DEL LUNGO, Isidoro
Nacque il 20 dic. 1841 a Montevarchi (prov. Arezzo) da Angelo e Clotilde Del Nobolo. Il padre, medico condotto, aveva tradotto in volgare toscano gli otto libri dei trattato di Aulo Cornelio Celso Della medicina (pubbl. con il testo latino a fronte, a cura del D. a Firenze, nel 1904). Dopo aver frequentato le scuole a Cortoga e a Castiglion Fiorentino, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Siena e poi di Pisa, laureandosi nel 1860.
Fin da giovanissimo aveva cominciato a scrivere e a stampare composizioni poetiche di vario genere, dalla prima canzone Per la monacazione di Virginia Guasti (Firenze 1854), fino alla Canzone della croce (ibid. 1858), che fu oggetto di un violentissimo attacco sul Passatempo di P. Farifani, al quale rispose con altrettanta decisione G. Carducci, in difesa del giovane poeta (l'art. del Carducci fu ristampato da G. Chiarini in Memorie della vita di G. Carducci, Firenze 1912, pp. 496-501). Gli elogi del Carducci si ripeterono in occasione della pubblicazione del volume di Liriche del D. (Pisa 1862) e cementarono un rapporto di amicizia, efficacemente testimoniato dal ricco carteggio che si sviluppò intensissimo all'inizio, poi più sporadicamente, pure continuando fino alla morte del Carducci, esercitando una profonda influenza sulla formazione culturale e gli interessi del giovane Del Lungo. Nel 1863 questi cominciò a collaborare all'Archivio storico di G. C. Vieusseux, collaborazione ininterrotta per tutta la vita, e pubblicò un'antologia, ad uso delle scuole, Prose e poesie scelte in ogni secolo della letteratura italiana (Firenze 1861), secondo un orientamento pedagogico e divulgativo che fu costante anche negli anni successivi. Per interessamento del Carducci il D. ottenne l'insegnamento di materie letterarie al liceo di Faenza, donde passò a Casale Monferrato, Siena, Pistoia, Firenze. Divenuto nel 1868 accademico della Crusca (poi, dal 1914, arciconsolo) e compilatore della quinta edizione del Vocabolario, abbandonò (1875) definitivamente l'insegnamento, rifiutando anche la successiva offerta di una cattedra di letteratura italiana all'università di Milano, per dedicarsi interamente alla ricerca. Come presidente dell'Accademia della Crusca ne decise, nel 1913, il trasferimento dal convento di S. Marco al palazzo Medici Riccardi. Fu anche per lunghi anni presidente della Società dantesca italiana, accademico dei Lincei, socio ordinario, poi presidente, della Deputazione di storia patria. Collaborò per 58 anni alla Nuova Antologia, di cui tenne anche la rubrica "Bollettino bibliografico" (1866-1869). Senatore del Regno dal 1906 (18ª categoria) partecipò attivamente, con numerose conferenze e interventi, alla mobilitazione nazionale durante la prima guerra mondiale, e si schierò decisamente contro l'azione diplomatica del governo Giolitti nel corso della discussione in Senato per la ratifica del primo trattato di Rapallo (dicembre 1920), sostenendo l'italianità di Fiume e della Dalmazia (vedi i suoi interventi e conferenze raccolti in Dalmazia italiana, Bologna 1921).
Morì a Firenze il 4 maggio 1927.
Già dalle sue prime pubblicazioni emerge il grande interesse che andò sempre più consolidandosi, per la letteratura medioevale e umanistica, toscana in particolare, in sintonia con l'insegnamento e la prospettiva culturale carducciana che, in quel periodo, si concretizzava, nell'attenzione ai testi e alla lingua della tradizione letteraria italiana, nonché alla ricostruzione storico culturale delle fasi della storia nazionale ritenute più significative rispetto alle esigenze della vita culturale risorgimentale e postunitaria. Il primitivo orientamento del D. per la poesia si risente in tutta la sua produzione per il privilegio sempre assegnato nei suoi studi a questa forma letteraria nello svolgimento secolare della vita nazionale; ed anche nella cura della lingua e dello stile che accomunò il D. prosatore a quell'area di scrittori e intellettuali italiani sensibili alla purezza della forma espressiva e che vedevano nella lingua cinquecentesca un modello esemplare di espressione letteraria.
