EOLIE, Isole
(v. lipari, isole, XXI, p. 232)
Archeologia. - Un quarantennio di ricerche sistematiche (frutto delle quali è il Museo Archeologico Eoliano di Lipari, più volte ampliato) permette di tracciare un quadro dell'evoluzione culturale nelle isole attraverso più di cinque millenni. Prima della fine del 5° millennio a.C. genti provenienti dalla Sicilia e portatrici di una facies culturale neolitica stentinelliana si stanziarono sui fertili altipiani di Lipari (Castellaro Vecchio, Zìnzulo, Rinicedda di Salina), attratte dalla risorsa economica costituita dall'ossidiana, il vetro vulcanico nero, eruttato dal cratere del Monte Pelato. L'ossidiana, che era il materiale più tagliente allora conosciuto, veniva esportata per tutto il bacino occidentale del Mediterraneo.
Solo in un momento successivo (inizi 4° millennio a.C.) si ha il primo insediamento sul Castello di Lipari, cupola lavica a pareti scoscese costituente una vera fortezza naturale, e che, protendendosi nel mare, protegge le due migliori insenature portuali dell'isola.
Sull'alto del Castello, in un deposito terroso dello spessore di oltre 9 m, gli scavi rivelarono una stratigrafia (integrata d'altronde da quella della piana sottostante, ove l'abitato si spostò nei periodi di maggior tranquillità) che costituisce il paradigma per la successione culturale preistorica della Sicilia e della penisola italiana. La tipologia delle ceramiche sembra indicare che le prime genti stanziatesi sul Castello (periodo della ceramica tricromica) provenissero dalle coste transadriatiche. Sul Castello l'abitato resta per tutto il periodo successivo (ceramica dello stile di Serra d'Alto, metà 4° millennio), mentre nel Neolitico superiore (fine 4° millennio) si sposta nella sottostante contrada Diana, dove si sviluppa uno dei più vasti e popolosi insediamenti del Mediterraneo. Il commercio dell'ossidiana raggiunge ora l'acme.
L'Eneolitico (corso del 3° millennio a.C.) è un periodo di forte recessione economica e demografica per le isole. Si ha invece una nuova, straordinaria rifioritura all'inizio dell'età del Bronzo (inizi 2° millennio a.C.), quando si stanziano nelle isole nuove genti, portatrici di una facies culturale strettamente imparentata con quella contemporanea della Grecia continentale (Protoelladico iii e Mesoelladico), nelle quali si possono riconoscere quegli Eoli (le isole ne conservano il nome) cui si riferisce un vasto ciclo di leggende, fra le più antiche del mondo greco, che trovano larga eco nell'Odissea. Sorgono allora vasti insediamenti in tutte le isole. Particolarmente importanti, oltre a quello del Castello di Lipari, sono quelli del Capo Graziano di Filicudi, dai quali la facies culturale di questo periodo trae il nome. L'importanza delle isole in questo periodo (in cui ormai è cessata l'esportazione dell'ossidiana) è dovuta alla posizione strategica che consentiva loro di dominare le rotte commerciali che attraversavano lo stretto di Messina. È la via dello stagno, che dalle isole britanniche raggiunge il Mediterraneo orientale. Ma ad esso si aggiungono certamente anche prodotti locali, come l'allume e lo zolfo di Vulcano, e probabilmente anche un largo traffico di schiavi.
La cultura di Capo Graziano dura nelle isole più di 5 secoli. Nelle fasi finali di essa (a partire dalla metà del 16° secolo) l'intensità e regolarità dei traffici con l'Egeo è attestata dal gran numero di frammenti di ceramiche protomicenee importate (Lipari, Salina, Filicudi). A Lipari è di questa età la cupola termale di San Calogero, che costituisce l'unico monumento dell'architettura micenea al di fuori della Grecia.
