COLBRAN, Isabella Angela
Nacque a Madrid il 2 febbr. 1785 da Teresa Ortola e da Giovanni, musico "de la chapelle et de la chambre du roi d'Espagne" (Fétis). Giovanissima, ricevette i primi rudimenti musicali da F. Pareja, compositore e primo violoncellista nella capitale spagnola; studiò poi con il maestro napoletano G. Marinelli e, successivamente, con il celebre sopranista (e apprezzato maestro di canto) G. Crescentini. Grazie ad una borsa di studio assegnatale dalla regina Maria Luisa di Spagna (cfr. Weinstock, p. 396) ebbe la possibilità di proseguire gli studi musicali all'estero. Abbiamo notizia di un soggiorno della C. - sempre accompagnata dal padre - in Francia nel 1801, prima a Bordeaux poi a Parigi dove sembra si facesse "sentire per la prima volta in pubblico in un concerto dato dal celebre violinista Rode..." (cfr. Radiciotti, I, p. 164); si fermò quindi per qualche tempo in Sicilia, dove il padre acquistò delle proprietà e - forse - un castello a Modica; infine si spostò verso l'Italia settentrionale. Prima tappa di questo viaggio fu Bologna dove, nella primavera del 1807, i Colbran si fermarono per circa quindici giorni (ospiti del barone Cappelletti, incaricato d'affari del re di Spagna) e dove, già dal 21 novembre dell'anno precedente, la C. appena ventunenne ma già celebre aveva avuto l'onore di essere aggregata alla famosa Accademia Filarmonica bolognese: e appunto per mostrare di esser meritevole dell'onore conferitole, proprio nella città emiliana la C. volle far sentire - per la prima volta in Italia (il primo, vero debutto sembra fosse avvenuto in patria nel 1806) - la sua voce. Tre furono le sue esibizioni bolognesi: l'11 aprile nella sala della Società Polinniaca, il 15 in casa del generale Pully e il 19 dello stesso mese - alla presenza di un pubblico foltissimo - nella sala dell'Accademia Filarmonica. Il successo riscosso dalla C. non fece che confermare l'ammirazione e le lodi tributatele pubblicamente al momento del suo arrivo.
"Il 7 aprile giunse tra noi" - è dato infatti leggere ne Il Redattore del Reno (nn. 29 e 32 dell'aprile 1807: cfr. Radiciotti, I, p. 25) - "Donna I. C., celebratissima giovane Signora Spagnola, all'attual servizio di S. M. Cattolica... Possiede essa la celeste arte del canto in così sublime grado, che per lei nella Reggia dei maggiori Monarchi d'Europa i segni dell'ammirazione più viva e del diletto più puro si resero chiari e manifesti... L'organo della sua voce è veramente un incanto per soavità, robustezza e per prodigiosa estensione di corde, poiché dal sol basso al mi sopracuto, cioè per quasi tre ottave si fa sentire con una progressione sempre uguale in morbidezza ed energia... Perfetto è il metodo e lo stile del suo cantare...".
Il 22 apr. 1807, circondata dall'entusiasmo del pubblico emiliano (che avrebbe avuto modo di riascoltarla due anni più tardi), la C. partì per Milano dove il 26 dic. 1808 interpretò alla Scala il ruolo di Volunnia in occasione della prima rappresentazione del Coriolano di G. Nicolini. È il lancio definitivo della C. che, da questo momento, si esibirà sui palcoscenici dei principali teatri italiani: nel 1809 al teatro Comunale di Bologna (Traiano in Dacia di G. Nicolini, 15 luglio e Artemisia di D. Cimarosa, agosto), alla Fenice di Venezia e alla Scala di Milano (Ifigenia in Aulide di V. Federici e Orcamo di V. Lavigna); nella stagione 1810-11 al teatro Valle e al teatro Argentina di Roma. Fu poi la volta di Napoli dove la fama della sua voce eccezionale e della sua splendente bellezza era giunta a D. Barbaia, impresario dei reali teatri napoletani.
Il suo debutto in questa città sembra avvenisse con la Nina di G. Paisiello (teatro del Fondo, maggio 1811); certa è invece la sua partecipazione tra gli interpreti della cantata L'oracolo di Delfo di P. Raimondi (teatro S. Carlo, 15 ag. 1811: eseguita per festeggiare la nascita del re di Roma), mentre la sua prima esibizione operistica ebbe luogo l'8 settembre dello stesso anno nel ruolo di Giulia ne La vestale di G. Spontini (prima rappresentazione italiana).
