ispanismi
Con il termine ispanismi si intendono le parole, i costrutti o le espressioni che dallo spagnolo (cioè dal castigliano) sono penetrati, più o meno durevolmente, in altre lingue, nel nostro caso in italiano. Gli ispanismi, insieme ai catalanismi e ai lusitanismi, rientrano nella categoria più ampia degli iberismi. Data la vicinanza geografica tra la Spagna e l’Italia, le strette relazioni storiche – sia nell’ambito politico che commerciale e culturale – tra i due paesi, nonché la somiglianza delle due lingue, è facile immaginare che questo tipo di scambio linguistico si sia prodotto fin da epoche remote.
Identificare un ispanismo all’interno del tessuto lessicale italiano non è sempre un compito agevole, dato che può essere entrato seguendo vie diverse. D’altra parte, non tutti gli ispanismi hanno goduto dello stesso grado di integrazione all’interno del corpus lessicale dell’italiano. Alcuni si sono affermati stabilmente nell’uso comune, come regalo, vigliacco, guerriglia, casco; altri appartengono a settori specialistici, come caracollare (detto del movimento a carosello dei cavalli); altri, infine, hanno avuto un uso cronologicamente o settorialmente limitato (gli aguazeri di cui parla Vespucci, termine completamente sconosciuto in italiano, che non è altro che l’adattamento dello spagnolo aguaceros «acquazzoni»). Il fatto che in un dato momento un ispanismo abbia avuto ampia diffusione non ne garantisce affatto la duratura permanenza e ‘acclimatazione’ nell’ambito della lingua italiana: basta che venga meno l’occasione o la causa che l’ha portato alla ribalta perché sparisca, come è successo con centinaia di ispanismi penetrati nell’italiano del Cinquecento e del Seicento, poi rimasti semplici relitti.
D’altra parte un ispanismo, come qualsiasi altro forestierismo, non necessariamente mantiene, nell’evolversi nel nuovo ambiente linguistico, il contenuto semantico che aveva nella lingua originale. Ne è un esempio la parola sussiego, che in italiano ha acquistato un senso di altezzoso contegno di cui è completamente sprovvisto l’originario termine spagnolo sosiego, il quale evoca soltanto l’idea di calma e serenità. E dato che i parlanti della lingua ricevente spesso non conoscono la struttura grammaticale della lingua di partenza, è possibile che si produca una reinterpretazione errata dello statuto morfologico del termine originario: il vocabolo silos è il plurale del sostantivo spagnolo silo, il che non impedisce che in italiano si usi anche al singolare (un silos), allo stesso modo in cui sui giornali spagnoli non è infrequente leggere espressioni come un tifosi o un paparazzi.
Data la relativa somiglianza delle risorse fonetiche dell’italiano e dello spagnolo (che era ancora più marcata nel Cinquecento e nel Seicento), è perfettamente spiegabile che la stragrande maggioranza degli ispanismi si siano adattati alla fonetica italiana: floscio (< flojo), appartamento (< apartamento). Nessun problema, ovviamente, per le parole che, prese di peso dallo spagnolo, hanno struttura fonetica perfettamente coincidente con quella dell’italiano: torero, corrida, golpe. Ciò non esclude che a volte vengano presi dallo spagnolo, soprattutto in epoche recenti, vocaboli nella forma originale (muchachos, Mundial, vigilantes).
La Spagna in questo periodo funge da mediatrice tra la cultura araba e quella occidentale (si pensi alla Scuola dei traduttori di Toledo) e le attività marittime e commerciali moltiplicano i contatti con i territori europei più vicini, facilitati anche dall’esistenza del Camino de Santiago, che soprattutto a partire dell’anno Mille favorì un’intensa circolazione di persone verso e dal Finis Terrae ispanico. D’altra parte, nel 1282 gli aragonesi conquistarono la Sicilia, segnando l’inizio di una dominazione politica che si sarebbe protratta a lungo e che sarebbe stata seguita poco dopo, nel 1323, dalla conquista della Sardegna.
