Israele e il Levante
Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, edizione in 75 ebook
Nel I millennio a.C. un popolo minore, gli Israeliti, vive la prima fase della propria storia. All’ombra dell’Egitto, influenzato dai Fenici, in lotta con i ben più potenti Aramei e con una quantità di nazioni circostanti, oppresso dagli Assiri e poi dai Babilonesi, Israele viene infine schiacciato militarmente da questi ultimi, ma riuscirà soprendentemente a riemergere con una nuova fisionomia culturale destinata a durare fino ai nostri giorni.
La storiografia degli ultimi decenni ha ormai ampiamente superato il punto di vista della Bibbia, che tende a illuminare il Vicino Oriente antico partendo da Gerusalemme: si è infatti ormai sufficientemente assimilato e ripetuto – anche se talora con sottolineatura forse eccessiva – come il ruolo o l’influsso dell’antico Israele nelle vicende dell’area siro-cananaica sia stato marginale e, sulla scala più ampia dell’intera Mezzaluna Fertile, pressoché nullo. Resta tuttavia ancora difficile negare l’importanza di quei due minuscoli regni chiamati Israele e Giuda – il primo dei quali ebbe inoltre pochi secoli di vita – nella prospettiva del loro incommensurabile apporto, tramite l’ebraismo e il testo biblico nelle sue varie formulazioni, allo sviluppo della storia orientale, mediterranea, europea e, in ultima analisi, globale. Non è pertanto ingiustificato – avendo però chiari quelli che, verosimilmente, dovettero essere gli effettivi pesi e rapporti fra culture e stati nell’area vicino-orientale antica – continuare a dedicare un certo spazio alla storia dell’Israele antico, anche considerando come grazie alla Bibbia siamo, malgrado i suoi limiti, meglio informati su questo minuscolo territorio rispetto a quello di regni e imperi di gran lunga più importanti e geograficamente estesi.
Sulle vicende che hanno condotto all’affermarsi dell’Israele antico, il testo biblico offre una sua “visione dei fatti” a partire dall’esodo dall’Egitto, che la cronologia biblica suggerisce essere avvenuto nel XV-XIV secolo a.C., ma che non sembra possa collocarsi prima della seconda metà del XIII secolo a.C. Questa linea narrativa vede, nell’ordine (tralasciando il preambolo sul periodo dei patriarchi), l’arrivo degli Ebrei nel paese di Canaan sotto la guida di un capo di tipo militare, Giosuè; seguito dalla presa e distruzione di varie città e dalla suddivisione del territorio così conquistato in 12 distretti, secondo il numero, l’importanza e il ruolo delle varie tribù. La documentazione extrabiblica offre indicazioni frammentarie, ma comunque utili per la verifica e la contestualizzazione di questo quadro. All’inizio del II millennio a.C., i cosiddetti “testi di esecrazione” egiziani – brevi elenchi di maledizioni indirizzate agli avversari e ai nemici dell’Egitto, per lo più sul versante orientale – mostrano in questo territorio una nutrita serie di toponimi, con città più o meno importanti, dinasti o governanti: costoro portano in massima parte nomi improntati al semitico nord-occidentale, spesso con elementi teofori (El, Hadad) ma nessuno dei quali appare tipicamente ebraico. Qualche secolo dopo, le Lettere di El Amarna(1400-1350 a.C. ca.) mostrano una realtà diversa e più articolata: il territorio di Canaan appare infatti costellato da una serie di città-stato (fra cui Gerusalemme, allora abitata da un gruppo di cui nulla si sa, i Gebusei) e da altre città più o meno autonome, i cui principi risultano in contrasto perenne e reciproco. In questa realtà occorre rilevare, nella stessa documentazione, la presenza di gruppi erratici definiti, con parola accadica, khapiru (o khabiru), da identificare molto probabilmente con gli Ebrei (’ivrim), anche se in altri momenti e contesti lo stesso termine sembra essere stato adoperato per definire popolazioni diverse.
