VILLAMARINO , Isabella
VILLAMARINO (Villamarina), Isabella. – Nacque presumibilmente a Napoli nel 1506 da Bernat de Vilamarí (naturalizzato a Napoli con il nome Bernardo Villamarino, v. la voce in questo Dizionario) e Isabel de Cardona, sorella del grande almirante e viceré di Napoli dal 1509 al 1522 Ramón Folch de Cardona.
Le due famiglie, entrambe di origine aragonese, stavano intrecciando in quegli anni, nel corso delle campagne di guerra italiane, una rete di interessi feudali, commerciali e marittimi che rafforzarono sensibilmente gli interessi e le strategie politico-militari della corte regia e il suo consolidamento nel Regno di Napoli.
Il padre di Isabella era stato al comando della flotta inviata dai re Cattolici in soccorso degli aragonesi di Napoli contro i turchi nel 1480; negli anni Novanta fu capitano generale dell’armata di mare che operava in Sicilia, Sardegna e a Napoli; partecipò poi all’assedio di Gaeta e, nel 1502, armò una flotta che contrastò l’avanzata delle navi francesi nel mar Tirreno e per tali suoi meriti, nel 1504, fu insignito della contea di Capaccio nel Regno di Napoli. Fu in seguito nominato luogotenente del Regno, carica che mantenne dall’ottobre 1513 fino al 1515, in luogo del viceré in carica de Cardona, suo cognato.
Isabella trascorse a Napoli l’infanzia e la prima adolescenza, in un palazzo sito in piazza San Bartolomeo, accanto alla sorella Maria e al giovane principe di Salerno Ferrante Sanseverino, erede di uno dei più grandi Stati feudali del Regno, che, rimasto orfano di padre a meno di due anni, nel 1508 fu affidato dal Cattolico alla tutela di Villamarino. Accanto a Sanseverino, la piccola Isabella fruì così di una educazione che ebbe per molti aspetti dell’eccezionalità. Studiò musica e canto. A dodici anni, in occasione delle nozze della principessa Bona Sforza, fu udita declamare versi in latino. Poté avvalersi tra gli altri del magistero di Pomponio Gaurico, l’umanista di origini salernitane titolare di una cattedra di ‘umanità’ presso lo Studio di Napoli dal 1512 al 1519, che fu loro precettore dal 1516 almeno fino al 1526 indirizzando i due giovani allo studio delle lettere latine e greche.
Il 17 ottobre 1516, con il consenso regio, fu stipulato il suo contratto matrimoniale con l’ancora giovanissimo principe di Salerno, cui portò in dote la contea di Capaccio, nella cui titolarità subentrò alla morte del padre avvenuta nel dicembre di quello stesso anno. Il matrimonio sanciva l’unione tra i due feudi limitrofi di Capaccio e di Salerno e tra due dei più importanti lignaggi, quello dei Sanseverino, di origine angioina e più antico radicamento nel Regno e quello dei Villamarino, di origine aragonese e più recente insediamento locale. La giovane coppia rimase comunque sotto la tutela della madre di lei fino al 1522, quando il principe, compiuti i quindici anni, iniziò a governare i propri feudi, vivendo da allora tra Napoli e Salerno circondandosi di letterati, musicisti, filosofi, poetesse e poeti.
Durante le lunghe assenze di Ferrante, impegnato a difendere il Regno nel 1527-28 dall’invasione dei francesi al comando del generale Odet de Foix, visconte di Lautrec, e successivamente sotto le insegne imperiali, nell’assedio contro la Repubblica fiorentina nel 1529-30 al seguito del viceré di Napoli Philibert de Chalon, principe d’Orange, e poi nell’impresa di Carlo V a Tunisi nel 1535, fu Isabella ad assumere la guida delle intense pratiche culturali che animarono quella corte. Si meritò così il riconoscimento che le venne da un folto numero di umanisti e poeti che le dedicarono le proprie opere e poesie, tra cui Ortensio Lando, Maria Edvige Pittarella, che fece parte dell’Accademia degl’Incogniti con lo pseudonimo di Pandora Milonia, Laura Terracina, Mario di Leo, Jacopo Beldando, Giovanni Battista Pino e Bernardo Tasso, che alla corte dei Sanseverino a Salerno ebbe anche le mansioni di segretario e alla principessa dedicò il Libro primo degli Amori (1534), opera di chiara destinazione cortigiana.