Tramite lo spagnolo arrivano nell’Italia del Duecento ➔ arabismi come alambicco, algebra o quintale, o forme autoctone oggi poco comuni in italiano come pipa (botte allungata) o remolino (vortice acquatico, mulinello nel pelo degli animali), e anche l’etnico spagnolo. Il ventaglio lessicale si amplia nel Trecento con termini come nàibi (carte da gioco), dobla (nome di moneta), doppiare (in navigazione, superare un punto di riferimento), maiolica (da Maiorica, nome latino dell’isola di Maiorca), meschita e moschea, infante (titolo nobiliare che spettava ai figli del re escluso il primogenito), nord o etnici come basco e catalano. Il lessico astronomico si arricchisce con vocaboli come armella, astrolabio, erratico, e accoglie arabismi come almanacco, alchimia, (al)mugáveri e zenit.
La presenza politica della Spagna acquisisce maggiore peso nell’Italia quattrocentesca, con Alfonso V d’Aragona a Napoli e due papi di origine spagnola: Callisto III (1455-1458) e Alessandro VI (1492-1503). Il fatto che presso la corte napoletana venisse usato il catalano come lingua dell’amministrazione favorì la penetrazione, per via dialettale, di alcuni catalanismi che poi sarebbero passati all’italiano, come attillato, gramaglia, galera o impresa. Ma, essendo la corte in fondo più castigliana che aragonese, sono molto più numerosi e rilevanti gli ispanismi (o castiglianismi) veri e propri: aguzzino, gala, marrano (in spagnolo «porco», nome dato ai musulmani ed ebrei convertiti al cristianesimo), buscare, cavallerizza, creato («servitore»), posata («posto a tavola»), rotta, trinchetto, scimitarra, traversia.
Questi secoli costituiscono il periodo di massimo afflusso di ispanismi in italiano (Beccaria 1968), un fatto spiegabile se si tiene conto dell’intensificarsi dei rapporti politici e culturali tra la Spagna e l’Italia, del ruolo svolto dalla Spagna nella politica europea e della sua funzione di mediatrice tra il vecchio continente e il Nuovo Mondo.
Alcune parole di significato generale che entrano in questo periodo nell’italiano, e vi rimangono, sono appurare, disimpegnare, grandioso, gustoso, manipolazione, arrabattarsi, buscare, accertare, accudire, acciacco, disdetta, disimpegno, disguido, floscio, regalo (e regalare). Vocaboli riferiti alla vita quotidiana sono alcova, baule, baracca, borraccia, bucchero, appartamento, chicchera, pastiglia, siesta.
Il contatto diretto con i dominatori spagnoli, spesso visti come presuntuosi, dal carattere borioso e poco vivace, poco propensi alle lettere ed estremamente soggetti ai formalismi e ai riti sociali, favorisce l’entrata di termini legati alla descrizione spesso negativa o critica del comportamento, il carattere o la vita sociale. Abbiamo così disdoro, disinvoltura, brio e brioso, grande (titolo nobiliare, dalla denominazione spagnola grande de España), fanfarone, hidalgo, imbarazzo e imbarazzare, lindo, maggiorasco, picaro e picaresco, puntiglio, punto d’onore, sfarzo, sforzo e sforzato, smargiasso, sussiego, taccagno e taccagneria, vigliacco. Al settore dei convenevoli sociali appartengono vocaboli come creanza, etichetta, baciamano, brindare, complimento e complimentoso, compleanno (nella forma compleagnos, dato che la forma al singolare entrò in italiano solo nella seconda metà del XIX secolo).
La moda e l’abbigliamento degli spagnoli dell’epoca favoriscono la penetrazione di numerosi termini, tra cui alamaro, cintiglio, faldiglia, guardinfante, mantiglia e pastrano. Nel settore delle danze abbiamo ciaccona, pavaniglia, passacaglia, sarabanda, seghidiglia e la denominazione delle castagnette. L’abilità degli spagnoli nel maneggio dei cavalli rende popolari in quest’epoca numerosi termini ippici che solo in parte sopravvivono come impennare, caracollare o roano. All’ambito gastronomico appartengono numerosi termini ormai dimenticati come piccatiglio, oglia podrida, tortiglia o pienamente vivi come torrone. E compare anche toreador (che a quei tempi era una sorta di primitivo e rudimentale torero, visto che la corrida come spettacolo regolare inizia in Spagna solo nel Settecento).