Una prima menzione esplicita del nome di Israele si ha nella “stele di Merenptah” (1220 a.C. ca.), iscrizione nota da due esemplari, da Tebe e Karnak. Nel testo si celebrano alcune vittorie militari riportate fuori d’Egitto dal faraone Merenptah, che verso la conclusione afferma, fra l’altro, di aver combattuto vittoriosamente sul territorio cananeo, dove avrebbe incontrato e disperso anche un popolo seminomade chiamato yshr’r, in cui generalmente si riconosce Israele:
[…] I principi sottomessi dicono: “Pace!”
nessuno alza più la testa fra i Nove Archi.
Devastata è la Libia, sedato è Khatti
saccheggiato è Canaan, senza pietà
Ashkalon è deportata, Gezer catturata
Yano’am annientata, Israele è devastato, senza più seme.
Dietro l’ideologia biblica della “conquista” del territorio, l’evidenza archeologica mostra un modello insediativo diverso: quello della cosiddetta infiltrazione pacifica, in base al quale gli Israeliti sembrano essere orientati, almeno in una prima fase, verso l’occupazione di promontori e altopiani, evitando le vallate e i centri costieri, ove già sono presenti popoli diversi. Il testo riferisce frequentemente sui conflitti territoriali che oppongono gli Israeliti e le genti circostanti, specialmente i Filistei. Secondo la Bibbia, al tempo di questi scontri gli Israeliti sarebbero stati guidati da “giudici” (shofetim) all’ultimo dei quali, Samuele, su pressione popolare e indicazione divina si dovrebbe l’individuazione di Saul (sovrano dal 1025 al 1005 a.C. ca.) come primo monarca ben presto sostituito, tuttavia, da David.
Il Regno di David (sovrano dal 1005 al 965 a.C. ca.) comprende, in principio, solo il territorio di Giuda; solo dopo qualche anno egli viene unto re anche dalle tribù dell’area settentrionale, “Israele”. A David si dovrebbe la conquista e la scelta di Gerusalemme come capitale del nuovo regno e la prima programmazione della sua funzione religiosa. David muore però prima di avviare concretamente la costruzione del Tempio, e verso il 968 a.C. questo compito passa a suo figlio Salomone, che la Bibbia dipinge con la fisionomia del monarca perfetto, “completo” – come anche indica il suo nome in ebraico, Shelomoh – dominatore di un territorio ineguagliato e detentore di un riconosciuto prestigio internazionale, dovuto in parte alla prosperità del suo regno e in parte alla sua fama di sapiente e dominatore di ogni sorta di scienze e di arcani; è lo sfondo del celebre episodio della visita della regina di Saba (1Re 10).
Secondo la Bibbia, Salomone è il costruttore del Tempio di Gerusalemme, in cui trova posto l’Arca dell’Alleanza, venerando santuario mobile che ha seguito gli Israeliti in tutto il corso della loro lunga esperienza nomadica; ma, sempre secondo la Bibbia, i successi di Salomone s’interrompono nel momento in cui inizia a sposare donne e principesse di popoli stranieri (persino la figlia di un faraone), cadendo così nell’idolatria. L’unità della monarchia organizzata viene irrimediabilmente a cadere e, da quel momento, è possibile solo seguire la storia di due regni distinti e separati, Israele e Giuda, con rispettive capitali a Samaria e Gerusalemme. Nei confronti di queste gli autori biblici mostrano un atteggiamento tutt’altro che equanime, trasmettendo un ritratto fortemente negativo del regno del nord, guidato per lo più da usurpatori, empio e corrotto – specialmente a causa delle immagini cultuali volute dal primo re di Israele, Geroboamo I (sovrano dal 928 al 907 a.C.), a Betel e Dan – e per questo regolarmente punito dal Signore, a differenza di Giuda, il cui primato del favore divino sembra più facile (anche se non garantito o costante) grazie alla presenza del santuario e della monarchia di discendenza davidica, che inizia con un figlio di Salomone, Roboamo (sovrano dal 929 al 911 a.C.).
