GUARCO, Isnardo
Nacque, probabilmente a Genova, verso il 1330 da Montanaro; non è noto il nome della madre.
L'omonimia col figlio del fratello maggiore Nicolò (doge tra il 1378 e il 1383), che fu doge per pochi giorni nel 1436, ha provocato la confusione dei due personaggi in uno solo, al quale era così attribuita una vita lunghissima e, in vecchiaia, assai intensa.
Fin dalla giovinezza si dedicò alla mercatura e alla navigazione nel Levante, acquistando una notevole esperienza marittima e militare. La prima notizia sicura su di lui risale all'ottobre 1366, quando, a bordo della galea genovese di Giovanni de Magnerri, prese parte alla spedizione del conte di Savoia Amedeo VI a Costantinopoli, in aiuto dell'imperatore Giovanni V Paleologo, minacciato dai Turchi. Nel 1376 il G. fu patrono prima di una galea e, poi, di una flottiglia di altre cinque, impiegate nei traffici e nella pirateria lungo le rotte per la Siria e l'Egitto.
Rientrato a Genova, dopo che il fratello Nicolò fu eletto doge (18 giugno 1378), ne divenne il braccio destro e, forte dell'esperienza acquisita nel Levante, assunse il comando della guardia del palazzo ducale, probabilmente con il titolo di "capitano della piazza", tipico dell'ordinamento militare genovese. L'anno successivo la comparsa nelle vicinanze di Genova della compagnia di ventura della Stella al comando di Astorre Manfredi gli diede l'opportunità di acquistare fama di abile capitano. Manfredi, postosi al servizio di Bernabò Visconti, nell'estate del 1378 aveva guidato i suoi uomini contro Genova ma il doge Nicolò Guarco se ne era liberato corrispondendogli un donativo di oltre 10.000 fiorini d'oro. L'anno seguente, su istigazione questa volta dei Veneziani (in guerra con Genova e impegnati militarmente nell'Adriatico), Astorre condusse nuovamente la sua compagnia nel Genovesato, scendendo dal Piacentino nella Val Bisagno, a oriente della città, e pose i propri quartieri sulla collina di Albaro, nel bel mezzo di una ricca campagna densamente occupata da ville, orti e vigneti. Il doge, sollecitato da più parti, affidò il comando delle difese al Guarco.
Radunate le milizie cittadine e i soldati della guardia, il G. li sbarcò con sei galee alla Foce, mentre sulle montagne circostanti si ammassavano i valligiani e le truppe feudali dei Fieschi e degli Spinola. Il 24 settembre egli ordinò un assalto generale, cogliendo del tutto di sorpresa i mercenari che si sbandarono quasi senza combattere. Tra i molti prigionieri fu anche Astorre Manfredi, che però riuscì a corrompere alcuni paesani e a fuggire travestito da contadino. Il bottino fatto dai Genovesi fu notevole e, tra le altre cose, vennero catturate bandiere viscontee e veneziane che il G. fece condurre in città. Qui la vittoria fu festeggiata con grande solennità dal doge, il quale, con un pubblico decreto, ordinò che in futuro, nell'anniversario della battaglia, la Signoria dovesse portarsi in processione alla chiesa di S. Giorgio per offrire un palio di drappo d'oro: cerimonia che ancora si celebrava nel XVIII secolo. Il successo genovese ebbe vasta eco, soprattutto nelle città che avevano dovuto subire le angherie della compagnia della Stella e Bologna, che più di tutte aveva subito danni, volle testimoniare la sua gratitudine inviando un'ambasceria al doge e doni al Guarco.
Due anni dopo, caduta Chioggia in mano ai Veneziani (1° giugno 1380) e rientrata a Genova la flotta di Gaspare Spinola che bene aveva operato a Trieste e in Istria, il G. fu nominato, il 21 febbr. 1381, capitano di una nuova squadra di 21 galee che avrebbe dovuto riportare la guerra nella laguna veneta.
Egli salpò da Portovenere alla metà di aprile e, dopo essere sfuggito alle galee di Carlo Zeno che lo attendevano nel canale d'Otranto, riuscì a riparare a Ragusa, raggiungendo quindi Zara, dove si trovava una parte della flotta lasciatavi mesi prima dallo Spinola. Da qui egli si portò in Istria e, impadronitosi di Capodistria (che saccheggiò completamente), comparve al largo di Venezia, obbligando i Veneziani a ritirare le proprie forze in Terraferma e a mettere in stato di difesa le posizioni di S. Nicolò al Lido, già fortificate gli anni precedenti. Egli non ebbe tuttavia modo, come progettato, di ingaggiare battaglia, giacché venne urgentemente richiamato nel mar Ligure per sventare la minaccia rappresentata dalla flotta di Carlo Zeno che, fallita l'intercettazione della squadra del G., aveva puntato con le sue 16 galee nel Tirreno e, fatta base a Livorno, aveva cominciato a dare la caccia al naviglio mercantile genovese, comparendo infine davanti alla Riviera di Levante, dove solo da pochi mesi era stata domata una rivolta dei partigiani dei Fregoso, nemici del regime di Nicolò Guarco. Il G. fece ritorno il più velocemente possibile, giungendo a Portovenere già agli inizi di luglio; non riuscendo a sorprendere lo Zeno, datosi alla fuga, lo inseguì per il Tirreno e lo Ionio, catturando al largo della Maremma varie navi mercantili venete.
