ISABELLA d'Este, marchesa di Mantova
Nacque a Ferrara il 17 maggio 1474, primogenita del duca Ercole I d'Este e di Eleonora d'Aragona, figlia del re di Napoli Ferdinando I.
Nel febbraio 1476 fu con la madre al carnevale di Venezia nel primo dei viaggi da lei successivamente tanto amati, cui seguì dal maggio 1477 il soggiorno di sei mesi a Napoli. Nell'aprile del 1480 fu proposto il contratto di matrimonio di I. con il quindicenne Francesco Gonzaga, erede del Marchesato di Mantova, in cambio di una dote di 25.000 ducati; il contratto, stipulato a Ferrara il 28 maggio, rinsaldava un'alleanza tra i due Stati confinanti già consolidata da precedenti esperienze di parentado. Fin dalle prime relazioni degli inviati mantovani, la promessa sposa era descritta come molto intelligente e di forte personalità. Non bella già dall'infanzia, dopo il suo arrivo a Mantova fu caratterizzata da una precoce pinguedine che poi lasciò il posto a un pronunciato stato di sovrappeso raffigurato con efficacia nel ritratto di Rubens da un probabile prototipo tizianesco. I patti nuziali prevedevano l'arrivo della sposa a Mantova non prima dei suoi tredici anni. Richiesta in moglie subito dopo anche da Ludovico Sforza il Moro, reggente di Milano, si promise invece allo Sforza la secondogenita, Beatrice. Alla fine di giugno I. incontrò per la prima volta il Gonzaga in occasione del viaggio a Mantova, ancora al seguito della madre, per festeggiare il fidanzamento di Chiara Gonzaga, sorella di Francesco, con Gilberto di Montpensier.
In attesa del raggiungimento dell'età matrimoniale, I., in possesso, sembra, di una memoria straordinaria, continuò la sua educazione in un primo tempo sotto la guida di Jacopo Gallino e in seguito di Battista Guarino, già allora celebre maestro dell'Università di Ferrara. Con loro affrontò lo studio dei classici, delle grammatiche latina e greca, e compose ella stessa dei versi. Insieme alla poesia - che praticò con il letterato Antonio Tebaldeo, anch'egli suo precettore -, sviluppò un grande amore per la musica, il canto e la danza, ben presto condiviso con il futuro sposo.
L'amore per la musica, trasmessole dal padre, appassionato musicofilo, fu sviluppato in maniera originale da I. nei primi anni mantovani, quando per imparare a suonare il liuto e migliorare nel canto chiese al duca di poter studiare con i maestri Girolamo Sextula e Johannes Martini; il primo la perfezionò nell'uso di quello e di altri strumenti, il Martini nel canto. Sotto la loro guida I. imparò a musicare le diverse forme di poesia popolare (strambotti, frottole, barzellette) allo stesso modo dei sonetti, da lei insaziabilmente ricercati per metterli in musica o per cantarli, come le poesie e gli strambotti inediti che Pietro Bembo le inviò dopo una sua visita a Mantova nel 1505. La passione per la musica è ben rappresentata in una famosa impresa araldica di I., con segni musicali tra cui alcune pause e una chiave di contralto, e dalla volontà di avere presso di sé, dal maggio 1494, il cantore liutista Marchetto Cara.
Nel maggio 1482 I. fu mandata a Modena insieme con i fratelli per sfuggire alle gravi minacce che incombevano sullo Stato estense in seguito all'attacco delle truppe veneziane nel Polesine. Un pericolo che venne a cadere nel 1484, con la pace di Bagnolo.
Il 14 luglio 1484, con la morte di Federico Gonzaga, Francesco divenne marchese di Mantova. Rimasto in un primo tempo fedele alla tradizionale alleanza con Milano, nel marzo 1489 il Gonzaga stipulò un nuovo contratto con la Serenissima e abbandonò Ludovico il Moro. Il cambio di strategia del marchese coincise con la volontà di concludere i patti matrimoniali e condurre I. a Mantova, dove l'ingresso ufficiale avvenne il 15 febbr. 1490, dopo la celebrazione del matrimonio, fatta per procura a Ferrara l'11 febbraio.
I cronisti riferiscono di 17.000 forestieri invitati al grandioso avvenimento mantovano, ricordato con una medaglia raffigurante nel dritto il profilo dei coniugi. Per la sposa fu approntato un appartamento nel piano nobile del castello di S. Giorgio adiacente alla Camera Picta del Mantegna dove le malinconiche e sempre più frequenti assenze del marito, per gli obblighi assunti con le condotte militari, furono in parte alleviate dall'assidua compagnia dell'amata cognata Elisabetta Gonzaga, duchessa di Urbino. Con lei I. condivise i primi mesi impegnata nelle visite di numerose chiese e palazzi della città e nelle ville del contado come Goito, Cavriana, Marmirolo e Porto Mantovano fino a spingersi per brevi soggiorni sul lago di Garda nella villa di Tuscolano, una delle sue preferite.
