Berlin, Isaiah
Filosofo e storico delle idee inglese, di famiglia ebraica di origine lettone, nato nel 1909 a Riga e cresciuto a Pietrogrado, B. si trasferì in Inghilterra nel 1921 e compì gli studi universitari tra il 1928 e il 1932 a Oxford, dove avrebbe iniziato la sua prestigiosa carriera accademica e dove sarebbe morto nel 1997. Il suo singolare percorso, nel quale, al sovrapporsi di diverse identità culturali (ebraica, russa, anglosassone), si mescolano differenti esperienze formative (tradizione ebraica, letteratura russa e tedesca, filosofia analitica e continentale), si rispecchierà nella produzione berliniana, che – dopo un’iniziale fase di impostazione ‘analitica’ – si orienterà verso la storia delle idee, dando luogo a una saggistica tanto brillante quanto diversificata, il cui frutto più originale e discusso è la teoria del pluralismo.
È in questo orizzonte di ricerca che B. ‘scopre’ M.; o, per meglio dire, è la lettura dell’opera di M. che apre a B. la prospettiva teorica del pluralismo, ossia di una corrente alternativa e minoritaria rispetto alla tradizione monista della cultura occidentale.
È lo stesso B. a confessare che la lettura di M. fu per lui un vero e proprio «shock», perché scosse la sua «vecchia fede» filosofica, incentrata sulla convinzione – largamente dominante nella cultura occidentale, anche se declinata in modi diversi e talora opposti – che fosse comunque possibile comporre i diversi frammenti delle nostre conoscenze e dei nostri valori morali in un disegno unitario, armonico e coerente (On the pursuit of ideal, 1988, trad. it. 1994, pp. 27-28).
La lettura di M. instillò invece in B. «l’idea che non tutti i valori supremi perseguiti dall’umanità, ora e in passato, fossero necessariamente compatibili tra loro», ma che tali valori potessero essere egualmente sacri e ultimi. Di qui il carattere tragico di ogni scelta etica e politica (ma anche il presupposto della tolleranza reciproca e quindi della libertà).
Ma in che senso M. sarebbe all’origine della corrente del pluralismo? B. affronta questo tema in un saggio, The originality of Machiavelli, composto per il Convegno internazionale che si tenne a Firenze nel 1969 in occasione del V centenario della nascita di Machiavelli. La tesi centrale, nell’ultima versione del saggio che aveva avuto una lunga gestazione, è costruita come un contrappunto polemico all’interpretazione di Benedetto Croce, nella quale B. riconosce la più influente delle interpretazioni moderne di Machiavelli. Affermare, come fa Croce, che M. avrebbe scoperto l’autonomia della politica – ossia che la politica è al di qua del bene e male morali – ha senso, secondo B., soltanto presupponendo quel bene e quel male concepiti nei termini di un’etica della coscienza di stampo stoico-cristiano-kantiano.
Esiste però anche un’altra tradizione etica, la veneranda etica della polis, secondo la quale gli uomini sono fatti per vivere in comunità e quindi i loro fini comuni (in senso lato, fini politici) costituiscono i valori ultimi da cui tutto il resto deriva. Ed è a tale etica, secondo B., che M. ispira il suo pensiero. Quindi il Segretario fiorentino non sceglie un regno dei mezzi (chiamato politica) contrapposto a un regno dei fini (chiamato etica), ma opta per un’etica alternativa rispetto a quella dominante, per un regno dei fini classico-pagano diverso e opposto rispetto a quello cristiano. Il punto cruciale, agli occhi di B., è che nel fare ciò M. – a differenza di quanto faranno Thomas Hobbes, Baruch Spinoza e i philosophes settecenteschi – non tenta di criticare o ridefinire le nozioni teoriche della morale corrente per adattarle alla sua concezione, ma si limita a dimostrare come esse siano incompatibili con la fondazione, il mantenimento e lo sviluppo di una comunità politica stabile, forte, gloriosa. Quindi tra le due etiche non vi è alcuna possibilità di compromesso o di conciliazione.