Il grande valore attribuito dal D. alla tradizione letteraria, nella formazione della cultura e della coscienza nazionale, in una dimensione che ne esalta le componenti cattoliche e moderate, è dichiarato con chiarezza già nel discorso su Parini nella storia del pensiero italiano (Firenze 1870, poi ristampato in Pagine letterarie e ricordi, ibid. 1893).
Qui si ritrova il grande amore per la letteratura dei primi secoli che si concretizzò ben presto, e prima di tutto, nella pubblicazione di testi antichi curati e commentati con precisione filologica e documentaria. Alle Leggende del sec. XIV, 2voll., Firenze 1863, seguirono tra l'altro: Giacoppo, novella, e la Ginevra, novella incominciata. Dall'originale d'anonimo quattrocentista nell'Archivio mediceo, Bologna 1865; Prose volgari inedite e Poesie latine e greche edite e inedite di Angelo Ambrogini Poliziano, raccolte e illustrate, Firenze 1867; La Cronica domestica di messer Donato Velluti scritta fra il 1367 e il 1370 (in collaboraz. con G. Volpi), ibid. 1914, Dal carteggio e dai documenti: pagine di vita di Galileo (in collaborazione con A. Favaro), ibid. 1915; Gli amori del Magnifico Lorenzo. Diporto mediceo di I. Del Lungo e due novelle di Lorenzo de' Medici ora per la prima volta pubblicate col nome di lui, Bologna 1923; Le Selve e la strega di Poliziano, ibid. 1925;del Savonarola le Poesie. Con l'aggiunta di una Canzone pel bruciamento delle vanità e preceduta da notizie storiche di C. Guasti e I. Del Lungo, Lanciano 1914, Il carteggio inedito di Tommaseo e Capponi (1833-1874) (in collaboraz. con P. Prunas), 4 voll., Bologna 1911-1932.
Aderendo ai programmi e alla metodologia della scuola storica, il D. si mostrò sempre convinto assertore della necessità che ogni autore fosse collocato all'interno di un preciso e dettagliato quadro di riferimenti storici, attinenti la biografia minuziosamente ricostruita, i caratteri documentabili della cultura e della letteratura del tempo, gli elementi essenziali della vita politica e sociale, come si manifesta attraverso fatti e dati precisi. Tutto ciò rappresentando l'intelaiatura di una costruzione che doveva poggiare interamente su quella attività erudita e filologica, di riedizione e restaurazione dei testi antichi, senza la quale ogni operazione critico-estetica sarebbe risultata segnata dalla astrattezza o dall'"idealismo", come si imputava allora alla precedente scuola romantica. L'analisi, dunque, accurata e minuziosa, opposta alle sintesi non suffragate da puntuali documentazioni e riferimenti storici e bibliografici; e l'utilizzazione di metodologie di ricerca che facevano riferimento a discipline come la filologia, appunto, la paleografia, la coniparatistica, considerate sostanziale strumento di ogni studio storico e critico. Questo tipo di concezione della letteratura, di impronta positivistica, benché spesso approdasse a una certa angustia e riduttività di prospettiva critica e di valutazione estetica, ebbe tuttavia il merito di ricondurre l'attenzione degli studiosi sulla necessità di far precedere ogni giudizio sui testi letterari da una attenta e verificabile conoscenza analitica dei testi, dei documenti, dei fatti letterari e storici. Su questa linea si collocò il lavoro del D., fino ancora ai primi decenni del XX secolo, quando i metodi della scuola storica parvero ormai decisamente messi in crisi dall'offensiva del neoidealismo crociano. Se un'impronta si può ritrovare costante e ininterrotta nell'attività del D., è la pervicace adesione a un impianto di ricerca e di studio che non subì la menoma scossa nonostante si fosse sviluppato lungo più di mezzo secolo, e che fu caratterizzato dalla passione per la ricerca dei fatti, dei documenti, dei dati, considerati in una dimensione assoluta e autosufficiente, come se lo spessore della critica e della storia letteraria potesse essere interamente riempito dall'accumulo dei fatti, dei dati e delle notizie e potesse essere sostenuto da un'ispirazione genericamente etica e civile, piuttosto che da un'idea precisa che orientasse e guidasse la stessa ricerca verso una più profonda comprensione dei fenomeni esaminati e dei dati raccolti.