Intorno al 1430 a.C. alle popolazioni di stirpe eolica si sostituiscono genti provenienti dalla Sicilia, le quali apportano una nuova facies culturale che prende il nome di ''Cultura del Milazzese'', così chiamato dal vasto insediamento dell'omonimo promontorio dell'isola di Panarea. Continuano i commerci con l'Egeo, attestati da frammenti di ceramiche tardo-micenee, e si diffonde nella ceramica locale l'uso di contrassegni, talvolta riproducenti segni delle scritture lineari egee.
Un altro radicale cambiamento si ha agli inizi del 12° secolo a.C., quando sul Castello di Lipari s'insediano violentemente altre genti, provenienti questa volta dalla penisola italiana e portatrici di una facies culturale di tipo tardoappenninico. Le isole minori resteranno da questa età deserte per molti secoli. Si possono riconoscere in questi nuovi invasori gli Ausoni della leggenda. A questa prima ondata di genti peninsulari (Ausonio i) se ne avvicenda, prima della fine del 12° secolo, un'altra (Ausonio ii) di genti portatrici di una cultura anch'essa di tradizione tardo-appenninica, ma impregnata ormai di elementi proto-villanoviani. L'Ausonio ii rappresenta un altro dei momenti di più rigogliosa fioritura di Lipari. Il commercio col mondo miceneo è in declino a causa delle profonde crisi che lo sconvolgono, tuttavia vivaci rapporti con la Sardegna sono attestati dalla presenza di ceramica nuragica.
Sul finire del 10° o agli inizi del 9° secolo a.C. il florido abitato del Castello di Lipari subisce una violentissima distruzione, in seguito alla quale anche quest'isola sembra rimanere pressoché deserta per almeno tre secoli. Fra il 580 e il 576 a.C. s'insediano sulla storica acropoli i Cnidii superstiti della sfortunata spedizione di Pentathlos, intesa a fondare una colonia greca a Lilibeo. La nuova Lipára deve immediatamente combattere contro i Tirreni (ai quali era forse dovuta la distruzione dell'Ausonio ii) che non consentivano il risorgere di una nuova potenza marittima in una posizione strategica così importante per l'egemonia del basso Tirreno. Di qui la singolare costituzione datasi dai Cnidii, che è in realtà quella di un esercito in guerra.
Della città fondata dai Cnidii sul Castello resta unica testimonianza la grande fossa votiva di un santuario in cui era probabilmente venerato Eolo. Tuttavia l'abitato si è presto espanso sul dosso della Civita e sul pendio fino ai margini della piana, ed è stata qui costruita (intorno al 500 a.C.) una prima cinta di mura in opera poligonale. La guerra più che secolare coi Tirreni ha una reviviscenza nella prima metà del 5° secolo, quando i Liparesi dedicano nel santuario di Apollo a Delfi un primo grandioso ex voto con venti statue di bronzo (che corrispondono al numero delle navi catturate) per commemorare una grande vittoria. Probabilmente essi avevano respinto una prima aggressione dei Tirreni contro l'isola.
Una seconda aggressione dei Tirreni con maggiori forze (forse al comando del tarquiniese Velthur Spurinna, fra il 478 e il 474 a.C.?) riesce a impadronirsi di Lipari; viene allora sacrificato sull'altare di Febo il più forte dei difensori, Theudotos. Ma Lipari riconquista ben presto la propria libertà e dedica a Delfi un secondo grandioso donario. La grande vittoria navale di Ierone di Siracusa contro i Tirreni presso Cuma (474 a.C.) segna la fine della secolare minaccia etrusca gravante su Lipari. Solo da questo momento si ha traccia di un nuovo popolamento delle isole minori. Lipari è alleata con Siracusa al tempo della prima spedizione degli Ateniesi in Sicilia e resiste a due aggressioni di questi e dei Regini, nel 427 e 426 a.C. Nel 396 i Liparesi s'impadroniscono della nave romana che portava a Delfi il cratere d'oro, decima della conquista di Veio, ma per volontà dell'arconte Timasiteo la rilasciano e la scortano fino a Delfi.
