GUARCO, Isnardo
Nacque a Genova intorno al 1380 da Nicolò e da Linò Onza; in passato tale paternità è stata messa in dubbio, e il G. è stato indicato non come figlio, ma come nipote di Nicolò.
L'0monimia con lo zio Isnardo, fratello del padre, ha provocato spesso l'unificazione - da parte di molti autori - dei due personaggi in uno solo, che avrebbe avuto quindi una vita quasi centenaria.
Come per altri personaggi della famiglia, le notizie relative alla sua giovinezza sono assai scarse; secondo la tradizione si addottorò in legge, ma ebbe ben poco tempo per esercitare la professione legale giacché toccò a lui assumere il governo della fazione dei Guarco dopo che il fratello maggiore Antonio fu ucciso nel 1405 a Pavia, da sicari del governatore francese di Genova, maresciallo Jean Le Maingre, signore di Boucicaut.
Il G. continuò a perseguire una politica decisamente avversa ai Francesi, ponendosi sotto la protezione di Teodoro II Paleologo marchese di Monferrato che gli concesse l'uso del castello di Casaleggio, già degli Spinola. Quando, nel settembre 1409, il marchese riuscì a insignorirsi di Genova, il G. fu nominato capitano della Riviera di Levante e inviato a recuperare i castelli di Vezzano e Trebbiano, ancora occupati dai Francesi. Nel 1411 fu eletto anziano e, l'anno successivo, ottenne la nomina a capitano di Famagosta, possesso genovese a Cipro, dove i Guarco (che nel 1402 avevano esercitato per qualche tempo una sorta di signoria sulla città) avevano notevoli interessi economici.
Al suo rientro dal Levante trovò la situazione in Genova profondamente cambiata perché, caduta nel frattempo la signoria del marchese di Monferrato, il potere era stato assunto da Giorgio Adorno (marzo 1413), di una famiglia tradizionalmente rivale.
Nel giugno 1414 il G., ritiratosi a Casaleggio, raccolse numerose truppe e marciò su Genova per abbattere il governo dell'Adorno, ma fu sconfitto e, probabilmente, fatto prigioniero. Ottenuta la libertà, dovette trascorrere alcuni mesi in esilio in Toscana ma dopo poco, ritornato in città, fu nuovamente eletto anziano. Rivestiva questa carica quando, nel dicembre, scoppiò tra le fazioni cittadine la cosiddetta "guerra di mezzo", causata dalla ribellione di Battista Montaldo. A difesa del doge si schierarono i Fregoso e la maggior parte della nobiltà guelfa, mentre gli Spinola e i ghibellini appoggiarono i rivoltosi; il G., dopo una certa titubanza, si schierò con questi ultimi, ricevendo soccorsi dal marchese di Monferrato, desideroso di recuperare la signoria di Genova. Per tre mesi la città fu devastata dai combattimenti, finché, nel marzo 1415, le parti in lotta si accordarono per una tregua. Giorgio Adorno rinunciò al dogato e, con il consenso anche dei Guarco, fu eletto Barnaba Guano, che però dopo pochi mesi fu costretto ad abdicare dagli Adorno e dai Fregoso, i quali, il 3 luglio, nominarono doge Tommaso Fregoso. Il G., che diffidava di lui in quanto amico e parente degli Adorno, abbandonò Genova e si rifugiò nella Valle Scrivia, dominio degli Spinola, insieme con i quali continuò, da fuoruscito, la lotta al nuovo regime.
Sempre sostenuto da Teodoro II, strinse alleanza con il duca di Milano, Filippo Maria Visconti, desideroso di impadronirsi delle terre dell'Oltregiogo genovese. Nel 1417 il duca e il marchese costituirono una lega contro Tommaso Fregoso, alla quale aderirono il G., Battista Montaldo, Teramo Adorno e il marchese del Finale, Carlo Del Carretto. Essi devastarono più volte la Val Polcevera e, nel 1418, il G. e l'Adorno giunsero a occupare Cornigliano, San Pier d'Arena e la torre della Lanterna, venendo respinti dai Fregoso proprio alle porte della città.
Questa sconfitta non pregiudicò tuttavia il successo complessivo della lega perché, nel 1419, il doge fu costretto, con la pace di Milano, a cedere al Visconti e al marchese di Monferrato tutte le terre che il Comune possedeva oltre Appennino, parte in via definitiva e parte a titolo di pegno, finché non fosse pagato l'enorme riscatto richiesto dal duca. Dal trattato, a differenza di Teramo Adorno (premiato con la cessione dell'importante castello di Capriata), il G. non guadagnò apparentemente nulla, ma ciò non intaccò la sua ostilità ai Fregoso tanto che, quando nella primavera 1421 il Visconti preparò una nuova spedizione contro Genova, egli subito vi aderì, stipulando con lui, il 7 maggio, dei capitoli di aderenza, come fecero del resto, in quegli stessi giorni, altre importanti consorterie nobiliari quali gli Adorno, i Montaldo, gli Spinola, i Doria e i Del Carretto.