I settori in cui indubbiamente gli spagnoli avevano una chiara supremazia, come quello marinaresco (➔ marineria, lingua della) e quello militare, forniscono anche diversi ispanismi duraturi. Al primo appartengono termini come abbordare, amante (gomena, cavo marino), baccalà, bompresso, bozza, cazzare, doppiare, imbarco, feluca, flotta, flottiglia, incagliare, lancia, mozzo, nostromo, risacca, rotta, tolda, velaccio. In stretta connessione con questi si fanno strada in italiano diversi ispanismi legati all’ambito geografico o climatologico: baia, i nomi dei punti cardinali (anche se nord era entrato già nel Trecento), cala, cordigliera, savana, tormenta, uragano, vulcano. All’ambito militare appartengono alfiere, ammutinare e ammutinamento, camerata (compagno d’armi), guerriglia, manica, parata, recluta, ronda, squadriglia e alcune denominazioni di attrezzi militari come casco, manopola (guanto di ferro), morione, balestriglia, borgognotta (tipo di elmo militare), garitta.
In questo periodo gli spagnoli (e occasionalmente i viaggiatori di altri paesi – tra cui alcuni famosi italiani – che li accompagnavano) fanno conoscere in Europa, oltre alla etno-geografia americana, numerosi elementi della flora e della fauna americana. E, con essi, i rispettivi nomi spagnoli o amerindi. Per quanto riguarda le piante o i prodotti a esse relativi, abbiamo termini come cacao, cioccolata/o (prima cioccolate) e cioccolatiera, mais, papaia, patata, tabacco, yucca, salsapariglia. E nell’ambito zoonimico, armadillo, caimano, coc(c)iniglia, condor, iguana, lama, puma, vigogna. Legati all’ambito americano sono anche amaca, ambracane, cannibale, canoa, indio, piragua (poi piroga), vaniglia.
Altri ispanismi penetrati in quest’epoca e non riconducibili a un singolo settore sono azimut, per i calcoli astronomici; giunta, rimpiazzare, dispaccio, nell’amministrazione; doblone, doppia e peso per le monete; gli etnici indio, mozarabo, mulatto e patagoni; primiera, per i giochi delle carte; tonnellata e transazione, nel settore degli scambi commerciali; aio e cavallerizzo, per i mestieri.
Ma la presenza di ispanismi nell’Italia cinque-seicentesca fu molto più fitta e massiccia (Beccaria 1968: 32-135) di quanto non trapeli dal breve panorama appena tracciato. Il linguaggio della cancelleria e dell’amministrazione, esposto all’influsso della lingua sia parlata che scritta dai dominatori, registra una grande quantità di tecnicismi provenienti dallo spagnolo, che ebbero in quei secoli un uso continuato e territorialmente esteso, e che spesso penetrarono nei dialetti: è il caso di alborotto («tumulto»), alcanzo («corriere»), aprieto («urgenza»), appoderarsi («impadronirsi»), arrendamenti («appalti per la riscossione delle tasse») o di vocaboli napoletani come alcanzà («raggiungere»), assiento («iscrizione»), entregare («consegnare»), levantare («arruolare»).
Molto significativo è il caso dei Gridari (o gride) milanesi dell’epoca, infarciti di ispanismi: acclarare («assegnare»), borrare («cancellare»), allistare («arruolare»), veedore («ispettore»), aliviare («diminuire»), papeli («documenti»), amparo («rifugio»), essere preciso («essere necessario»); o delle relazioni degli ambasciatori e diplomatici italiani alla corte di Spagna, nelle quali compaiono termini come adelantado («governatore»), apposentatore («ufficiale incaricato dell’alloggio delle truppe»), o espressioni come stimar accertato («ritenere adeguato») o esser servito («compiacersi»).
