BIANCHI, Isidoro
Nacque a Cremona nel 1731 e venne battezzato col nome di Pietro Martire. Suo padre era sarto e la famiglia povera. Frequentò le scuole dei gesuiti e si accese "d'una singolar passione per le lettere latine" che sfogò scrivendo gran numero di eleganti epistole sui suoi entusiasmi letterari e sui suoi amori, indirizzandole ad amici vicini e lontani (tra i quali G. Tiraboschi e A. Rubbi). Nel 1756 decise di farsi frate. Insieme col condiscepolo suo Clemente Biagi, destinato anch'egli a diventare antiquario e polemista, entrò nell'Ordine dei camaldolesi, accettando questo anche giovani senza dotazione alcuna e promettendo loro una vita tutta consacrata agli studi. Scelto il nome di Isidoro e compiuto il noviziato a Cremona, passò al monastero di Classe a Ravenna, dove fu brillante allievo di questo notevole centro di studi teologici e scientifici. Nel 1763 ottenne di entrare nel monastero di S. Gregorio a Roma, dove si dedicò al greco e all'antiquaria, stringendo amicizia con numerosi studiosi e soprattutto con G. C. Amaduzzi. Nel 1765 era richiamato a Ravenna. Dopo una rapida visita alla nativa Cremona, nel settembre del 1765, giungeva a Classe nell'autunno di quell'anno, chiamato ad insegnarvi matematica e filosofia.
Contemporaneamente andò infittendosi intorno a lui la rete di corrispondenze con dotti e scrittori, soprattutto romagnoli e romani. Fin da quando era a Roma gli scrivevano, per esempio, Giovanni Bianchi, parlandogli dei gesuiti, di Baretti, d'antiquaria e di storia naturale; Giovanni Cadonici da Cremona, narrandogli delle polemiche del padre Jacquier; Andrea Rubbi, accennandogli, tra l'altro, "il dì dell'Ascensione del 1766", al Dictionnaire philosophique di Voltaire, che diceva "delle verità che non van dette"; G. C. Amaduzzi, inviandogli notizie sull'ambiente degli studiosi romani. Ben presto Giuseppe Cauzzi lo informò, in modo particolarmente dettagliato e preciso, di quel che andava accadendo a Milano. Con il mondo del Caffè il B. entrò personalmente in contatto nel 1768, corrispondendo con Beccaria e Verri e mostrandosi desideroso di diffonderne e difenderne le idee.
Simile carteggio, che andò infittendosi col passare degli anni, preparò e preluse all'attività giornalistica cui il B. andò sempre più intensamente dedicandosi, scoprendo rapidamente in se stesso una tempra d'autentico pubblicista. Collaborò, a partire dal 1763, alle fiorentine Novelle letterarie, così come ai periodici veneziani La Minerva,Nuova raccolta di opuscoli scientifici e letterari, Il Corrier letterario e all'Estratto della letteratura europea, chesi stampava a Milano dopo esser stato fondato a Yverdon da F. De Felice.
Passò gradatamente dalle corrispondenze di carattere erudito e letterario a problemi di maggiore attualità (nell'Estratto tenne le rubriche di "metafisica" e di "polizia civile" e pubblicò la sua ampia recensione degli Entretiens de Phocion di Mably). Si schierò con coloro che negavano l'origine gota della Rotonda di Ravenna. La sua polemica con Antonio Zirardini e altri membri di quello che Giovanni Bianchi chiamò nel 1768 il "partito goto" dell'erudizione ravennate, la sua irrequietezza intellettuale così come, a quanto pare, degli "errori dei sensi" finirono col metterlo in urto con i superiori.
All'inizio del 1769 venne chiamato a Faenza da Giovanni Mittarelli, abate generale del suo Ordine, e l'8 marzo di quell'anno si sentì infliggere il trasferimento al monastero di Fonte Avellana, non lontano da Gubbio, sito tra "gli orrori solitari del più alto Appennino d'Italia". "Un fulmine fu questo al cuore del Bianchi", come dice il Bellò. Ubbidì, tuttavia, e per circa cinque mesi insegnò in quel convento dettandovi dotti corsi di filosofia generale, meditandovi sui problemi metafisici (De spatio sive de Dei immensitate)e medici (An monstruosa fetum vitia et maculas quas voglie nuncupant Itali ex maternae imaginationis vi procreati), abbandonandosi soprattutto a un sogno sempre più complesso di felicità, di benessere e di libertà per i singoli e la collettività, che andò allora incominciando a descrivere in una serie di Meditazioni.