Nella prima metà del 4° secolo, a seguito dell'accresciuta popolazione, si costruisce una seconda cinta muraria in elegante struttura a filari isodomi, della quale sono stati messi recentemente in luce alcuni tratti. Il 4° e la prima metà del 3° secolo a.C. sono il periodo più splendido della Lipára greca. L'alto standard di vita è attestato dai ricchi corredi della necropoli, della quale sono state scavate in questi decenni quasi 2500 tombe. Alle importazioni di ceramiche attiche del 5° secolo succede quella di grandi crateri figurati di fabbriche siceliote, campane e pestane; fin dalla metà del 4° inizia una produzione locale di ceramiche a figure rosse, nella quale si riconosce la personalità di diversi maestri. Essa evolve nella prima metà del 3°, col Pittore di Lipari e i suoi allievi, in quella singolare ceramica policroma che è una caratteristica dell'artigianato liparese, in stretto rapporto con riti e costumanze funerarie connesse col culto di Dioniso. Con questo è connesso anche un altro artigianato locale, quello della coroplastica teatrale, che prende l'avvio fin dagli inizi del 4° secolo. Numerosissimi modellini di maschere tragiche (corrispondenti ai personaggi di tragedie di Sofocle e di Euripide) e comiche (in rapporto col teatro di Aristofane), e poi parecchie centinaia di maschere relative alla commedia nuova costituiscono una documentazione di eccezionale importanza, e per molti aspetti unica, sul costume scenico del teatro greco. Un altro ramo della coroplastica liparese è quello della ritrattistica (maschere di Menandro e forse altri poeti della commedia nuova, statuette di Omero, Socrate, Lisia), mentre nella coroplastica sacrale si affermano tipi nuovi e particolari (pínakes).
La proditoria aggressione di Agatocle contro Lipari alleata di Siracusa (304 a.C.) ebbe la conseguenza di riavvicinare l'isola a Cartagine. Di questa, durante la prima guerra punica, essa è la base avanzata contro Roma, che tenta invano più volte d'impadronirsene. Episodio di questa guerra è la cattura a Lipari, da parte dei Cartaginesi, del console romano Cornelio Scipione Asina (260 a.C.). Ma poco dopo, la vittoria navale di Duilio nelle acque fra Lipari e Milazzo rovescia la situazione, e l'isola è in grave pericolo. Nel 252-51 a.C. Aurelio Cotta riesce a conquistare la città.
La feroce distruzione segna la fine di tutti gli artigianati locali e dell'alto livello artistico e culturale di Lipari, di cui essi erano l'espressione. Inizia un periodo di forte recessione, attestata dalla povertà dei tipi tombali e dei loro corredi. Il quadro che delle E. ci offrono le Verrine di Cicerone è di profonda depressione. L'acropoli, che era stata forse a lungo sede di un presidio romano, viene restituita a usi residenziali nel corso del 2° secolo a.C., e si crea allora un impianto urbano regolare, di cui gli scavi hanno trovato le tracce.
Le E. tornano ad avere importanza strategica durante la guerra civile fra Ottaviano e Sesto Pompeo. Ottaviano deporta in Campania i Liparesi favorevoli a Pompeo; Pompeo crea una fortificazione campale della città di cui restano avanzi; Agrippa occupa Stromboli e Hiera (Vulcano), e questa costituisce la sua base per quella battaglia nelle acque di Milazzo che segna la definitiva sconfitta di Pompeo (36 a.C.).
