Isidoro
Scrittore ed erudito dell'età visigotica (Cartagena 570 - Siviglia 636); vescovo di Siviglia dal 600 al 636. È uno dei più importanti esponenti della cultura medievale. Delle sue opere ebbero larga diffusione il De Natura rerum, il De Viris illustribus, i Chronica, i Synonyma e specie le Etymologiae (Origines).
I. è citato da D., in Pd X 131 Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro / d'Isidoro, di Beda e di Riccardo, / che a considerar fu più che viro, fra gli spiriti sapienti del cielo del Sole. Nella prima corona di dodici dottori, di cui fa parte, I. occupa il nono posto fra Boezio e Beda, il primo nella terna dell'ardente spiro, prima di Beda e di Riccardo di San Vittore. Ma mentre Riccardo è citato espressamente per il De Contemplatione (a considerar fu più che viro), non c'è traccia esplicita delle ragioni per cui D. è stato indotto a citare qui I. e Beda.
Si può solo supporre che I. e Beda siano qui ricordati come i due maggiori dottori dell'enciclopedismo medievale, I. in particolare per le sue Etymologiae. Tuttavia, nonostante la dichiarazione di D., " la conoscenza diretta... dell'enciclopedia di Isidoro di Siviglia, in sé possibilissima, non può... essere asserita senza cautela ". Così il Mengaldo per gli echi isidoriani nel De vulg. Eloq., ma è osservazione da prendersi nella dovuta considerazione per un retto giudizio sulle fonti di ogni eco isidoriana in tutta l'opera di D.; le risultanze del Mengaldo che " nozioni e verba isidoriani appaiono in genere confluiti nel De vulg. Eloq. attraverso testi più recenti, Uguccione soprattutto " sembrano valide per ogni altra citazione isidoriana in Dante.
Così If XXXI 77-78 non presuppone per la figura di Nembrot l'intermediario di I. (Moore), quando basta, per il mal coto e per il resto, Agostino (Civ. XVI 3) e soprattutto Brunetto Latini (Tresor I 23). In Pg XXII 113 èvvi la figlia di Tiresia, ammessa, come pare ineccepibile, la lezione dei codici e l'identificazione, nonostante la nota contraddizione, con la ‛ fatidica Mantus ' di If XX (Virg. Aen. X 199), il commento serviano ad l. (" Tiresiae Thebani vatis filiae ") e Ovidio (Met. VI 157 " sata Tiresia venturi praescia Manto ") rendono inutili il confronto con le Etymologiae (XV I 59 " Manto Tiresiae filiae post interitum Thebanorum dicitur delata in Italiam Mantuam condidisse ") addotto dal Moore, specialmente se si osserva che If XX 58 Poscia che 'l padre suo di vita uscìo è testualmente ripreso appunto da Servio (" post patris interitum ") e non è riferibile al testo di Isidoro. Per Pg XXXIII 112-114 Dinanzi ad esse Ëufratès e Tigri / veder mi parve uscir d'una fontana, / e, quasi amici, dipartirsi pigri, è assicurata la dipendenza da Boezio (Cons. phil. V m. I 3-4 " Tigris et Euphrates uno se fonte resolvunt / et mox abiunctis dissociantur aquis "), come mostrano le consonanze testuali. Non è certezza che D., come volle il Moore, abbia tenuto presente pure Etym. XIII XXI 10 " Sallustius auctor certissimus asserit Tigrim et Euphratem uno fonte manare in Armenia, qui per diversa euntes longius dividantur ", che è del resto ripreso da Brunetto Latini Tresor III 2: ché anzi il quasi amici di D. impone precisamente il " dissociantur " di Boezio e pone in sottordine il " dividantur " di Isidoro. Lo stesso discorso vale per la simbologia inerente alla figura di Raab (Pd IX 115 ss.), di così larga diffusione da non obbligare a postulare inevitabilmente l'influsso isidoriano (Renaudet).
Un esame a parte merita invece il raffronto proposto dal Vallone fra Etym. XIV VI 8 " unde gentilium error, et saecularium carmina poetarum, propter soli foecunditatem, easdem esse Paradisum putaverunt " e Pg XXVIII 139-145 Quelli ch'anticamente poetaro / l'età de l'oro e suo stato felice, / forse in Parnaso esto loco sognaro. / Qui fu innocente l'umana radice; / qui primavera sempre e ogne frutto; / nettare è questo di che ciascun dice. Qui le ‛ auctoritates ' canoniche (Ovidio Met. I 80 ss., 107-112) appaiono convogliate sull'estrosa citazione di un rarissimo auctor (Persio prol. 2 " in bicipiti somniasse Parnaso "; prol. 14 " cantare credas Pegaseium nectar "), ma forse, almeno per primavera sempre, trafilate anche attraverso il ricordo di I. (Ovid. Met. I 107 " ver erat aeternum " = Etym. XIV III 2 " perpetua veris temperies " = Pg XXVIII 143 primavera sempre), se è vero, come pare, che " Dante parla di ‛ quelli ch'anticamente poetaro ' e Isidoro di ‛ gentilium error et saecularium carmina poetarum ', concludendo il primo con l'espressione: ‛ forse in Parnaso esto loco sognaro ', che anche strutturalmente ricorda quella del secondo ‛ easdem [isole Fortunate] esse Paradisum putaverunt ' " (Vallone).
Queste valutazioni danno complessivamente una certa sfiducia sulle possibilità di verificare una sicura presenza in D. di I. e, anche se il raffronto addotto dal Vallone sembra migliorare la situazione, bisognerà metodicamente sospettare di altri e più probabili tramiti medievali, per ora oscuri, che possano aver trasportato la citazione di I. fino a Dante. Sotto questa illuminazione prudenziale va anche contemplata l'ipotesi del Moore che molto Orazio sia pervenuto a D. attraverso Isidoro. Tuttavia dovrà far pensare almeno Pd XVII 133-134 farà come vento, / che le più alte cime più percuote, dove in luogo del proposto Seneca (Oedipus 96 " feriunt celsos fulmina colles "), che è da ritenere ignoto a D., od Ovidio (Rem. am. 369 " perflant altissima venti "), sembra inevitabile Orazio Carm. II X 9-13 " saepius ventis agitatur ingens pinus / et celsae graviore casu / decidunt turres feriuntque summos / fulgura montis " imposto, oltre tutto, da Pg V 14-15 sta come torre ferma, che non crolla già / mai la cima per soffiar di venti: ebbene, quest'Orazio lirico, peraltro non attestabile per D., ha come tramite unico noto I. Sinonyma II 89.
Bibl.- E. Moore, Studies in D., s. 1, Oxford 1896, 74, 202, 284, 304, 305; P. Renucci, D. disciple et juge du monde gréco-latin, Clermont-Ferrand 1954, 167; A. Vallone, I. di Siviglia e Purg. XXVIII, 139-44, in " Studi d. " XXXV (1958) 259-262; D.A., De vulg. Eloq., a c. di P.V. Mengaldo, I, Padova 1968, XXXVI n. 1.