ISAIA
. Profeta d'Israele, a cui è attribuito il libro dello stesso nome che occupa il primo posto nell'odierno canone ebraico della Bibbia fra i cosiddetti Profeti posteriori (i 4 posteriori degli 8 libri profetici; v. Bibbia, VI, p. 882).
La persona d'Isaia. - Isaia (ebr. Yĕša ‛yàh, forma abbreviata di Yĕša ‛yàhū "salvezza di Jahvè", sinonimo quindi di "Gesù") era figlio di Amoṣ (//ebraico//), che erroneamente fu da qualche Padre identificato col profeta Amos (//ebraico//). Nativo probabilmente di Gerusalemme, quasi di sicuro apparteneva a famiglia aristocratica e facoltosa; fu marito di una sola donna, da cui ebbe almeno due figli, ai quali impose nomi che alludevano alle sue vedute profetiche (cfr. Isaia, I,1; II,1; VII, 3; VIII, 2, 18, ecc.). La sua vocazione al ministero profetico avvenne "l'anno in cui morì il re Ozia" (VI,1), cioè verso il 740 a. C., quando il profeta era certamente in età ancor molto giovane: onde si può supporre che fosse nato circa 25 anni prima, verso il 765 a. C. Assai lungo fu il suo ministero, essendo durato almeno fino all'invasione della Giudea fatta: i dal re assiro Sennacherib nel 701 a. C., quindi per oltre 40 anni, mentre sedettero sul trono di Giuda i re Ozia (Azaria), Ioatan, Acaz ed Ezechia.
In questo periodo avvennero fatti importanti nella storia d'Israele. Le condizioni interne del regno meridionale, o di Giuda, erano floride all'inizio della carriera d'I.; Ozia aveva reso tributarie alcune popolazioni circostanti al suo territorio (II [IV] Re, XIV, 22; II Cron., XXVI, 2-9); Ioatan, durante il suo tranquillo regno, aumentò il benessere materiale (II [IV] Re, XV, 32 segg.; II Cron., XXVII), ma insieme con esso dovette accrescersi anche quella corruzione morale contro cui I. inveisce; Acaz (v.), favorevole all'idolatria, vide tempi fortunosi, e per difendersi dai re di Siria e d'Israele, che uniti in lega avevano invaso il suo regno chiamò in aiuto il re assiro Tiglat-pileser III, iniziando così un vassallaggio diretto verso la potente Assiria (II [IV] Re, XVI, 5 segg.); finalmente Ezechia (v.), favorevole al jahvismo, procurò di riformare la vita religiosa e civile secondo i principî di questo e i consigli d' I., verso cui fu ossequiosissimo.
Al di fuori, attorno al regno di Giuda, si svolgevano frattanto avvenimenti di decisiva importanza. Tiglat-pileser III, chiamato in soccorso da Acaz (circa 734), viene subito e conquista poco dopo Damasco, capitale della Siria. Dieci anni dopo, l'assiro Salmanassar IV invade il regno d'Israele e mette l'assedio alla capitale Samaria, che nel 722 cade in mano di Sargon successore di Salmanassar: il regno è distrutto, e la popolazione trasportata in Assiria. Nel 720 Sargon sconfigge gli Egiziani a Raphia; nel 711 per mezzo del suo luogotenente conquista la città filistea di Asdod; nel 710 debella Merodach-baladan sovrano di Babilonia, e ne assoggetta la città. Nel 705 a Sargon succede Sennacherib, e di lì a poco il regno di Giuda stringe alleanza con l'Egitto per sottrarsi alla pressione sempre più grave dell'Assiria; ma Sennacherib nel 701 intraprende una campagna in Palestina per sventare la lega: sottomesso il litorale, arriva fino al sud di Giuda ove batte Egiziani ed Etiopi ad Altaqu (Elteqeh), conquista Accaron e mette l'assedio a Gerusalemme; ma un violentissimo contagio diffusosi nell'esercito l'obbliga a ritirarsi.
Della fine d'I. non sappiamo nulla, quindi neppure se egli sopravvivesse al re Ezechia fino almeno ai primi tempi del re Manasse. La famosa avversione di quest'ultimo re al iahvismo ha forse provocato la notizia tardiva, accolta nel Talmūd (Yebhamnoth, 49 b; Sanhedr., 103 b), che I. fosse martirizzato da Manasse: notizia, del resto, non inverosimile. Essa poi, come di solito avviene in simili vaghe tradizioni, si precisa in seguito anche più, cosicché l'apocrifa Ascensione d'Isaia (vedi appresso) è in grado di raccontare che il martirio d'I. consistette nell'esser segato in mezzo; il che, non solo è ripetuto da Giustino (Dial. cum Tryph., 120) a metà del sec. II, e dall'Appocalisse di Paolo alla fine del sec. IV, ma sembra essere già accennato in Ebrei, XI, 37.
Il Libro d'Isaia. - Contenuto. - Il libro che porta il nome di Isaia è di LXVI capitoli, e si divide spontaneamente in due grandi sezioni, di cui la prima comprende i capitoli I-XXXV, e la seconda i capitoli XL-LXVI; la breve parte intermedia, costituita dai capitoli XXXVI-XXXIX, è una narrazione storica. Le due grandi sezioni si suddividono in varî raggruppamenti, secondo cui più o meno naturalmente si riuniscono i vari scritti che le compongono.