Esemplare di tale impostazione metodologica e pratica è la prima opera importante pubblicata dal D., l'edizione critica della Cronica di D. Compagni, prima ad uso delle scuole, con il titolo La Cronica fiorentina di Dino Compagni, delle cose occorenti ne' tempi suoi, riveduta sopra i manoscritti e commentata (libro I, Milano 1870; libro II, ibid. 1872); poi corredata di ampi studi con i tre volumi Dino Compagni e la sua Cronica (Firenze 1879-1887), il secondo dei quali ne riporta il testo riveduto sul manoscritto del secolo XIV e commentato, mentre nel terzo è riprodotto il testo secondo il codice Laurenziano Ashburnhamiano. Seguì un'ulteriore edizione, La Cronica di Dino Compagni (Città di Castello 1913-1914), che ricalca tuttavia quella precedente, mentre la parte saggistica compresa nel primo volume fu ristampata, con l'aggiunta di altre numerose e accuratissime ricerche, in Storia esterna, vicende, avventure d'un piccol libro de' tempi di Dante, 2 voll., Milano-Napoli 1917-1918.
La spinta allo studio e all'approfondimento del Compagni e della sua opera era venuta al D. dalla volontà di confutare i numerosi assertori italiani e stranieri della non autenticità della Cronica, che facevano capo allo studioso tedesco P. Scheffer Boichorst, il quale, in Florentiner Studien (1874), aveva sostenuto il carattere apocrifo dell'operetta del Compagni. Sfruttando a fondo tutte le risorse dell'erudizione, dell'analisi filogica, della documentazione storica e letteraria sul Compagni e sulla sua epoca, il D. non solo dimostrò inconfutabilmente l'autenticità della Cronica, ma tese a valorizzarla in quanto testo massimamente significativo della vita socioculturale del Comune medioevale.
Il commento minuziosissimo al testo, corredato da una mole imponente di documentazione e di dati essenziali per l'intelligenza dell'opera, rende ancora oggi il lavoro del D. di grande utilità per gli studiosi; mentre rimane documento interessante di quel metodo storico che, pure con i suoi limiti, rappresentò una effettiva e profonda svolta negli studi letterari, in Italia, nel secondo Ottocento.
L'indagine sul Compagni rappresentò per il D. una sorta di preliminare e di supporto al gruppo di studi che in maggior misura lo occupò per tutta la vita, concernente la vita e la figura intellettuale di Dante e la Divina Commedia. Sulla rivendicazione, di impronta carducciana, della vitalità della tradizione linguistica e letteraria nazionale, poggiano tutti gli studi danteschi del D., nella convinzione, comune a molta parte degli intellettuali ottocenteschi, che la lingua e la letteratura della tradizione rappresentassero il nucleo morale e civile della coscienza nazionale. In questa chiave della figura di Dante si sottolineavano, naturalmente, taluni aspetti piuttosto che altri, si tendeva a privilegiare la sua biografia sulla poesia, si innalzava la Commedia a un isolamento assoluto e straordinario, rispetto alla stessa restante opera dantesca; insomma la riscoperta di Dante come figura esemplare della cultura nazionale rischiava di oscurarne i profondi contorni poetici e culturali, mentre lo scavo accurato e minuto attorno alla sua vita e alla Firenze del'300, raramente veniva ricondotto a un quadro d'insieme che permettesse di superare l'immagine simbolica di una figura modello come quella dantesca.
Gli studi danteschi del D. sono caratterizzati soprattutto dalla mole di dati e di notizie storiche ed erudite che contribuiscono alla determinazione di fasi salienti della vita di Dante e degli avvenimenti storicopolitici della sua epoca. Sono di questa natura: Dell'esilio di Dante (Firenze 1881), discorso commemorativo del 27 genn. 1302, al quale nella stampa il D. aggiunse una ricca appendice di documenti storici relativi alla vita di Dante fuori della Toscana; Dante ne' tempi di Dante (Bologna 1888), raccolta di discorsi che, sempre servendosi di documenti e indicazioni accurate, mirano a delineare i contorni della vita comunale fiorentina; Il volgare fiorentino nei tempi di Dante (Firenze 1888), nel quale documentò con ricchezza di dati la fiorentinità del lessico dantesco; la raccolta di conferenze La figurazione storica del Medio Evo italiano nel poema di Dante, 2 voll. (ibid. 1891), nella quale più che altrove, a giudizio di alcuni critici, sembra riflettersi la visione riduttivamente storica del D. che gli fa vedere la Commedia come mero specchio della vita sociale e culturale dei tempi di Dante; Dal secolo e dal poema di Dante. Altri ritratti e studi (Bologna 1898), che comprende una serie di ricerche sulla vita di Dante nella prospettiva, mai realizzata dal D., di curarne una biografia completa.