Frequenti furono anche i ritorni nella natia Ferrara a testimonianza dell'affetto che ancora la legava alla madre e ai fratelli, in particolare a Beatrice, alle cui nozze con Ludovico il Moro, programmate per il carnevale 1491, non volle mancare. Celebrate il 18 gennaio a Pavia, furono seguite, il giorno 21, da quelle del fratello Alfonso con Anna Sforza, avvenute a Milano, dove alla giostra organizzata per l'occasione prese parte anche Francesco II Gonzaga. Il marchese restò in incognito per non suscitare le ire degli alleati Veneziani ma ottenne il malcelato risentimento di I., che, tenuta in un primo tempo all'oscuro delle intenzioni del consorte, rivelava il suo carattere forte e risoluto facendo ritorno a Ferrara nel febbraio senza vederlo. Al contrario, l'incontro con Ludovico Sforza, ammaliato dalla grazia e dal fascino intellettuale di I., fu l'inizio di un rapporto affettuoso proseguito con altre visite di I. a Milano e testimoniato dalle molte e amorevoli missive che i due presero a scambiarsi, oltre che dai cospicui doni dello Sforza. Programmata un'altra visita a Milano nel luglio, I. dovette rinunciarvi perché le fu affidata la reggenza al posto di Francesco Secco, in disgrazia per aver esercitato con strapotere la tutela del Gonzaga suo nipote, allora in partenza per Napoli.
È di questo periodo l'avvio del progetto di I. di creare nel castello uno studiolo dove conservare i libri raccolti in quei primi anni mantovani con gli oggetti artistici. Ben presto la collezione rappresentò un motivo di ammirazione e di imitazione per tutte le corti.
Dopo aver festeggiato il carnevale 1492 a Ferrara, come avrebbe poi continuato a fare per consuetudine, nell'agosto si recò a Milano per unirsi al padre Ercole in una visita ufficiale e, mentre a Roma l'elezione al papato di Rodrigo Borgia, amico di vecchia data dei Gonzaga, apriva nuovi scenari nella politica italiana e nelle aspirazioni sia mantovane sia del Moro, ai primi di ottobre I. proseguì per Genova, facendo ritorno poco dopo a Ferrara e giungendo a Mantova alla fine di dicembre. Instancabile, nel maggio dell'anno successivo si recò ufficialmente a Venezia per affermare, come consorte del comandante generale dell'esercito veneziano, l'alleanza con la Serenissima. In quell'occasione prese contatto con le numerose botteghe di vetro di Murano con le quali avviò un rapporto mantenuto attivo ed esigente. Nel luglio del 1493 si recò a Ferrara, dove l'11 ottobre morì la madre, la duchessa Eleonora d'Aragona; il dolore di I., già allora celebre per l'eleganza e la raffinatezza delle sue vesti, la cui fama era destinata a diffondersi ancor più negli anni successivi in ogni corte europea, non le impedì di primeggiare anche nel lutto ordinando in Francia alla cognata Chiara stoffe nere più pregiate di quelle italiane.
Il 31 dic. 1493 nacque la primogenita Eleonora: negli annunci ai familiari fu espresso rammarico per aver partorito "una putta", cosa non condivisa da Francesco, che anche in seguito si mostrò sempre orgoglioso di quella prima figlia poi adottata nell'affetto da Elisabetta Gonzaga, duchessa di Urbino, presso la quale I. si recò nel marzo 1494 dopo un pellegrinaggio a Loreto e Assisi; nel gennaio 1495 era a Milano, vicina alla sorella per il suo secondo parto.
Entrato a Napoli, il 22 febbraio, Carlo VIII, I. si adoperò presso il Moro affinché il Gonzaga fosse nominato capitano generale della Lega antifrancese, rimuovendo la contrarietà dei Veneziani a lui sfavorevoli poiché lo ritenevano poco esperto nelle armi. A metà marzo I. tornò quindi a Mantova per esercitare nuovamente la reggenza in assenza del marito, impegnato con le truppe della Lega che il 6 luglio combatterono nella battaglia di Fornovo sul Taro, conclusasi senza vincitori sul campo, dove trovò la morte Rodolfo Gonzaga, zio di Francesco. Ma un vantaggio dal conflitto lo trasse I., che ricevette in dono da Francesco Gonzaga gli arazzi del padiglione reale abbandonati dai Francesi e richiesti invano anche dalla sorella Beatrice. Sempre in assenza di Francesco, partito il 22 febbraio per contrastare le residue forze francesi nel Regno di Napoli, il 13 luglio 1496 nacque a Mantova un'altra figlia, Margherita, ancora con grande disappunto di I., cui seguì il dolore per la precoce scomparsa della piccola il 23 settembre, una sofferenza che I. volle condividere con Francesco andandogli incontro fino ad Ancona il 9 ottobre. Il 2 genn. 1497 fu di nuovo colpita negli affetti familiari con la scomparsa a Milano dell'adorata Beatrice. Il 27 giugno 1498 Ludovico giunse a Mantova in visita ufficiale trattenendosi tre giorni, durante i quali annunciò la condotta affidata al Gonzaga, con grande esultanza di I.: sentimento che dovette nascondere quando, nel febbraio 1499, il re di Francia e Venezia si allearono e invasero il Ducato di Milano, costringendo il Moro a rifugiarsi in Tirolo presso l'imperatore.
