ISABELLA d'Este Gonzaga, marchesa di Mantova
Nata a Ferrara nel 1474 dal duca Ercole e da Eleonora d'Aragona, fu educata da Battista Guarini e da altri. Non interruppe gli studî quando a sedici anni andò sposa a Francesco Gonzaga marchese di Mantova: e, senza alcuna pedanteria di erudita, divenne coltissima.
Nella reggia dei Gonzaga, già fiorente di lettere e d'arti, ella raccolse intorno a sé quella che il Giovio chiamò "Accademia de Santo Pietro": vi prendevano parte l'Equicola, che le fu segretario, il "Carmelita" Battista Spagnoli e, quand'erano a Mantova, Baldassarre Castiglione e Matteo Bandello, che narrò innanzi a lei parecchie delle sue novelle. L'Ariosto espose a lei in Mantova fin dal 1507 le sue mirabili fantasie, nel 1512 in Ferrara lesse alcuni canti, nel 1516 e nel '32 offrì copia della prima e dell'ultima redazione del poema. Ed ella ebbe, di persona o per lettera, relazioni col Boiardo, che le voleva dedicare l'Orlando, col Berni, che lo dedicò alla memoria di lei, col Bibbiena, del quale venne rappresentata per lei a Roma la Calandria (ottobre 1514), col Bembo, che le inviò sue poesie, col Trissino, che ne celebrò le lodi nei Ritratti, con Girolamo Vida, che a lei dedicò il Bombyx, e con molti altri dei più eletti ingegni di quell'età. Ne] primo suo appartamento in Castello come negli appartamenti vedovili della "Grotta" e del "Paradiso" e nel "Casino bizarro" di Porto, ella affidò agli artisti più celebrati costruzioni nuove o decorazioni: vi riunì capolavori e collezioni preziose; Leonardo da Vinci, il Francia e Tiziano dipinsero ritratti di lei, e Raffaello, almeno in parte, il ritratto del suo primogenito Federico; Gian Cristoforo Romano ne disegnò una medaglia famosa.
Così ricca attività nel campo della cultura e dell'arte, I. spiegò, pure vivendo presso che tutta la vita in mezzo a negozî politici delicatissimi. Stretta in matrimonio con un uomo di armi, anche più celebrato che valoroso e presto infiacchito da una malattia repugnante, ella dovette, nell'assenza frequente, nella irresolutezza, nella viltà del marito, provvedere a salvare in momenti assai difficili il suo piccolo stato e a difendere quanto potesse gl'interessi della famiglia paterna degli Estensi e di quelle, congiunte a lei in parentela, degli Sforza e dei duchi d'Urbino. Recò al difficile compito doti singolari di energia, abilità e finezza, anche se non sorrette da alti ideali politici, né contenute da freni di politica moralità. Dopo la battaglia del Taro (1494) e la decantata vittoria di Francesco Gonzaga (v. fornovo di taro), tenne mano alla tortuosa politica di costui, oscillante fra Milano e Venezia, pure cercando d'impedire la caduta del cognato suo Lodovico il Moro; poi riuscì a ottenere al marito il favore di Luigi XII e fu tenuta "francese". Di Cesare Borgia diffidava; ma gli mostrò devozione cordiale, sebbene dovesse vedere cacciato anche dal suo rifugio di Mantova lo spodestato duca Guidobaldo d'Urbino, il consorte della diletta cognata Elisabetta; trattò anche di nozze tra la figlia del Valentino e il suo Federico, pure evitando di legare le sorti dello stato mantovano con quelle dei Borgia. Innanzi a Giulio II e nella tempesta scatenata dalla Lega di Cambrai e dalla Lega Santa, dimostrò, secondo occorresse, risolutezza e remissività, soprattutto quando dovette reggere lo stato per il marito prigioniero dei Veneziani (agosto 1509-luglio 1510). Ottenne la liberazione di lui per mezzo del papa e tuttavia riuscì a fare ch'egli non s'impegnasse per