Questi vocaboli ebbero il loro tempo d’uso, spesso più che secolare, per diventare oscuri quando venne meno la funzione che ricoprivano. E accanto ad essi c’è la miriade di ispanismi che compaiono sulle pagine dei resoconti dei viaggiatori (Vespucci, Pigafetta, Sassetti), eruditi (Ramusio) o traduttori di testi che narrano le conquiste e storie del Nuovo Mondo. Sono parole che, spesso, nascono e muoiono su quelle pagine: aguacate («avogado»), abrigo («riparo»), cagliare («tacere»), cansare («stancare»), cavezuto («testardo»), encina («leccio»), sozobrare («naufragare»), buitre («avvoltoio»), propina («mancia»), terziopelo («velluto»), e tante altre. Altre funzioni, puramente espressive, con connotazioni comiche o tipologicamente caratterizzanti, vengono assunte dai numerosi ispanismi che compaiono nelle commedie italiane di questi secoli, soprattutto, ma non solo, quando in esse compaiono personaggi spagnoli.
Molti ispanismi, d’altra parte, penetrarono nel tessuto lessicale dei dialetti del Sud; sono parole che denominano azioni usuali o oggetti della vita quotidiana: solo per fare alcuni esempi, in napoletano attrassá («ritardare»), cartera («portafoglio»), vorraccio («ubriaco»), ammoinare («infastidire»); in siciliano atturrari («tostare»), carnizzeri («macellaio»), carpetta («cartella»), puntapedi («pedata»), carignu («tenerezza»).
A voler valutare l’impatto di questo afflusso di parole nella lingua italiana in questi secoli non riesce difficile concludere che l’apporto dello spagnolo non arricchisce le zone più ‘strategiche’ del lessico bensì quelle relative al filone ‘mondano-esteriore’ (il comportamento pubblico, il vivere cortigiano, gli atteggiamenti e il carattere) e a quello ‘edonistico’ (l’arricchimento verbale), senza ampliare particolarmente l’ambito dei significati generali (Beccaria 1968: 163 segg.).
Già dalla metà del Seicento il dominio spagnolo in Italia iniziò a indebolirsi; dopo la pace di Westfalia (1648) e i trattati di Utrecht (1713) e Rastatt (1714) la Spagna perde il controllo dei territori italiani, anche se il regno di Carlo III di Borbone a Napoli (1734-1759) e la politica di Filippo V riescono a tenere ancora vicini temporaneamente i due paesi.
Ma ormai il principale vettore di influenza linguistica in Italia è il francese. Il numero degli ispanismi si riduce drasticamente. Nel Settecento entrano in italiano vocaboli riferiti a oggetti comuni come alcool, aguardiente, imbarcazione, maniglia, poncio, sigaro, malaga (in riferimento all’uva di Málaga); ancora a tratti caratteriali, come puntiglioso; nomi relativi a generi letterari o musicali tipicamente spagnoli, come auto (dramma sacro, da «auto sacramental»), fandango, quintiglia, sainete, villancico e zarzuela; parole che rimandano a elementi etnici esotici come albino, apache, negritos; o termini appartenenti a settori vari come chiglia, colibrì, eldorado, embargo (che riacquisterà diffusione in Italia dopo la Seconda guerra mondiale), filibustiere, rancio o tilde, mentre altri, meno fortunati quanto a diffusione, continuano a far capolino sulle pagine dei resoconti di alcuni viaggiatori italiani.
Nell’Ottocento il miglioramento dei trasporti e delle relazioni internazionali, la più ampia circolazione di persone e cose tra i due paesi, nonché la coincidenza di interessi comuni ad ampi gruppi di cittadini di entrambi i paesi (come l’emigrazione verso le Americhe dell’ultimo terzo del secolo), portano a un notevole incremento degli ispanismi. Un primo gruppo è quello dei realia tipicamente spagnoli come banderilla, banderillero, corrida, matador, merino, muleta, picador, torero, bolero, malagueña, patio, quadriglia, a cui si affiancano quelli americani: àlpaca, avana, guaco (tipo di pianta), cincillà, lazo (corda per catturare animali), llano (pianura americana), pampa, quebracho, guano, guarana, cañón (poi canyon), coyote.
