ISLAMISMO (XIX, p. 603 ; App, I, p. 739)
Nazionalismo acceso, e combinato anziché opposto come in Occidente al socialismo, è negli ultimi decenni la principale direttrice della vita politica e sociale d'Oriente. Di fronte al prepotere di questi due fattori, si è alquanto attenuato il peso, prima determinante per secoli, di quello religioso, onde l'Islàm si è trovato, nella seconda metà del nostro secolo, a dover fare i conti con quelle nuove realtà. In un solo caso, quello della Turchia kemalista, esso era, o era stato concepito, radicalmente opposto al nuovo corso: eppure dopo la fase acuta del conflitto, scomparso il dittatore e apertosi il paese a un regime pluripartitico e parlamentare, la vitalità dell'Islàm si è colà riaffermata con un partito conservatore e sin reazionario, contrastato ma non eliminato dai movimenti progressisti. Nel mondo arabo, l'alleanza tra religione e nazionalismo è stata invece quasi ovunque perfetta, pur rimanendo a quest'ultimo la funzione dinamica nei moti politici e civili. La durissima resistenza a Israele, dalla lotta armata alla propaganda politica, è stata infatti ed è condotta dagli stati arabi in nome del principio di nazionalità, anziché di religione, all'opposto di quanto avvenne con l'invasione franca al tempo delle Crociate; e la contesa Gerusalemme è sentita oggi più come sede illustre dell'arabismo che come internazionale santuario dell'Islàm. A riprova, l'appoggio del mondo musulmano non arabo alla causa araba di Palestina, teoricamente scontato, si è in pratica rivelato ben tiepido.
Più complicati i rapporti fra l'Islàm e il socialismo, il secondo termine del binomio su enunciato. Gli studi di M. Rodinson (Islam et capitalisme, 1966) hanno confermato, di contro alle superficiali interpretazioni socialistiche della fede di Maometto, la sua teorica e storica conciliabilità col sistema capitalistico, anche se G. Sofri, studiando Il modo di produzione asiatico (1969) vi ha poi segnalato delle varianti dallo schema canonico della classificazione marxista rispetto al Medioevo occidentale. Di fatto, gli odierni partiti socialisti in terra d'Islàm (come il Ba‛th arabo in 'Irāq e Siria) non hanno seguito l'esempio sovietico nel suo atteggiamento antireligioso; e per converso le correnti progressiste attenuano l'opposizione di principio (che i conservatori continuano a sottolineare) fra il materialismo socialista e la visione teologica e teocentrica della fede islamica.
Gli aspetti rigoristici dell'Islàm, mal conciliabili in effetti con regimi democratico-liberali, trovano più agevole affermazione in quelli assoluti, sia conservatori come quello wahhabita-saudiano d'Arabia, sia programmaticamente progressisti come l'odierno libico, ove l'ideologia al potere accoppia nazionalismo arabo intransigente e ostentato rigorismo musulmano. Altrove invece, nell'Egitto di Nasser e successori, il programma di restaurazione integrale islamica, posto colà alla base del movimento dei "Fratelli musulmani", venne a urtarsi col totalitarismo della dittatura, e ne fu rifiutato e travolto. I rapporti, in conclusione, fra l'Islàm per principio universalistico e le formazioni politiche allignate nella sua area sono assai complessi e sfumati, non riducibili a una formula di generale validità.
Sul piano prettamente religioso, il modernismo perseguito fra Ottocento e primo Novecento dalle più illuminate cerchie in seno all'Islàm, si continua tuttora entro e fuori l'ambito dell'Islàm ufficiale. All'Egitto, che fu in un primo tempo la sede principale di queste correnti, si è ora affiancato e forse anche lo ha superato il moderno stato islamico del Pakistan, erede dell'altra illustre tradizione del modernismo islamico indiano. Mentre fuori ormai dell'Islàm, ma serbandone sempre l'indisconoscibile impronta d'origine, è il moto cosmopolita del Bahaismo, che in Europa e soprattutto in America, più che nella sua matrice asiatica, ha ora la sua maggior diffusione. All'estremo opposto delle filiazioni abnormi dall'Islàm ortodosso, con un suo credo di reciso e torbido estremismo razziale, è l'odierno movimento americano dei Black Muslims o musulmani neri, contraltare al razzismo bianco di non meno rozza violenza: qui la Nigrizia oppressa e sfruttata si erge a rivendicatrice dei propri diritti, e da sopraffatta aspira a farsi sopraffattrice d'altrui, con un fondo di maldigeste dottrine che del tutto misconoscono il carattere sopranazionale e universalistico dello storico Islàm.
Fede tuttora di circa 600 milioni di uomini (un quinto della popolazione del globo), e nonostante l'accennato scadimento da istanza primaria della loro vita, l'Islàm conosce ancora ulteriori avanzate (per es. nell'Africa nera), ed è lungi dall'avere esaurito la propria vitalità.