Alle operazioni militari contro i Fregoso i Guarco diedero quindi il loro contributo, così che quando, nel novembre dello stesso anno, Filippo Maria riuscì finalmente a rendersi signore della città, il G. ottenne i tanto attesi benefici. Egli fu infatti uno dei ventisei ambasciatori inviati nel marzo 1422 dal Comune di Genova a prestare il giuramento di fedeltà al duca, e questi volle dimostrare la sua particolare affezione conferendogli, sempre in quell'anno, l'ufficio di podestà di Piacenza, oltre a una consistente provvisione in denaro che però, per le difficoltà finanziarie del Comune di Genova (cui il Visconti aveva addossato l'onere), poté essere pagata con estrema irregolarità e continui ritardi. Il malumore del G. - evidentemente non mitigato, nel 1424 e 1426, dal fatto di essere stato eletto alla suprema magistratura degli Anziani - portò il duca, il 29 ott. 1425, ad assegnargli il governo di Ovada, a garanzia di un credito di 4500 lire da lui vantato nei confronti del Comune quale arretrato della sua provvisione.
Questa cessione, che avrebbe dovuto durare finché la somma non fosse stata interamente raccolta, suscitò vivo disappunto tra i Genovesi, essendo Ovada una delle più importanti località del dominio cittadino; né tale sentimento fu mitigato dalla natura temporanea della cessione, che in nessun modo pregiudicava la sovranità del Comune. Il G., da parte sua, si comportò come se Ovada gli fosse stata data in feudo: fece restaurare il castello (facendo pagare le spese ai Genovesi), nominò luogotenenti e ufficiali, procedette alla collazione dei benefici ecclesiastici vacanti. Tali provvedimenti acuirono i contrasti con il Comune, ma la protezione del duca non gli venne mai meno e, anzi, nell'aprile 1429 questi lo nominò vicario di Porto Maurizio.
La sua permanenza nella Riviera di Ponente fu brevissima perché in autunno fu richiamato a Genova per organizzare la difesa contro gli Adorno che, sostenuti dal marchese di Monferrato (all'epoca alleato dei Veneziani contro il duca), minacciavano la città. Il G., nominato il 12 dicembre capitano delle podestarie di Voltri, Polcevera e Bisagno, pose il proprio quartiere a Pontedecimo, dove chiamò a raccolta i suoi partigiani; quindi, unite le sue forze con quelle di Nicolò Piccinino, allora al soldo del duca, ottenne una completa vittoria su Barnaba Adorno, comandante dei fuorusciti.
Il Visconti lo premiò concedendogli, l'8 luglio 1430, l'investitura del marchesato di Godiasco, nell'Oltrepò pavese, e dei castelli di Belgioioso e Pagazzano, in Ghiara d'Adda, sia pure in condominio col cugino Battista Montaldo. Neppure un mese dopo, poi, il 5 agosto, il G. fu nominato podestà di Milano, ufficio che avrebbe retto ininterrottamente per quasi sei anni. Il trasferimento nella capitale del Ducato e la possibilità di frequentare la corte accrebbero il suo prestigio personale, che si rafforzò ulteriormente quando, con la restituzione di Ovada, avvenuta nel 1431, vennero meno i motivi di contrasto con il Comune di Genova. Egli seppe anzi sfruttare la sua posizione a Milano per farsi patrocinatore degli interessi dei suoi concittadini presso il duca e i tribunali dello Stato, aumentando così la schiera dei suoi amici. Tale popolarità ebbe modo di manifestarsi in pieno nei mesi successivi alla ribellione di Genova al dominio visconteo (dicembre 1435). Privi di un capo e timorosi della vendetta del duca, i Genovesi si rivolsero infatti al G., ancora podestà a Milano, offrendogli la carica di doge, nella speranza che ciò avrebbe facilitato un accordo con il Visconti. Questi, da parte sua, conoscendo la fedeltà del G., non si oppose alla sua partenza, così che il 28 marzo 1436, fatto ritorno a Genova, egli fu eletto doge nella chiesa di S. Siro da un'assemblea di capi popolari.