Per oltre un decennio (dall'anno 1811 all'anno 1822) la C. poté mantenere il ruolo incontrastato di dominatrice dei teatri napoletani, grazie anche alla relazione intima che ben presto intrecciò con il Barbaia e alla protezione incondizionata della corte (che in breve tempo le alienò gran parte delle simpatie dei Napoletani e dei sostenitori del partito costituzionale). E grazie anche alla sua straordinaria bellezza: una bellezza di "genere imponente" - come ammetteva lo Stendhal (p. 91) - "lineamenti grandi che, sulla ribalta, sembrano fatali, una figura magnifica, un occhio di fuoco, alla circassa, una foresta di capelli del più bel nero di giada, e finalmente, l'istinto della tragedia. Questa donna... non appena appare in pubblico colla fronte adorna del diadema, incute in tutti un rispetto involontario...".
Seguendo la cronologia degli spettacoli napoletani, lasciataci dal Florimo (IV, pp. 269 ss.) e da De Filippis-Arnese, vengono qui indicati i titoli e le date delle rappresentazioni alle quali la C. prese parte durante il suo soggiorno napoletano. Teatro S. Carlo, 1811, la cantata L'oracolo di Delfo di P. Raimondi (15 agosto); La vestale di G. Spontini (8 settembre); 1813, Nefte di V. Fioravanti (18 aprile); I riti di Efeso di G. Farinelli (10 giugno); Il califfo di Bagdad di E. Garcia (8 novembre); Medea in Corinto di S. Mayr (28 novembre); 1814, la cantata Diana e Endimione di E. Garcia (9 febbraio); Partenope di G. Farinelli (15agosto); Caritea,regina di Spagna di G. Farinelli (22 settembre); La donzella di Raab di E. Garcia (4 novembre); 1815, la cantata Arianna in Nasso di S. Mayr (19 febbraio); Cora di S. Mayr (27 marzo - revisione dell'opera del Mayr intitolata Alonso e Cora del 1803); la cantata L'oracolo di Cuma di V. Fioravanti (18 giugno); La morte di Semiramide di S. Nasolini (16 agosto); 1816, Il trionfo di Alessandro di G. Andreozzi (24 gennaio); Inno pel ... giorno onomastico di ... Ferdinando IV di L. Capotorti (30 maggio); 1817, Il sogno di Partenope di S. Mayr (12 febbraio); Aganadeca di C. Saccenti (16febbraio); Paolo e Virginia di P. C. Guglielmi (1º marzo); Ifigenia in Tauride di M. Carafa (19 giugno); Mennone e Zemira ossia La figlia dell'aria di S. Mayr (24 marzo); 1818, Boadicea di F. Morlacchi (31 gennaio); Lodoiska di S. Mayr (24 ottobre); Griselda ossia La Virtù in cimento di F. Paer (28 novembre); 1819, Ulisse nell'isola di Circe di M. Perrino (23 giugno); L'apoteosi d'Ercole di S. Mercadante (19 agosto); 1820, Fernando Coptez di G. Spontini (4 febbraio); Ciro in Babilonia di P. Raimondi (19 marzo); Sofonisba di F. Paer (6 aprile); Solimano II ovvero Le tre sultane di L. Carlini (30maggio); 1821, Adelaide di Baviera di L. Carlini (12 gennaio); Valmiro e Zaida di M. Sampieri (26 settembre). Al teatro del Fondo invece, Clodoveo di G. B. de Luca (estate 1811); Don Giovanni e Le nozze di Figaro di Mozart (rispettivamente, autunno 1812 e marzo 1814); Cimene di T. Consalvo (estate 1814); Il ritorno di Serse di S. Nasolini (primavera 1816); Gabriella di Vergy di M. Carafa (estate 1816).
Dall'elenco sopracitato mancano volutamente i titoli delle opere serie che Rossini scrisse per i teatri napoletani e che, in larga misura, concepì tenendo ben presenti le caretteristiche vocali e drammatiche di quella celebratissima cantante spagnola che tanta parte avrebbe avuto nella sua attività di compositore e nella sua vita privata.