Il 2 ottobre Luigi XII entrò a Pavia, dove incontrò il Gonzaga postosi al suo servizio; I. si dichiarò fedele servitrice del re di Francia, che l'8 aprile sconfisse definitivamente lo Sforza a Novara. Al sollievo per lo scampato pericolo, il 17 maggio 1500, giorno del suo compleanno, si univa la gioia di partorire finalmente il tanto atteso figlio maschio nel quale fu rinnovato il nome del nonno paterno, Federico, e per il quale volle come padrini l'imperatore e il sempre più potente Cesare Borgia; un'altra figlia, Ippolita, nacque il 1° giugno 1501.
Non appena, nei primi mesi del 1502, giunse a Ferrara Lucrezia Borgia, sposa di Alfonso d'Este, I. si diede a competere con lei nelle fogge delle vesti e delle acconciature durante le nozze e per il resto del carnevale, trascorso il quale si recò in pellegrinaggio a Padova, proseguendo poi per Venezia insieme con i cognati Elisabetta e Sigismondo, anche quest'ultimo molto unito a I. da sincero affetto.
Allorché il 21 giugno 1502 "il Valentino" occupò Urbino, nei giorni in cui il duca Guidubaldo da Montefeltro si rifugiava a Mantova, I. non si fece scrupolo di richiedere a Cesare Borgia un Cupido di Michelangelo e una Venere antica sottratti dal palazzo del cognato Guidubaldo e mai restituiti; poco prima, con il consueto opportunismo, aveva avviato trattative di matrimonio tra il piccolo Federico e Luisa Borgia, figlia di Cesare e Charlotte d'Albret: un parentado che, vista la politica espansionistica del Borgia, poteva tutelare in qualche modo il proprio Stato. Nell'autunno 1502, mentre Francesco andava in Francia presso Luigi XII, I. assumeva la reggenza dello Stato mantenendolo integro, a dispetto dei pericoli che lo avevano minacciato. Rientrato il 7 febbraio per prendere parte alla campagna francese nel Regno di Napoli occupato dagli Spagnoli, il Gonzaga dovette rinunciarvi a causa di un malanno che sarebbe stato simulato ad arte di concerto con I. per non inimicarsi il papa. Morto Alessandro VI il 18 ag. 1503, il Gonzaga partì per Napoli, lasciando ancora una volta le redini del governo a Isabella.
Al giubilo da parte dei Gonzaga e dei Montefeltro per l'elezione, il 31 ottobre, del nuovo papa, Giulio II, seguì il 12 di quel mese quello per la nascita di Livia Osanna, nome che testimonia la devozione di I. per Osanna Andreasi, futura beata, al cui culto si dedicò per tutta la vita dopo che la suora le aveva predetto la nascita di Federico. Nella primavera 1504, recatasi a Ferrara con Francesco, dovette assistere ai primi segnali del rapporto appassionato avviato allora da questo con Lucrezia Borgia, in seguito oggetto di molti pettegolezzi, sembra non senza fondate motivazioni, rispetto ai quali I. mantenne una malcelata indifferenza.
In quell'anno si intavolarono negoziati per le nozze di Eleonora Gonzaga con l'erede al Ducato di Urbino Francesco Maria Della Rovere; il contratto, stipulato il 2 marzo 1505, fu ufficializzato nel dicembre da Giulio II, zio dello sposo, con il conferimento a Sigismondo Gonzaga dell'agognato berretto cardinalizio, fortemente voluto anche da Isabella.
Dopo la morte del padre, avvenuta il 24 genn. 1505, a testimonianza dell'ascendente ancora vivo nella famiglia di origine, I. dovette intervenire in un dissidio tra il cardinale Ippolito, sostenuto dal duca Alfonso, e gli altri fratelli Giulio e Ferrante, che portò alla prigionia di questi ultimi.