Non si hanno altre fonti, archeologiche o epigrafiche, interne o esterne, sul periodo della monarchia “unita”, e anche la datazione all’XI o X secolo a.C. di varie strutture murarie sul territorio giudaico e israelita, nonché presso la stessa Gerusalemme, è tuttora controversa. Quando tuttavia nelle fonti extrabibliche ricominciano ad apparire menzioni, anche consistenti, di vari re ed eventi relativi al periodo della monarchia “divisa” – il che si realizza con l’aumento delle fonti assire, ma anche di qualche iscrizione – l’immagine della monarchia ebraica (“casa di Omri” al nord, “casa di David” al sud) non sembra di costituzione recente. Così nelle iscrizioni assire, che si riferiscono tutte al prospero regno del nord – in quel tempo impegnato anche contro i vicini Aramei – troviamo fra i dinasti che si oppongono a Salmanassar III (sovrano dall’858 al 824 a.C.), con Hama e Damasco, il re Achab di Israele (sovrano dal 871 al 852 a.C.): sposato con la principessa fenicia Gezabel, sotto il quale si colloca l’attività del profeta Elia e che muore nel corso di una battaglia contro gli Aramei (1Re 16-22). La ribellione ben si comprende nel quadro delle 30 e più campagne militari, dalla fenicia Tiro alla caldea Bit-Yakin, con cui Salmanassar mette sotto scacco pressoché l’intero Vicino Oriente, imponendo inauditi e pesantissimi tributi che periodicamente devono essere inviati verso la capitale assira. Una coalizione delle città cilicie e siro-cananaiche, sostenute dagli eserciti di Giuda e di Damasco, affronta dunque nell’853 a.C. Salmanassar III presso la città siriana di Qarqar (Tell Qarqur) e sembra avere quasi la meglio; ma è un successo temporaneo, perché nel giro di qualche anno il sovrano assiro riesce pienamente a riprendere il controllo della situazione. È forse al capo del suo esercito, Dayan-Assur, che si deve la celebrazione figurativa di alcune di queste vittorie su un monumento pubblico eretto nella capitale – il celebre “obelisco nero”, massiccia stele di calcare alta quasi due metri – di cui cinque bassorilievi mostrano altrettanti sovrani stranieri prostrati innanzi al sovrano, le cui iscrizioni di accompagnamento enumerano i preziosi tributi di sottomissione.
A Qarqar re Achab sarebbe sceso in campo con un esercito considerevole, formato da 10000 soldati e 2000 carri: indice di un’organizzazione militare e fiscale che non può essersi sviluppata nel giro di poche generazioni. La ribellione dei Moabiti contro un successore di Achab, Yehoram (sovrano dal 851 al 842 a.C.) – sulla cui repressione, compiuta verso l’840 a.C. insieme ai re di Giuda e di Edom, siamo informati da 2Re 3 – è peraltro oggetto di un eccezionale documento epigrafico: la stele (oggi al Louvre) lasciata dal re di Moab, Mesha, per celebrare con la dedicazione di un luogo sacro al dio Kemosh la sua vittoria contro Yehoram e la “casa di Omri”:
“Io sono Mesha, figlio di Kemosh[yat], re di Moab, il dibonita. Mio padre regnò su Moab trent’anni e io ho regnato dopo mio padre. E ho fatto quest’altura per Kemosh in Qerihoh. […] perché egli mi ha salvato da tutti i re e perché mi ha fatto vedere tutti i miei nemici [sconfitti]. Omri era re di Israele, e opprimeva Moab [per] molti giorni, perché Kemosh era in collera contro il suo [pae]se. Poi gli è succeduto suo figlio e ha detto così: ’Anch’io opprimerò Moab!’ […] Così mi disse Kemosh: ’Va’, prendi Nebo su Israele!’. [Quindi an]dai di notte e combattei contro di essa dal levar dell’alba fino a mezzogiorno. La presi e la distrussi completamente: settemila (uomini) vi[gorosi] e [serv]i (?) e (donne) vigorose e [ser]ve (?) e concubine. Perché ad Astar-Kemosh li avevo votati. Quindi portai via i [va]si di Yahweh e li portai davanti a Kemosh…”