La prima opera composta da Rossini per Napoli fu Elisabetta,regina d'Inghilterra, rappresentata al S. Carlo il 4 ott. 1815 nel "giorno onomastico di Sua Altezza Reale il Principe ereditario delle Due Sicilie". La splendida interpretazione della C. ("Bisogna aver visto la signorina C. in questa scena" - scriveva Stendhal a proposito dell'inizio del secondo atto - "per capire il successo d'entusiasmo che ebbe a Napoli, e tutte le follie che faceva fare a quest'epoca...": p. 97), degnamente affiancata peraltro dai tenori A. Nozzari e M. Garcia e dal soprano G. Dardanelli, contribuì in non piccola misura al successo e alle entusiastiche accoglienze riservate al giovane musicista venuto dal Nord, e alle numerosissime repliche che si protrassero per tutto il mese di ottobre e che ripresero il 26 dicembre successivo. Così come, con l'unica eccezione de La Gazzetta ossia Il matrimonio per concorso (teatro dei Fiorentini, 26 sett. 1816), opera alla quale non prese parte, la C. contribuì all'affermazione delle seguenti opere rossiniane: Otello ossia Il Moro di Venezia (teatro del Fondo, 4 dicembre 1816); Armida (teatro S. Carlo, 11 novembre 1817); Mosè in Egitto (ibid., 5 marzo 1818); Ricciardo e Zoraide (ibid., 3 dicembre 1818. La prima di quest'opera, fissata inizialmente per il 28 novembre, era stata rinviata per una caduta della C. durante la prova generale); Ermione (ibid., 27 marzo 1819); La donna del lago (ibid., 24 sett. 1819); Maometto II (ibid., 27 marzo 1819); La Zelmira (ibid., 16 febbr. 1822). In realtà quest'ultima opera era stata scritta per Vienna, ma venne rappresentata come prova per qualche sera a Napoli. Il 5 marzo dello stesso mese, all'ultima replica napoletana, il re e tutta la corte "vollero dare lusinghieri segni di gradimento..." a Rossini e ai cantanti "... i quali tutti si recano a Vienna ove lo stesso dramma sarà esposto in quell'I. R. Teatro..." - si legge ne Il Giornale delle Due Sicilie del 7 marzo (cfr. Radiciotti, p. 439). Interprete inoltre di alcuni lavori d'occasione scritti da Rossini per eventi legati alla corte napoletana (ad esempio, la cantata Le nozze di Teti e di Meo, teatro del Fondo, 24 apr. 1816, per le nozze di Carolina Ferdinanda Luigia - nipote di Ferdinando I - con Carlo Ferdinando duca di Berry; una Cantata per una voce solista e coro, libretto di A. Niccolini, teatro S. Carlo, 20 febbr. 1820, per festeggiare la guarigione del re dopo una grave malattia; infine, un'altra Cantata per tre voci e coro, su testo di G. Genoino, ibid., 9 maggio 1819, per l'arrivo a Napoli dell'imperatore Francesco I), la C. cantò anche in altre due opere rossiniane replicate a Napoli: La gazza ladra (teatro del Fondo, estate 1819) e Torvaldo e Dorliska (teatro S. Carlo, estate 1820).
Accusata spesso, talvolta con molta esagerazione, di avere inconsapevolmente danneggiato la carriera di Rossini avendolo indotto ad abbandonare il campo dell'opera buffa per la quale "come Beethoven disse ed egli stesso ammise, Rossini era nato..." (Toye, p. 242), è indubbio che la C. con quel suo temperamento e registro vocale adatti ai grandi ruoli tragici, condizionò le scelte teatrali del compositore pesarese: il quale, peraltro, a queste scelte drammatiche aderì di buon grado non solo per conquistare a tutti i costi il successo in una città prevenuta e a lui ostile come Napoli, ma anche perché alle situazioni nobili e ai sentimenti possenti ben si confacevano quelle melodie fiorite e ricche di colorature che costituiscono una delle principali caratteristiche dello stile rossiniano. Iniziata la propria carriera come contralto, la C. era venuta assumendo, col tempo, sempre più le caratteristiche di soprano drammatico d'agilità "versato in tutti i generi, pur prediligendo lo stile acrobatico di forza..." - come scrive R. Celletti (La vocalità romantica..., p. 127). Una delle più levigate vocalizzatrici del suo tempo "Sa virtuosité était admirable" - affermava lo Azevedo, p. 95 - "Pour le trille" la C. "ne connaissait qu'un seul rival, son maître Crescentini..."), la C. era l'interprete ideale di parti che secondo l'analisi del Celletti (p. 127) - sono più basse, come tessitura delle parti di soprano "puro" e, anzi, hanno sovente il carattere di parti di mezzosoprano acuto... e improntate come sono ad un accentuato virtuosismo e ad una coloratura fittissima, sono quelle che più rispecchiano l'inventiva di Rossini in materia di diminuzioni, variazioni e fiorettature e la sua capacità di mettere in evidenza taluni pregi dell'esecutrice (la vocalità acrobatica, specie "di forza", occultandone, insieme, taluni difetti: in particolare, sembra, la progressiva incapacità della Colbran di sostenere senza stonare le larghe frasi di canto spianato; da cui la tendenza ad una coloratura sempre più dettagliata e fastosa, con conseguente eliminazione dei cantabili veri e propri...". Caratteristiche di registro e doti di virtuosismo valorizzate appieno dalle sue eccezionali doti interpretative, che non tardarono a costituire un elemento indispensabile quando ebbe inizio il declino vocale della Colbran.