Il 2 nov. 1505 la nascita di Ercole, chiamato ufficialmente Luigi in onore del re di Francia, rafforzava a Mantova le aspettative di una tranquilla continuità dinastica, destinate a consolidarsi il 28 genn. 1507 con la nascita del terzo maschio, Ferrante. Nell'aprile 1509, essendo Francesco Gonzaga impegnato nel campo della Lega che vedeva uniti il papa, l'imperatore, la Francia, la Spagna e Alfonso d'Este contro Venezia, I. assunse la più difficile delle sue reggenze. Il Gonzaga fu inviato a fine luglio dal re di Francia a occupare Verona e dall'imperatore a conquistare Legnago, nei cui pressi, con un colpo dei Veneziani, la notte del 7 agosto fu catturato e condotto prigioniero a Venezia.
Il cardinale Sigismondo era stato intanto richiamato a Mantova per affiancare I., che doveva ben guardarsi anche dall'imperatore e dal re di Francia, solerti nell'offrirle truppe per mantenere l'ordine nel Marchesato, ma con il grande pericolo che potessero cogliere l'opportunità per impadronirsene.
Rifiutata l'offerta, I. si dedicò completamente alle trattative per la liberazione di Francesco, che si rivelarono non senza rischi soprattutto per il piccolo Federico, richiesto in ostaggio dall'imperatore e dal re di Francia per cautelarsi dal probabile voltafaccia del marchese. Un valido aiuto venne da Giulio II, che I. legò a sé accelerando le nozze tra Francesco Maria Della Rovere ed Eleonora Gonzaga, celebratesi la notte di Natale del 1509; la successiva proposta del papa per la nomina del marchese a capitano generale dei Veneziani in cambio della sua liberazione fu approvata dal Gonzaga che invitò I. a inviare Federico a Venezia come pegno. I. rifiutò di separarsi dal figlio e, dopo una serie di accuse tra i due coniugi, fermi ognuno sulle proprie posizioni - probabilmente simulate per non destare i sospetti delle parti in causa - un accordo fu raggiunto nel luglio 1510, quando il papa si offrì di trattenere presso di sé Federico Gonzaga a garanzia della lealtà del padre verso la Serenissima. Dopo una sorta di dorata prigionia presso Giulio II, Federico avrebbe fatto ritorno a Mantova solo nel marzo 1513, in seguito alla morte del papa e dietro licenza del Collegio dei cardinali.
Nell'agosto del 1512, mentre ospitava gli inviati delle potenze europee riuniti nella Dieta di Mantova, I., grazie all'opera di corruzione delle sue damigelle, fece rivaleggiare il viceré spagnolo Raimondo de Cardona e il vescovo di Gurk nonché rappresentante imperiale Matteo Lang nell'amore per "la Brognina", Eleonora, la più avvenente delle sue damigelle, le cui arti di seduzione contribuirono alla restituzione di Milano a Massimiliano Sforza. Ospite poi del nipote nel gennaio 1513 per il carnevale, I. gli suggerì, nel vuoto di potere seguito alla morte di Giulio II, di riprendersi le città di Parma e Piacenza, dove comparve al fianco dello Sforza nell'ingresso ufficiale.
Inaspritisi, dopo la prigionia veneziana, i dissapori tra Francesco e I., fomentati dal potente segretario del Gonzaga, Tolomeo Spagnoli, I. intensificò le proprie assenze recandosi nell'estate 1514 a Milano, poi a Genova a settembre e da qui, dall'ottobre 1514 al marzo 1515 a Roma, con un breve soggiorno presso i parenti reali a Napoli nel dicembre, accolta ovunque da manifestazioni di affetto e ammirazione. Ma la bufera che minacciava di abbattersi ancora una volta sui marchesi di Mantova in seguito alla vittoriosa calata in Italia del re di Francia Francesco I nell'estate 1515, riavvicinò i due coniugi, rimasti pericolosamente assenti fino ad allora tra gli alleati del re. Inoltre Giovanni Gonzaga, fratello del marchese, era stato uno dei comandanti che avevano difeso Milano dall'attacco francese; i marchesi, dunque, preoccupati per le conseguenze derivanti dalla nuova situazione venutasi a creare sulla pianura padana, a ottobre inviarono Federico a Milano per omaggiare il vincitore.
Il giovane, invitato da Francesco I, seguì il sovrano in Francia e rimase alla sua corte fino all'aprile del 1517 quando, andate in porto le trattative per le nozze con Maria Paleologo di Monferrato, durante una sosta a Casale la sposò il 15 apr. 1517, promettendo di condurla a Mantova nel 1524 al compimento dei 15 anni della giovane.
In quel mese I., volendo tenere fede a un voto, si recò al santuario della S. Maddalena in Provenza e si spinse a Marsiglia, Avignone, Arles e Lione, destando come al solito enorme stupore per le fogge dei suoi abbigliamenti, come si narra nella cronaca di Mario Equicola Iter in Galliam Narbonensem. Trascorso l'autunno a Ferrara, nell'ottobre del 1518 I. si diresse a Casale per i funerali del consuocero, il marchese di Monferrato Guglielmo IX, morto il giorno 4.