Dei Moabiti non si sa molto di più; era comunque uno dei tre gruppi di varia origine stanziatisi da qualche tempo nella regione transgiordana, con gli Ammoniti un po’ più a nord e gli Idumei a sud (che in seguito ritroviamo nella Giudea meridionale). Non molti anni dopo ritroviamo nei testi assiri un sovrano-usurpatore, Yehu di Israele (sovrano dal 842 al 814 a.C.), sottomesso agli Assiri e raffigurato in ginocchio fra i bassorilievi di un celebre obelisco di Salmanassar III. Yehu è noto per aver eliminato i numerosi figli superstiti di Achab, al fine di non avere problemi nella successione; non può tuttavia evitare i problemi con gli Aramei, il cui re Haza’el impartisce agli Israeliti una dolorosa sconfitta e mutilazione del territorio (2Re 9-10). Con l’ultimo sovrano israelita menzionato negli annali assiri scendiamo al principio dell’VIII secolo a.C.: si tratta di Yoash (sovrano dall’800 al 784 a.C.; già noto da 2Re 13:10-24), tributario di Adad-nirari III:
“Tributo di Yehu, figlio di Omri: da lui ho ricevuto argento, oro, una coppa saplu d’oro, un vaso d’oro a base appuntita, coppe d’oro, cesti d’oro, stagno e uno scettro regale.”
In seguito si realizza in Israele, però, il lungo e fortunato regno di Geroboamo II (sovrano dal 788 al 747 a.C.). Elementi quali l’esplosione demografica, l’eccedenza della produzione agricola, l’intensa e monumentale attività edilizia e attività quali l’allevamento di cavalli da guerra, sono ampiamente confermati dalla documentazione archeologica ed epigrafica, che solo in questo periodo restituisce, con gli ostraka rinvenuti in un deposito presso il palazzo regale di Samaria, il primo lotto di una certa consistenza (circa 80 brevi documenti) di testi ebraici epigrafici dell’Antichità. Non sarà un caso se questa è, allo stesso tempo, l’epoca dei primi “profeti-scrittori” del mondo ebraico, Osea e Amos, entrambi attivi nel nord. A questi segue poco dopo, in Giudea, la figura di Isaia, nei cui scritti è espressa tutta l’inquietudine politica e sociale della società ebraica di metà VIII secolo a.C., su cui incombe ogni anno più minacciosa l’ombra di Tiglat-pileser III d’Assiria.
Nei giorni del profeta Isaia, alla guida di Giuda si alternano Achaz (sovrano dal 743 al 727 a.C.), già tributario di Tiglat-pileser, e quindi suo figlio Ezechia (sovrano dal 727 al 698 a.C.). Il profeta è testimone della distruzione del regno del nord, allora guidato da Peqah (sovrano dal 733 al 713 a.C.), in seguito a un tentativo di ribellione sostenuto insieme dal re di Aram, Resin: al rifiuto di Ezechia di prendere parte alla coalizione segue infatti la minaccia di essere destituito proprio dai suoi vicini. Quindi Ezechia chiede soccorso proprio agli Assiri, che calano sul nord e nel 724 a.C., dopo aver preso Damasco, mettono a ferro e fuoco Gilead e la Galilea, installando un nuovo re, Osea, nella capitale Samaria. Costui si mostra, tuttavia, poco disposto a sostenere a lungo i pesanti tributi imposti dagli Assiri, fidando nel sostegno dell’Egitto. Nel giro di pochi anni, invece, avviene la catastrofe: Salmanassar V distrugge il Paese e nel 721 a.C. Sargon II annienta Samaria, deportando gran parte della popolazione israelita – non meno di 30 mila persone – nelle province più remote dell’Impero. Secondo un modus operandi ormai collaudato, il loro posto viene rimpiazzato da coloni stranieri.