Il c. I, che porta un titolo attribuente lo scritto a I., si può considerare come un'introduzione generica, dipingendo la corruzione del popolo e la necessità di tornare a Jahvè abbandonato. Il tratto II-V, che comincia con un nuovo analogo titolo, è formato di varî oracoli, il cui argomento è il giudizio divino contro l'ingratitudine del popolo e specialmente l'impudicizia delle donne; termina con la celebre parabola della vigna, e una serie di minacce (Guai!) contro i varî delitti. Il c. VI racconta la vocazione d'I. al ministero profetico; il c. VII il suo incontro col re Acaz (al tempo della sua guerra contro Siria-Israele) e contiene la celebre profezia sull'Emmanuele; il tratto VIII-XII intreccia carmi minatorî contro il popolo corrotto con altri di speranza messianica. Il tratto XIII-XXIII contiene gli "oracoli" contro le nazioni pagane, che sono per ordine: Babilonia, Assiria, Filistea, Moab, Damasco e Samaria, Assiria (? XVII, 12-14), Etiopia, Egitto, di nuovo Egitto ed Etiopia (XX) sotto forma prosaica e narrativa in occasione della presa di Asdod (v. sopra), Babilonia (Deserto del mare), Edom (Duma), Arabia (La steppa), Gerusalemme (Valle della Visione), Shebna, uno straniero cfr. XXII, 16) divenuto prefetto del palazzo reale, e Tiro. Il tratto XXIV-XXVII è uno scritto di tipo apocalittico, che descrive il giudizio divino sul mondo intero ai tempi messianici. Segue il tratto XXVIII-XXXIII, contenente varî oracoli di riprovazione contro Samaria e Gerusalemme per la loro alleanza fatta con l'Egitto (circa 702; v. sopra) e per le loro speranze riposte in esso; vi s'intrecciano oracoli contro l'Assiria, e altri di argomento messianico. Il trionfo d'Israele su Edom è descritto in XXXIV-XXXV.
La parte storica intermedia, XXXVI-XXXIX, che si ritrova più o meno alla lettera in II (IV) Re, XVIII, 13-XX, 19 (cfr. II Cron., XXXII), narra l'invasione e catastrofe di Sennacherib, la malattia di Ezechia di cui riporta anche il salmo (mancante nei Re), e l'ambasceria di Merodachbaladan allo stesso Ezechia per un'alleanza contro l'Assiria.
La seconda grande sezione del Libro d'Isaia (XL-LXVI) è totalmente diversa dalla prima, sia per tono, sia per argomento. Mentre la prima è prevalentemente ammonitrice e di minaccia, la seconda è quasi totalmente di consolazione e di trionfo; e soprattutto, mentre la prima, nella massima parte degli scritti di cui si compone, riguarda fatti contemporanei a I., la seconda si riferisce ad avvenimenti posteriori alla sua morte di più che un secolo. L'Assiria, infatti, è scomparsa in questa seconda sezione, e ha preso il suo posto l'impero di Babilonia; ma anche questo impero è vacillante e prossimo a crollare, giacché da Oriente s'avanza un dominatore vittorioso davanti a cui crolla ogni impero (XLI, 2). Perciò il popolo israelita, ch'è qui descritto in esilio in Babilonia, sarà liberato al cadere di questa metropoli, tornerà in patria a riprendere la sua vita nazionale, e Gerusalemme sarà ricostruita. Il dominatore vittorioso è Ciro il Grande, chiamato col suo stesso nome in XLIV, 28 e XLV, 1, il quale, debellato prima Astiage il Medo, quindi Creso di Lidia, e conquistata per mezzo dei suoi luogotenenti l'Asia Minore e personalmente l'immensa regione a oriente fino all'Indo, attaccò alla fine il colosso di Babilonia abbattendolo nel 539 a. C. Questo è lo sfondo cronologico predominante nella seconda sezione. Essa comincia con un giubilante invito di ritorno in patria a Israele esiliato (XLI, 1 segg.); ma questo ritorno è opera di Jahvè, davanti a cui la gloria umana e specialmente gl'idoli sono un nulla (XLI, 6 segg.). Il tratto XLII-LV torna su questo tema, di Ciro strumento della potenza di Jahvè nella liberazione d'Israele, intrecciandolo con radiose prospettive del ritorno in patria, come pure con prospettive messianiche e confronti fra la potenza di Jahvè e l'inania degl'idoli. Degni di particolare attenzione sono i cosiddetti carmi del "Servo di Jahvè", che si trovano lungo questo tratto e sono dai critici delimitati più comunemente in questi passi: XLII, 1-4; XLIX,1-6; L, 4-9; LII, 13-LIII, 12. Argomento comune a questi quattro carmi è un personaggio innominato, designato solo col termine di "Servo di Jahvè", e presentato come liberatore d'Israele, prediletto di Dio dapprima umiliato, quindi glorificato, che soffre e muore per espiare i delitti altrui. L'ultimo tratto, LVI-LXVI, che si può suddividere in altri due, LVI-LX e LXI-LXVI, si riferisce ai tempi susseguenti al ritorno in patria dall'esilio babilonese. In esso Gerusalemme è presentata come già ricostruita, il tempio come già riedificato, e i rimpatriati come stabilmente riorganizzati sotto il governo teocratico; ma insieme vi si deplorano gli abusi e scandali che avvengono specialmente fra le classi dirigenti, in contrapposto ai quali si prospetta a più riprese la visione della Gerusalemme e del regno messianici.