Pochi mesi dopo, il 29 marzo 1519, morì Francesco Gonzaga, sofferente già da anni di una grave forma di mal francese che aveva contribuito a mantenere separata la coppia.
A dispetto di tale condizione, seppure notevolmente dissimili nel carattere e negli interessi - inferiore nell'intuito politico e meno incline alle lettere e alla cultura, Francesco - i due sposi erano tuttavia riusciti nel trentennio di matrimonio a garantire con la loro politica, a volte apparentemente in disaccordo, l'indipendenza del Marchesato minacciata dai numerosi conflitti che contraddistinsero la crisi italiana tra il Quattro e il Cinquecento.
Assunta la reggenza per dettato testamentario insieme con il cardinale Sigismondo e fino al compimento dei 22 anni di Federico, I. bandì dallo Stato i consiglieri del defunto marchese, suoi acerrimi nemici, Vigo da Camposampiero e Tolomeo Spagnoli, quest'ultimo implicato in un'inchiesta che rivelò tutte le malefatte e gli abusi compiuti nell'esercizio della sua autorità.
Il 28 giugno 1519 l'elezione imperiale di Carlo V, al quale spettava l'investitura del feudo, richiedeva un cambio di rotta nella politica di alleanze condotta fino ad allora. I. mise dunque in atto delle scelte ben mirate: nel maggio 1520 sollecitò a Leone X, per mezzo di Sigismondo allora titolare della diocesi, il vescovado di Mantova a favore del figlio Ercole, primo passo verso il cardinalato; ricevuto un rifiuto, alla fine di giugno inviò a Roma Baldassarre Castiglione per convincere il papa della leale fedeltà dello Stato mantovano, avanzando nel frattempo la richiesta di una condotta per Federico. Grazie all'abile lavoro diplomatico del Castiglione, nel luglio 1521 il giovane marchese Federico II ebbe la carica di capitano generale della Chiesa.
Se da un lato la nomina riavvicinava i Gonzaga alla causa imperiale, essendo gli interessi politici del papa in quegli anni rivolti in favore dell'Impero, tra i capitoli stipulati a Roma era tuttavia presente una polizza segreta, pericolosa per un feudatario imperiale, in cui Federico si impegnava a combattere sotto le bandiere pontificie anche contro lo stesso imperatore. A maggio, grazie alla rinnovata sintonia tra il papa e I., era giunto il trasferimento del vescovado di Mantova a favore di Ercole, che nel dicembre del 1522 I. avrebbe inviato a Bologna per istruirsi sotto il magistero del mantovano Pietro Pomponazzi.
Nell'ottobre 1521, tornata da Loreto, I. cominciò a pensare di ritirarsi in un appartamento di Cortevecchia, dove tenere le sue preziose collezioni artistiche. Era un modo di sfuggire alla condizione umiliante venutasi a creare anche a causa delle scelte operate da Federico, di cui I. disapprovava sempre più l'ingombrante e scandalosa relazione con la favorita Isabella Boschetti, dalla quale nel 1518 era nato un figlio. Con il figlio I. era ormai in contrapposizione persino in ambito artistico, nel quale il Federico rimarcò la sua autonomia chiamando a Mantova, nel 1524, Giulio Romano e allontanando progressivamente gli artisti legati a Isabella. Tuttavia la morte di Leone X, il 1° dic. 1521, e la successiva elezione del filoimperiale Adriano VI resero necessaria un'azione condotta di concerto con Federico per il recupero della polizza segreta, che I. volle distruggere personalmente il 7 ag. 1522 dopo averla recuperata corrompendo un funzionario della Curia romana con l'aiuto del Castiglione.
Con il letterato, al quale era legata da sincero affetto, I. viaggiò a Padova e a Venezia nella primavera del 1523 insieme con il duca Alfonso d'Este, che lei stessa aveva convinto a ravvicinarsi all'Impero durante la sua permanenza a Ferrara nell'autunno dell'anno precedente. A luglio, a conferma della ormai consolidata posizione filoimperiale, I. inviò presso Carlo V in Spagna il sedicenne Ferrante, primo passo di quella carriera politica e militare che lo avrebbe visto divenire generale delle truppe imperiali, viceré di Sicilia e governatore di Milano.
Morto il 14 sett. 1523 Adriano VI, I., dopo essersi prodigata invano per l'elezione di Sigismondo, accettò di buon grado la nomina di Clemente VII, dal quale si aspettava la porpora per Ercole, un progetto per il quale si adoperò dal febbraio 1525 quando, dopo essersi più volte assentata da Mantova a causa delle gravi incomprensioni con il figlio sempre più ammaliato da Isabella Boschetti, decise di recarsi a Roma per l'anno giubilare, ufficialmente in pellegrinaggio. Giunta a Roma il 2 marzo 1525, accolta nel palazzo del duca di Urbino suo genero e ricevuta dal papa il 6 marzo, a giugno I. si trasferì nel palazzo Colonna in Ss. Apostoli.