Da questi scritti danteschi, come dai molti altri che andò pubblicando su riviste o esponendo in discorsi e conferenze, emerge la tendenza del D. a concentrare l'attenzione molto più sui riferimenti storici della biografia e dell'opera di Dante, che sugli elementi intrinseci alla struttura e alla costruzione della Commedia. La convinzione del D. è che la grandezza di Dante sta "nell'aver trasformato il materiale greggio e resistente in un lavoro mirabile per sicurezza ed armonia di linee ...; nell'averlo saputo far servire, non tanto al soggettivo disegno d'una creazione fantastica, quanto a un intendimento universale e perpetuo di civile moralità" (Dal secolo e dal poema di Dante, pp. 164 s.); queste parole rendono bene ragione dei pregi come dei limiti del suo lavoro. che si riscontrano anche negli studi che dedicò a diversi aspetti della vita italiana trecentesca. Da Bonifazio VIII ad Arrigo VII. Pagine di storia fiorentina per la vita di Dante, Milano 1899, (rist. con il titolo I Bianchi e i Neri. Pagine di storia fiorentina per la vita di Dante, Firenze 1921) ricostruisce dettaghatamente, e con il consueto scrupolo documentario, le forme istituzionali del Comune fiorentino, i suoi rapporti con l'autorità papale e con quella imperiale, i modi e i canali di manifestazione dello scontro politico a Firenze, permettendo di collocare in un quadro oggettivo di riferimenti le due illustri figure in quelle lotte coinvolte, e la profonda influenza che tali vicende esercitarono sulla loro opera. Si può citare ancora Beatrice nella vita e nella poesia del sec. XIII, Roma 1890 (rist. con appendice di documenti, Milano 1891), discorso pronunciato in occasione del sesto centenario della morte; al quale si legano Firenze artigiana nella storia e in Dante, Firenze 1906 e La donna fiorentina del buon tempo antico, ibid. 1906, raccolta di conferenze tenute a Roma e a Firenze. Questa gran mole di lavoro si ritrova poi concentrata nel commento alla Divina Commedia che il D. pubblicò a Firenze nel 1926 e che fu accolto positivamente dagli studiosi proprio per la precisione e la ricchezza dell'apparato informativo e stoficodocumentario.
Il D. affiancò all'attività di ricercatore ed esploratore di archivi e biblioteche un continuo impegno di conferenziere, legato alle sue cariche pubbliche, in parte, ma soprattutto sostenuto dalla sua profonda intenzionalità divulgativa e dal suo gusto per l'oratoria che, a giudizio dei contemporanei, gli permetteva di intrattenere gli uditori con grande efficacia di eloquio e di argomentazione. Discorsi e conferenze su diversi argomenti tenuti in ogni parte d'Italia sono raccolti nei volumi: Conferenze fiorentine, Milano 1901; Patria italiana, 2 voll., Bologna 1910-12; Lingua e dialetto nelle commedie del Goldoni, Firenze 1911.
A vari canti della Commedia il D. dedicò molte letture pubbliche raccolte in Prolusione alle tre Cantiche e commento all'Inferno, Firenze 1922. Vanno infine ricordati i saggi dedicati quasi interamente al Poliziano: Florentia. Uomini e cose del Quattrocento, Firenze 1897; La prosa di Galileo (in collaboraz. con A. Favaro), ibid. 1925 (rist. con nuova presentazione di C. Luporini, Firenze 1957); Per la lingua d'Italia un vecchio accademico della Crusca, Bologna 1923, che comprende i suoi studi linguistici come compilatore del Vocabolario. Questo ampio arco di interessi e di pubblicazioni testimonia efficacemente un impegno costante del D., che, benché relativamente ai margini rispetto al più influente e significativo ambito della cultura scientifica e accademica, rimane tuttavia sufficientemente rappresentativo di una fase della vita culturale ottocentesca che confidava nella ricerca erudita e nella divulgazione sistematica come strumento di formazione civile e morale.
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