ISFAHAN
Città capoluogo dell'omonima provincia al centro dell'Iran, nell'ampio bacino dello Zayānda Rūd. Di antichissima quanto confusa origine - si identifica forse con la ᾽Ασπάδανα ricordata da Tolomeo (Cosmographia, VII) -, I. sembra potersi connettere, sebbene senza documentazione, alla dinastia achemenide (secc. 6°-4° a.C.); a partire dal periodo sasanide (sec. 4°-5°) se ne possono ricostruire, sia pure con gravi lacune, le fasi di crescita, tutte caratterizzate da una singolare continuità di espressioni artistiche, sia pur non equamente testimoniate da resti significativi, anche per mancanza di sistematiche ricerche.L'insediamento originario, conosciuto come Jay o Shahristān ('la città per eccellenza'), si fuse dapprima con un vicino, piccolo centro di fondazione ebraica, detto Yahūdiyya; successivamente lo sviluppo di I. coinvolse altri centri minori, estendendo il territorio non verso il fiume a S-O bensì verso N-N-E. Pochi sono i resti architettonici che possano riferirsi a questi primi periodi: dell'insediamento ebraico si ricordano, benché ampiamente manomessi, la sinagoga, il santuario dedicato a Esther Khātūn (con una bella anta di pietra finemente incisa) e il cimitero, tutti a Linjān, piccolo centro a km. 25 verso S-O. Del tardo periodo sasanide si segnalano: i resti monumentali in mattoni crudi, forse appartenenti a un āteshkāda ('tempio del fuoco'), sulla collina di Garladan, alla periferia ovest della città; la parte inferiore e le pile del ponte di Shahristān, dalla pianta fortemente arcuata, con la convessità a monte (si tratta forse di un ponte-diga come quello di Shushtar); due capitelli in pietra di ornamentazione classica che almeno sino al 1975 giacevano nel giardino del padiglione safavide di Chihil Sutūn.I., il cui toponimo neopersiano Sepahān ('le armate') lascia supporre l'esistenza di una guarnigione sasanide, venne conquistata dalle truppe arabo-islamiche di Abū Mūsā al-Ash῾arī tra il 640 e il 642. Vario fu il comportamento della popolazione zoroastriana: parte si adeguò alle nuove leggi, parte si rifugiò nelle montagne vicine (Qal῾a-yi Rustam, Bafram), mentre il grosso dell'apparato religioso e politico sasanide iniziò la lenta emigrazione che lo portò sino in India.La città, passata inizialmente nell'orbita del califfato abbaside, nel corso della sua storia assurse a particolare importanza politica e artistica sotto tre differenti dinastie musulmane: i Buyidi (ca. 935-1030), i Selgiuqidi (ca. 1038-1194) e infine i Safavidi (ca. 1501-1722); ma anche nei periodi di minore fortuna, e persino in occasione di eventi tragici, I. conservò un notevole livello di dignità artistica e una grande capacità di iranizzare qualsiasi corrente culturale con cui fosse venuta in contatto. Mantenne in tal modo inalterata per secoli la propria caratteristica di città-modello per l'intera regione; in particolare verso il Nord-Est, attraverso l'od. Afghanistan e sfruttando spesso le grandi vie carovaniere e di pellegrinaggio, verso l'India e il golfo del Bengala.Poiché quasi tutti gli edifici civili dei primi secoli dell'Islam sono scomparsi da tempo, le testimonianze si riferiscono principalmente a edifici religiosi: va sottolineato però che se la particolare destinazione ha garantito nel tempo la sopravvivenza fisica di quegli edifici, ne ha per altro verso consentito e spesso favorito anche modifiche e ampie manomissioni, che rendono oggi più ardua una precisa valutazione della loro reale importanza artistica.Al periodo islamico più antico (seconda metà sec. 8°) appartiene la prima moschea del Venerdì o moschea congregazionale, nel quartiere di Yahūdiyya: eretta, secondo la tradizione, da coloni arabi del villaggio di Tiran presso I. e già combattenti dell'armata d'invasione, fu costruita in mattoni crudi ed era molto più piccola di quella attuale. Era però riccamente decorata con magnifici stucchi