La morte, il 2 ottobre, del cardinale Sigismondo fu l'occasione per chiedere nuovamente la porpora per il figlio; un desiderio che si esaudì nel settembre 1526, anche se solo in gran segreto, con una bolla tenuta nascosta in cui il papa imponeva a Ercole Gonzaga di non esibire i segni della nuova dignità finché non fossero stati eletti collegialmente altri cardinali. La condizione si verificò, seppure in una situazione tragica, il 5 maggio 1527, la mattina precedente il sacco di Roma allorché, per pagare le ingenti spese della guerra che vedeva le truppe imperiali giungere sotto le mura della città, il papa ricorse alla nomina di cardinali in cambio di 40.000 ducati ciascuno. La berretta fu recapitata a I. nella sua residenza di palazzo Colonna dove la marchesa si era asserragliata con alcune migliaia di nobildonne e nobili romani certi così di essere risparmiati dalle truppe imperiali capitanate da Carlo di Borbone e Ferrante Gonzaga, rispettivamente nipote e figlio di Isabella.
Rimasto in effetti l'unico palazzo a non essere assalito dalle truppe che misero a ferro e fuoco la città, corse tuttavia la voce, ripresa da Francesco Guicciardini nella Storia d'Italia (V, l. XVIII, cap. VIII), che I. si fosse avvalsa del ruolo di protettrice della nobiltà romana per impossessarsi di ingenti tesori derivanti dalle taglie pretese dai saccheggiatori, guidati anche da suo figlio. Più probabile che I. giocasse il ruolo, a lei più consono, di acquirente degli oggetti d'arte che, insieme ai suoi beni, furono in effetti imbarcati pochi giorni dopo a Civitavecchia mentre lei, messa in salvo dalle truppe del figlio, proseguì via terra attraverso Urbino e Ferrara.
Accolta sul Mincio a Governolo da Federico ed Ercole, che lì ricevette la berretta, I. giunse infine a Mantova il 14 giugno mentre l'imbarcazione, con tutti i beni e gli oggetti d'arte, fu catturata dai pirati barbareschi, con i quali dovette essere avviata una trattativa per il riscatto.
I tragici eventi vissuti a Roma non mutarono le abitudini di I. e rafforzarono quell'autorità che le era unanimemente riconosciuta: dopo essere stata incaricata dal fratello Alfonso, nel novembre 1528, di rappresentarlo a Ferrara per l'accoglienza del nipote Ercole - di ritorno dalla Francia con la novella sposa Renée, figlia di Luigi XII -, nell'autunno del 1529 presenziò all'incontro di Bologna tra il papa e l'imperatore, alla cui incoronazione (24 febbr. 1530) destò come al solito grande stupore per la finezza delle vesti e l'avvenenza del suo seguito di damigelle, con le quali fu costretta a partire in tutta fretta a causa dei disordini tra i numerosi spasimanti italiani e spagnoli. Accolto trionfalmente a Mantova pochi giorni dopo, Carlo V premiava la scelta imperiale di Federico conferendogli il titolo di duca e approvandone le nozze con sua zia Giulia d'Aragona, cugina di I.; l'unione, resa possibile da una bolla di Clemente VII del maggio 1529 in cui il pontefice, su richiesta di Federico, aveva annullato le nozze con Maria Paleologo, sembrava porre fine alle intricate vicende matrimoniali del duca che avevano visto la stessa I. attivarsi durante l'ultimo soggiorno romano per dargli in sposa la figlia del re di Polonia.
Il 6 giugno 1530 la morte del marchese di Monferrato Bonifacio IV, fratello di Maria Paleologo, apriva un nuovo capitolo: nella nuova situazione, in caso di morte del vecchio zio Giovanni Giorgio Paleologo, che si prevedeva prossima, Maria avrebbe ereditato il Monferrato, ambito dai Gonzaga. Attivatasi insieme con il figlio per vedere riconosciuto il matrimonio precedentemente annullato, I. mise in moto i migliori segretari della collaudata diplomazia gonzaghesca ottenendo infine un breve di Clemente VII (20 sett. 1530) che convalidò le nozze del 1517, un provvedimento tuttavia inutile poiché la sposa era morta cinque giorni prima. Accettando l'immediata offerta della marchesa di Monferrato di dargli in moglie l'altra figlia Margherita, venti giorni dopo la morte di Maria il Gonzaga firmava i capitoli delle nozze con la sorella.