Nonostante l'apparente rassegnazione di fronte alla propria sorte e alla "sacra deportazione" che gli toccava subire, il desiderio di evasione fu sempre vivo nell'animo suo così come s'accentuò il distacco da coloro che l'avevano costretto a vivere in quel "tristissimo sepolcro dei vivi". Invano il suo abate generale cercò di persuaderlo che "anche nell'orrido vi è il suo bello". Dettato da insofferenza che prende accenti sociali era l'ampio saggio che egli pubblicò, appena uscito dal monastero di Fonte Avellana, nelle Novelle letterarie (nn. 38 ss.), saggio ispirato all'opera di G. B. Vasco,La felicità pubblica considerata nei coltivatori di terre proprie. Ponendo Vasco accanto a Beccaria e Verri, il B. vedeva nella sua volontà di "promuovere la divisione delle terre nel maggior numero possibile di possessori" un elemento importante d'una generale riforma economica e giuridica.
P. Verri raccomandava il B. al fratello Alessandro nell'ottobre del 1769 e questi rispondeva che l'avrebbe incontrato volentieri: "essendo perseguitato avrà del merito". Il B. pensò in questo medesimo periodo di stampare le sue Meditazioni critico-politiche, sotto il nome anagrammatico di Risichio Badoni, a Yverdon (Milano?), con l'indicazione di Platonopoli, per Francesco Garelli. A C. Spreti il 9 marzo 1770 scriveva che "il mecenate che ha voluto che si stampi è troppo rispettabile" (probabilmente un'autorità lombarda e forse Firmian). Un prospetto di quest'edizione venne fatto circolare ed egli, inviandolo agli amici, aggiunse: "Se le mie meditazioni non saranno un frutto di un uomo di talento, lo saranno almeno di un uomo di cuore". Non pare tuttavia che questa prima edizione della più nota opera sua vedesse mai la luce. Nessun esemplare ne è stato ritrovato ed egli non ne parlò più negli anni seguenti".
Nel luglio del 1769 era stato chiamato dall'arcivescovo di Monreale F. Testa a insegnare nel seminario e collegio di quella città. Da Faenza, l'11 ag. 1769, il Mittarelli gli annunciava che "i pp. abati suoi comprofessori sono discesi in opinione di darle libertà di accettare la cattedra offertale". Era stato scelto anche perché lombardo. Il marchese Tanucci non avrebbe ammesso che non fosse stato "toscano o suddito della regina e imperatore" (Aurelio Guidi in una lettera da Roma del 10 giugno 1769). Passando per Cremona, dove aveva fatto conoscenza con G. B. Vasco, e per Milano, dove si era abboccato con P. Verri, giunse a Napoli nell'ottobre 1769 e venne là ricevuto con grande cordialità da A. Planelli, R. di San Severo, S. Spiriti, A. Serrao, M. Vargas Maciucca, legandosi così con l'ambiente giurisdizionalista e riformatore del Mezzogiorno. Obbligato una prima volta a tornare indietro a causa di una tempesta, giungeva a Palermo alla fine del 1770. Rapidamente si inserì al centro della vita culturale isolana, in un momento cruciale nella storia della Sicilia.
Nell'ottobre del 1770 l'arcivescovo di Palermo, Serafino Filangieri, aveva pubblicato la sua pastorale "intorno alla lettura de' libri pericolosi" deplorando la larga diffusione in tutti i ceti della popolazione e "perfino tra le femine" delle opere che "odoravano di libertinaggio e di miscredenza". Ma la polemica di S. Filangieri, così come quella di F. Testa e dei fratelli Di Blasi, non era diretta solo contro la diffusione delle massime d'ispirazione francese. Questo gruppo lottò contemporaneamente con grande energia e abilità contro la tradizione scolastica, l'ignoranza e la superstizione, ispirandosi ai Maurini, a Muratori e al regalismo tanucciano. Ebbero come organo gli Opuscoli di autori siciliani, una miscellanea periodica che raccolse il meglio della cultura isolana del secondo Settecento. Uno dei loro centri fu l'Accademia degli Ereini, protetta da Pietro Napoli, principe di Resuttano. Loro avversario, nel seminario stesso di Monreale, fu il filosofo Vincenzo Miceli, tanto opposto a ogni concessione all'empirismo e tanto assorbito nella contemplazione dell'essere da farsi accusare addirittura di spinozismo. Lo seguiva un giovane, Nicola Spedalieri, destinato a rumorosa fama. Il B. finirà per odiare quest'ultimo. Non riuscirà a pensare ad "un uomo più torbido e cattivo di lui. Egli è siciliano, e di più brontese" (lettera ad Amaduzzi del 17 sett. 1780).
