Vedi ISCHIA dell'anno: 1961 - 1973 - 1995
ISCHIA (v. vol. iv, p. 224)
Le ricerche archeologiche nell'area dell'antica Pithecusa sono state proseguite con lo scavo di un altro tratto della necropoli, che ha portato il numero complessivo delle tombe finora scoperte a oltre 1.000. Lo scavo di uno scarico sulle pendici orientali dell'acropoli, contenente materiale che si estende dalla civiltà appenninica dell'Età del Bronzo fino al II sec. a. C., e quello di un deposito votivo dell'ultirno venticinquennio del VII sec. a. C., hanno ulteriormente allargato la conoscenza della prima colonia euboica in Occidente. Recentemente si è aggiunta la scoperta di una zona abitata durante l'VIII e VII sec. a. C., situata sulla collina di Mezzavia, dirimpetto all'acropoli di Monte di Vico. Gli scavi in corso, iniziati nel 1969, stanno mettendo in luce case del periodo geometrico insieme ad abbondante ceramica, tra cui anche frammenti di vasi con decorazione figurata, sovrapposte a un abitato della civiltà appenninica dell'Età del Bronzo.
Anche nella zona di recente esplorata della necropoli, che dista circa 80 m verso SE da quella precedentemente scavata, la grande maggioranza delle sepolture è costituita da tombe dell'VIII-VII sec. a. C., degli stessi tipi già noti: a cremazione con tumulo di pietre e a inumazione in fossa, per lo più con cassa di legno e, per i bambini neonati, a enchytrismòs. La ceramica greca più antica rinvenuta a Pithecusa rimane, allo stato attuale delle nostre conoscenze, quella della fase caratterizzata dalle kotölai del tipo Aetos 666, che precede la comparsa degli aröballoi globulari protocorinzi. Le tombe di questa fase, scarsamente rappresentate nell'area precedentemente esplorata, sono peraltro prevalenti in quella scavata negli anni 1965-1967, e abbondante è la ceramica della stessa fase nello scarico dell'acropoli. Ne consegne che in quel periodo la colonia era già saldamente impiantata, con una popolazione relativamente numerosa. Mancano invece finora a Pithecusa le cosiddette coppe cicladiche o sköphoi à chevron, cioè le tazze biansate con fascia a chevron, dipinti con pennello multiplo nella zona tra le anse, di cui sono da lungo tempo noti i due esemplari provenienti dalla necropoli indigena di Cuma, mentre altri sono apparsi recentemente in numero crescente nelle necropoli di Veio, Capua e Pontecagnano (v. lo studio esauriente di D. Ridgway, in Stud. Etr., xxxv, 1968; per Capua: W. Johannowsky, in Dialoghi di Arch., i, 2, 1967); gli esemplari di Pontecagnano (Salerno) sono tuttora inediti (ne accenna B. d'Agostino, in Dialoghi di Arch., i, 1, p. 31, n. 12). indubbiamente gli sköphoi à chevron appartengono a una fase del Geometrico medio precedente la comparsa della più antica kotöle protocorinzia. Soltanto proseguendo le ricerche ad I. si può sperare di poter chiarire un giorno se la fondazione di Pithecusa sia realmente posteriore al tempo in cui queste coppe furono in uso, e la loro diffusione nelle necropoli indigene dell'Italia centro-meridionale indichi quindi la esistenza di scambi commerciali precoloniali (Johannowsky, art. cit.), oppure se la loro assenza tra il materiale finora rinvenuto ad I. sia dovuta più semplicemente alla circostanza che non sono state ancora trovate le tombe più antiche.