Nello scegliere una delle forme di vita occorre rinunciare ai valori dell’altra: o ci si salva l’anima o si salva lo Stato. Proponendo questa alternativa radicale ai suoi contemporanei, M. – senza esserne consapevole, sottolinea B. – sferra un colpo decisivo alla tradizione monista, ossia alla «credenza secondo la quale è in linea di principio possibile scoprire la soluzione giusta, oggettivamente valida, del problema di come gli uomini debbono vivere» (The originality of Machiavelli, 1972, trad. it. 2000, p. 99): egli infatti riconosce l’esistenza di due concezioni della vita e del destino dell’uomo, entrambe ‘ultime’ ma tra loro incompatibili.
È in questo dualismo di valori che sta la tesi veramente erschreckend (sconvolgente) di M., il pugnale che egli ha conficcato nelle carni dell’Occidente. Il Segretario fiorentino non porta su di sé i segni di quella ferita (nelle sue opere, afferma B. ancora una volta in polemica con Croce, non vi è traccia di angoscia), perché ha fatto la sua scelta per l’etica della città terrena. Ma la ferita rimarrà aperta per tutti coloro che, dopo di lui, non potranno fare a meno di riconoscere le molte verità contenute nella sua opera e che tuttavia avvertiranno come lacerante e insopportabile la rinuncia ai valori della persona della tradizione stoico-cristiano-kantiana.
L’interpretazione di B. non ha avuto particolare eco nella critica machiavelliana. Con essa si è tuttavia confrontato Gennaro Sasso, il quale ha rilevato come B. non abbia affrontato il nodo teorico di fondo della sua ipotesi interpretativa, ossia quello del rapporto tra la politica (o etica politica) di M. e la natura cattiva (da lui ripetutamente ribadita) dei mezzi per realizzare quei fini buoni o fondativi o supremi (Sasso 1993). Da un lato, infatti, sta la struttura generale dell’universo machiavelliano, consistente nell’attribuzione del valore preminente agli interessi della polis; dall’altro lato stanno i mezzi dell’attuazione di quel valore, che possono essere malvagi e che in effetti M. definisce come tali. Ma se le cose stanno così, afferma Sasso, allora l’universo machiavelliano ospita effettivamente un conflitto tra le ragioni della morale e quelle della politica, e quest’ultima, lungi dall’essere il luogo della risoluzione di tale conflitto, è piuttosto il luogo della sua possibilità.
Bibliografia: Three turning-points in political thought, 2. Machiavelli, Storrs Lectures 1962, http://berlin.wolf.ox.ac.uk/lists/nachlass/machiavelli.pdf (13 maggio 2013); The originality of Machiavelli, in Studies on Machiavelli, a cura di M.P. Gilmore, Firenze 1972 (trad. it. L’originalità di Machiavelli, in Id. Controcorrente, Milano 2000, pp. 39-117); On the pursuit of ideal (1988), in The crooked timber of umanity. Chapters in the history of ideas, London 1990 (trad. it. La ricerca dell’ideale, in Il legno storto dell’umanità. Capitoli di storia delle idee, Milano 1994, pp. 17-42).
Per gli studi critici si vedano: G. Sasso, Niccolò Machiavelli, 1° vol., Il pensiero politico, Bologna 1993, pp. 473-77; A.E. Baldini, Berlin e Machiavelli, «Il pensiero politico», 1998, 31, pp. 125-29; D. Marini, Isaiah Berlin e il suo ‘inconsapevole’ Machiavelli controcorrente, Firenze 2008; G. Manselli, Isaiah Berlin e lo scioccante pluralismo di Machiavelli, in Anglo-American faces of Machiavelli. Machiavelli e machiavellismi nella cultura anglo-americana, a cura di A. Arienzo, G. Borrelli, Monza 2009, pp. 457-85.