Della città di età romana restano, entro la cinta greca del 4° secolo, porzioni di insulae di abitazioni più volte ristrutturate dal 2° al 6° secolo d.C. e avanzi di un piccolo edificio termale con pavimenti a mosaico. Di età tardoimperiale sono un'arena rustica o anfiteatro di provincia, e un piccolo edificio termale utilizzante il calore delle fumarole (''Organo di Eolo''). Fra le risorse economiche che le fonti (Diodoro, Strabone, Plinio) ci attestano sfruttate in età ellenistica e romana, oltre all'allume, allo zolfo, alla pomice, erano le sorgenti termali che Ateneo annovera fra le più famose del Mediterraneo. Di queste la più importante è quella di San Calogero, i cui impianti sono stati più volte ristrutturati. Testimonianze di età romana (resti murari, frammenti ceramici, tombe) si rinvengono in tutte le isole e in particolare a Santa Marina Salina.
In età imperiale e tardo imperiale Lipari è sede di deportazione e di confino. Caracalla vi relega la moglie Plautilla e il cognato Plauzio (203 d.C.). Più tardi (417 d.C.) Onorio vi confina Attalo Prisco. Cassiodoro ricorda il confino a Vulcano del curiale Iovino (506-11).
Di età cristiana sono a Lipari vari ipogei funerari (uno dei quali forse ebraico), la necropoli del predio Zagami e importanti iscrizioni. Lipari fu sede vescovile forse fin dal 3° secolo. Notissima è la leggenda di Teodorico gettato nel cratere di Vulcano, secondo la visione di un eremita, narrata da s. Gregorio Magno. Fin dalla fine del 6° secolo è storicamente attestato il culto di s. Bartolomeo, le cui reliquie, secondo il racconto di Teodoro Studita, sarebbero giunte miracolosamente a Lipari in un sarcofago litico attraverso il mare, a seguito delle preghiere del vescovo Agatone, lo stesso vescovo che il papa s. Gregorio Magno destituiva dalla carica, restituendolo allo stato monacale.
Nei secoli seguenti Lipari è quindi meta di frequenti pellegrinaggi. Nell'8° secolo si ha l'improvviso risveglio del vulcano di Monte Pelato e la successiva eruzione della Forgia Vecchia, che terrorizzano gli abitanti. Di questo parossismo resta una vivace testimonianza nella vita di s. Willibald, venuto a venerare le reliquie dell'apostolo (729). Nell'838 Lipari è devastata dall'incursione degli Arabi che massacrano il vescovo, il clero e gli abitanti che non portano via schiavi. Le reliquie di s. Bartolomeo, disperse, ma raccolte da alcuni monaci superstiti, vengono trasportate a Benevento, mentre le isole resteranno pressoché deserte fino alla rifondazione normanna (1083). Vedi tav. f.t.
Bibl.: Il resoconto degli scavi, diretti da L. Bernabò Brea e M. Cavalier, è nella serie Meligunís Lipára, giunta al v volume. Più riassuntiva la guida del museo, degli stessi (Il Castello di Lipari e il Museo Archeologico Eoliano, Palermo 1977).
Studi monografici: M. Cavalier, Nouveaux documents sur l'art du Peintre de Lipari, Napoli 1976; L. Bernabò Brea, M. Cavalier, Menandro e il teatro greco nelle terracotte liparesi, Genova 1981; L. Bernabò Brea, Gli Eoli e la prima età del bronzo nelle isole Eolie e nell'Italia meridionale, Napoli 1985; L. Bernabò Brea, M. Cavalier, La ceramica policroma liparese, Muggiò 1986. Sulle guerre con gli Etruschi e i donari dei Liparesi a Delfi: G. Colonna, Apollon, les Etrusques et Lipára, in Mélanges de l'Ecole Française de Rome, 96 (1984). Su Lipari nel Medioevo: L. Bernabò Brea, Lipari, i vulcani, l'inferno, e San Bartolomeo: Le isole Eolie dal tardo antico ai Normanni, in Archivio Storico Siracusano, n.s., 5 (1978-79), pp. 25-89 (ed. ampliata in collab. con S.L. Agnello, M. Cavalier, W. Krönig, Le Isole Eolie dal Tardo antico ai Normanni, Ravenna 1988).