A Palermo il B. era diventato professore di logica e metafisica, prendendo poi sempre maggior parte nella riorganizzazione delle scuole siciliane, dopo la cacciata dei gesuiti, appoggiandosi largamente sull'Ordine benedettino, che era il motore, in quegli anni, delle trasformazioni in corso nella vita culturale palermitana, e spiegando una larga attività pubblicistica e pedagogica. Nel 1770 pubblicava a Monreale, sotto il nome del suo allievo Giuseppe Sparacio, un opuscolo De immortalitate animorum disputatio (l'esemplare conservato alla Biblioteca di Palermo porta la dedica autografa: "Salvatori Mariae Blasio, amico incomparabili"), per poi darlo alla luce di nuovo, mutando soltanto il frontespizio e la prefazione, sempre nello stesso anno, col nome latinizzato di Isidorus Plancus (Palermo, Bentivegna). Vi faceva gran sfoggio di cultura filosofica, citando Locke, Maupertuis, Genovesi, La Mettrie, Dodwell, Voltaire. Nel 1771 pronunciava all'Accademia degli Ereini una "dissertazione apologetica", Delle scienze e belle arti, diretta contro il primo Discorso di Rousseau. Lo stesso anno la pubblicò a Palermo (Bentivegna), con l'aggiunta di numerose note.
Il soggetto era abilmente scelto: permetteva di polemizzare contro gli increduli d'Oltralpe, di difendere umanisticamente la cultura e la civiltà, parlando insieme di alcuni importanti temi illuministici. Scriveva a Beccaria il 24 ott. 1772, scusandosi del tono impostogli dall'ambiente in cui aveva parlato: "fui condannato a servirmi di uno stile che sogliono desiderare simili udienze". Ma nelle ampie note diede sfogo al suo pathos riformatore. Si rifece a Genovesi, a Beccaria, al suo amico G. B. Vasco e ai modelli d'Oltralpe, Quesnay, Dupont, Bertrand, per invocare con loro una fisiocratica dedizione al progresso. Plaudiva agli esperimenti di libertà nel commercio dei grani compiuti dalla Toscana, da Tanucci e, in Sicilia, dal principe di Resuttano.
Riprese questi temi nel 1774 nel Discorso preliminare sul commercio di Sicilia della sua edizione dei Saggi politici sul commercio del signor David Hume (Palermo e Venezia, Rapetti). Vi ripeté la polemica contro "il lusso e l'ozio", esortando i Siciliani a essere "più industriosi". Le scuole gli parvero sempre più uno strumento indispensabile d'una simile profonda trasformazione. Il 12 nov. 1771 una sua orazione sulla necessità di unire le scienze alle lettere umane aveva aperto solennemente gli studi del collegio e seminario di Monreale, dove era diventato professore di metafisica e geometria. Nel 1771 pubblicava a Palermo (Bentivegna) un'altra dissertazione, De existentia Dei, dedicata a F. Testa, suo amatissimo protettore. Propugnava l'unione della matematica e della filosofia, rifacendosi a Gassendi, Cartesio, Galileo, Newton, contro "nonnullos e peripateticorum grege". Attaccava l'hobbesismo e lo spinozismo (non senza allusioni forse a Miceli) e si pronunciava per lo spirito scientifico moderno.
Intensa fu parallelamente, nell'isola, la sua attività giornalistica. In una serie di corrispondenze pubblicate nelle Novelle letterarie, dal 1771al 1774, e ancora nella Gazzetta letteraria di Milano del 1773, diede ampio ragguaglio della vita intellettuale siciliana. A Palermo fu attivo collaboratore del Giornale ecclesiastico, un mensile tradotto, con aggiunte, dall'opera francese dell'abate J.-A. Dinouart, che il B., sotto il nome dell'editore Rapetti, presentò con una significativa dedica all'arcivescovo S. Filangieri. La rivista trattava di severi argomenti storico-religiosi, come la "torre di Babele"; il peccato originale tra gli ebrei, i cristiani, i maomettani; i giganti. Ma si apriva pure a questioni di morale e di più vasta cultura (l'ipocrisia, la vera erudizione). Il B. vi inserì (fasc. di marzo e aprile 1772) un suo Compendio d'un'opera (di José Bernardo de Quiroz, tradotta a Napoli nel 1770), in cui viene stabilito il diritto che hanno i regolari d'implorare la