È nota l'ostilità di Stendhal nei confronti della C.; a parte qualche sporadico giudizio favorevole, egli arrivò a scrivere: "Nel 1815 la sua voce era stanca e, come dicono i cantanti, cantava falso. Dal 1816 al 1822 la... Colbran ha generalmente cantato o sopra o sotto il tono, era ciò che si suol chiamare esecrabile; ma non lo si doveva dire a Napoli... Il signor Barbaja era dominato dalla sua amante, la quale proteggeva Rossini; egli pagava, attorno al re, quel che bisogna pagare... e, siccome era amato dal principe, bisognava sopportare la sua amante... Ecco, direi, uno dei più bei trionfi del dispotismo..." (p. 89).
Altrettanto nota è l'appassionata e, a tratti, enfatica difesa della C. lasciata da G. Carpani dopo aver assistito, nel 1822, ad una rappresentazione a Vienna della Zelmira: "La signora Colbrand-Rossini ha un dolcissimo metallo di voce tonda e sonora, massimamente nei tuoni di mezzo e ne' bassi. Un cantare finito. puro, insinuante. Non ha slanci di forza, ma bel portamento di voce, intonazione perfetta, e scuola forbitissima. Le Grazie poi vanno spruzzando di nettare ogni sua sillaba, ogni suo fiore, ogni gruppetto, ogni trillo. Cantante di primo rango la mostrano le volate di quasi due ottave per semituoni nette e perlate, e gli altri eletti artifizj del suo canto..." (pp. 158 s.). Apparentemente inconciliabili, le posizioni del Carpani e di Stendhal (rappresentative delle due principali tendenze della critica del tempo) trovano una sorta di mediazione nelle parole equilibrate che a questo proposito scrisse nel 1864 l'Azevedo: parole che pur riferite alle reazioni del pubblico napoletano possono venir intese - a nostro parere - in un senso e in una dimensione più generale. "Les Napolitains, par des raisons politiques, détestaient Barbaja... Le roi protégeait l'impresario, cela leur suffisait, et leur haine rejaillissait naturellement sur la prima donna et sur le compositeur de Barbaja. Ne pouvant accuser Rossini de manquer de génie, ils l'accusaient de tout sacrifier, pièces, rôles et artistes, aux exigences de la Colbran. Ne pouvant accuser cette cantatrice de manquer de talent, ils exagéraient de la façon la plus malveillante, dans leurs critiques, - les effets inévitables d'une longue et très-active carrière sur la voix de la prima donna..." (p. 153).
Inizialmente di carattere esclusivamente artistico, ben presto i rapporti della C. con Rossini assunsero toni sentimentali sfociando - negli ultimi anni del soggiorno napoletano - nella convivenza dei due: convivenza che ad un certo punto il compositore volle regolarizzare anche (se non prevalentemente) per tranquillizzare gli scrupoli religiosi degli amatissimi genitori. Terminate le repliche della Zelmira, il 7 marzo 1822 la C. partì da Napoli alla volta di Bologna con Rossini, con il quale, il 16 marzo successivo, si unì in matrimonio nel piccolo santuario della Vergine del Pilar a Castenaso, piccolo centro a pochi chilometri dal capoluogo emiliano dove, nel 1812, Giovanni Colbran aveva comprato una villa che rimase poi in eredità alla figlia alla sua morte, avvenuta nell'aprile 1820.
