ispido (yspidus)
L'aggettivo compare una sola volta, con valore figurato, nel latino di D. (ed è assente dal suo volgare): quando in VE I XIV 4 viene qualificato come yrsutum et yspidum (a tal punto da far sembrare, per la sua rozza asprezza, uomini le donne che lo parlano) il volgare di coloro che dicono magara, in contrapposizione all'eccessiva mollezza femminea del vicino dialetto romagnolo.
Poiché, come risulterà chiaro da VE II VII 2 ss., yrsutus non indica per D. una qualità linguistica negativa, sarà proprio i. a denotare l'eccesso riprovevole di asprezza, secondo un procedimento che torna altrove nel trattato (v. I XV 3 lenitatem atque mollitiem, e anche II VII 2 ss.). Il traslato, che rientra in un complesso metaforico che D. svilupperà appunto in VE II VII, non è attestato dai lessici in significati veramente affini a quello di D.; l'esempio meno remoto è quello di Gellio Noct. act. X 3 " Si quis est tam agresti aure ac tam hispida, quem lux ista et amoenitas orationis parum delectat ". E v. ASPERITAS; IRSUTO.