Celebrate le nozze, nell'ottobre del 1531, a Mantova si ponevano le basi per l'acquisizione del Monferrato. Nel novembre 1532, in occasione della seconda visita di Carlo V a Mantova, il Gonzaga ottenne, in contrapposizione al duca di Savoia e al marchese di Saluzzo, la promessa dell'investitura del Monferrato per la moglie nel caso che Giovanni Giorgio Paleologo fosse morto senza discendenza legittima, il che avvenne il 30 apr. 1533, seguita dal diritto di successione concesso il 3 nov. 1536 per Margherita; venti giorni dopo il duca di Mantova ottenne anche per sé il titolo di marchese di Monferrato. Il 10 marzo 1533, nacque l'erede maschio, Francesco, che assicurava la continuità dinastica.
Da allora I.visse sempre più ritirata nel suo appartamento, dove il 22 dic. 1535 dettò il testamento con il quale lasciava un sesto della propria dote a ognuno dei figli, cedendo in usufrutto alla nuora le favolose collezioni artistiche raccolte nella Grotta e nello Studiolo, ma non rinunciò ai suoi spostamenti, specie se finalizzati a incrementare la collezione.
Trascorso a Ferrara anche il carnevale del 1538, ad agosto, pochi mesi prima di morire, volle ancora comprare alcuni pezzi antichi provenienti dalla collezione veneziana di Antonio Foscarini visionati il mese seguente a Venezia con Federico Gonzaga nel loro ultimo viaggio insieme; rimase in laguna fino alla metà di novembre, quando fece ritorno in condizioni di diffusa sofferenza fisica cagionata dal maltempo. Il malessere non l'avrebbe più abbandonata e fu la causa della sua morte, avvenuta il 13 febbr. 1539. Volle essere sepolta senza grandi cerimonie nella chiesa del convento di S. Paola.
Con la scomparsa di I. il Rinascimento italiano perdeva una delle protagoniste indiscusse del suo splendore, "la Primadonna" - come si è soliti definirla - la cui grande aspirazione nel raggiungimento della bellezza ideale, rincorsa in ogni oggetto e con ogni mezzo, è rappresentata dalle opere che raccolse nel corso di tutta la vita nello Studiolo e nella Grotta. Gli Inventari stivini, redatti poco dopo la sua morte, sono conservati, insieme con l'imponente carteggio, di oltre 30.000 lettere, nell'Archivio Gonzaga dell'Archivio di Stato di Mantova: una documentazione che consente di snodare i complessi rapporti artistici e culturali di I. con le donne e gli uomini di cultura dell'epoca fin da quando, nella natia Ferrara, era stata in contatto con i pittori Ercole de' Roberti e Lorenzo Costa e con molti letterati tra i quali, oltre B. Guarino e A. Tebaldeo, Matteo Maria Boiardo, Niccolò Lelio Cosmico, la cui opera volle raccogliere interamente, e Ludovico Ariosto. Nel maggio 1516 Ariosto le consegnò una copia della prima edizione dell'Orlando furioso, consapevole dell'autentica passione collezionistica che guidava I. nella scelta dei libri per la propria biblioteca, nella quale non volle che mancassero, oltre ai classici, tutte le opere degli autori moderni in latino e volgare, specie se in edizioni di pregio, come i libri a stampa di cui si forniva presso l'editore veneziano Aldo Manuzio, le cui opere in piccolo formato erano da lei richieste in gran numero. Già da oltre un secolo, grazie ai lavori di A. Luzio e R. Renier, sono note le relazioni mantenute da I. con letterati, umanisti, filosofi e altri esponenti della cultura, tra i quali i suoi familiari Giovanni, Cesare e Luigi Gonzaga insieme con Baldassarre Castiglione; in ambito mantovano il segretario Mario Equicola, Francesco Vigilio precettore dei figli Eleonora e Federico, Battista Spagnoli, Teofilo Folengo, Battista Fiera, Pietro Pomponazzi e Paride Ceresara. A quest'ultimo I. affidò la stesura del programma iconografico della Lotta tra Amore e Castità eseguito dal Perugino per la galleria dei cinque quadri allegorici dello Studiolo con i quali, mediante un complesso simbolismo moraleggiante, intendeva esaltare la castitas o virtus femminile, che lei stessa avrebbe incarnato, intesa forse anche come contrapposizione alla disonestà che per sua stessa natura l'uomo possedeva e dalla quale avrebbe dovuto riscattarsi.