Gli annali assiri riportano nota di queste campagne e contribuiscono, al contempo, a stabilire con indicazioni assolute la cronologia per questa estrema fase dell’Israele antico. Con questi eventi si conclude la storia del regno del nord e spariscono dalla scena della storia i rappresentanti di dieci delle antiche tribù. Come immediata conseguenza, la Giudea si ritrova nell’abbraccio mortale degli Assiri, tanto che persino il cauto Ezechia tenta una ribellione, accompagnata da un’imprevedibile azione armata a Gaza contro gli ormai esangui Filistei (2Re 18), il cui unico effetto è scatenare un’invasione guidata dal successore di Sargon, Sennacherib, direttamente contro la Giudea. Esito principale della spedizione è la distruzione della città di Lakish, su un promontorio nella piana di Shefelah e originariamente nell’orbita filistea: anche di questo si parla negli annali del re (ANET 287-288) ma la testimonianza più eloquente al riguardo sono i bassorilievi rinvenuti nel palazzo di Sennacherib a Ninive, in cui sono raffigurate, in sequenza o in sovrapposizione, tutte le fasi dell’assedio, della distruzione, della tortura e deportazione dei suoi abitanti. Subito dopo Lakish, l’esercito di Sennacherib si dirige verso la capitale. La descrizione della vigilia dell’assedio è resa drammaticamente nel testo biblico, riportando i colloqui oltre le mura della città santa fra il poliglotta coppiere-messaggero del re assiro – che volutamente si rivolge ai suoi interlocutori in ebraico, per spaventare gli abitanti di Gerusalemme – e i rappresentanti di Ezechia:
“Il gran coppiere allora si alzò in piedi e gridò a gran voce in giudaico, e disse: ’Udite le parole del grande re, del re d’Assiria. Così dice il re: Non vi inganni Ezechia, poiché non potrà liberarvi. Ezechia non vi induca a confidare nel Signore, dicendo: Certo, il Signore ci libererà, questa città non sarà consegnata in mano al re d’Assiria. Non ascoltate Ezechia, poiché così dice il re d’Assiria: Fate la pace con me e arrendetevi. Allora ognuno potrà mangiare i frutti della propria vigna e del proprio fico e ognuno potrà bere l’acqua della sua cisterna, fino a quando io verrò per condurvi in una terra come la vostra, terra di frumento e di mosto, terra di pane e di vigne. Non vi inganni Ezechia dicendo: Il Signore ci libererà! Forse gli dèi delle nazioni sono riusciti a liberare ognuno la propria terra dalla mano del re d’Assiria? Dove sono gli dèi di Hamat e di Arpad? Dove sono gli dèi di Sefarvàim? Hanno forse liberato Samaria dalla mia mano? Quali mai, fra tutti gli dèi di quelle regioni, hanno liberato la loro terra dalla mia mano, perché il Signore possa liberare Gerusalemme dalla mia mano?’. Quelli tacquero e non gli risposero nulla, perché l’ordine del re era: ’Non rispondetegli’” (Is 36:13-21, versione CEI; // 2Re 18:28-36).