Matrimonio semplicissimo, celebrato dal parroco della chiesa di S. Giovanni Battista alla presenza dei genitori, di pochi amici e di L. Cacciari e F. Fernandez in qualità di testimoni (vedi p. 6 del Libro IV dei matrimoni della chiesa parrocchiale di Castenaso: cfr. A. Zanolini, p. 21, n. 1). Assai cospicuo invece il patrimonio portato in dote dalla C. e tale - secondo alcuni biografi e detrattori di Rossini - da aver costituito la spinta determinante nel convincere il compositore al matrimonio (cfr. a questo proposito il Radiciotti, I, p. 441): l'intero usufrutto e metà della proprietà di tutti i suoi averi, costituiti da alcuni crediti in Sicilia, da vaste proprietà terriere in Emilia e dalla villa di Castenaso.
Pochi giorni dopo la celebrazione del matrimonio i coniugi Rossini partirono per Vienna dove, grazie al Barbaia che aveva ottenuto l'appalto del Kärntnerthortheater, era stato organizzato una specie di festival rossiniano (aprile-luglio 1822); e dove, il 13 apr. 1822, venne ripresa con lo stesso cast napoletano (oltre alla C., il Nozzari, G. David e l'Ambrosi) la Zelmira, con successo piuttosto tiepido la prima sera ma sempre più caloroso nei giorni successivi. Durante la permanenza viennese la C. prese parte anche alle riprese della Elisabetta (fine maggio: "La Sig. Colbran-Rossini" - si legge in un articolo della Allgemeine musikalische Zeitung di Lipsia citato dal Radiciotti, I, p. 462 - "eseguì superbamente la parte della protagonista e fu veramente la regina della serata...") e di Ricciardo e Zoraide (8 luglio) che provocò una ininterrotta ovazione per Rossini, per la C. e per gli altri interpreti. Lasciata Vienna il 22 luglio 1822 e fermatasi - dopo una brevissima sosta a Udine - per qualche tempo nella sua villa di Castenaso, il 9 dic. 1822 la C. giunse a Venezia con il marito, dove entrambi erano stati scritturati dall'impresa del teatro La Fenice. In questa città la C. cantò nel Maometto II (26 dic. 1822; rispetto all'edizione napoletana vi era stata aggiunta l'ouverture, mentre l'originale finale tragico era stato sostituito con il rondò finale tratto da La donna del lago, cavallo di battaglia della C.) e nella prima esecuzione della Semiramide (3 febbr. 1823): con grande insuccesso nel primo caso, anche perché "sempre indisposta era priva di voce e non di rado al principio di un pezzo calava e non riusciva a rimettersi in carreggiata..." (Radiciotti, I, p. 480), applauditissima invece nella seconda opera che ebbe ben ventotto repliche!
Benché ormai in pieno declino vocale la C. proseguì per qualche tempo ancora le sue esibizioni all'estero, profittando in gran parte della fama e delle scritture del marito. Dopo Venezia (lasciata il 17marzo 1823), dopo un lungo soggiorno a Castenaso e dopo una sosta di circa un mese a Parigi, il 13 dic. 1823 la C. giunse a Londra dove l'impresario italiano G. B. Benelli l'aveva scritturata (sembra per la cospicua somma di 1.500 sterline) per una rappresentazione della Zelmira (King's Theatre, 24 genn. 1824), che suscitò scarsissimo entusiasmo soprattutto per la modesta prestazione dei cantanti (oltre alla C., la Vestris, Garcia figlio ecc.). Fu questa l'ultima esibizione pubblica della C. la quale, infatti, durante i cinque anni del successivo soggiorno parigino (dall'agosto 1824 all'estate 1829) limitò la propria attività a quella di moglie - peraltro capricciosa e noncurante delle esigenze del marito - di un compositore acclamatissimo e corteggiato da tutta la società parigina.