Storia della critica. - Il titolo attribuente il libro al profeta I., che si trova sia a principio di esso sia avanti ad altri singoli tratti, sembrò fino al declinare del sec. XVIII una garanzia sufficiente per attribuire al profeta l'intero Libro, tanto più che esso non faceva che confermare la comune tradizione che assegnò fino a quell'epoca il Libro al figlio di Amos.
Ma con i primi albori della critica biblica cominciarono le negazioni. Astraendo da alcuni dubbî affacciati fugacemente da altri, il primo che intavolò formalmente la questione fu J. Ch. Döderlein (1775); egli, osservando che la seconda sezione di Isaia (XL-LXVI) presuppone lo sfondo cronologico dell'esilio babilonese e di avvenimenti posteriori, invece di ritenere tale sezione scritta profeticamente, come si era ritenuta fino allora, la giudicò scritta storicamente da un autore anonimo, o forse anche omonimo d'I., verso la fine dell'esilio.
La soluzione del Döderlein, nonostante qualche opposizione, rimase dominatrice quasi assoluta fino agli ultimi decennî del secolo XIX; solo che, trascurata ben presto la mera congettura dell'omonimia, si designò convenzionalmente l'anonimo scrittore col nome di Deutero-Isaia (secondo Isaia), come colui i cui scritti formavano la seconda sezione del libro di tal nome.
Ma, abbandonate una volta le posizioni tradizionali e applicandosi sempre più allo studio della Bibbia il principio della critica letteraria interna, si trovò che l'attribuzione di tutta la prima sezione di Isaia al figlio di Amos, e di tutta la seconda al Deutero-Isaia, non corrispondeva a un metodico esame concettuale, filologico e cronologico dei varî scritti che le formano; si passò quindi a ulteriori attribuzioni, sezionando il Libro alla ricerca dei varî autori. I tentativi a tale scopo furono moltissimi e sempre più particolareggiati; sarebbe anzi cosa forse impossibile, e certamente oggi inutile, riportarli qui anche sommariamente. Daremo in seguito come saggio i risultati ottenuti da un critico dei più rappresentativi in questo campo. Esporremo invece le ragioni su cui più generalmente convengono i critici per procedere al sezionamento del Libro secondo i suoi presunti autori, delineando insieme il processo storico attraverso cui si sarebbe formato l'odierno Isaia.
Questo libro non è un tutto organico; "a somiglianza dei libri dei Salmi e dei Proverbî esso è un'antologia" (Davidson), sorta in varî stadî per l'apporto di composizioni di autori varî, di epoche differenti e rimasti anonimi, attorno a un nucleo autentico isaiano, che finì per estendere il suo nome a tutta l'antologia. Questa antologia, o collezione, anche dopo che era entrata nel canone (v.; bibbia), non occupò sempre lo stesso posto che vi occupa oggi (v. al principio), ma fu spostata più d'una volta, probabilmente in relazione con le vicende interne ed esterne ch'essa subiva. Ché se il Siracida nel tessere l'elogio dei Padri, giunto ai Profeti posteriori nomina per primo I. (Ecclesiastico, XLVIII, 22 [Volg., 25] segg.), facendolo seguire per ordine da Geremia, Ezechiele e dai 12 Profeti minori, ciò mostra che già ai suoi tempi il libro omonimo occupava nel canone lo stesso posto di oggi. Ma, accanto alla tradizione del Siracida, rimasero altre divergenti: quella dei Settanta, che premettono la collezione dei 12 Profeti minori a Isaia, e quella del Talmūd (Baba Bathra, 14 b, 15 a) che mette Isaia dopo Ezechiele facendolo poi seguire dai I2: questo accoppiamento d'Isaia con i 12 mostra che si aveva una vaga coscienza dell'indole composita ch'era comune ai due Libri. Ma prima ancora del Siracida v'è un altro documento che testimonia uno stadio anteriore di Isaia. È il Cronista (v. cronache), che parlando della libertà concessa da Ciro agl'Israeliti esuli in Babilonia, dice che tale avvenimento era stato preannunciato da Geremia (II Cron., XXXVI, 22-23; cfr. Esdra, I, 1-3). Questo rimando del Cronista a Geremia non è da interpretarsi - sempre secondo i critici - come un'allusione a Geremia, XXV, 12-13; XXlX, 10, quale era intesa prima comunemente, bensì come una prova che ai tempi del Cronista l'intera seconda sezione di Isaia, la quale parla espressamente di Ciro liberatore degli esuli, ancora non era unita alla prima sezione dello stesso Libro, ma seguiva come appendice al Libro di Geremia. Alcuni studiosi poi trovano una conferma di tale interpretazione nel rimando di II Cron., XXXII, 32, in cui il Cronista dice che la storia del re Ezechia è nella "Visione di Isaia figlio di Amoṣ, nel Libro dei Re di Giuda e d'Israele"; ciò dimostrerebbe che la parte intermedia di Isaia (XXXVI-XXXIX), ove quella storia è narrata, era riconosciuta dal Cronista come proveniente in origine dal Libro dei Re citato, e quindi solo artificiosamente unita agli scritti del profeta.