Nello stesso anno, il 1534, il medico e filosofo aristotelico Agostino Nifo, uno degli autori napoletani le cui opere conobbero una maggiore circolazione e diffusione in quel secolo, dedicò al principe e alla principessa di Salerno il De re aulica, un trattato sul comportamento cortigiano chiaramente ispirato da un lato al modello del Cortegiano di Baldassarre Castiglione, dall’altro soprattutto a quelle pratiche culturali ormai in auge nelle corti dei grandi lignaggi napoletani in cui il linguaggio delle humanae litterae poté legittimare codici cavallereschi e l’ambizione di una parte di quella stessa aristocrazia a una maggiore partecipazione ai processi decisionali della politica, di cui i principi Sanseverino furono per l’appunto pionieri.
In quegli anni, da sola o al fianco del principe suo consorte, Isabella fu tra i protagonisti più in vista di tutte le grandi manifestazioni festive, banchetti, ricevimenti, balli, spettacoli e tornei che si tennero a Napoli, dalle nozze di Bona Sforza nel 1518 ai festeggiamenti, celebrati in Castel Capuano alla presenza di Carlo V alla fine del febbraio del 1536, dopo la stipula del contratto matrimoniale tra Margherita d’Austria e Alessandro de’ Medici. Nel palazzo di Salerno, nel novembre del 1535, Isabella ospitò l’imperatore in viaggio verso Napoli reduce dall’impresa di Tunisi, destando – a dire di molti cronisti del tempo – la sua più viva ammirazione. E non solo. Nel 1530 aveva negoziato con il luogotenente del Regno a Napoli, il cardinale Pompeo Colonna, la riduzione della pena cui era stato condannato il nobile Giovan Battista d’Aloys.
Nelle sue non comuni capacità di mediazione politica, per la conversazione brillante ed erudita, l’abbigliamento magnifico, la grazia mostrata nell’esercizio della danza, Isabella sembrò concentrare in sé gli aspetti migliori del concetto di dignitas ritenuto proprio delle dame di corte cui in molti tra gli umanisti, non solo meridionali, si ispirarono nella formulazione di un ideale modello cortigiano declinato al femminile.
Alla fine degli anni Trenta con altre dame della sua cerchia, come Vittoria Colonna, Costanza d’Avalos Piccolomini e Giulia Gonzaga, Isabella prese ad assistere alle prediche di Bernardino Ochino e a frequentare il circolo di Juan de Valdés, all’interno del quale trovò oltre che un indubbio riferimento alle proprie inquietudini spirituali, anche un altrettanto indubbio spazio di condivisione con quanti, a Napoli, si andavano confrontando con il crescente autoritarismo del viceré Pedro de Toledo. Nel cenacolo di Valdés Isabella incontrò tra gli altri Scipione Capece, ultimo membro dell’Accademia Pontaniana, che chiamò alla corte di Salerno quando questi, nel 1543, incorse nei sospetti del S. Uffizio per le sue frequentazioni e simpatie eterodosse e sulla cui produzione letteraria ella giocò poi un ruolo decisivo.
Intanto i rapporti di suo marito Ferrante con il viceré Toledo si erano molto deteriorati, per la prossimità di Sanseverino ai valdesiani e soprattutto per le posizioni che egli aveva assunto di sempre maggiore ostilità rispetto alla linea assolutistica di Toledo. Probabilmente per sviare i sospetti che andavano addensandosi anche su di lei, nel 1546 Isabella invitò presso la corte di Salerno il frate domenicano Ambrogio Salvio da Bagnoli, noto per come si andava cimentando contro la diffusione di idee eretiche. Ma più che per le sue più che presumibili propensioni verso l’evangelismo e gli ‘spirituali’, le maglie della repressione cominciarono a stringersi su Isabella per il solo fatto di essere la consorte del principe Sanseverino e per la condotta che questi ebbe durante i moti del 1547 contro l’Inquisizione e, di lì a poco, nell’ambasceria a Carlo V in cui protestò le ragioni sue e della nobiltà del Regno contro l’arbitrio ministeriale e l’operato del viceré. Ancor più la posizione di Isabella si aggravò quando si diffuse la notizia di una sua gravidanza, che se fosse giunta a compimento, cosa che poi non fu, avrebbe di certo impensierito la Corona per essere la signoria feudale dei Sanseverino tra le maggiori del Regno.