Tornata a Bologna il 6 sett. 1829 dopo una breve sosta a Milano, rimase in questa città anche quando Rossini partì nuovamente per Parigi nel settembre 1830 (dove conobbe quella Olympia Pélissier che avrebbe sposato nel 1846). Ragione di questa sorta di "abbandono" coniugale sembra fosse stata l'amarezza provata da Rossini nello scoprire che a Parigi la C. "si era data al gioco, spendeva senza ritegno e... non bastando la sua rendita, contraeva debiti e per soddisfarli dava lezioni di canto in alcune delle case più illustri di Parigi, facendo credere a Rossini, che altro non fossero che esercitazioni alle quali si prestava per amicizia. Allorché venne a sapere che dava lezioni a caro prezzo giovandosi della celebrità propria e come stretta dal bisogno per la grettezza di lui, si sentì toccato nel vivo e riguardò l'offesa come delle più gravi che fare gli si potessero..." (A. Zanolini, pp. 60 s.). La C. rimase dunque a Bologna, affidata alle cure e - ben presto - alle critiche del vecchio padre di Rossini (Giuseppe, detto "Vivazza") che, pur prodigandosi in mille modi, non tardò a guastarsi con la nuora, non sopportando in breve il cattivo carattere, le manie di grandezza e la prodigalità di quella spagnola ormai quarantacinquenne che mal s'adattava alla perdita della voce e dell'antico fascino e che, alla monotonia della sua vita attuale, portava rimedio giocando e circondandosi di amici interessati.
Numerose, e assai eloquenti per la loro ingenua sincerità e per la sintassi approssimata ma incisiva, sono le lettere inviate in questi anni da Giuseppe Rossini al figlio, al quale raccomandava di guardarsi bene dal lasciare Parigi e di vivere in pace lontano da una simile peste. "Voi conoscete abbastanza più di me il naturale della vostra Signora" si legge in una lettera del 18apr. 1833 (Weinstock, p. 175); "Essa è tutta grandezza nel suo pensare, e io sono piccolissimo nel mio. Ad essa piace scialacquare e far godere li suoi adolatori, e a me piace godere la tranquillità e la pace...". In altra occasione il suocero doveva lamentare che pur avendo assicurato a quella che sarcasticamente chiamava ormai "la mia Signora, la Duchessa di Castenaso" ogni benessere ("...scudi cento, pane, vino, legna, marescalco pagato, dottori, chirurgo speciale e giardiniere, e orologiaro e tappezziere e tante altre cose..."), la nuora andasse in giro affermando che il suocero le faceva mancare il sostentamento. In una lettera del 4 ag. 1833l'indignazione del vecchio Rossini è totale: "...e come sì ha ad amare e andare d'accordo con una donna superba e infame, una scialacquona che non cerca che fare dispetti, e ciò perché non si vuole condiscendere alle sue grandezze e pazzie, e non si ricorda la sua nascita, che era figlia anch'essa d'un povero trombetta come era io, e che ha una povera sorella a Madrit che la fulmina di lettere. Non si ricorda quando Crescentini le dava lezioni per carità, allorquando si ritrovava a Madrit, e tante altre cose che potrei dire, che non le dico; ma dirò solo: evviva i veneziani, allorquando la fischiarono a morte! Era meglio che l'avessero accoppata, come avevano intenzione, e così non sarebbe morta la mia povera moglie di passione; e, pur troppo, se si seguita così, o che crepo anch'io, o che divento matto..." (cfr. Jarro, p. 34).
Al ritorno di Rossini a Bologna nel novembre 1836, la C. acconsentì a separarsi legalmente dal marito (l'atto ufficiale venne stipulato nel settembre 1837), senza fare difficoltà. "Mia moglie sta bene ed è molto ragionevole" - riconosceva infatti Rossini in una lettera all'amico C. Severini del 28 febbr. 1836 (cfr. Radiciotti, II, p. 212); e allo stesso amico, il 5 febbraio dell'anno successivo, doveva scrivere di avere "definitivamente fatti patti di famiglia con Mad. Rossini... a modo che essa fa famiglia separata da me: ho fatto le cose nobilmente a modo che ora sono tutti contro lei per le infinite sue pazzie..." (Radiciotti, ibid.). La proprietà della villa di Castenaso, una rendita di 150 scudi per vivere degnamente e per prendere in affitto un appartamento a Bologna nel periodo invernale: queste le condizioni della separazione. E appunto nel suo appartamento bolognese la C. ricevette - dopo molte e insistenti sue richieste - la nuova compagna del marito, anch'essa trasferitasi a Bologna seppur in una abitazione diversa da Rossini per convenienze sociali. Nella sua biografia rossiniana lo Zanolini (p. 79), descrive benissimo i rapporti tra le due donne: "Isabella ed Olimpia si conobbero, si scandagliarono e per non breve tempo praticarono insieme famigliarmente, come fossero unite da sincera amicizia: poi ad un tratto quel fuoco fatuo per piccolo soffio si spense; un giorno si separarono corrucciate, né mai più si rividero". Anche gli incontri della C. con il marito, da quel momento, divennero rarissimi e sempre in occasioni pubbliche. Solo il 7 sett. 1845 - avuta notizia della grave malattia della moglie - Rossini si recò con la Pélissier a Castenaso dove - come riportano tutti i suoi biografi - rimase a lungo a colloquio con lei, uscendo profondamente turbato dalla stanza: un mese dopo, il 7 ott. 1845, la C. si spegneva nella sua villa di Castenaso.