Né si potrebbe dire che questo processo di accrescimento del Libro fosse il risultato di una progressiva falsificazione; fu invece la conseguenza dei criterî e costumi che gli Ebrei antichi avevano riguardo ai documenti letterarî: ed ecco come si suole delineare questo processo. L'attività letteraria d'I. fu orale e trafica, con leggiera prevalenza della prima: a lui premeva soprattutto che i suoi occasionali vaticinî venissero a contatto diretto ed efficace col popolo, e ciò egli otteneva specialmente con la declamazione pubblica delle sue composizioni, quantunque in particolari circostanze per ottenere meglio il suo scopo ricorresse certo anche alla diffusione grafica (cfr. Isaia, VIII, 1, 16; XXX, 8). La duplice trasmissione, quella mnemonica (diffusissima presso i Semiti) e quella grafica, continuò per molto tempo, fino a che la prima fu sostituita più o meno integralmente dalla seconda; si ebbe allora un certo numero di tavolette d'argilla seccata o di rotoletti di cuoio o di papiro (ch'era il materiale su cui allora si scriveva) contenenti le composizioni d'I., e circolanti liberamente fra il popolo. Frattanto non dovettero mancare raccolte parziali delle composizioni isolate, e se ne hanno tracce nei varî raggruppamenti dell'odierno Isaia, recanti talvolta titoli particolari (a es., I, 1; II, 1; XIII, 1); in seguito, invece, specialmente dopo l'esilio, allorché si raccolsero con cura gli avanzi letterarî del naufragio nazionale (cfr. II Maccabei, II, 13), se ne curarono raccolte maggiori, che finirono più tardi per formare sostanzialmente quella più ampia collezione che è la prima sezione di Isaia (I-XXXV). Ma, durante questo periodo di trasmissione, nelle raccolte parziali si erano insinuati, oltre alle solite glosse e varie alterazioni reperibili più o meno in tutti gli altri scritti biblici, anche altre composizioni di provenienza non isaiana; doveva trattarsi per lo più di scritti anonimi che circolavano egualmente fra il popolo, come gli scritti d'I., e che qualche volta erano stati composti a ispirazione degli scritti di lui o su qualche argomento affine. Perciò anche questi brevi scritti furono incorporati nelle varie raccolte di quelli isaiani, dei quali sembravano essere quasi un complemento o commento. E a tale grande collezione fu dato, naturalmente, il titolo di [Libro di] Isaia, dal nome del principale autore, come a tutta la collezione dei Salmi fu dato il nome di "David" e a quella dei Proverbî quello di "Salomone". E anche materialmente parlando, questa incorporazione di elementi estranei era in qualche modo inevitabile; giacché le varie raccolte parziali dovevano consistere, a un dipresso, in cesti o cofani contenenti le varie tavolette d'argilla o i rotoletti coriacei o papiracei che recavano scritte le varie composizioni del profeta: ora, il possessore privato di uno di tali recipienti poteva benissimo deporvi una o più tavolette o rotoli di altro autore, che egli per qualsiasi motivo (oltre a quelli già visti, di somiglianza di stile, affinità d'argomento, ecc.) credeva opportuno conservare là dentro. Quando recipienti così riempiti, cioè raccolte isaiane accresciute d'elementi estranei, passarono ad altro proprietario, costui non dubitò punto che il nome di "Isaia", che forse era anche scritto fuori del recipiente, si riferisse a ogni singola tavoletta o rotolo ivi contenuto. E appunto siffatte raccolte private - che dal tempo e dall'uso erano state variamente lesionate, alterate, e accresciute - furono quelle che confluirono a formare la grande collezione di Isaia (I-XXXV); esse stesse, inoltre, allorché più tardi all'epoca alessandrina si diffuse largamente anche in Palestina l'uso della pergamena per trascrivere antiche composizioni, servirono da archetipo alle prime trascrizioni pergamenacee, le quali perciò incorporarono definitivamente tutto il contenuto degli antichi cesti o cofani scritturali. - Ma un corpus isaiano così costituito, e trascritto affinché circolasse per la lettura anche privata, dovette sembrare troppo magro di notizie storiche circa il suo principale autore, perché se ne potesse valutare degnamente il contenuto. Ed ecco che un redattore o raccoglitore aggiunse, da precedenti documenti, quanto si sapeva circa la persona dell'autore, quanto cioè potesse servire da opportuna introduzione o cornice storica al corpus stesso; l'aggiunta fu fatta, ed è costituita dal tratto storico intermedio, XXXVI-XXXIX. Dalla già vista allegazione di Cron., XXXII, 32, i critici argomentano che tale aggiunta era già stata fatta al corpus isaiano prima che scrivesse il Cronista.