Intanto a Torino, l'8 ag. 1381, si era giunti alla pace tra le due Repubbliche; il G. venne raggiunto dalla notizia mentre si trovava nelle acque dello Ionio, così che fece ritorno a Genova solo in ottobre, dopo avere lasciato una galea di guardia nell'Adriatico, quattro nel Peloponneso e due in Sicilia, in modo da sorvegliare la rotta che avrebbe potuto seguire un'eventuale flotta veneziana.
Nei mesi successivi il fratello lo inviò con un corpo di armati a Finale per liberare gli ambasciatori veneziani, che, di ritorno dal Piemonte, erano stati sequestrati dai marchesi Del Carretto. Egli li accompagnò quindi a Venezia, e fu anche incaricato di comporre con la Signoria alcune vertenze relative all'interpretazione delle clausole del trattato di Torino.
Ritornato a Genova, riprese a occuparsi dei propri affari finanziari. Tuttavia, quando nel marzo 1383 scoppiarono i tumulti che avrebbero portato alla caduta di Nicolò Guarco, il G. si ritrovò con l'altro fratello Ludovico a difendere, con pochi uomini, il palazzo ducale dagli assalti degli Adorno e dei Fregoso. Con Ludovico, il 6 aprile, fuggì in Val Polcevera, dove il doge, nei giorni precedenti, aveva ammassato soldati e partigiani. L'elezione al dogato di Leonardo Montaldo - che nelle settimane precedenti aveva a lungo cercato un accomodamento tra i Guarco e i loro rivali - gli permise però di rientrare in città, dove visse tranquillamente per alcuni mesi, durante i quali, rimasto vedovo di Lina Olivieri, sposò in seconde nozze Maria, figlia di Rinaldo dei conti di Ventimiglia, consignore di Carpasio, Aurigo e Lucinasco. La morte - per peste - di Leonardo Montaldo, l'11 giugno 1384, e l'avvento al potere di Antoniotto Adorno - implacabile nemico dei Guarco - lo costrinsero all'esilio, dopo avere subito la confisca di tutti i beni, tra i quali una ferriera a Campomorone e terre a Rivarolo e a Cesino, in Val Polcevera, luogo d'origine della sua famiglia.
Si trasferì nel Levante, forse a Cipro, dove infatti, nel 1385, il re Giacomo II di Lusignano gli concesse alcuni privilegi; non sembra tuttavia che ne abbia goduto immediatamente, a causa di alcune disavventure, delle quali non si conosce l'andamento, che gli fecero trascorrere alcuni anni di prigionia in Grecia. Tornato libero, si pose al servizio di Giacomo II che, il 21 febbr. 1390, lo ricompensò facendogli dono di una rendita perpetua di 3645 lire annue sulle entrate fiscali del lago di Limassol, dietro la corresponsione simbolica, a titolo di livello, di due speroni, da presentare al sovrano alla vigilia di Natale di ogni anno.
Nel 1391 Giacomo Fregoso, eletto doge, lo richiamò in patria e, per indennizzarlo dei danni subiti durante il dogato di Antoniotto Adorno, gli concesse immunità perpetua da ogni gabella o tributo. Non si sa se egli abbia fatto effettivamente ritorno a Genova o se abbia preferito trattenersi a Cipro; è certo tuttavia che nei convulsi avvenimenti che sconvolsero la città per tutto l'ultimo decennio del XIV secolo egli non è ricordato e la guida della famiglia Guarco appare nelle mani del fratello Ludovico o del nipote Antonio, figlio del doge Nicolò. Tuttavia, egli continuò a essere considerato un nemico e un ribelle del Comune di Genova, figurando - con tutti i suoi familiari - tra i cittadini che, nel 1394, furono colpiti dal bando e dalla confisca dei beni. L'avvento della dominazione francese (1396) e, soprattutto, l'allontanamento dal governo di Antoniotto Adorno (rimasto per qualche tempo al potere quale luogotenente regio), lo ricondussero a Genova. Il suo nome figura infatti, nel 1398, tra i consiglieri del vescovo di Meaux, Pierre Fresnel, allora governatore di Genova ed è, questa, l'ultima testimonianza sicura che si ha di lui.
Si deve quindi ritenere che il G. sia morto poco dopo tale data. A quel che si sa, dai suoi due matrimoni non ebbe alcuna discendenza.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Manoscritti, 520, pp. 860 s.; Diversorum, reg. 503, n. 223; Genova, Biblioteca civica Berio, m.r. IX.2.23: F. Federici, Scrutinio della nobiltà ligustica, s.v. Guarco; G. Stella - I. Stella, Annales Genuenses, a cura di G. Petti Balbi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVII, 2, pp. 65, 175, 183-185, 188 s.; L. Osio, Documenti diplomatici tratti dagli archivi milanesi, I, Milano 1864, doc. 155 p. 220; L'"Officium Robarie" del Comune di Genova (1394-1397), a cura di A. Roccatagliata, III, Genova 1989, p. 971; A. Giustiniani, Castigatissimi annali…, Genova 1537, cc. CXLIV, CXLIXv, CLv; L.A. Casati, La guerra di Chioggia e la pace di Torino… con documenti inediti, Firenze 1866, pp. 76, 136; M.G. Canale, Della spedizione in Oriente di Amedeo VI di Savoia, Genova 1887, p. 44; L. Levati, I dogi perpetui di Genova…, Genova 1926, pp. 248-255; G. Cipollina, I regesti di Val Polcevera, I, Genova 1932, pp. 214 s.