La migliore conoscenza della ceramica geometrica di Eretria e Calcide, dovuta agli studi di John Boardman (British School Athens, 47, 1952; 52, 1957) ed ai recenti scavi britannici a Lefkandi e svizzeri a Eretria, ha permesso di riconoscere un contingente di vasellame importato dalla madrepatria dei coloni pithecusani. Particolarmente caratteristiche sono le kotölai con fila di uccelli, di ispirazione protocorinzia, che si distinguono per avere, all'esterno come all'interno del vaso, delle singole linee orizzontali suddipinte in bianco (G. Buchuer, in Atti III Convegno Magna Grecia, Taranto 1963, p. 268 e fig. 1 c, d), conosciute finora, oltre che dall'Eubea, soltanto da I. e da al Mina. Nella voce Ischia di questa Enciclopedia era stato attribuito a Creta un gruppo, molto frequente, che comprende esclusivamente piccoli vasi chiusi, aröballoi e lèkythoi, prima conosciuto soltanto da Cuma, seguendo la classificazione fattane dal Payne, seguito a sua volta dal Blakeway e dal Dunbabin. Questa attribuzione va senz'altro corretta, dal momento che nulla di veramente analogo si conosce in realtà da Creta. È stata avanzata l'ipotesi che si tratti piuttosto di una fabbrica euboica o, più generalmente, eubeocicladica (Buchuer, art. cit., p. 268 s. e fig. 3 a-f, 4; J. N. Coldstream, Greek Geometric Pottery, Londra 1968, pp. 191; 194 ss.).
Si è accresciuto di molto il numero di vasi con decorazione geometrica figurata, tanto dalla necropoli quanto dall'acropoli, anche se non si tratta di rappresentazioni così complesse come quella del cratere del naufragio (il disegno di quest'ultimo, in origine pubblicato in Röm. Mitt., lx-lxi, 1953-54, fig. 1 a p. 42, è da sostituire ora con quello riprodotto per la prima volta in Expedition, 8, 4, 1966, fig. a p. 8, che comprende alcuni nuovi frammenti e apporta qualche lieve correzione). All'Eubea può essere attribuita una grande anfora con collo a tronco di cono rovesciato e piede conico che presenta un pannello con un leone, o forse meglio lupo, dalle grandi fauci spalancate; corinzio geometrico è un kàntharos con fila di cavalli preceduti da un uomo che li conduce a cavezza; per altri esempî sembra ancora prematuro voler stabilire in quale misura si tratti di prodotti di fabbrica locale o importati. Tra il materiale dell'acropoli sono da notare specialmente frammenti di grandi crateri, su cui è frequente il motivo del cavallo legato alla mangiatoia, con lo spazio sopra il dorso riempito da un'ascia bipenne. Ancora dall'acropoli proviene un collo di anfora con l'impronta di un sigillo greco geometrico rappresentante Aiace che porta sulle spalle il corpo esanime di Achille (Expedition, 8, 4, 1966, fig. a p. 11). Con impronte della medesima matrice è decorato un pìnax rinvenuto a Samo (Ath. Mitt., lxi, 1941, tav. 11, 416 = R. Hampe, Frühgriechische Sagenbilder, tav. 34 e p. 72, fig. 31).
I primi esempî di coroplastica locale dell'ultimo venticinquennio del VII sec. a. C. provengono invece da un deposito votivo rinvenuto nel 1966 ai piedi della collina di Mezzavia, distante circa 350 m in linea d'aria dai piedi dell'acropoli. Si trattava di un pozzetto poco profondo riempito di terra nera carboniosa, contenente abbondante materiale di terracotta, tutto bruciato e appartenente ad un singolo sacrificio, tra cui statuette di cavalli e di muli, modelli di carri e di barche, frammenti di un cratere con statuette di donne piangenti sull'orlo, vasellame di fabbricazione locale e corinzio, quest'ultimo appartenente al periodo di Transizione e al Corinzio Antico.
Notevolmente aumentato è il materiale di origine orientale dell'VIII sec. a. C. Il numero di sigilli scaraboidi, noti ormai con il nome di Lyre-player Group, è salito da 18, quanto erano stati rinvenuti al momento della compilazione della voce Ischia di questa Enciclopedia, a 87, di cui 38 pubblicati (Bucimer e Boardman, Jahrbuch, lxxxi, 1966) e 47, trovati durante le campagne di scavo del 1966 e 1967, ancora inediti (il numero complessivo degli esemplari provenienti da altre località, noti e catalogati dagli autori dello studio citato, ammonta a 126). Per quanto riguarda i sigilli di questo gruppo rinvenuti in altre località d'Italia, sono da aggiungere a quello da Falerii altri quattro esemplari dall'Etruria e uno da Cuma. L'analisi del loro repertorio iconografico indica che essi appartengono all'ambiente dei rilievi neohittiti. Tutti i principali soggetti trovano infatti confronti a Karatepe, Zincirli, Tell Halaf, ecc.