Fonti e Bibl.: G. Carpani, Le Rossiniane ossia Lett. musico-teatrali, Padova 1824, pp. 128 s., 158 s., 190; Castil-Blaze [F.-H. Blaze], L'opéra italienne de 1548 à 1856, Paris 1856, p. 405 e passim; A. Azevedo, Gioacchino Rossini. Sa vie et ses oeuvres, Paris 1865, passim; F. Mordani, Della vita privata di Gioacchino Rossini: memorie inedite, Imola 1879, passim; A. Zanolini, Biografia di Gioacchino Rossini, Bologna 1875, passim; F. Florimo, La scuola music. di Napoli, II, Napoli 1882, pp. 461 s.; III, ibid. 1882, p. 472; IV, ibid. 1891, ad Indicem; C. Ricci, Rossini,le sue case e le sue donne, Milano 1889, pp. 6 ss.; G. Mazzatinti-F.-G. Manis, Lettere di G. Rossini, Firenze 1902, passim; Jarro [G. Piccini], G. Rossini e la sua famiglia, Firenze 1902, pp. 29 ss.; A. D'Angeli, Lettere inedite di Giuseppe e Gioacchino Rossini, in Cronaca musicale di Pesaro, XII (1908), II, pp. 323 ss.; 12, pp. 359 ss.; G. Nascimbeni, Case e donne di G. Rossini, in Emporium, febbraio 1920, p. 83; G. Monaldi, Cantanti evirati celebri, Roma 1920, p. 103; G. Radiciotti, G. Rossini, I, Tivoli 1927, ad Indicem; II, ibid. 1928, ad Indicem; III, ibid. 1929, pp. 22 s.; S. Santi, L'esilio della C., in Scena illustrata, novembre 1932, nn. 21-22, estr.; L. Ramella, I due matrimoni di Rossini, in La Cultura moderna, XI (1934), pp. 678 ss.; A. Fraccaroli, Rossini, Verona 1941, pp. 120, 122 s., 143; Stendhal [H. Beyle], Rossini, Milano 1949, passim; A. Della Corte, L'interpret. musicale e gli interpreti, Torino 1951, pp. 509 ss.; A. Bonaccorsi, Le concubine di Rossini, in Osservatore politico, aprile 1958, pp. 109 ss.; C. Gatti, Il teatro alla Scala, Milano 1954, I, pp. 54 ss.; II, p. 23; F. Toye, Rossini, Milano 1959, ad Indicem; F. De Filippis-R. Arnese, Cronache del teatro di S. Carlo, I, Napoli 1961, pp. 55 ss.; Due secoli di vita musicale. Storia del Teatro Comunale di Bologna, a cura di L. Trezzini, Bologna 1966, I, pp. 8, 193; II, p. 18; L. Spohr, Lebenserinnerungen, II, Tutzing 1968, pp. 10, 15, 24, 220; R. Celletti, Origini e sviluppi della coloritura rossiniana, in Nuova Riv. mus. Ital., V (1968), pp. 872 ss.; Id., Il vocalisme italiano da Rossini a Donizetti, in Analecta musicologica, V (1968), pp. 267 ss.; P. Gosset, Rossini in Naples, in Musical Quarterly, III (1968), pp. 316 ss.; G. Rossini, a cura di A. Ronaccorsi, Firenze 1968, ad Indicem; H. Weinstock, Rossini. A Biography, London 1968, ad Indicem; L. Rognoni, G. Rossini, Torino 1968, ad Indicem; J. Harding, Rossini, London 1971, ad Indicem; R. Celletti, La velocità romantica, in Storia dell'opera, III, 1, Torino 1978, p. 127 e ad Indicem; F.-J. Fétis, Biogr. univ. des musiciens, II, p. 333; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 357; Enc. d. Spett., III, coll. 1053 ss.; La Musica. Dizionario, I, p. 420; Enc. della Musica Rizzoli-Ricordi, II, pp. 272 ss.