protezione reale contro le violenze de' loro superiori, in cui, rifacendosi anche a Beccaria, e non senza evidenti riferimenti autobiografici, chiedeva ai sovrani di garantire i diritti dei monaci "vittime" dei loro abati e generali, "pieni di maltalento", "misantropi", capaci soltanto di leggere il Martirologio, "nel quale... vanno ogni giorno aggiungendo novelli martiri". Pubblicato in opuscolo nello stesso anno, a Palermo, da A. Rapetti, che lo vendeva a 4 tari, "prezzo discretissimo e alla portata di ciascun religioso", questo libretto suscitò larghe discussioni e fu notato anche all'estero (Gazette universelle de littérature, 1773, n. 34, pp. 366-7). Ma il periodico più importante al quale il B. fornì l'opera sua in Sicilia furono le Notizie de' letterati, apparse a Palermo, presso il Rapetti, dal gennaio 1772 al giugno 1773. Lo "spirito enciclopedico" dominò questo settimanale, da lui compilato insieme a Evangelista De Blasi. Fin dal primo numero questo foglio aveva salutato la "superba e nobile edizione" che a Livorno si andava compiendo dell'Enciclopedia. Diede poi una larga serie di recensioni di libri ed opuscoli sui più vari soggetti: erudizione e storia riguardanti soprattutto il passato della Sicilia (ma notiamo una discussione degli Atti della londinese Società degli antiquari e un'ampia discussione sull'opera di M. Guarnacci); diritto (Giannone, Spanzotti, Pepi, Natali, Pilati e il suo contradditore Felice Maria Garzia Alonzo Guzmán); economia (P. Verri, H. Lloyd); filosofia (Hume, Genovesi, Galanti e l'"infame scandalosissimo" Système de la nature di d'Holbach); religione (Concina, Febronio e confutatori, Valsecchi, Mosca Barzi, Pey, Lesley), botanica, agricoltura, curiosità scientifiche. Fra le cose letterarie, relativamente scarse, notiamo le Notti di Young, il Cimitero di campagna di Gray, la Morte di Abele di Gessner e una poesia, riprodotta nell'originale inglese e tradotta in italiano, di M. Prior. Le Notizie de' letterati ebbero il privilegio di pubblicare il primo abbozzo della Scienza della legislazione di G. Filangieri (n. 19 del primo semestre, 12 maggio 1772, coll. 294-298). Questi, giovanissimo, venne l'anno dopo, 1773, a visitare a Palermo suo zio, l'arcivescovo Serafino, ed entrò in contatto con il mondo dei letterati siciliani e con il B., di cui molto apprezzava le opere, soprattutto la discussione con Rousseau, degna, com'egli diceva, d'un "pacifico filosofo".
Nelle Notizie de' letterati, a partire dal n. 10 del secondo semestre (8 sett. 1772), Cominciarono ad essere pubblicate le sue Meditazioni su vari punti di felicità pubblica e privata. Nel 1774 il Rapetti le ripresentava in un volumetto dedicato a Salvadore principe di Raffadali. Vi riprendeva i temi che lo avevano occupato a Fonte Avellana. Si rifaceva a Muratori, Helvétius, Chastellux, Vasco. Con fare rapsodico ("Io le ho scritte come mi son nate nell'animo"), parlava di religione, di politica, di economia. Esaltava la morale e la filosofia, unici mezzi per uscire da un mondo di miserie, di ingiustizie, di falsità. Loro funzione, se strettamente unite l'una all'altra, sarebbe stata di aprire gli occhi sulla realtà sociale ("colui che è circondato da tutti i comodi della vita non sa per lo più immaginarsi che vivono migliaia di uomini senza abiti e senza pane"), creare un nuovo tipo di educazione (che avrebbe dovuto "avere per oggetto lo spirito e molto di più il cuore", lasciando da parte tutto ciò che non portava a un aumento delle "virtù sociali"), portare infine al fondersi della politica e della morale, sul modello di quanto aveva scritto Mably. Così si sarebbe evitato lo scoglio del materialismo egoistico e distruttivo. Ciò avrebbe fatto del cristiano "il membro più utile della repubblica e il più caro della società". "Felice dunque quell'uomo che ha saputo farsi filosofo! Felice quello stato nel quale la filosofia trionfa! Felice quella nazione che ha un monarca filosofo".