Non manca, anche se è più rara, la ceramica proveniente dal Vicino Oriente, tra cui è da menzionare un aröballos dal collo configurato a testa femminile, da una tomba dell'ultimo venticinquennio dell'VIII sec. appartenente a qualche centro di fabbricazione non ancora meglio identificabile della Siria. Se ne conoscono altre due repliche, conservate peraltro in maniera molto più frammentaria, trovate una a Tarso (H. Goldman ed altri, Tarsus, iii, The Iron Age, 1963, fig. 155, 21 a, b, c, testo a p. 333 s., 340), l'altra a Zincirli (F. von Luschan - W. Andreae, Ausgrabungen in sendschirli, v, in Die Kleinfunde, 1943, tav. 34 c e fig. 48, p. 47. Il pezzo è stato considerato cipriota dall'Andreae e dal Gjerstad, Swedish Cyprus Expedition, iv, 2, p. 257, ma questa attribuzione è certamente erronea. Ad essa è dovuta l'affermazione, nella voce Ischia di questa Enciclopedia, della presenza di materiale cipriota a Pithecusa, che va pertanto corretta). A una ben nota classe di ceramica fenicia appartiene una bottiglia trovata in una tomba ad inumazione associata con uno sköphos protocorinzio di tipo Thapsos di fase avanzata, senza pannello (Buchner, in Atti III Convegno Magna Grecia, Taranto 1963, fig. 6 a; cfr. P. Cintas, Céramique Punique, 1950, p. 87, n. 65, tav. lxxiv).
Sono presenti anche oggetti provenienti da altre regioni dell'Italia stessa. Per quanto riguarda l'anforetta etrusca con doppia spirale incisa, già ricordata, v. ora la riproduzione dell'intero corredo, comprendente tra l'altro un aröballos globulare e una kotöle protocorinzî (Atti VI Congr. Internaz. Scienze Preistor. e Protostor., Roma 1962, iii, 1966, tav. iii, 2). Di ceramica geometrica àpula, oltre ai frammenti di un vaso già riprodotti (ibid., p. 10 e tav. xcix, 2 e Atti III Convegno Magna Grecia, Taranto 1963, p. 272 e fig. 6 b), sono stati rinvenuti alcuni altri esempî negli scavi recenti della necropoli e nello scarico dell'acropoli.
Per le fibule vedi Atti VI Congr. Internaz. Scienze Preistor. e Protostor., Roma 1962, iii, 1966, p. 8 s. e tav. ii e iii, 1.
Che la fondazione di Pithecusa abbia avuto principalmente ragioni di carattere commerciale e che sia stato più precisamente il desiderio di assicurarsi un conveniente punto d'appoggio e di smistamento per il commercio dei metalli e particolarmente del ferro, della Toscana e dell'isola d'Elba, a spingere gli Eubei ad insediarsi in una piccola isola così lontana che non poteva offrire considerevoli risorse agricole, è stato già supposto dal Dunbabin (The Western Greeks, 1948, p. 3 ss.) quando I. era ancora del tutto sconosciuta dal punto di vista archeologico. Lo stesso concetto è stato poi maggiormente ribadito, dopo che gli scavi avevano rivelato, nelle tombe pithecusane dell'VII sec. a. C., la presenza di materiali importati da tanti differenti e lontani centri di fabbricazione, che non trova riscontro in altre necropoli greche contemporanee (Buchner, in Atti VI Congr. Inter. Scienze Preistor. e Protostor., Roma 1962, iii, 1966, p. 7 s.; id., in Atti III Convegno... Taranto 1963, p. 237 s.; Boardman, The Greeks Overseas, 1964, p. 176 s.; Humphreys, in Riv. Storica Ital., lxxvii, 1965, p. 425. Di avviso contrario invece R. M. Cook, in Historia, xi, 1962, p. 113 s.; A. C. Woodhead, The Greeks in the West, 1962, p. 33; A. J. Graham, Colony and Mother City in Ancient Greece, 1964, p. 219).