Nel tempo stesso che si andava formando la grande collezione di Isaia, se ne formavano anche altre; a es., quella dei 12 Profeti minori, ciascuno dei quali è provvisto in principio del suo titolo: quella dei Salmi, alcuni dei quali sono provvisti e altri sprovvisti del titolo: quella dei Proverbî, ecc. Allora dovette pure formarsi - pensano ancora i critici - l'altra collezione, rimasta affatto sprovvista di titolo, che corrisponde alla seconda sezione dell'odierno Isaia, XL-LXVI. Anche questa sezione solo dalla minor parte dei critici è ritenuta opera sostanzialmente di un solo autore; la maggior parte di essi la ritiene sorta dall'apporto di tre autori: il Deutero-Isaia già visto; ai cui scritti furono aggiunti i carmi del "Servo di Jahvè" di sconosciuto autore; e un terzo autore, convenzionalmente designato col termine di Trito-Isaia (terzo Isaia). È inutile delineare il processo di formazione di quest'altra collezione, perché dovette essere analogo e subire vicende somiglianti a quelle della collezione precedente, fino a che anche questa prese forma presso che stabile. Raggiunta tale forma, questa grande collezione anonima (XL-LXVI) dovette cambiare più d'una volta posto di collocamento nella serie dei libri sacri che formavano il canone (v. sopra), e che corrispondeva probabilmente alla serie secondo cui le varie collezioni venivano man mano ordinate negli archivî del Tempio di Gerusalemme; i critici ne vedono una prova nel già accennato passo di II Cron., XXXVI, 22-23, ove il rimando a Geremia mostrerebbe che ai tempi del Cronista la collezione anonima era materialmente unita agli scritti di quel profeta (non di Isaia). E anche questa collezione, trascritta oramai in per, amena, continuò a circolare per lettura privata, come il corpus isaiano, esposto come quello a subire, con le solite alterazioni di trasmissione, anche eventuali aggiunte.
Ma nel tempo intercorso fra il Cronista e il Siracida (inizî del sec. II a. C.) la collezione anonima cambiò posto e fu unita definitivamente al corpus isaiano, di cui sembrava quasi la continuazione concettuale e il complemento. Troviamo infatti che il Siracida (Ecclesiastico, XLVIII, 24-25 [Volg., 27-28]) presenta Isaia come consolatore degli esiliati in Babilonia; il che significa che ai suoi tempi circolava un Isaia a cui era stata unita la seconda sezione (XL-LXVI) durante l'intervallo suddetto. Avremmo dunque a questo punto un Isaia corrispondente sommariamente alle tre parti, le due grandi sezioni e la parte intermedia storica, dell'odierno Isaia.
Ma quanto della seconda sezione era unito al corpus isaiano ai tempi del Siracida? Dalle parole di costui non risulta. Quindi i critici richiedono ancora un periodo per il processo di formazione dell'odierno Isaia, che fu quello della restaurazione maccabaica. Nella persecuzione di Antioco Epifane il Tempio era stato profanato e i suoi archivî dispersi o distrutti, e anche le copie delle Scritture che circolavano privatamente venivano distrutte e i loro possessori uccisi (I Maccab., I, 59-60); quindi la reazione maccabaica, restaurando il culto ebraico, non poteva certo disinteressarsi di quel suo principale argomento che erano le Scritture. Troviamo infatti che, a somiglianza di ciò che fece Neemia dopo l'esilio di Babilonia, anche Giuda Maccabeo, dopo le sue vittorie su Antioco, raccolse le copie di Scritture scampate alla distruzione grazie alla gelosa custodia in cui le avevano serbate pii possessori privati (II Maccab., II, 13-14). Quest'opera raccoglitrice e restauratrice, continuata anche sotto gli altri Asmonei, portò a una nuova edizione di Isaia, le cui parti rimasero sostanzialmente le stesse, ma recando in sé altre aggiunte dettate dall'opportunità dei tempi. Piccole note di redattori ultimarono qua e là il Libro, che rimase d'ora innanzi cristallizzato, salvo a cambiare di posto nella serie dei libri del canone, secondo le divergenti tradizioni riportate sopra.
Accettata questa delineazione generica del processo storico da cui risultò l'odierno Isaia, per rintracciarne i singoli autori agli studiosi non rimasero che gli argomenti di critica interna, filologici e storico-religiosi; i quali poi, applicati assai spesso con criterî affatto soggettivi e qilindi diversi da studioso a studioso, portarono ai più diversi risultati. Ma fin verso lo scorcio del sec. XIX i critici più illustri, quali W. Gesenius, Ewald, Knobel, È. Reuss, Kuenen, Cheyne (della prima maniera), R. Smith, Dillmann e altri, convenivano nell'esigere per la seconda sezione un post-esilico Deutero-Isaia: alla quale opinione recò il contributo della sua alta autorità anche Franz Delitzsch (1880), che prima aveva difeso l'unità di autore dell'intero Libro. Solo alcuni pochi vedevano nella seconda sezione qualche tratto autentico isaiano ivi incorporato; mentre, invece, parecchi altri trovavano nella prima sezione (isaiana) non pochi scritti post-esilici infiltratisi in essa, quali specialmente XIIIXIV, 23; XXI,1-10; XXXIV-XXXV, e forse anche XXIV-XXVII; XII e qualche altro minore.
Sennonché, dopo il 1890, queste generiche posizioni non furono più mantenute e si procedette molto più in là per opera specialmente di B. Duhm (commento, 1ª ed., 1892), di T. K. Cheyne (della seconda maniera) e K. Marti. I risultati furono: un'ulteriore notevole riduzione del nucleo autentico isaiana nella stessa prima sezione; l'ipotesi di un autore particolare per i carmi del "Servo di Jahvè", e del Trito-Isaia (oltre al Deutero-Isaia); l'aumento del numero di composizioni ritenute tardive (alessandrine e maccabaiche) che si trovano sparse nella prima e nella seconda sezione.