La maggiore conoscenza dei diversi gruppi umani favorisce la penetrazione di diversi vocaboli etnici, come azteco, cileno, gaucho, gitano, guaranì, madrileno, dominicano, mancego (probabilmente dal Don Chisciotte). Appellativi riferiti a caratteri o tipi umani sono ancora donchischotte e donchisciottesco, matamoro, farabutto e lazzarone. Relativamente nutrito è il settore della terminologia marittima: tonnellaggio (in riferimento alla stazza delle navi), lentia, Arriva! (da «¡arriba!», ordine per salire sui pali della nave), ghia, ghinda, imbarcadero, mura, attraccare, amantiglio, guinare, riva (parte più alta della nave), viratore. Nell’ambito della gastronomia abbiamo caramella, cioccolatino, xeres (dal nome della città andalusa di Jerez, dove si produce questo vino). In quello della politica, camarilla, liberale, intransigente, pronunciamiento. Nella chimica, chinina e chinino, cocaina. Per quanto riguarda le monete, palanca (probabilmente da «blanca») e peseta.
Termini appartenenti a diversi settori sono silo (poi spesso silos, con falsa reinterpretazione del plurale come singolare), guerrigliero (che avrebbe ripreso forza nel Novecento), baraonda, acclarare, riffa, garrotta, galgo, alcazar, conquistador, peón, paccottiglia, sangue blu (calco di sangre azul), guappo. Il sostantivo compleanno, entrato nel Seicento sotto la forma non adattata compleagnos, assume la forma attuale.
Con il Novecento si ha una nuova ripresa degli ispanismi in italiano, favoriti sia dalla ripercussione internazionale di grandi e gravi eventi politici (come la Guerra civile, 1936-1939), culturali (celebrazioni di esposizioni internazionali e grandi manifestazioni di tipo culturale-commerciale), sportivi (campionati di calcio e Olimpiadi, sia tramite gli scambi tecnologici e industriali. A questi fattori va aggiunta la maggiore conoscenza reciproca delle due culture, veicolata dai mass media e dal turismo. Un ruolo molto importante come vettore linguistico spetta, a partire degli anni Sessanta, anche all’America Latina, anch’essa scenario privilegiato di importanti eventi.
Nel primo quarantennio del Novecento continua a prodursi un sostenuto ma non molto intenso afflusso di ispanismi non riconducibile a uno o più settori privilegiati: flamenco, mosquito, aficionado, gringo, aziendale, ronzinante, azulejo, habanera, pistolero, machete, i termini nautici balumina e impalmar, l’espressione buen retiro (inteso como luogo segreto di ritrovo per amanti, dal nome dell’omonimo giardino madrileno, i Jardines del Buen Retiro), cattedratico (professore universitario titolare di cattedra), controproducente, pelota (gioco tipico basco).
Con la Guerra civile spagnola e il regime franchista si inaugura nell’ambito degli ispanismi un settore che diventerà ben nutrito, quello politico. Abbiamo qui i termini caudillo (inizialmente applicato a Francisco Franco), l’esclamazione arriba! (dal motto ¡Arriba España!), franchista, pasionaria (dal soprannome della dirigente comunista Dolores Ibárruri), falange, miliziano. La situazione politica argentina rende noti termini come giustizialismo, descamisado, peronista e peronismo e quella uruguaiana il vocabolo tupamaro(s). Anni dopo, le profonde scosse politiche e sociali che si verificano in alcuni paesi dell’America centrale si rispecchiano anche in ambito lessicale: castrismo e castrista, barbudos (i guerriglieri cubani che entrarono nella città dell’Avana nel 1959) e líder máximo (dapprima applicato a Fidel Castro), sandinista e contras (nomi, rispettivamente, dei rivoluzionari nicaraguensi di sinistra e dei loro contrari), mentre allo stesso tempo si rinvigoriscono ispanismi già noti come guerriglia e guerrigliero. All’ambito politico sono legati anche termini come golpe e golpista, e a quello politico-sociale campesino e desperados (forma quest’ultima deformata, proveniente dal corretto desesperados).
Soprattutto a partire dagli anni Sessanta l’influsso dello spagnolo sul lessico italiano acquisisce grande forza. La più precisa conoscenza della realtà centroamericana e sudamericana amplia il ventaglio degli ispanismi etnici: chicano, latinos, carachegno, platense, bonaerense, guatemalteco, (h)onduregno, nicaraguegno, panamegno, salvadoregno, quechua oppure l’argentinismo cocoliche, che denomina lo spagnolo mescidato di italiano parlato dagli immigrati italiani a Buenos Aires. Nomi di monete sono, per es., peseta, peso, bolívar, colón, córdoba. E molti nomi di balli latini vengono assorbiti dall’italiano: cha cha cha, cumbia, tango, merengue, cucaracha, guaracha, jarabe, pachanga, pasodoble, rumba, jaleo, macarena, malagueña, sevillana, zapateado, ecc., cui si aggiungono quelli di alcuni strumenti musicali come charango, maraca, quena, marimba e bandoneón.
