ISIDORO metropolita di Kiev
ISIDORO metropolita di Kiev.- Detto "il cardinale ruteno" (e per errore confuso con Isidoro di Tessalonica, detto Glabas, arcivescovo e oratore della fine del sec. XIV). Nacque nel Peloponneso nel penultimo decennio del sec. XIV e morì in Roma il 27 aprile 1463. Nel 1403 era già a Costantinopoli ove strinse amicizia con Guarino Veronese. Fu monaco e poi igumeno del monastero di San Demetrio nel 1434, ove ebbe agio di coltivar gli studî retorici secondo il gusto umanistico imperante a Bisanzio. Ancora igumeno fu mandato dall'imperatore in missione al concilio di Basilea per ottenere che il concilio per l'unione delle chiese si tenesse a Costantinopoli, ma ne tornò senza aver nulla concluso. Nel 1436 fu dall'imperatore e dal patriarca bizantino nominato metropolita di Kiev, città allora sotto il dominio della Lituania. Quell'ufficio assai ambito da Greci e da Russi, essendo quella città gerarchicamente a capo di tutto il cristianesimo russo, gli venne affidato soprattutto con l'incarico di persuadere il granduca (knjaz) di Russia Vasilij II a farsi rappresentare al concilio per l'unione delle chiese che frattanto Eugenio IV aveva indetto a Ferrara. Ma la missione andò a vuoto. E I. l'8 settembre 1437 si mise in viaggio di ritorno, giunse in Venezia il febbraio 1438 e si trovò quindi presente all'apertura del concilio a Ferrara il 9 aprile 1438. Quando questo venne trasferito a Firenze, I., insieme con Bessarione, cooperò all'attuazione dell'unione dommatica e disciplinare delle due chiese proclamata il 5 luglio 1439 (v. ferrara-firenze, concilio di). Il 18 dicembre dello stesso anno Eugenio IV premiava con la porpora l'opera dei due vescovi orientali. Da questo momento I. viene comunemente designato come "il cardinale ruteno".
Chiuso il concilio, il papa inviò I. come suo legato in Russia per applicare l'unione. Non trovò dilficoltà a Kiev e presso i nove suoi vescovati suffraganei, ma a Mosca, dove arrivò il 19 marzo 1441, trovò la stessa ostilità della prima volta e la sua missione fallì anche per la troppa energia con la quale egli volle mettere in esecuzione il decreto di unione. Il granduca Vasilij che lo aveva accompagnato ufficialmente in chiesa, dopo la lettura dei decreti fiorentini le fece imprigionare e lo sottopose al giudizio di un tribunale ecclesiastico come apostata dalla fede ortodossa. Ma prima che la sentenza fosse emessa I. riuscì a fuggire e a tornarsene in Italia.
Due altre volte ancora si recò I. in missione a Costantinopoli, una prima per ordine di Eugenio IV (1444), ma di questa non si conosce il mandato preciso; e una seconda per ordine di Nicolò V nel 1452, quando incombeva la minaccia ottomana. Giunse a Bisanzio nel dicembre 1452, sei mesi prima del crollo. Quivi agì con maggiore prudenza che in Russia e promulgò il decreto d'unione con grande solennità a Santa Sofia il 12 dicembre. Ebbe l'adesione della corte e delle altre gerarchie, ma l'ostilità netta del popolo e del basso clero. Nei giorni dell'assedio egli, con la scorta che si era portata da Roma e da Chio, ebbe l'incarico di difendere la porta di S. Demetrio dove si trovava il suo monastero, e specialmente di vegliare sulla flotta ottomana e impedire che si asportasse la catena che sbarrava il Bosforo. È leggenda che egli scampasse travestendosi da schiavo e rivestendo della porpora un cadavere. Egli, dopo aver consumato ogni suo avere per la difesa, si rifugiò a Creta. Nel novembre 1453 era a Venezia e di lì fece ritorno a Roma nei primi mesi del 1454. La terribile impressione in lui rimasta della catastrofe di Bisanzio è conservata in una Epistula lugubris (Patr. Gr., XLIX, col. 944 seg.). I. passò gli ultimi anni della vita in Roma tra gli studî, le infermità, gl'imbarazzi economici, per cui fu nominato suo amministratore il card. Bessarione. Partecipò ai conclavi di Callisto III e Pio II, che lo nominò nel 1459 patriarca di Costantinopoli.
Si deve a G. Mercati la rivendicazione di I. come scrittore. Di I. si conoscevano lettere e preghiere nel Cod. Vat. 914, il discorso di Basilea nella versione latina dell'Aurispa; due lettere (5 marzo e 27 luglio 1440) per l'accettazione del concilio di Firenze in Russia; tre lettere latine su la caduta di Costantinopoli e riassunti di discorsi al concilio di Firenze. A questi ora si debbono aggiungere una lettera a Giovanni VIII Paleologo contro un'opinione di Aristotele; una lettera a una principessa della casa del Despota di Epiro su l'oracolo dell'Esamilio (muro a difesa dell'istmo di Corinto), uno psefisma, esercizio letterario d'invito a un congresso dei migliori per ottenere la pace nell'unità delle credenze; orazioni encomiastiche a Manuele II, Giovanni VIII, Sigismondo, ecc. Risulta vana l'accusa di Vespasiano da Bisticci che I. avrebbe disperso i codici della Vaticana prestatigli da Callisto III.
Bibl.: P. Pierling, La Russie et le Saint-Siège, Études diplomatiques, I, Parigi 1896; L. von Pastor, Storia dei papi, trad. it., 2ª., Roma 1932, pp. 526 segg., 537 segg.; G. Mercati, Scritti d'Isidoro il cardinale ruteno, ecc. (Studî e Testi, 46), Roma 1926.