Nel 1773 numerose difficoltà vennero ad oscurare queste esaltate visioni. Il 17 maggio moriva F. Testa, l'arcivescovo di Monreale, da lui venerato e ammirato. "Io avevo un padre, un mecenate ed un amico insieme", come scriveva nelle Novelle letterarie (n. 28). Nel giugno le Notizie de' letterati cessavano le loro pubblicazioni. Nel settembre una grossa rivolta scuoteva la città di Palermo. Come il B. scriveva ad Amaduzzi: "Che orrore a vedere nelle mani di un popolo furibondo ed ubriaco i più orribili pezzi di artiglieria e ad incontrare solo per le strade gente furiosa con ogni sorta d'arme alla mano!". Il viceré Fogliani, che sempre l'aveva favorito, era costretto a fuggirsene di fronte alla plebe insorta. L'arcivescovo S. Filangieri dovette assumersi la responsabilità della situazione e rivelò tali doti politiche da essere ben presto chiamato da Tanucci all'arcivescovado di Napoli. Perfino all'erudizione quell'insurrezione portava gravi colpi, ritardando la stampa dell'opera di F. Testa su Federico d'Aragona. L'editore Rapetti era costretto a rallentare il ritmo dell'opera sua. "Qui seguita l'anarchia", scriveva il B. ad Amaduzzi il 22 ottobre. "Critiche" erano dunque diventate le "circostanze" del B., ed invano da Roma il 25 ottobre Andrea Gioannetti lo esortava alla rassegnazione: "Qualunque rivoluzione accaduta costì o che fosse, che Dio non voglia, per accadere, non può toccare la sua persona, che non può aver parte nelle brighe pubbliche e che attende soltanto allo studio, alla scuola e alla biblioteca di codesto seminario". In realtà egli aveva molte ragioni per cercar di lasciare rapidamente l'isola. Riuscì a essere nominato segretario del principe di Raffadali nella sua missione diplomatica in Danimarca e poté, con molta difficoltà, ottenere l'11 genn. 1774 che Roma gli concedesse la secolarizzazione temporanea per il periodo della sua missione. Nel febbraio del 1774 le sue Meditazioni erano esaminate dall'assessore del S. Uffizio, L. Antonelli. Contemporaneamente il B. inviava ad A. Gioannetti lettere in cui "mostrava la sua emendazione e la prontezza sua in venir qui a Roma". Ma l'opera sua continuava a essere "attaccata d'irreligiosa e libertina da una persona che non l'ha intesa o non l'ha voluta intendere": "Poteva essere scritta da un Voltaire o da un Rousseau". Da queste accuse egli finì col difendersi in un'ampia Supplica a S.S. di Clemente XIV in difesa e rischiaramento delle sue Meditazioni. Pur restando spiaciute ch'egli si recasse "in paesi eretici", le autorità romane finirono col consentire al suo viaggio.
Passando per Napoli nel giugno del 1774, attraverso Amsterdam e Amburgo, raggiunse Copenaghen il 26 luglio.
Vi arrivava in un momento particolarmente importante della politica danese, scomparsi ormai Struensee e Brandt e mentre l'infermo re Cristiano VII era sempre più dominato dal ministro O. H. Guldberg. Il B. scrisse un'apologia in latino della legge di questo del 29 genn. 1776, riguardante i diritti e la costituzione del paese. Spiegò insieme largamente ai dotti della Danimarca qual fosse la situazione della cultura italiana. Strinse rapporti con molti di loro, naturalisti e letterati, soprattutto J. Langebek, "che io ho sempre chiamato il Muratori di questa nobil parte del Settentrione"; l'erudito K. Suhm; O. Müller, botanico. Inviò a Firenze alle Novelle letterarie numerose corrispondenze erudite e scientifiche, raccolte e completate poi nel libro, uscito a Cremona nel 1806, presso Feraboli,Sullo stato delle scienze e belle arti in Danimarca dopo la metà del sec. XVIII, dimostrando larghissimo interesse per l'erudizione, le istituzioni, il giornalismo dei paesi nordici. Incitato da Amaduzzi, curò nel 1776 un'edizione della vita di Scipione l'Emiliano di Antonio Bendinelli. La scrittrice danese Charlotta Dorothea Biehl tradusse le sue Meditazioni in danese ed esse apparvero a Copenaghen nel 1774, presso la vedova di F. Ch. Godiche. L'editore ginevrino Cl. Philibert le ripubblicò in italiano, l'anno seguente, 1775, sempre a Copenaghen, con una dedica a Cristiano VII e con "le moltissime aggiunte" e correzioni fornitegli dall'autore (tra le quali i capitoli Delle sedizioni, ispiratogli dagli avvenimenti palermitani del 1773 e che era già apparso in versione danese, e Del premio dovuto ai cittadini virtuosi) e con un Avertissement de l'éditeur, che raccomandava l'autore alle "âmes honnêtes et sensibles". Il secondo dei capitoli aggiunti veniva a sua volta tradotto in danese, sempre da Ch. D. Biehl, e pubblicato in un opuscolo del 1775 che serviva da appendice alle Meditazioni. Il segretario della legazione imperiale a Copenaghen, Leopoldo von Metzburg, le tradusse in tedesco, pubblicandole nel 1775 a Copenaghen con una dedica a Maria Teresa. Il B. non mancò di suscitare in Danimarca anche degli avversari. Quando lasciò Copenaghen, la gazzetta di questa città, del 6 maggio 1776, scrisse di lui: "Il part nullement regretté / ce sçavant homme sans science, / cet auteur à toute outrance, / n'étant rien, pas même abbé".
