prima di assumere la veste formale di Stato islamico (IS) con l’annuncio dell’istituzione del califfato nel giugno 2014, l’ISIS ha certamente assorbito anche elementi dell’Esercito libero siriano e probabilmente persino spezzoni della Fratellanza musulmana locale, forse disorientati dal fallimento dell’esperimento egiziano intrapreso sotto la guida dal deposto presidente Muḥammad Mursī. Si spiegano in questo modo, oltre che con la prossimità geografica alle aree libanesi controllate dall’Ḥezbollāh sciita, anche alcune peculiari modalità operative assunte dallo Stato islamico. L’IS dispensa in effetti servizi di welfare come Ḥamās, sovvenzionandoli però con i proventi del contrabbando di petrolio, l’esportazione clandestina di reperti archeologici (il cui valore di mercato viene accresciuto ad arte tramite l’effettuazione di gravi atti vandalici, distruggendo importanti testimonianze della tradizione culturale, religiosa e artistica e dandone forte risonanza mediatica), le espropriazioni, la pratica dei sequestri di persona, le donazioni incassate attraverso le transazioni hawala, gestite da network informali a base fiduciaria, e la tassazione interna, che è particolarmente gravosa nei confronti degli appartenenti alle minoranze religiose, nei casi in cui queste sono tollerate. È altresì significativa la rete di sostegni internazionali della quale lo Stato islamico pare essersi giovato a partire dal 2013, con Qaṭar e Turchia prevalenti rispetto all’Arabia Saudita, che era piuttosto maggiormente legata ad al-Nuṣra e che per difendersi dalle infiltrazioni dell’ISIS ha successivamente eretto una barriera nel deserto.
Nel 2014, il califfato ha trasformato sette province irachene in altrettanti distretti islamici, o wilāya, affidandone il controllo militare a un generale proveniente dai vecchi servizi segreti di Ṣaddām Ḥusayn – Abu Muslim al-Turkmani – mentre a un altro ex baathista, Abu Ali al-Anbari, originario di Mōṣul, è stata rimessa la direzione delle operazioni nelle nove aree in cui è stata divisa la Siria, o Shām. Ufficiali del vecchio esercito iracheno hanno inoltre assicurato il funzionamento dei complessi sistemi d’arma conquistati sul campo, che includono anche materiale occidentale, come i carri armati americani Abrams visti a Kobânî, presumibilmente catturati a Mōṣul. Personalità riconducibili al deposto regime baathista figurano altresì nella Shura che funge da supremo consiglio politico, religioso e militare del Da᾿ish.
Attentati, offensive e uso dei media: le strategie dell’IS. – All’espansione dell’IS si è associata la pratica di azioni terroristiche efferate: sanguinosi attentati, innanzitutto, che hanno spesso preceduto l’effettuazione di offensive di tipo tradizionale, e soprattutto il sistematico ricorso al crimine di guerra, che non di rado ha assunto la forma delle esecuzioni extragiudiziali di massa a danno di interi gruppi etnici o confessionali, come cristiani e yazidi, spesso realizzate con tecniche brutali e non di rado filmate e mediatizzate a opera di una divisione specializzata dell’organizzazione, denominata al-Furqān, che ricorre strategicamente alla Rete e alla forza di impatto dei mezzi di informazione.
Ancorché in qualche modo giustificati con discutibili richiami alle tradizioni penali d’epoca abbaside, tali metodi risultano prioritariamente volti alla demoralizzazione degli avversari, che in effetti in più di una circostanza hanno preferito la fuga al combattimento. Stando a quanto si legge nel corposo Management of savagery (La gestione della crudeltà), un testo di 268 pagine pubblicato on-line e liberamente accessibile, la somministrazione di queste forme brutali di giustizia sommaria servirebbe altresì ad attirare nuove reclute da tutto il resto della Umma. È verosimilmente anche a questi scopi che l’IS ha sequestrato e assassinato un certo numero di operatori umanitari, giornalisti e militari stranieri di varia nazionalità – a partire dallo statunitense James Foley, ucciso nei pressi di Raqqa il 19 agosto 2014. Particolare orrore ha poi suscitato la brutale uccisione, nell’agosto del 2015, di Ḫāled al-As῾ad, responsabile per oltre quarant’anni del sito archeologico di Palmira. Le esecuzioni hanno suscitato una vasta riprovazione internazionale, ma sfortunatamente anche flussi supplementari di volontari jihadisti. Va altresì ricordato a tal proposito come al-Baghdādī abbia più volte sollecitato l’egira, ovvero la migrazione verso lo Stato islamico, definendola nelle sue prediche come un obbligo del credente musulmano.