Per le ragioni dette sopra, ci limitiamo a riportare i risultati ottenuti dal Duhm (commento, 3ª ed., 1914), secondo cui il Libro va scomposto come segue. Appartengono a Isaia stesso per ordine cronologico: prima della guerra contro Siria-Israele, II, 11-17 (V, 15-16); II, 6-10, 18 (19-21); I, 21-26; XXXII, 9-14; III,1-9, 12, 16-17, 24; IV,1; V,1-7; III, 13-15; VII, 18-20; VIII, 21-22; I, 29-31; V, 8-24. (parzialmente); IX, 7-X, 4; V, 25-29; XVII,1-11; XXVIII,1-4 (dubbio), e qualche altro frammento; negli anni 711 e seguenti, XX,1, 3-6; XXVIII, 7-22; XXIX,1-4; XXVIII, 23-29; XXII, 15-18; I, 18-20 (dubbio); V, 8-24 (parzialmente); negli anni 705 e seguenti, XXIX, 9 segg.; XXX, 1 segg.; XXXI,1-3; XXII,1-7; VI; VII, 2 segg.; VIII,1-18; XXII, 8 segg.; XVII, 12-XVIII, 6; XIV, 24-27; X, 5 segg.; I, 2-17; XXX, 27-33; XXXI, 4 segg.; IX,1-6; forse negli ultimi anni del profeta (ma di dubbia autenticità), II, 2-4; XI,1-8; XXXII,1-5, 15-18, 20.
Appartengono al Deutero-Isaia, vissuto verso il 540 probabilmente nella Fenicia settentrionale, XL-LV, a eccezione dei carmi del "Servo di Jahvè" e di qualche glossa posteriore e nota redazionale. Circa contemporanei del Deutero-Isaia furono gli sconosciuti autori dei tratti XIII, 2-22; XIV, 4-21; XXI,1-15, di cui uno probabilmente abitava nella Palestina meridionale, e che non conobbero mai il Deutero-Isaia né si conobbero fra di loro. Ai tempi posteriori all'esilio, probabilmente alla prima metà del sec. V, appartiene l'autore dei carmi del "Servo di Jahvè'" segnalati sopra; in questi carmi egli celebra uno sconosciuto personaggio, che doveva essere qualcosa fra il dottore della Legge e il pastore di anime (Seelsorger). Anche in questi carmi si sono infiltrate aggiunte d'altra mano, quali XLII, 5-7; L, 10-11. Autore del tratto LVI-LXVI è il Trito-Isaia, che visse ai tempi di Esdra e che nei suoi scritti dipende molto dal Deutero-Isaia e da Ezechiele. Probabilmente il tratto LXI-LXVI anticamente era messo avanti a LVI-LX. La parte storica intermedia XXXVI-XXXIX proviene dai tempi di Esdra: anche essa contiene aggiunte, fra cui assai tardiva quella di XXXVIII, 9 segg. Interpolazione del sec. IV sono XXIII,1-14 (che si riferisce alla distruzione di Sidone fatta da Artaserse III Oco) e XIX,1-15 (minaccia d'invasione dell'Egitto per opera dello stesso Artaserse); alquanto posteriori i due tratti XIV, 29-32 (contro i Filistei) e XXIII, 15-18 (contro Tiro). Circa del sec. II a. C. sono XXXIII (forse dell'anno 162); XXIV-XXVII (forse del 128), che contiene interpolazioni varie; XV-XVI (della fine del sec. II), che subì rimanipolazioni posteriori; XXXIII-XXXIV (recentissimo, ma anteriore alle vittorie di Giovanni Ircano sugli Edomiti). A ciò si aggiungano glosse e note redazionali sparse un po' dappertutto e di dubbia epoca. Da questo insieme sorse verso il 70 a. C. il libro di Isaia, il quale tuttavia si cristallizzò nell'odierno testo solo nel sec. I d. C., e ricevette l'odierno posto nel canone molto più tardi.
L'indirizzo del Duhm (Cheyne, Marti, ecc.) fu seguito da molti, ma in genere non su tanta estensione né con tanta fiduciosità; non mancò tuttavia chi vide in tutto questo sminuzzamento di testi il prodotto principalmente d'una fantasia esuberante. Le più recenti pubblicazioni mostrano che la diffidenza contro tale indirizzo va estendendosi, e accennano a un ripiegamento sulle posizioni del Döderlein, di ammettere cioè oltre all'autentico Isaia solo il Deutero-Isaia. Così opina C.C. Torrey (commento, 1928), che considera l'intera seconda sezione, compresi i carmi del "Servo di Jahvè", opera omogenea d'un solo autore che viveva a Gerusalemme sulla fine del sec. V a. C.; egli, in conseguenza, stima interpolati posteriormente i varî nomi proprî (Ciro, Babilonia, ecc.) che s'incontrano in tale visione.
I critici suaccennati sono tutti acattolici. Gli studiosi cattolici hanno mutato atteggiamento nella critica di Isaia in relazione a disposizioni disciplinari. Prima infatti del 1908 un certo numero di essi, specialmente i più freschi di studî e d'informazioni, accettarono la tesi critica, ammettendo il Deutero-Isaia e altri secondarî autori; la tesi venne sostenuta, oltreché in articoli e pubblicazioni speciali, anche nei commenti pubblicati dal gesuita A. Condamin (1905) e dal sacerdote S. Minocchi (1907), ambedue forniti dell'approvazione ecclesiastica. Il benedettino Höpfl, consultore della Pontificia commissione biblica e revisore ecclesiastico del commento del Minocchi, asserisce che l'unità d'autore di Isaia fu negata, sul finir di vita, anche dal gesuita J. Knabenbauer, il quale pure l'aveva difesa in due precedenti commenti (H. Höpfl, Introductionis... compendium, II, 2ª ed., Roma 1925, p. 260). Ma il movimento fu arrestato dal decreto della Pontificia commissione biblica, del 28 giugno 1908, che prescrisse non potersi sostenere che la seconda sezione di Isaia sia d'uno sconosciuto autore del tempo dell'esilio, e in genere che il Libro abbia oltre a Isaia altri autori. Dopo questo decreto non sono più apparse pubblicazioni cattoliche favorevoli alla tesi critica, e anche quelle promesse in precedenza (a es., la speciale introduzione che doveva seguire il commento del Condamin) non sono venute alla luce.