Quando il principe di Raffadali venne trasferito dalla Danimarca a Lisbona, nel maggio del 1776, il B., accompagnandolo, passò per Amburgo, dove discusse con Klopstock, "chiamato comunemente il Virgilio della Germania", delle traduzioni della Messiade e soggiornò poi qualche mese a Parigi. Ebbe largo accesso al mondo degli enciclopedisti, degli scienziati e visitò anche Rousseau, al quale parlò della Danimarca. Volle dargli la costituzione di quel paese, ma Jean-Jacques gli rispose che non intendeva più leggere libri. Non poté invece vedere l'abate Mably, allora in Polonia, né l'economista Morellet, al quale tuttavia lasciò le Meditazioni. Raggiunse, poi il principe di Raffadali a Bordeaux, dove questi l'aveva preceduto. Fu anche là accolto dai dotti del luogo, dal figlio di Montesquieu e da altri membri della locale Accademia, dove venne iscritto, pronunciandovi un discorso filosofico su La morale del sentimento. Riprendendo le opere dei grandi moralisti francesi, da Montaigne a Mably, passando per Pascal, Madame de Lambert e Montesquieu, tesseva un entusiastico elogio della "sensibilità", "il più dolce degli umani sentimenti". Non a caso, tra i pittori, accanto a Raffaello e a Rubens ricordava Greuze. Proseguì poi il suo viaggio verso il Portogallo attraverso la Spagna. Da Alicante, il 10 sett. 1776, descriveva ad Amaduzzi l'ambiente che aveva trovato a Bordeaux. Il 24 settembre aveva tuttavia già deciso, indebolito di salute in questi viaggi, di rivolgere i suoi passi verso l'Italia. Soltanto in Lombardia poteva sperare di ottenere una efficace protezione e là egli si diresse, giungendovi nel novembre del 1776. Venne bene accolto da Firmian e dagli scrittori milanesi. Si lasciò facilmente persuadere a non tornare nel suo convento di Ravenna. Invano da Roma i suoi superiori, e soprattutto A. Gioannetti, cercarono di farlo recedere dai suoi propositi, chiedendogli quest'ultimo se veramente fosse pentito del suo precedente pentimento.
Fin dal luglio del 1778 P. Verri cercava d'aiutarlo ad abbandonare definitivamente l'abito dei camaldolesi, "in Milano come diceva, maschera sconosciuta". Lo stesso Firmian e il cardinale Herzan tentarono di ottenere la sua secolarizzazione.
L'11 marzo 1778 P. Verri doveva comunicargli che il papa era "irremovibile" e che vano era stato ogni passo. Firmian finì per annunciarglielo ufficialmente il 21 aprile, provvedendo nello stesso tempo a creare per lui una cattedra di filosofia morale nel ginnasio di Cremona (dove egli tenne la sua prolusione, Oratio de lege naturae, il 7 genn. 1779). Così nella città natale si fissò, nel convento di S. Caterina, senza esser riuscito ad abbandonare l'abito monacale, avvertito talvolta dagli amici che l'Inquisizione intendeva arrestarlo se avesse messo piede nello Stato pontificio. Le Istituzioni di filosofia morale, che dettò per un ventennio a Cremona, si conservano tra le sue carte, insieme con numerosi altri appunti sui più vari problemi. La conclusione delle sue peregrinazioni all'estero egli l'aveva tratta in una lettera dell'8 genn. 1778, diretta all'amico G. Cauzzi: "Bisogna, uscir d'Italia per conoscer gli Italiani". Sempre più convinto era della necessità di una vasta e paziente opera di riforma e d'incivilimento.
Ripubblicò a Lodi, presso Antonio Pallavicini, nel 1779, le sue Meditazioni e riprese l'attività di pubblicista. A Cremona si legò strettamente con l'editore Lorenzo Manini, collaborando al Novellista patriotico e all'almanacco da questo pubblicato (con scritti sulla libertà del commercio dei grani, sull'"influenza del commercio sopra i talenti", sul "senso comune", "sul gioco del faraone" e "del tarocco"). Legatosi con Gian Rinaldo Carli, procurò, presso il medesimo editore, una riedizione delle Lettere americane, facendole precedere da una dedica a B. Franklin (1781) e seguire da un'apologia di quest'opera contro gli attacchi di Clavigero (prefazione nell'edizione delle Opere di G. R. Carli, XI, Milano 1785). Diede pure un'edizione degli Opuscoli eruditi di G. Allegranza (1781).
Mantenne una vasta corrispondenza, fuori e dentro l'Italia, contribuendo anche così a diffondere i libri di Manini negli ambienti più diversi (interessante il suo carteggio con G. Filangieri, F. Zacchiroli, G. R. Carli, A. M. Bandini, G. Ceruti, A. Fabroni, A. Tocci, G. Ristori, R. Ximenes). È possibile che questa rete epistolare segua talvolta canali latomistici. Con la massoneria il B. poté già essere in contatto fin dal tempo del suo viaggio e soggiorno nell'Italia meridionale e in Danimarca, anche se non abbiamo una documentazione probante in proposito. L'importanza della loggia cremonese e l'intensa attività massonica di Manini poterono rendere più fitti questi suoi legami. Raccolse allora un vasto materiale per una storia Dei misteri eleusini e dell'antico arcano e nel 1786 pubblicò un opuscolo, con la falsa indicazione di Ravenna, presso Pietro Martire Neri, ma stampata a Cremona, Dell'istituto dei veri liberi muratori. Alla vita massonica continuò a interessarsi anche in seguito.