Tra gli altri letterati con i quali mantenne un vivo rapporto epistolare e in occasione dei numerosi viaggi, vanno menzionati Paolo Giovio, cui si devono le prime letture delle complesse imprese inventate o adottate da I. e rappresentate nella Grotta e la definizione di Accademia di S. Pietro in riferimento a quel gruppo di uomini di cultura che si adunavano nel palazzo di I. nella piazza di S. Pietro. Dell'Accademia entrò a far parte Matteo Bandello quando giunse a Mantova nel 1517, accolto nel gruppo letterario di I., alla cui presenza raccontò alcune sue novelle. Al Nord I. ebbe relazioni con Giangiorgio Trissino, che le dedicò il dialogo I ritratti, e Pietro Bembo; nel Centro e al Sud ebbe scambi con Niccolò Machiavelli, Francesco Guicciardini, Bernardo Accolti detto Unico Aretino, dalle cui rime ampollose amava farsi sedurre, Bernardo Dovizi da Bibbiena, che si definiva giocosamente suo "moccicone", Vincenzo Calmeta, Fabrizio e Vittoria Colonna, Jacopo d'Atri, Jacopo Sannazzaro e Giovanni Pontano di cui si guadagnò il plauso per aver fatto rivalutare a Mantova la figura di Virgilio, così cara agli umanisti. Nei suoi interessi rientrava anche la lettura di libri di pratiche magiche, come il Libro della ventura di Girolamo Ziliolo, e grande curiosità destavano in lei i racconti delle straordinarie scoperte scientifiche e geografiche come quello di Antonio Pigafetta che, reduce della circumnavigazione del globo, fu da lei ricevuto a Mantova alla fine del 1522.
È al campo delle arti che si deve la più vasta notorietà di I., resa possibile dalla sua infaticabile opera di committenza e di collezionismo esercitata per ogni forma di opera d'arte; oltre alle favolose gioie meticolosamente elencate nell'inventario, famosa la sua collezione di pietre dure intagliate a rilievo con pezzi pregiati elaborati per lei da Francesco Anichini, così come la raccolta di orologi i cui esemplari sono descritti, in clessidra o nelle più moderne forme con quadrante, ancora negli Inventari stivini. La disposizione degli oggetti raccolti nella Grotta dove, senza alcun ordine apparente, erano conservati pezzi antichi e moderni accanto a medaglie, monete, statue o dipinti, voleva stimolare lo spettatore a un sereno confronto fra gli oggetti, tra i quali spicca la cospicua raccolta delle antichità.
Dalle accurate indagini condotte sulla raccolta per un trentennio da C. Brown emerge il mondo di relazioni che permise il costituirsi della collezione; si segnalano i numerosissimi pezzi di scultura di Pier Jacopo Alari Bonacolsi, detto l'Antico per la bravura nel rappresentare i modelli classici, debitore nei confronti di I. per un'intercessione presso Francesco a favore di un banco di famiglia dell'artista. Ma se insaziabile si definiva la stessa I. nella foga collezionistica di oggetti antichi, nella produzione artistica essa appare spesso come autoritaria committente, e in ragione di ciò dovette accusare in più occasioni il rifiuto degli artisti ai quali si era rivolta per la realizzazione di opere destinate allo Studiolo; caso emblematico quello di Giovanni Bellini reclamato nel 1496 in alternativa al Mantegna, ritenuto troppo classicheggiante per i più moderni gusti aggraziati di I., certamente più in sintonia con Lorenzo Costa. Nel 1506 fu il Costa a sostituire Mantegna per il terzo dei cinque quadri allegorici dello Studiolo e a completare il quarto, dal Mantegna, autore dei primi due, già abbozzato. Nel 1505 al progetto allegorico si aggiunsero il quadro del Perugino e la porta eseguita da Gian Cristoforo Romano, che riassumeva il programma autocelebrativo di I. come protettrice della musica e delle arti. In quell'anno I. aveva avviato contatti con Francesco Francia, al quale nel 1510 fece eseguire il ritratto di Federico ed il suo, oggi perduto, ma usato come modello da Tiziano quando negli anni maturi di I. la ritrasse nelle sembianze giovanili. Minore fortuna ebbero le richieste dirette a Leonardo, il quale tuttavia nel 1500, di passaggio verso Venezia da Milano, eseguì a Mantova il famoso ritratto a carboncino di I. conservato nel Louvre. Ancora più infelice fu l'esito delle richieste avanzate a Raffaello a Roma nonostante la premurosa mediazione del Castiglione. Intorno al 1530 I. completò il ciclo dei quadri allegorici assegnando al Correggio l'esecuzione dei due dipinti dell'Allegoria del vizio e Allegoria della virtù da destinare al nuovo Studiolo, trasferito già da qualche anno negli appartamenti vedovili di Cortevecchia. Le decorazioni di quel palazzo erano state affidate al mantovano Lorenzo Leonbruno, un pittore che godette sempre del favore di I. e il cui declino, seguito all'arrivo di Giulio Romano nel 1524, rappresenta il cambiamento di gusti nell'ambiente di corte mantovano e il contemporaneo allontanamento di I. dalla sua gestione artistica, ormai nelle mani del nuovo marchese Federico II Gonzaga.
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