Vedi ISIDE dell'anno: 1961 - 1995
ISIDE (v. vol. IV, p. 235)
La più famosa delle divinità egiziane è attestata relativamente tardi: la presenza del nome della dea nell'onomastica delle prime dinastie non è certa, per cui le prime menzioni sicure non sono anteriori ai Testi delle Piramidi (V dinastia); ancora più tarde le prime rappresentazioni figurate: I. compare, associata con Nefti, su alcuni sarcofagi del Medio Regno, ciascuna dea su uno dei lati corti della cassa lignea, secondo l'iconografia della veglia a Osiride, con le dee alla testa e ai piedi del letto funebre. Queste prime rappresentazioni sono assai schematiche; le prime iconografie compiute non risalgono oltre la XVIII dinastia. L'esiguità della documentazione disponibile per le epoche più antiche è comunque imputabile a fattori puramente casuali, come attesta una stele, ora al Metropolitan Museum di New York, trovata in una tomba di Kom el-Ahmar (antica Nechen) della XIII dinastia: in essa il dedicante narra della sua missione alla residenza reale, nel luogo dell'odierna el-Lišt, per ritirare e trasportare a Nechen le due statue del dio Horus di Nechen e di sua madre I. eseguite negli ateliers del palazzo e destinate al tempio della sua città.
Il quadro della grande statuaria della dea, attestata a partire dalla XVIII dinastia, non è molto ricco, ed è complicato dal problema della distinzione tra le iconografie di I. e quelle di altre divinità affini (Ḥatḥor e Mut, in primo luogo) o delle regine, che si rifacevano esplicitamente ai modelli divini: un chiaro esempio di questa problematica è costituito da una bella statua in basanite, conservata a Torino (inv. 694) e proveniente da Koptos, raffigurante una dea stante; comunemente ritenuta una rappresentazione della dea, di recente è stata reinterpretata come un ritratto della regina Teye, moglie di Amenophis III, raffigurata come Iside. Che si tratti della dea o della regina in veste di dea, la statua torinese rappresenta comunque una delle iconografie isiache più diffuse, oltre a essere uno degli esemplari databili più antichi. La dea stante compare anche in triadi (con il faraone e un'altra dea: cfr., p.es., il gruppo in granito da Koptos, con Ramesse II e Ḥatḥor, Il Cairo CG 555; o con Osiride e Nefti, Il Cairo CG 39220, XXX dinastia). In un'altra tipologia è rappresentata in trono (Il Cairo CG 38884, XXVI dinastia). Il dato comune a queste grandi rappresentazioni è l'impersonalità dell'iconografia che, limitandosi a evidenziare la ieraticità della figura divina, non presenta connessioni evidenti con nessuna delle funzioni attribuite alla dea nel pantheon divino: si veda il già citato gruppo di Ramesse II, dove nulla, se non l'iscrizione, permette di distinguere I. da Ḥatḥor.