Il citato Höpfl adduce in favore della posizione cattolica i seguenti argomenti (pp. 261-3): un profeta illustrato da Dio può prevedere il futuro; la tradizione dei Giudei ha sempre attribuito il Libro a Isaia; la seconda sezione,che tratta della redenzione di Gerusalemme, è già annunziata in principio del Libro; l'autore della seconda sezione si mostra familiarissimo di luoghi e cose di Palestina, e particolarmente (LVI-LVII) delle condizioni del regno di Giuda; è impossibile che uno scrittore così nobile e autorevole, quale il presunto Deutero-Isaia, sia rimasto anonimo, dal momento che il brevissimo scritto di Abdia ha conservato il nome del suo autore; la diversità di lingua e di stile, fra le due sezioni del Libro, si spiega agevolmente con la diversità d'argomento trattato. Ma all'esposizione di questi argomenti il Höpfl premette il seguente rilievo: "Considerando astrattamente la questione [del Deutero-Isaia], si potrebbe dire che quest'opinione degl'interpreti moderni potrebbe sembrare probabilissima (admodum probabilem), tanto più che almeno il valore dei vaticinî messianici, contenuti nella seconda sezione del Libro, rimane intatto, che l'autore vivesse nel sec. VIII o nel VI a. C. Tuttavia non si può negare che quest'opinione, d'un autore anonimo vivente verso la fine dell'esilio, ha un'origine spuria, giacché la sua vera fonte è il razionalismo che nega a priori la possibilità della profezia" (op. cit., pp. 260-261). Il commento più recente che difende la posizione cattolica è quello di E. Feldmann (1925-26).
Bibl.: Gli scritti su Isaia sono numerosissimi, psecie dallo scorcio del sec. XIX in poi. Ci limiteremo ad alcune opere più rappresentative, ove, specie nelle più recenti, il lettore può trovare alte numerose referenze: J. Ch. Döderlein, Esaias ex recensione textus hebraici, Altorf 1775; W. Gesenius, Der Prophet Jesaja, voll. 3, Lipsia 1820-21; S. D. Luzzatto, Il profeta Isaia volgarizzato e commentato a uso degli Israeliti, Padova 1855-67; J. Knabenbauer, Erklärung des Propheten Isaias, Friburgo in B. 1881; id., Comment. in Isaiam prophetam, nel Cursus Scripturae S. del Cornely, voll. 2, Parigi 1887; 2ª ed., a cura di F. Zorell, ivi 1923; S. R. Driver, Isaiah, his life and times and the writings which bear his name, Londra 1888; 2ª ed., ivi 1893; B. Duhm, Das Buch Jesaia übersetzt und erklärt, in W. Nowack, Göttinger Handkommentar zum Alt. Test., Gottinga 1892; 4ª ed., ivi 1922; K. Budde, Die sog. Ebed-Jahve-Lieder und die Bedutung de Knechtes Jahves, in Jes. 40-55, Giessen 1900; K. Marti, Das Buch Jesaja erklärt, in Kurzer Hand-Komm., Tubinga 1900; T. H. Cheyne, The book of the prophet Isaiah, critical edition of the Hebrew text, nella Bibbia Policroma di P. Haupt, Lipsia 1899: al quale sono da aggiungere le altre opere su Isaia elencate nella bigrafia del Cheyne (v.); A. Condamin, Le libre d'Isaie, Parigi 1905; S. Minocchi, Le profezie d'Isaia, Firenze 1907; G. C. Morgan, The prophecy of I., voll. 2, Londra 1910; I. Skinner, The book of the proph. I., Cambridge 1915-18; S: Mowickkel, Der Knecht Jahwäs, Giessen 1921; H. Gunkel, Ein Vorläufer Jesu, Berna 1921; L. Köhler, Deuterojesaja, Giessen 1923; F. Feldmann, Das Buch I. übers und erkl., voll. 2, Münster 1925-26; E. König, Das Buch J., Gütersloh 1926; S. Z. Pines, Kommentar zum Proph. J. (in ebraico), Vienna 1927; G. A. Smith, The book of I., voll. 2, Londra 1927; A. Loisy, La consolation d'Israel (il Deutero-Isaia), Parigi 1927; K. Elliger, Die Einheit des Tritojesaja, Stoccarda 1928; B. Keller, Der Proph. J. für bibelforschende Christen erkl., Neuminster 1928; C. C. Torrey, The second Isaiah, New York 1928: C. Boutflower, The book of I., ch. I-XXXIX, in the light of the Assyrian monuments, Londra 1930.
L'apocrifo di Isaia.