All’inizio degli anni Cinquanta la frattura tra la corte imperiale e il principe Ferrante non parve comunque più ricomponibile. Gravi accuse pesavano su di lui quando, nell’estate del 1552, decise di lasciare il Regno prima per Venezia, poi per la Francia ove si convertì al calvinismo. Il viceré non allentò per questo la sua presa su Isabella, denunciandola al sovrano di contiguità con il marito, sospetta eresia e ribellione e sollecitandone il trasferimento quanto più rapido possibile in Spagna. Il timore, probabilmente non del tutto infondato, era che ella da Napoli mantenesse relazioni epistolari con il marito e potesse utilizzare le risorse di cui ancora disponeva per inviarle al principe che andava progettando un’invasione del Regno con l’appoggio del Turco.
Per lei da allora non vi fu scampo. Da Napoli, in Castelnuovo, dove riparò temporaneamente tra il 1553 e i primi mesi del 1555 per rimarcare la propria estraneità alle ultime imprese di Sanseverino, e in seguito da Barcellona, dove nell’estate del 1555 dovette giocoforza trasferirsi per volere dell’imperatore, Isabella protestò sempre la propria innocenza. Nelle numerose lettere che scrisse al cardinale Girolamo Seripando e al duca Francesco d’Este motivò con forza la propria lealtà alla Corona, sottolineando l’amore per Napoli, sua città natia, l’orgoglio dell’appartenenza a un antico e nobile casato «dei principali di quei regni [...] fedelissimi alla Maestà Cesarea» e l’avere «altamente fondato nel petto le radicij della fedelità verso il Re e Signor mio naturale» (Cosentini, 1896, pp. 140, 148, 136).
Morì a Valladolid, in una data imprecisabile tra l’agosto e la fine del 1559, alla vigilia del ritorno a Napoli che le era stato finalmente, ma troppo tardi, concesso di intraprendere.
Fonti e Bibl.: Napoli, Biblioteca nazionale, Mss.XIII.A.a.59, Lettere della principessa di Salerno, cc. 29-69.
A. Nifo, De re aulica ad Phausinam libri duo, Neapoli, Ioannes Antonius de caneto papiensis excudebat, 1534, p. n.n.; O. Lando, Lettere di molte valorose donne, nelle quali chiaramente appare non esser ne di eloquentia ne di dottrina alli huomini inferiori, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1548, c. 65rv; B. Tasso, Rime... divise in cinque libri nuovamente stampate. Con la sua tavola per ordine di alfabeto, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari et fratelli, 1560, pp. 43-46; L. Terracina, Rime con il Discorso sopra il principio di tutti i Canti d’Orlando Furioso, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1565, pp. 77, 137; M. Roseo, Del Compendio dell’istoria del regno di Napoli. Seconda parte col settimo libro del Pacca e l’Aggiunta dell’anno 1586 di Tommaso Costo, Venezia, Barezzo Barezzi, 1591, p. 106; L. Cosentini, Una dama napoletana del XVI secolo. Isabella Villamarina Principessa di Salerno, Trani 1896; B. Croce, I. V., in Aneddoti di varia letteratura, Bari 1953, pp. 330-338; P. Lopez, Il movimento valdesiano a Napoli. Mario Galeota e le sue vicende col Sant’Uffizio, Napoli 1976, pp. 114 s., 123; R. Colapietra, I Sanseverino di Salerno. Mito e realtà del barone ribelle, Salerno 1985, ad ind.; P. Lopez, La presunta gravidanza di I. V. e le disposizioni del Toledo (1550), in Studi storici meridionali, V (1985), pp. 287-295; C. Hernando Sánchez, El reino de Nápoles en el Imperio de Carlos V. La consolidación de la conquista, Madrid 2001, pp.194-197; I. Segarra Añón, Humanismo y Reforma en la corte renacentista de Isabel de Vilamarí: Escipión Capece y sus lectoras, in Quaderns d’Italià, 2001, n. 6, pp. 123-135; G. Galasso, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno spagnolo (1494-1622), in Storia d’Italia, XV, 2, Torino 2005, pp. 385, 506, 524; L. Addante, Eretici e libertini nel Cinquecento italiano, Roma-Bari 2010, pp. 74 s.; S. Peyronel Rambaldi, Una gentildonna irrequieta. Giulia Gonzaga fra reti familiari e relazioni eterodosse, Roma 2012, p. 113; J. Yeguas i Gassó, La glòria del marbre a Montserrat. Els sepulcres renaixentistes de Joan de Aragó, Bernat de Vilamarí i Benet de Tocco, Barcelona 2012, pp. 58-76; C.J. Hernando Sánchez, El soldado político: el Gran Capitán y la Italia de los Reyes Católicos, in Revista de historia militar, 2015, n. 2, pp. 71, 76, 79-81, 95.