GRÜNHUT, Isidoro
Nacque a Trieste il 27 ag. 1862 da Israel, ebreo tedesco originario di Ratisbona, e da Giuditta Panzieri, anconetana di buona cultura. Ebbe due fratelli, Massimo e Ida.
Sin dalla fanciullezza il G. manifestò un talento naturale per il disegno e il ritratto; ma il padre, contrario all'interruzione degli studi, ne ostacolò la carriera artistica, inducendo il G., appena sedicenne, alla fuga. Tale Benelli, sedicente impresario, che assoldò per delle tournées nelle città italiane, in cui il G. realizzava a pagamento disegni e caricature, e il Benelli incassava il denaro e provvedeva alle necessità dell'artista. Il G. fu sottoposto a viaggi continui, in condizioni misere di alloggio e nutrimento, e obbligato a turni di lavoro estenuanti. Già minato nel fisico a causa di una caduta infantile che gli valse l'appellativo di "gobbo", il G. contrasse, durante tale periodo, una malattia cardiaca, da cui non guarì più.
Dopo varie peripezie, tornò a Trieste nel 1880 circa; quello stesso anno raggiunse Venezia per studiare all'Accademia con P.M. Molmenti, ritenendo che il colorismo veneto potesse ancora costituire una valida base educativa per un ritrattista. Nel 1882, però, decise di terminare gli studi a Monaco di Baviera, nel momento in cui la pittura tedesca viveva un profondo rinnovamento in senso realista, grazie all'operato di M. Liebl, M. Liebermann e F. von Lembach.
Qui studiò con i pittori triestini U. Veruda e C. Wostry, al quale si deve la conoscenza del periodo monacense del G. (Storia del Circolo artistico di Trieste). Quando G. von Piloty, nel 1884, lasciò l'insegnamento in Accademia, il G., anche a seguito di nuovi problemi fisici, smise di frequentare la scuola e, per vivere, si adattò a ritrarre signore, negozianti e osti, sfruttando la sua straordinaria facilità di tratto e la vivida fantasia; un Ritratto del signor Max Vagäle (oggi perduto), esposto nel 1883 al Kunstverein di Monaco, fu accolto con successo e acquistato dal Museo di Mulhouse.
Risale al 1886, ultimo anno del soggiorno monacense, il Ritratto di U. Veruda (Trieste, Civico Museo Revoltella), raffigurato in vesti secentesche.
Da un fondo scuro, bituminoso, affiora il volto deciso dell'amico, i cui tratti marcati sono esaltati dalla gorgiera bianca. La pennellata è corposa, struttiva; e la materia pittorica densa si intride di una luce calda, di evidente ascendenza fiamminga. L'artista, ancor giovane, perviene qui a una rimarchevole maturità di linguaggio: la resa plastica dei volumi coincide con un'analisi rigorosa della personalità dell'effigiato e il realismo nordico si traduce non tanto nella scelta di soggetti quotidiani, quanto nell'indagine sui valori cromatici e spaziali della materia che intercetta la luce.
Il G. non interruppe i contatti professionali con la città d'origine e da Monaco inviava opere ai mercanti d'arte locali, in particolare ai fratelli Schollian (Geroni); tornò a Trieste nel 1886, già intenzionato a recarsi a Roma per concludere il proprio apprendistato nella città che gli artisti italiani del tempo - quale egli sempre si sentì, benché cittadino dell'Impero - riconoscevano come meta culturale obbligata. Nel 1887, su invito di E. Scomparini, presidente del Circolo artistico, il G., Wostry e Veruda, decorarono la nuova sede dell'associazione, che fu inaugurata nel febbraio di quell'anno (ridipinta poi nel 1901).
Nel 1888 concorse a Bologna al premio C. Baruzzi, presentando un bozzetto per un Cristo e l'adultera che fu molto apprezzato e che avrebbe certamente vinto se il G. avesse avuto la cittadinanza italiana, condizione ineludibile del bando. Quello stesso anno concorse alla borsa di studio per Roma, bandita dalla Fondazione Rittmeyer: anche se non riuscì a ottenerla, ugualmente ebbe uno stipendio, grazie all'interessamento del barone Giuseppe Morpurgo, presidente del curatorio del Museo Revoltella.