Menzionato già da Origene, col titolo di Ascensione di A, come frutto di tradizioni giudaiche sul martirio del profeta, questo scritto, in voga presso eretici già ai tempi di Epifanio, sembra si sia conservato nel Medioevo presso i Bogomili di Tracia e i Catari d'Italia, ai quali pare appartenesse una versione latina, edita a Venezia da Antonio De Fantis nel 1522 insieme con visioni di S. Matilde. Nuovi cenni si ritrovano d'un manoscritto greco, alla fine del sec. XVII presso il Cotelier e di uno etiopico presso il Petraeus nel 1660: quello, col titolo di visione, non fu più trovato; questo invece, edito la prima volta dal Laurence (1819), è chiamato Ascesa o Ascensione ('Ergat). Tale versione etiopica è l'unica che ci dà completo l'apocrifo, riaffi0rato in versioni greca, latina e slava (serba e russa) frammentariamente o in forma di parafrasi.
Il contenuto ha una propria e vera unità. I. subisce le sevizie del re Manasse ed è tagliato con una sega a istigazione del diavolo Beliar, specialmente a cagione delle sue visioni avute, al settimo cielo, sul futuro Redentore; di questo vede la preesistenza divina, la curiosa Incarnazione (dovendo discendere attraverso i sei cieli inferiori, quando rivelandosi con una parola d'ordine, quando no, agli spiriti che presiedono alle singole sfere), lo vede nascere virginalmente a Betlemme, due mesi dopo l'annunziazione dell'angelo, morire, risorgere, e risalire al cielo: lo preannunzia poi giudice alla fine dei tempi.
Ma le due parti, che formano un tutto certamente cnstiano, sembrano suturate insieme, dopo rimaneggiato l'elemento giudaico del martirio: in tal senso può accettarsi l'idea, prelavente tra i critici, della mancanza d'unità, asserita invece ultimamente da V. Burch. Di qui la difficoltà di giungere a un risultato sicuro circa la data e il luogo d'origine dell'apocrifo; ma dalle affinità con l'apocrifo Vangelo di Pietro sembra potersi assegnare all'Egitto la redazione cristiana, non dopo il sec. IV. stante l'età dei frammenti latini editi da A. Mai e dei papiri greci pubblicati da B. Grenfell e A. Hunt.
Il nostro apocrifo testifica chiaramente l'interpretazione messianica del vaticinio di I. riguardo al parto verginale (Is., VII); ma presenta puritinte di docetismo e gnosticismo, che farebbero escludere la sua origine nel sec. I, come proporrebbe, dopo altri, il Burch. È comunemente accettata l'identificazione del matricida in Nerone, dato come persecutore d'uso dei dodici, cioè di S. Pietro.
Edizioni: Versione etiopica: R. Laurence, Ascensio Isaiae vatis... cum versione latina anglicanaque, Londra 1819, ha pubblicato un unico ms. della Bodleiana (sec. XV), che conteneva l'apocrifo nella Bibbia, tra Isaia canonico e il IV Esdra; A. Dillmann, Ascensio Isaiae aethiopice et latine cum prolegomenis, adnotationibus criticis et exegeticis, additis versionum latinarum reliquiis, Lipsia 1877, che ha messo a frutto altri due mss., pertinenti all'antico monastero abissino di Magdala, e importati nella biblioteca del British Museum nel 1868; R. H. Charles, The Ascension of Isaiah, Londra 1900, ha usato anche, con correzioni non opportune, i frammenti greci. - Frammenti latini: A. Mai, Scriptorum Veterum Nova Collectio, III, 2 (Roma), pp. 236-238, trasse fuori, senza identificarli, due brani sperduti tra mezzo a dispute ariane, dal ms. Vat. lat. 5750: essi concordano con la versione etiopica; I.C.L. Gieseler, Vetus translatio latina visionis Isaiae, Gottinga 1832. - Frammenti greci: B. Grenfell e A. Hunt, The Amherst Papyri, I, The Ascension of Isaiah, Londra 1900, pagine 4-14; O. Gebhardt, Die Ascensio Isaiae als Heiligenlegende aus cod. gr. 1534 der National-Bibliothek zu Paris, in Zeits. wiss. Theol., XXI (1878), pagine 341-353, ha dato in luce una parafrasi dell'apocrifo, annessa a un martirologio del secolo XII, per la festa di S. Isaia, assegnata ai 31 maggio. - Versioni slave: una russa fu pubblicata da un ms. della cattedrale dell'Assunzione di Mosca, del secolo XII, dal Popov, Bibliografičeskie materialy, I (1879), 13-20; una serba, Popov, Opis rukop. Chludova, pp. 414-419, e un'altra serba, Stojanovič; queste concordano con la latina edita ultimamente da Dieseler.
Bibl.: Versione francese con ampia introduzione, E. Tisserant, Ascension d'Isaie, Parigi 1909; M. Haug, Über da Ardaī Virâf-nâmeh (die Visionen des alten Pârsenpriesters Ardâi Wirâf) und seinen angeblichen Zusammenhang mit dem christlichen Apocryphon die Himmelfahrt des Jesaia betitelt, in Sitzungsb. Bayer. Akad., 1870, I, 327-364; K. Clemen, Die Himmelfahrt des Jesaia, ein ältestes Zeugnis für da römische Martyrium des Petrus, in Zeits. wiss. Theol., XXXIX (1896), pp. 388-415; V. Burch, The literary unity of the Ascensio Isaiae, in Jour. theol. stud., XX (1918-19), pp. 17-23; id., Material for the interpretation of Ascensio Isaiae, ibidem, XXI (1919-20), pp. 249-265.