Tra i nomi di cibi e bevande, sia spagnole che americane, vanno ricordati paella, gazpacho, sangría, daiquiri, pulque, cuba libre, manzanilla, mescal, tequila, mojito. Anche nell’ambito sportivo sono ispanismi goleada e goleador, puntero, vuelta, mundial, mundialito, ola (➔ sport, lingua dello) e in quello degli spettacoli taurini mattatore, veronica (più noto in Italia nel sottocodice sportivo), espada, volapiè, picador, toreare, corrida.
A un ampio settore socioculturale si ascrivono termini come macho, machista e machismo, telenovela, movida (dal movimento controculturale della Madrid degli anni Ottanta), vigilantes, peones, murales (questi tre reinterpretati come forme al singolare di quelli che in realtà sono sostantivi al plurale), tremendismo (dallo stile letterario di Camilo José Cela), maja (in riferimento alla famosa Maja desnuda di Goya), romancero (insieme di componimenti epico-lirici del medioevo spagnolo), canasta (gioco di carte di origine uruguaiana), olé. Il mondo della droga ha fornito anche i termini marihuana, coca e narco (abbreviazione di narcotraficante), presente quest’ultimo, poi, in molte combinazioni lessicali (narcodollaro, narcomania, narcoterrorismo).
Ispanismi riferiti a oggetti concreti sono palmatoria («piccolo candeliere con manico»), balsa («albero americano dal legno molto leggero»), jacarandá («tipo di acacia americana»), hacienda («grande fattoria in America»), mesa («montagna a pareti verticali con la cima appiattita»), poncho, rancho, rodeo, sierra, retablo (pala d’altare), ria («insenatura caratteristica della costa della Galizia»), zaffarancio («preparazione al combattimento navale»), bareno («utensile per l’alesatura di fori lunghi»). A concetti storici, artistici o intellettuali rimandano parole come culteranesimo (stile letterario), plateresco (stile architettonico), torquemada (dal cognome del famoso inquisitore) o amparo (procedura giuridica presso la Corte costituzionale spagnola).
Riflessi della lingua letteraria sugli usi linguistici sono le espressioni adelante con juicio (Manzoni), alle cinque della sera (Federico García Lorca) o il successo ‒ parallelo a quello che si è avuto in spagnolo ‒ del participio annunciato (dalla Cronaca di una morte annunciata, di García Márquez; D’Agostino 1994: 821).
Nel linguaggio dei giovani possono comparire anche falsi ispanismi come cucador, oppure l’uso occasionale di espressioni o frasi attinte da canzoni di moda (vamos a la playa). Molti italiani conoscono anche (spesso attraverso i film o i fumetti), e occasionalmente usano, prevalentemente con funzione espressiva, alcune parole comuni dello spagnolo come muchacho, niño, plaza, pueblo, sombrero, caliente, diablo, hombre, vamos o interiezioni come caramba.
L’afflusso degli immigranti sudamericani in Italia e i viaggi e periodi di soggiorno di molti italiani in Spagna (turisti e molto spesso studenti universitari) hanno reso noti a molti di essi termini ispanici relativi alla gastronomia regionale spagnola o sudamericana (empanadas, tacos, churrasco, fabada), tanto che non sono infrequenti in Italia le insegne commerciali con nomi che evocano il mondo ispanico (El Gaucho, Mucho más, Tapa loca, Toros y tapas, Sabor Tropical), fenomeno riscontrabile, d’altra parte, anche in Spagna con i nomi dei ristoranti italiani.
Beccaria, Gian Luigi (1968), Spagnolo e spagnoli in Italia. Riflessi ispanici sulla lingua italiana del Cinque e del Seicento, Torino, G. Giappichelli.
D’Agostino, Alfonso (1994), L’apporto spagnolo, portoghese e catalano, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 3° (Le altre lingue), pp. 790-824.