Negli anni '80 il B. fu deciso sostenitore della politica di Giuseppe II. Fin dal 1781, scrivendo ad Amaduzzi, aveva chiamato Giuseppe II "il nostro Augusto Cesare" che "ci fa sperare la più felice rivoluzione in tutti gli oggetti che risguardano la pubblica e privata felicità". Difese le riforme dell'imperatore nei suoi opuscoli e articoli e soprattutto in Del diritto di stabilire gli impedimenti dirimenti il matrimonio e di concederne le dispense (Cremona, Manini, 1784) e nelle Ricerche sull'antichità e vantaggi delle scuole normali (ibid. 1789). In quest'ultimo scritto, non senza trarre ispirazione da A. Genovesi, sosteneva la necessità di istruire coloro che erano analfabeti, e cioè, "purtroppo, tutti i filatori, tessitori, contadini, falegnami, muratori, bottegai, vetturieri e tutti quelli che sono applicati alle arti fabrili" (aveva ammirato in Danimarca la larga diffusione della lettura nei ceti popolari). "I figli più poveri, diceva, non cessano per questo di essere i figli della patria".
Oltre che professore del ginnasio cremonese e ispettore delle scuole normali, era divenuto regio censore dei libri e delle stampe, oltre che teologo consultore del duca di Modena (1779). Nel 1782 declinò l'invito di tornare a insegnare in Sicilia. Dal 23 marzo 1793 la sua cattedra cremonese, gratuita fino a quel momento, gli valse 400 lire annue. Invano stese un Progetto per l'instaurazione di una cattedra di storia letteraria (nell'università di Pavia e nel ginnasio di Milano). Accompagnarono questa sua attività pubblicistica, scolastica e amministrativa una serie ininterrotta di opuscoli di carattere erudito e antiquario, culminati nella sovrabbondante opera I marmi cremonesi (Milano, Monastero di Sant'Ambrogio Maggiore, 1791), descrizione della collezione di epigrafi raccolta dai Picenardi nella loro villa. Il libro era dedicato ad Angelo Querini, proprietario della villa di Altichiero, descritta da B. Benincasa e dalla contessa Rosemberg-Orsini. Nel 1793, a Cremona, presso G. Feraboli, usciva una sua raccolta di epigrafi: Antichi monumenti della gente Magia.
Più importanti furono le biografie o elogi nei quali egli evocò gli amici che andavano scomparendo: C. Fromond (1781; particolarmente interessante ed utile), Paciaudi (1785), Ignazio M. Fraganeschi (1790), G. C. Amaduzzi (1794; con molte notizie e giudizi rilevanti), Pietro Verri (1803), Gabriele Verri (1808). Alla biografia di P. Verri si era preparato con particolare accuratezza: nonostante un'evidente stilizzazione, è opera ancor oggi fondamentale per la conoscenza del Settecento italiano.
La fine del secolo portò al B. non poche difficoltà. Rivolgimenti e guerre vennero a ostacolare la sua attività di scrittore (invano progettò, tra l'altro, una edizione delle proprie opere, nel 1789, presso Manini); la rivoluzione mutò la sua vita. Una lettera del 7 fruttidoro dell'anno V (24 ag. 1797) del "cittadino Ragazzi" lo invitò a insegnare "invece dell'etica attuale i vantaggi del governo repubblicano et analoga morale". "Invito per me tanto più onorevole, quanto meno richiesto", come disse nell'aprire le scuole cremonesi il 19 dic. 1797. Riferendosi ai ricordi di Grecia e Roma, ma anche di Rousseau) egli si fece assertore, sia pur moderato, dei nuovi principi, come dimostrò anche nella Prolusione recitata nella sua scuola il giorno 26 febbr. 1798 nella occasione del suo installamento sulla cattedra conferitami del diritto costituzionale e pubblico. Tra le sue carte è conservato il corso di politica che egli tenne fino al giugno del 1799, trattando tutti i problemi fondamentali, quali l'eguaglianza e la libertà di stampa. Tornati gli Austriaci non nascose tuttavia la sua soddisfazione, dando sfogo ai molti risentimenti accumulatisi in lui durante gli anni repubblicani. Si diede a raccogliere appunti per un Saggio istorico intorno alla costanza del carattere politico e religioso de' Francesi, che voleva suonare aspra critica di questi e che non vide mai la luce, e, soprattutto, permise che il cappuccino Francescantonio da Lodi approntasse nell'estate dello stesso anno, a Cremona, presso Giacomo Dalla Noce, una riedizione delle sue Meditazioni, con una dedica di G. B. Biffi e con una prefazione, intese entrambe a gettar le colpe delle rivoluzioni e delle guerre sui "pretesi filosofi" irreligiosi. Dopo il 1800 il B. non riebbe la sua cattedra cremonese. S'accomodò tuttavia ben presto con la nuova situazione dell'età napoleonica, che gli mantenne la pensione e gli permise di chiudere operosamente la sua carriera di erudito e di scrittore raccogliendo un gran numero di note per una storia letteraria della sua città natale e pubblicando, nel 1807, un'opera di qualche rilievo: Le tipografie ebraiche in Cremona nel sec. XVI (Cremona, G. Feraboli).