Nella capitale italiana egli conobbe il fiorentino A. Lotteringhi della Stufa, che divenne il suo mecenate, offrendogli uno studio nel suo palazzo di Firenze, e che lo introdusse presso le famiglie aristocratiche. A Firenze il G. si fece apprezzare come ritrattista (Wostry); ma tale produzione è oggi pressoché sconosciuta e difficilmente rintracciabile perché conservata presso collezioni private (Cesari). È attestata una sua partecipazione all'esposizione del dicembre 1889 nella sala del Colosso dell'Accademia di Firenze, dove espose dieci ritratti che suscitarono viva impressione tra i contemporanei, per "il disegno impeccabile e il pennelleggiare vigoroso" e per la capacità di "riprodurre il carattere della persona effigiata" (La Finia).
Nel 1891 il G. si allontanò da Firenze, raggiungendo a Mantova il fratello Massimo, che ritrasse insieme con la moglie (Trieste, Civico Museo Revoltella) al tavolo da studio in una composizione serrata di memoria cinquecentesca. Risale al medesimo anno il Ritratto della madre, raffigurata nell'atto di leggere una lettera del figlio e indagata con commozione nella sua età anziana, in un primo piano ravvicinato e schietto.
A più riprese tra il 1891 e il 1893 il G. tornò a Trieste, dove prese una camera a pigione che doveva servire anche da studio, ma dipinse poco, vivendo in maniera sregolata e dedicandosi soprattutto alla caricatura. Ritrasse eminenti cittadini e in modo particolare i membri del Circolo artistico.
Custodite attualmente nei Civici Musei di storia e arte di Trieste, le oltre settanta caricature costituiscono una vera e propria galleria di personaggi, disegnati con un tratto netto e analitico che evita di accentuare i tratti somatici, ma mira piuttosto a evidenziare quelli essenziali di una fisionomia, che, immutabili nel corso del tempo, definiscono un individuo (Vasselli, 1992).
Il G. sposò in data imprecisata, ma probabilmente sul finire del 1892, una giovane toscana, Irene Fabbricotti dalla quale ebbe due figlie, nate a Firenze: Maria Luisa (nata nel 1893) e Gabriella (nata nel 1894). L'unione fu infelice; inoltre il temperamento inquieto del pittore poco si addiceva alle responsabilità di una famiglia.
È datato 1895 il Ritratto di bambino (Trieste, Civico Museo Revoltella), raffigurante il nipote Guido: il fanciullo dai penetranti occhi scuri, è ripreso da vicino, frontalmente, abbandonato su una poltrona. L'atmosfera è silente, malinconica, come d'attesa. Tecnicamente il dipinto rappresenta un sensibile accostamento ai modi di A. Mancini, conosciuto dal G. al tempo dei soggiorni romani; anche il tema dell'infanzia rimanda al pittore napoletano.
Morto il Lotteringhi della Stufa nel 1895, avendo gli eredi requisito lo studio, il G. si ridusse a vivere freneticamente, in stato di precarietà, ossessionato dal pensiero della malattia. Gli eccessi di quel periodo culminarono in un collasso, che, lasciatolo paralizzato, lo condusse a morte.
Il G. morì a Firenze il 5 maggio 1896.
Personaggio bizzarro, il G. fu molto amato dai suoi concittadini e rimase a lungo presente nella memoria storica tergestea: poco dopo la sua morte fu allestita una mostra retrospettiva che riscosse gran successo di pubblico. Nel 1902, come strenna natalizia, il quotidiano triestino L'Indipendente offrì un inserto recante un divertente assemblaggio delle caricature di mano del Grünhut. Infine, i suoi disegni furono esposti nella mostra di caricature che si tenne nella città giuliana nel 1910 e ancora nel 1920.
Fonti e Bibl.: A. De Gubernatis, Diz. degli artisti italiani viventi, Firenze 1889, s.v.; U. La Finia, I. G., in Lettere e arti, febbraio 1890, pp. 91 s.; C. Wostry, Storia del Circolo artistico di Trieste, Udine 1934, s.v.; L. Cesari, Il pittore triestino I. G., tesi di laurea, Università di Trieste, facoltà di magistero, a.a. 1967-68; La Galleria d'arte moderna del Civico Museo Revoltella (catal.), a cura di F. Firmiani - S. Molesi, Trieste 1970, p. 77; L. Vasselli, Storia e problemi della caricatura: caricaturisti a Trieste, tesi di laurea, Università di Trieste, facoltà di lettere, a.a. 1985-86, cap. III; P. Ugolini, in La pittura in Italia. L'Ottocento, II, Milano 1991, p. 862; L. Vasselli, Artisti allo specchio. Caricature e ritratti del Circolo artistico di Trieste 1887-1910 (catal.), Trieste 1992, passim; L. Geroni, I. Isaac Moïse G., in Shalom Trieste. Gli itinerari dell'ebraismo (catal.), Trieste 1998, pp. 365-372 (con riproduzioni e bibl. precedente); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, p. 138.