Gli effettivi obiettivi finali dello Stato islamico sono oggetto di congetture. All’ipotetico consolidamento delle conquiste territoriali realizzate in ῾Irāq e in Siria dovrebbe presumibilmente seguire una fase espansiva ulteriore, teoricamente illimitata, che potrebbe essere favorita dalle adesioni al califfato annunciate da diverse formazioni jihadiste in Africa e in Asia. Oltre al già citato Boko Haram, hanno tra l’altro annunciato la loro affiliazione allo Stato islamico alcune milizie libiche basate a Derna e a Sirte, località quest’ultima nella quale ad abbracciarne la causa pare siano stati elementi della tribù dei Qadhdhāfa. La sigla del Da᾿ish è apparsa anche in Afghānistān, determinando la reazione militare dei Ṭālibān, che li hanno affrontati in più di una circostanza prima di offrire loro una specie di patto informale di non aggressione.
La forza militare dello Stato islamico sul teatro siro-iracheno risulta di difficile stima, ma al suo apice ha certamente raggiunto l’ordine di diverse decine di migliaia di effettivi in possesso di efficaci armamenti leggeri e pesanti, tra i quali si contano molti immigrati e convertiti residenti in Europa (fig. 2). I movimenti di coloro che hanno accettato gli inviti di al-Baghdādī a servire lo Stato islamico combattendo in ῾Irāq o in Siria sono diventati una seria preoccupazione anche per la sicurezza interna di numerosi Paesi europei, specialmente dopo gli attentati perpetrati a Parigi il 7-8 gennaio 2015, peraltro di incerta attribuzione, e quelli sventati a Verviers, in Belgio, nei giorni seguenti.
Ne è stato un riflesso in Italia il d.l. 10 febbr. 2015 nr. 7, recante nuove «misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale».
La risposta internazionale allo Stato islamico. – Contro il nuovo califfato, considerato ormai una minaccia maggiore agli equilibri geopolitici mediorientali e alla sicurezza internazionale, anche in ragione dei metodi terroristici ai quali ricorre, è sorta una coalizione militare internazionale, guidata dagli Stati Uniti e composta formalmente da 61 Paesi, tanto occidentali quanto appartenenti al Consiglio di cooperazione del Golfo, che nell’agosto 2014 ha avviato una campagna di bombardamenti tendente a favorire l’azione controffensiva sviluppata sul terreno dai peshmerga curdi: l’operazione Inherent resolve. Al raggruppamento ha aderito anche l’Italia, che ha inviato addestratori e velivoli da combattimento con compiti di ricognizione. Stando alle statistiche pubblicate dal Central command statunitense, negli ultimi cinque mesi del 2014 gli aerei della coalizione avrebbero sganciato 5886 ordigni di vario tipo su siti controllati dall’IS (U.S. air forces central command 2015). Un bilancio più recente, riferito ai primi dieci mesi di operazioni, parla invece di 4100 sortite aeree offensive, corrispondenti a una media di circa 15 attacchi giornalieri, contro gli oltre 38.000 registratisi nel 1999 durante le dieci settimane di campagna contro la Federazione iugoslava per fermare la pulizia etnica in Kosovo. Vi è per questo chi ha espresso dubbi circa la reale natura dell’impegno contro lo Stato islamico, formulando l’ipotesi che se ne persegua il contenimento piuttosto che lo sradicamento.
Si battono militarmente contro il Da᾿ish, ma in modo formalmente indipendente dalla coalizione, anche l’Irān, le forze armate regolari di Damasco, distaccamenti dell’Ḥezbollāh libanese e le nuove formazioni dell’opposizione armata al regime degli Asad, come il già citato Esercito della conquista, che gode di vasti sostegni internazionali. È degna di nota la circostanza che la stessa Turchia abbia frapposto ostacoli significativi alle operazioni alleate in favore della città frontaliera di Kobânî, probabilmente per non rafforzare le ambizioni indipendentistiche dei curdi anatolici del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), ma forse anche per sollecitare l’intensificazione degli sforzi diretti ad allontanare Baššar al-Asad dal potere.
Bibliografia: O. Hanne, T. Flichy de La Neuville, L’État islamique. Anatomie du noveau Califat, Paris 2014; A. Negri, Lo Stato islamico visto da vicino, «Limes», 2014, 9, nr. monografico: Le maschere del califfo, pp. 39-48. Si veda inoltre: Abū-Bakr Naji, The management of savagery: the most critical stage trough which the Umma will pass, 2006, https://azelin.files.wordpress. com/2010/08/abu-bakr-naji-the-management-of-savagery-themost-critical-stage-through-which-the-umma-will-pass.pdf.