La sua posizione era però estremamente precaria; non solo la fazione guarca non poteva lontanamente competere con quelle ben più forti degli Adorno e dei Fregoso, ma a molti egli appariva, in realtà, come un fantoccio del Visconti, con il compito di preparare il terreno a una restaurazione del dominio visconteo. In simili circostanze la permanenza del G. al dogato fu brevissima: già il 4 aprile l'ex doge Tommaso Fregoso, accorso da Sarzana con alcune migliaia di uomini, entrava senza resistenza in città, impadronendosi del potere. Con il G. il nuovo doge fu correttissimo, non solo lo lasciò andare via senza alcun danno, ma volle anche che fosse rimborsato delle spese sostenute nella sua breve signoria, indennizzandolo per le vesti, le armi e gli altri effetti abbandonati nel palazzo pubblico al momento della fuga. Tanta cavalleria non valse naturalmente a fare di lui un amico del Fregoso. Tornato a Milano, egli resse ancora per qualche mese la podestaria fino allo scadere del mandato, trasferendosi quindi a Pontecurone, tra Voghera e Tortona, donatagli nel 1432 dal Visconti dopo la rinuncia a Godiasco e agli altri possedimenti lombardi. Da qui egli organizzò il suo ritorno a Genova, stringendo alleanza con gli Adorno e gli altri fuorusciti avversi ai Fregoso; benché numericamente scarsi, i Guarco si batterono a fianco delle truppe viscontee nella spedizione che Nicolò Piccinino condusse nella Riviera di Ponente, operando rapide incursioni lungo la Val Polcevera fin quasi alle porte di Genova. Quando poi, nel marzo 1443, Raffaele Adorno riuscì a impadronirsi del dogato, vacante dopo la fuga di Tommaso Fregoso, le possibili rivendicazioni del G. furono tacitate con la nomina a governatore di Savona e capitano di tutta la Riviera di Ponente.
Savona, solo tre anni prima, aveva subito una dura repressione da parte dei Genovesi, i quali dopo averne distrutto le mura e gli impianti portuali avevano sospeso le convenzioni e gli statuti esistenti, togliendole ogni autonomia e riducendola in completa sudditanza. Il G., che intendeva trasformare il governo conferitogli su Savona in una vera e propria signoria personale, cercò di accattivarsi i suoi potenziali sudditi autorizzando il restauro del porto e sostenendo le loro ragioni nelle controversie con le località vicine, soggette alla giurisdizione di Genova. Questa politica gli costò numerosi richiami da parte del doge che, nel 1444, lo destituì dell'incarico, assegnando il governo di Savona al nipote Teramo Adorno.
Il G., che nel 1441 si era disfatto di Pontecurone, godendo per poco tempo del possesso di Cavallirio nel Novarese, si ritirò a Bistagno, feudo vescovile presso Acqui, concessogli da Giangiacomo Paleologo marchese di Monferrato a garanzia di una somma di denaro di cui era creditore. Questo castello divenne da allora la base dei Guarco - al G. si era frattanto unito il figlio Nicolò - per le loro spedizioni nel territorio genovese, allo scopo di perturbare il regime degli Adorno. Nel 1445 i due si impadronirono di Borgo Fornari, nella Valle Scrivia, passando quindi nella Val Polcevera, loro tradizionale serbatoio di partigiani; essi furono però affrontati e messi in fuga da Carrozzo Spinola, alleato di Raffaele Adorno, il quale, da parte sua, elevò proteste presso il marchese di Monferrato per la protezione accordata ai Guarco e ai loro seguaci.
La spedizione fu, a quanto pare, l'ultima impresa militare del G. che impiegò gli ultimi anni di vita cercando di dare una base territoriale alla sua famiglia che, a differenza di Adorno e Fregoso, mai era riuscita a costituirsi una signoria stabile, garantita dagli avversi colpi della sorte.
Se infatti il Visconti aveva sempre largheggiato con investiture e donazioni, esse si erano rivelate, alla prova dei fatti, molto precarie, essendo in genere viziate da irregolarità di forma o oggetto di lunghi contenziosi tra Fisco ducale e antichi proprietari, tanto che nel giro di pochi anni erano state tutte perdute. Nell'agosto 1447 il G. acquistò dall'astigiano Sifrone "de Regibus" il castello di Quattordio, nell'Alessandrino, su cui vantava numerosi diritti la potente famiglia dei Guttuari, anch'essa di Asti. L'atto fu confermato, nel 1452, dal duca Francesco Sforza che investì il G. di questo feudo e della vicina Roccasparavera, già dominio degli Scarampi. Gli antichi proprietari contestarono la decisione del duca, appellandosi al Consiglio di giustizia ducale che diede loro ragione, ordinando al G. la restituzione dei due feudi. Egli cercò di opporsi, ma senza successo. Ne originò una lunga controversia che, in un alternarsi di sentenze contraddittorie, consumò il patrimonio del G., avvelenandogli gli ultimi anni di vita.
Morì infatti di lì a poco, in data imprecisata, certo prima del 1458, lasciando erede, a quanto sembra, un solo maschio, Nicolò; si ignora il nome della moglie.
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