Diverso è il quadro fornito dalle rappresentazioni nei bassorilievi e nelle pitture di templi e tombe, nelle vignette dei papiri e, soprattutto, nella ricca produzione di bronzetti votivi d'età tarda, così come nella piccola statuaria in generale. La gamma iconografica è qui molto più varia e permette di distinguere tra rappresentazioni antropomorfe e zoomorfe. Nel primo gruppo, oltre ai tipi già citati per la grande statuaria, le tipologie più diffuse sono connesse ai ruoli svolti da I. nell'ambito del ciclo osiriaco: come moglie di Osiride, le iconografie più comuni sono pertanto quelle che ne evidenziano la funzione di protettrice con braccia e ali allargate (famosa la statuetta in legno dorato, proveniente dalla tomba di Tutankhamon, Il Cairo CG 455) o di lamentatrice, seduta con le ginocchia sotto il corpo e mano alla bocca, nell'atto di emettere il tipico urlo modulato (cfr. la statuetta lignea del Pelizaeus Museum di Hildesheim, inv. 1584, XXVI dinastia); per quanto riguarda invece il ruolo di I. come madre di Horus l'iconografia più diffusa è quella della dea in atto di allattare Horus bambino (v. anche arpocrate), nelle due varianti: seduta su un trono cubico, dallo schienale basso o del tutto privo di schienale, oppure stante, con la mano al seno nel gesto di porgerlo a Horus, anch'egli rappresentato in piedi: si tratta di un'iconografia nota essenzialmente attraverso documenti tardi, benché abbia precedenti molto antichi, seppure riferiti ad altre dee (cfr. p.es. un rilievo dal monumento funebre di Sahura, della V dinastia, raffigurante il faraone in piedi, a cui una dea non identificabile porge il seno; o le scene della teogamia e della nascita divina nel tempio di Hatshepsut a Deir el-Bahrl). Un'attestazione indiretta dell'esistenza di questa tipologia anche nella grande statuaria è la statua del Louvre E 7826, raffigurante la divina adoratrice Shepenupet II (XXV dinastia) rappresentata come I., seduta in trono in atto di allattare.
Non rare sono anche alcune rappresentazioni teriomorfe di I., in particolare come uccello (insieme a Nefti, in relazione alla funzione di lamentatrice) e come serpente (punto di partenza dell'iconografia ellenistica di I. e Serapide come 'Αγαθἡ Τύχη e 'Αγαθὁς Δαίμων). Altre iconografie (come vacca, scorpione, ippopotamo, ecc.) derivano per lo più dalle assimilazioni tarde con altre divinità femminili (Ḥatḥor, Selket, ecc.).
In età greco-romana l'evoluzione conclusiva dei processi sincretistici già in atto nell'età tarda fa di I., ormai, una divinità cosmica reggitrice dell'ordine celeste e terrestre, che riunisce in sé le caratteristiche e gli attributi di innumerevoli divinità femminili a lei assimilate (la dea «dai mille nomi»). In questa nuova elaborazione, gli aspetti - e le iconografie a essa connesse - più legati alla riflessione teologica autoctona e meno universali vengono trascurati dalla reinterpretazione ellenistica, che recepisce invece, con grande favore, la funzione materna di I., ereditando e arricchendo l'iconografia della dea che allatta, e la sua vocazione agraria e fecondatrice. Da qui il grande sviluppo impresso alle iconografie di I.-Thermuti - derivate dall'assimilazione tra I. e l'antica dea delle messi Renenet (v.), contaminate con gli attributi della greca Demetra - e I.-Sothi.
Bibl.: G. Vanderbeek, De Interpretatio Graeca van de Isisfigur, Lovanio 1946; H. W. Müller, Isis mit dem Horuskinde. Ein Beitrag zur Ikonographie der stillenden Gottesmutter im hellenistischen und römischen Ägypten, in Müjb, XIV, 1963, pp. 7-38; M. Münster, Untersuchungen zur Göttin Isis (MÄS, XI), Berlino 1968; I. Bergman, Ich bin Isis, Uppsala 1968; L. Vidman, Isis und Sarapis bei den Griechen und Römern, Berlino 1970; J. Leclant, Inventaire bibliographique des Isiaca, Leida 1972-1974; F. Dunand, Le culte d'Isis dans le bassin orientale de la Méditerranée, I, Leida 1973; R· Krauss, in LA, III, 1980, cc. 186-203, s.v. Isis; S. Curto, Una statua di dea con diadema di Hathor nel Museo Egizio di Torino, in Studi di Archeologia (dedicati a P. Barocelli), Torino 1980, pp. 15-20; Ch. Desroches-Noblecourt, Isis-Sothis - le chien, la vigne - et la tradition millénaire, Livre du Centenaire 1880-1980, Il Cairo 1980, pp. 15-24; G. Hölbl, Verherung ägyptischer Götter im Ausland, in LA, VI, 1985, cc. 920-969, con ricchissima bibliografia relativa a I. nel mondo greco-romano.