Lo scarico sull'acropoli, scavato nel 1965, ha fornito ora la testimonianza tangibile dell'esistenza a Pithecusa di una industria siderurgica, alimentata da materia prima elbana. Vi sono stati trovati, infatti, numerose scorie e spugne di ferro, frammenti delle caratteristiche bocche di mantice di forno siderurgico, in terracotta (v. Dialoghi di Arch., iii, 1969), il fondo di un crogiolo con scorie di ferro attaccate e un frammento di rninerale allo stato naturale, proveniente con sicurezza dall'isola d'Elba e precisamente dalle Miniere di Rio, situate a monte del paese di Rio Marina (determinazione dovuta al prof. G. Marinelli, Direttore dell'Istituto di Mineralogia dell'Università di Pisa). Il deposito da cui provengono questi avanzi non è stratificato, ma si tratta di uno scarico secondario che contiene alla rinfusa materiale dall'Età del Bronzo fino al II sec. a. C. Fortunatamente, però, è stata rinvenuta una scoria di ferro sporadica anche nella necropoli, nello strato più profondo che conteneva soltanto materiale dell'VIII sec. a. C., senza alcuna intrusione posteriore (Buchner, Expedition, 8, 4, 1966, p. 12). Numerose scorie e spugne di ferro si rinvengono anche negli scavi attualmente in corso (1969) dell'abitato greco dell'VIII e VII sec. a. C. sulla collina di Mezzavia.
In cambio del minerale di ferro e del ferro grezzo gli Eubei dovettero fornire agli Etruschi principalmente oggetti artistici ed altra merce di lusso orientale. Come hanno dimostrato le ricerche di John Boardman, l'emporion greco di al Mina alla foce dell'Oronte, fin dalla sua fondazione verso gli inizî dell'VIII sec. a. C. e per tutta la durata dello stesso, è stato prevalentemente nelle mani di mercanti eubei (Boardman, Early Euboean Pottery and History, in British School Athens, 52, 1957; id., The Greeks Overseas, 1964, p. 61 ss.), che mantenevano dunque con I. e al Mina un punto d'appoggio alle due estremità della via commerciale tra l'Etruria e il Vicino Oriente.
Bibl.: S. Brunnsåker, The Pithecusan Shipwreck, in Opusc. Rom., IV, 1962, pp. 165-242; R. M. Cook, Reasons for the foundation of Ischia and Cumae, in Historia, XI, 1962, pp. 113-114; G. Buchner, Relazioni tra la necropoli greca di Pithecusa e la civiltà italica ed etrusca dell'VIII sec., in Atti VI Congr. Inter. Scienze Preistoriche e Protost., Roma 1962, III, 1966, pp. 7-11; id., in Metropoli e Colonie di Magna Grecia, in Atti III Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1963, 1964, pp. 263-274; J. Boardman, The Greeks Overseas, Londra 1964, pp. 176 ss.; S. C. Humphreys, Il commercio in quanto motivo della colonizzazione greca dell'Italia e della Sicilia, in Riv. Stor. Ital., LXXVII, 1965, pp. 421-433; G. Buchner, Pithekoussai: oldest Greek colony in the West, in Expedition, 8, 4, Summer 1966, pp. 4-12; A. D. Trendall, Archaeology in South Italy and Sicily, 1964-66, in Arch. Reports for 1966-67, pp. 30 ss.; W. Johannowsky, Problemi relativi alla "precolonizzazione" in Campania, in Dialoghi di Arch., I, 2, 1967, pp. 159-185; D. Ridgway, Coppe cicladiche da Veio, in Stud. Etr., XXXV, 1968, pp. 311-319; G. Buchner, Mostra degli scavi di Pithecusa, in Dialoghi di Archeologia, III, 1969, 1-2, pp. 85 ss. Sull'iscrizione della "coppa di Nestore": W. Schadewaldt, Von Homers Welt und Werk3, Stoccarda 1959, pp. 413-416; M. Guarducci, Nuove Osservazioni sull'epigrafe della "Coppa di Nestore", in Rend. Linc., 1961, pp. 3-7; L. H. Jeffery, Local Scripts of Archaic Greece, Oxford 1961, pp. 45; 235 s.; H. Metzger, Sur la date du graffite de la "coupe de Nestor", in Rev. Et. Anc., LXVII, 1965, pp. 301-305; M. Guarducci, Epigrafia Greca, I, Roma 1967, pp. 225-227.