questo contro i Francesi e gli Estensi, protesse lo stato mantovano contro aperti nemici o amici malfidi, cooperò all'elevazione del nipote Massimiliano Sforza al ducato milanese, stornò la bufera che minacciava di travolgere la casa d'Este. Crollato con la battaglia di Melegnano (1515) l'effimero dominio sforzesco, cooperò a rendere nuovamente amico ai Gonzaga il re di Francia, che volle tuttavia ostaggio il figlio di lei Federico. Presso Leone X, che le era "compare" e l'ospitò a Roma (ottobre 1514-marzo 1515), si adoperò invano per il genero Francesco Maria della Rovere: ella stessa, del resto, era allora posposta dal marito a favoriti intriganti. Ma, vedova nel 1519, fu consigliera ascoltata del figlio Federico e proseguì infaticabile nell'opera sua di difendere Ferrara e Mantova dalle insidie, vere o temute, del papa, finché non si poté raggiungere un accordo pieno con questo e si ottenne il bastone di capitano generale della Chiesa per Federico Gonzaga. Poi, disgustatasi col figlio, stette a Roma dal marzo del 1525 per oltre due anni e si adoperò tuttavia per lui, evitando ch'egli partecipasse di persona al pericoloso tentativo di sottrarre l'Italia alla dominazione spagnola, e per un altro figlio, Ercole, ottenne la dignità cardinalizia. Durante il sacco di Roma protesse le gentildonne che si erano ricoverate nel suo palazzo; raggiunse Mantova fra disagi e pericoli. Fu ancora a Bologna all'incoronazione di Carlo V nel 1530, e non trascurò di seguire le vicende politiche fino alla morte, che la colse nella notte fra il 13 e il 14 febbraio 1539.
''Tutta cattolica e devota", e pure spesso insidiosa nemica del pontificato, protettrice del già discusso Pomponazzi, né immune da superstizioni astrologiche; personalmente illibata e tuttavia facile a tollerare intorno a sé licenza sfrenata e pronta a giovarsi delle sue damigelle "ministre di Venere" per suoi fini politici; mite, benevola, amante della giustizia, e capace di meditare lungamente e di eseguire freddamente atroci vendette; savia reggitrice di stati e "fonte et origine di tutte le belle foggie d'Italia"; virilmente operosa e femminilmente gaia, amante dei forti studî e dell'arti belle come di lazzi buffoneschi e di sdolcinate frivolezze, I., come pochi altri personaggi, riassume in sé nelle sue intime contraddizioni il carattere della Rinascenza italiana.
Bibl.: Assai invecchiato lo studio di C. d'Arco, Notizie di I. Estense, nell'Arch. stor ital., app. II (1845); non originale né sempre sicuto quello di J. Cartwright (Mrs Ady), I. d'E. marchioness of Mantua, Londra 1923; eccellenti lavori parziali di A. Luzio e R. Renier in Mantova e Urbino, Torino-Roma 1893 (dove sono anche citati gli scritti precedenti dei medesimi autori), e negli articoli della Nuova Antologia, CXLVII-XLIX (1896), e nel Giorn. stor. d. lett. ital., XXXIII-XLII (1899-1903); e quelli del solo Luzio in Arch. stor. lombardo, s. 3ª, XV (1901); s. 4ª, VI (1906), X (1908); XIV (1910); XVII e XVIII (1912); s. 5ª, XLI e XLII (1914-15); in Riv. d'italia, XII (1900); in Arch. stor. ital., s. 5ª XL (1907), XLIV (1909), XLV (1910); cfr. anche B. Feliciangeli, in Atti della Dep. di st. patr. delle Marche, n. s., VIII (1912); V. Cian e A. Scolari, in Giorn. stor. d. lett. ital., LXVII (1915) e LXXXIV (1924) e, fra i recentissimi, L. Pernice, Il ducato di Mantova al tempo di I. D'E. e di Gian Francesco III Gonzaga, Napoli 1927, e A. Castelfranchi, I. d'E. G., in Annuario del R. Istituto magistrale di Mantova 1927-29, Mantova (1930).