recentemente posti in luce, che possono collocarsi tra gli esempi tardosasanidi tramandati da Dāmghān e Ctesifonte e quelli islamico-siriaci di Raqqa.Risale al periodo abbaside più maturo (840) la costruzione della seconda moschea, sorta esattamente sui resti della precedente ma con ampia correzione dell'orientamento della qibla. Al sec. 10°, sotto la dinastia sciita dei Buyidi, provenienti dal Daylām, sono databili la moschea Jurjir - poi scomparsa sotto le strutture della safavide moschea di Ḥakīm, salvo che per il portale, posto in luce nel 1955 - e gli estesi ampliamenti e abbellimenti nella citata seconda moschea del Venerdì, individuati tra il 1972 e il 1975 nel corso dei restauri. La scoperta e le analisi tecnico-stilistiche di quei resti architettonici hanno fatto retrodatare di un secolo la comparsa in Iran della decorazione c.d. a intreccio di mattoni a vista, che si riteneva attribuibile al periodo selgiuqide, ovvero tra la fine del sec. 11° e la metà del successivo. Al medesimo periodo di transizione, ancora oggi malnoto, tra l'epoca abbaside e selgiuqide si devono datare i resti, visibili sino al 1936-1937, del Qal῾a-yi Tabarak, cittadella fortificata e circondata da fossato, costruita in mattoni crudi da Fakhr al-Dawla nel quadrante N-E della città; lo stesso vale per una vasta muṣallā (luogo di preghiera collettiva all'aperto, generalmente posto al di fuori delle mura), a S-E, individuata nel 1972.Completamente scomparsa è anche la cinta urbana, lunga 21.000 passi e fornita di ben dodici porte, secondo la pianta tracciata nel sec. 19° da Coste (1867). In quello stesso periodo insegnava a I. il medico e filosofo Avicenna (Ibn Sīnā, 980-1037) nella sala cupolata ancora visibile nel quartiere di Babul Dasht (od. Dardasht).Intorno al 1050 I. e l'intera Persia entrarono nell'orbita della dinastia d'origine turca dei Selgiuqidi, che professavano il credo sunnita. Toghril Beg occupò la città e ne confermò la funzione di capitale; benché stremata dal lungo assedio, I. riacquistò ben presto il proprio aspetto. Nel 1052 il viaggiatore Nāṣir-i Khusraw descrisse nel Safarnāma (Lockhart, 1939, p. 15) la città come circondata da belle mura e priva di rovine: essa si era infatti ingrandita e per la prima volta dalle sue origini si estendeva anche verso il fiume; al primo periodo selgiuqide risale infatti la costruzione della moschea di Jay, nei pressi dell'antico ponte di Shahristān, modificato per l'occasione. I pochi resti della sala colonnata e delle strutture di difesa dalle acque del fiume sono stati casualmente posti in luce negli anni Settanta, ma non si è mai proceduto a scavi sistematici. Nello stesso tempo, la Grande moschea del Venerdì, già ampliata dai Buyidi, venne radicalmente trasformata mediante l'inserimento di due grandi edifici cupolati: uno collocato in corrispondenza e a protezione del miḥrāb, l'altro - all'estremo opposto della corte, verso N - di non chiara funzione cerimoniale. Entrambi vennero eretti tra il 1080 e il 1090 da due potenti ministri del sovrano selgiuqide Malik Shāh, rispettivamente Niẓām al-Mulk e Tāj al-Mulk. L'intera moschea, attraverso la successiva costruzione, riferibile a Sulṭān Sanjar (ca. 1118), di quattro grandi īvān aperti verso la corte, assunse per la prima volta il caratteristico aspetto di doppia assialità che venne in seguito codificato con il nome di 'moschea a quattro īvān', riallacciandosi a più antiche tipologie iraniche. Il modello tipologico della moschea di I. venne ben presto imitato in altre moschee più o meno vicine alla capitale, come a Zavāra (eretta tra il 1135 e il 1156) o ad Ardistān (ca. 1158). Recenti ricerche hanno smentito una teoria avanzata da A. Godard (1936; 1937; 1938) secondo la quale i Selgiuqidi avrebbero costruito per un lungo periodo soltanto santuari isolati, le c.d. moschee-chiosco, come elaborazione dell'antico tipo iranico del chahār