A Cremona morì il 28 sett. 1808. Notevole fu la fortuna postuma delle sue Meditazioni, ristampate a Prato, Vestri, nel 1820, a Venezia, Alvisopoli, nel 1825 e 1829, a Napoli, Marotta e Vanspandoch, nel 1830, e a Bologna, R. Masi, nel 1831.
Fonti e Bibl.: La Biblioteca Ambrosiana di Milano conserva la fondamentale raccolta delle lettere ricevute dal B., così come le sue carte (T. 125 Sup.-T. 158 Sup.). Ivi pure: Beccaria B 231, e ancora Milano, Biblioteca Braidense, AH.X. 43. Altri documenti importanti si trovano nella Biblioteca Classense di Ravenna: Memorie storiche di Ravenna, Misc. 4G; nella Biblioteca della Rubiconia Accademia dei Filopatridi a Savignano sul Rubicone: Carteggio Amaduzzi, vol. 7 A; nella Biblioteca civica Gambalunga di Rimini: Carte G. Bianchi; nell'Archivio di Stato di Napoli,Affari Esteri, 6778; nella National Bibliothek di Vienna: Autografi, 1/69; nella Bibliothèque Nationale di Parigi,Mss. Ital. 1555 e 1561; nella Kongelige Bibliotek di Copenaghen (dove è conservato il suo opuscolo latino, dedicato al re Cristiano VII,Quod eius liberalitate et munificentia civium iura sint legibus adferta eademque advenis merentibus concessa die 29 ian. ann. 1776 populi scitum).
Per la biografia del B.-L. Bellò,Mem. sulla vita e sugli studi dell'abate I. B., Cremona s.d., e soprattutto V. Lancetti, Biografia cremonese, Milano 1820, II, pp. 223-325 (con bibliografia ed elenco dei manoscritti e delle lettere a lui dirette). Cfr. inoltre D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, Palermo 1824, I, pp. 52 ss.; II, pp. 56 ss.; III, pp. 29 ss.; V. di Giovanni, Storia della filosofia in Sicilia, Palermo 1873, I, p. 372; II, pp. 10-12; F. S. Romano, Riformatori sicil. del Settecento, in Società, III, 3 (1947), pp. 328 ss.; Id.,Riformatori e popolo nella rivolta palerm. del 1773, in Atti del Com. trapanese dell'Ist. per la storia del Risorg. ital., Trapani 1957, estratto; G. Giarrizzo, Appunti per la storia culturale della Sicilia settecentesca, in Riv. stor. ital., LXXIX (1963), p. 611. Privo di interesse, invece, l'articolo di T. Mirabella, P. I. B. ed il suo soggiorno a Palermo e Monreale..., in Atti dell'Accademia di scienze, lettere e arti di Palermo, serie 4, XXIII, 2 (1964), pp. 98 ss.
Qualche notizia sugli anni trascorsi in Danimarca in Interiører fra Kong Frederik den femtes hof. Charlotte Dorothea Biehls breve og selvbiografi, a cura di Louis Bobé, København 1909, pp. 36, 49, 62, 69, 70, 71, 72.
Si veda pure: Lucien Auvray et Georges Goyau: Correspondance inédite entre Gaetano Marini et L. B., in Mélanges d'archéologie et d'histoire, 1892, pp. 433-471; 1893, pp. 61-151 e 225-245; C. Beccaria, Scritti e lett. ined., a cura di E. Landry, Milano 1910, pp. 244 ss.; Carteggio di Pietro e di Alessandro Verri, a cura di G. Seregni, IX, Milano 1937, pp. 97 ss.; R. Soriga,Le società segrete, l'emigrazione politica e i primi moti per l'indipendenza, Modena 1942, pp. 27, 34-35. 63; A. Pace, B. Franklin and Italy, Philadelphia 1958, pp. 137 ss.; C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di F. Venturi, Torino 1965, pp. 214 ss.