ṭāq ('tetrapilo'), solo successivamente inglobati in edifici più ampi, nella forma di moschee a quattro īvān. Nel periodo selgiuqide, in cui venne ripresa e generalizzata la pratica della decorazione parietale - il gioco a intreccio di mattoni a vista ereditato dai Buyidi -, vennero eretti numerosi minareti, non necessariamente collegati a una moschea, a fusto troncoconico: a Gulpaygān (1038), a Gar (1121-1122), a Sīn (1131-1132), dove compare per la prima volta in Iran un'iscrizione in caratteri cufici di mattoni smaltati di color turchese, e, in città, i minareti Chihil Dukhtarān (1107), Sāribān (1155-1156), Sha῾iyya, il Guldashta, il Manār ῾ālī, tutti del 12° secolo.Ancora controverse rimangono la datazione e la configurazione nel tessuto cittadino della perduta Maydān Kuhna ('piazza vecchia'), in prossimità della Grande moschea, tradizionalmente attribuita ai Selgiuqidi che vi avevano concentrato un buon numero di importanti edifici pubblici, conosciuti purtroppo solo attraverso le fonti letterarie.La conquista della Persia da parte degli Ilkhanidi (1220-1353) influì in misura rilevante sulla forma e la decorazione degli edifici religiosi, che però rimasero collegati, senza scosse eccessive, alle precedenti manifestazioni artistiche. Nella regione di I., in particolare, si registrano due fenomeni di notevole interesse: da un lato l'abbondanza di casi di appropriazione politica di monumenti preesistenti, una sorta di damnatio memoriae non distruttiva, indice a sua volta di una certa fretta colonizzatrice e quindi di particolare evidenza nelle zone rurali e meno popolate della regione, come testimoniano le moschee a Gar (1290), a Gaz (ca. 1315), a Dashtī (1353); dall'altro lato si registra la crescente maestria degli artigiani nella calligrafia monumentale e soprattutto nella decorazione in stucco scolpito. Tale maestria raggiunse il suo apice nel finissimo miḥrāb commissionato dal sovrano ilkhanide Muḥammad Khudābanda Öljeytü (1304-1317; il costruttore del mausoleo di Sulṭāniyya) per la moschea del Venerdì e datato 1310. Sempre in città, si segnalano alcuni interessanti mausolei, come la tomba di Abū ῾Abdullāh Suqla a Garladan (1314-1315) - più nota per i suoi goffi e più volte ricostruiti 'minareti tremanti' - l'Imāmzāda Ja῾far (1324-1325) e la tomba di Bāba Qāsim (1340-1341). Particolarmente interessante risulta il complesso edificio noto come Pīr-i Bakran (1303-1304) a Linjān: purtroppo ancora inedito malgrado i delicati interventi di restauro degli anni Settanta, esso costituisce un compendio dell'arte ilkhanide sia dal punto di vista architettonico (un maestoso īvān precede un modesto ambiente sepolcrale voltato) sia da quello decorativo (vaste superfici a motivi geometrici di mattoni e gesso, stucchi di particolare eleganza, muqarnas raffinati, mosaico e mattonelle di ceramica e persino un insolito erbario quale tema dominante di un dipinto parietale).Anche nel confuso periodo politico che vide la fine degli Ilkhanidi e precedette l'assalto da parte di Tīmūr (Tamerlano, 1370-1405) e benché provata ancora una volta da violenze e carestia, I. conobbe un momento favorevole alle arti per merito dei Muzaffaridi (ca. 1355-1387), come testimoniano alcune madrase e alcuni mausolei, l'impiego sempre più diffuso della decorazione architettonica in piastrelle e mosaici ceramici e un ulteriore ampliamento delle Grande moschea lungo il lato est, verso l'antica piazza.Durante il periodo timuride proprio a I. gli interventi compiuti tra la fine del sec. 14° e la seconda metà del 15°, pur sempre nel segno della continuità con il passato, rappresentano l'indubbia base di partenza culturale e stilistica del successivo salto qualitativo: quello che sotto i Safavidi vide realizzarsi in tutte le arti la sintesi di immagine scenica, abilità costruttiva, fulgore decorativo.
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