Gerusalemme viene spogliata da Sennacherib, che tuttavia deve rinunciare all’assedio, apparentemente, per sedare in patria una congiura. In effetti Ezechia aveva avuto il tempo, nei mesi e forse negli anni precedenti, di compiere una serie di opere di rafforzamento difensivo della città, curando particolarmente – certo prevedendo l’assedio – i depositi dei generi alimentari, le cisterne e le vie di approvvigionamento idrico. Di tali attività, cui fanno più volte riferimento le fonti ebraiche antiche (2Re 20:20; e cf. Is 22:9-11 e 2Cr 32:3-4, 30), ma anche più recenti (Sir 48:17) resta ampia traccia archeologica e un’iscrizione, unica nel suo genere, che ricorda la realizzazione della canalizzazione scavata nella collina dell’Ofel per convogliare le acque di una fonte esterna all’interno della città:
“[Questa è] la galleria e questo è il racconto della galleria. Quando [ebbe mosso] il piccone ognuno verso il suo opposto e quando (restavano) tre cubiti da scava[re, si sent]ì una voce di uno chiamare il suo (compagno) opposto, perché c’era un’eco giungente da sud e da [no]rd. E nel giorno dello scavo (dell’ultima parete di roccia) agitavano i minatori ognuno contro il suo opposto (e) piccone contro [pic]cone. Quindi fluirono le acque dalla fonte verso la cisterna per 1200 cubiti, e di ce[n]to cubiti era l’altezza della roccia sulla testa dei minato[ri]…”
Il successore di Ezechia, Manasse (sovrano dal 698 al 642 a.C.), di cui il testo biblico fornisce un ritratto molto duro, caratterizzato da una serie di misfatti (2Re 21), fiancheggia gli Assiri contro l’Egitto, il che gli garantisce lunghi anni di regno segnati, pur nei limiti di un territorio in gran parte arido, da una significativa espansione demografica e commerciale, specialmente in direzione meridionale e soprattutto verso l’Arabia. Al tempo di suo nipote Giosia (sovrano dal 639 al 609 a.C.) avrebbe avuto luogo una radicale riforma religiosa, che in 2Re 22:8-13 si dice ispirata dal ritrovamento di un “Libro dell’Alleanza” durante lavori di ristrutturazione del tempio (e che s’identifica in genere con un testo affine a quello del Deuteronomio). Le riforme promulgate da Giosia – che avrebbero interessato anche i territori settentrionali sotto il dominio assiro – sarebbero la vera base, se non la prima vera formulazione storica, secondo molti, della monolatria dell’ebraismo e dell’esclusività del culto prestato a Gerusalemme:
“Il re mandò a radunare presso di sé tutti gli anziani di Giuda e di Gerusalemme. Il re salì al tempio del Signore; erano con lui tutti gli uomini di Giuda, tutti gli abitanti di Gerusalemme, i sacerdoti, i profeti e tutto il popolo, dal più piccolo al più grande. Lesse alla loro presenza tutte le parole del libro dell’alleanza, trovato nel tempio del Signore. Il re, in piedi presso la colonna, concluse l’alleanza davanti al Signore, per seguire il Signore e osservare i suoi comandi, le istruzioni e le leggi con tutto il cuore e con tutta l’anima, per attuare le parole dell’alleanza scritte in quel libro. Tutto il popolo aderì all’alleanza. Il re comandò al sommo sacerdote Chelkia, ai sacerdoti del secondo ordine e ai custodi della soglia di portare fuori dal tempio del Signore tutti gli oggetti fatti in onore di Baal, di Asera e di tutto l’esercito del cielo; li bruciò fuori di Gerusalemme, nei campi del Cedron, e ne portò la cenere a Betel. Destituì i sacerdoti creati dai re di Giuda per offrire incenso sulle alture delle città di Giuda e dei dintorni di Gerusalemme, e quanti offrivano incenso a Baal, al sole e alla luna, ai segni dello zodiaco e a tutto l’esercito del cielo.” (2Re 23:1-5; versione CEI).
Dopo Giosia, la Giudea si ritrova per un breve periodo sottoposta agli Egiziani, finché questi, nel 605 a.C., con la battaglia di Karkemish contro Nabucodonosor II di Babilonia (sovrano dal 605 al 562 a.C.), perdono il controllo della regione, che passa ai Babilonesi. All’inizio della campagna militare babilonese risale una serie di ostraka da Lakish, redatti alla vigilia della conquista e distruzione della città, con i messaggi inviati dai comandanti delle fortezze circostanti, alcune delle quali risultano già abbandonate o troppo silenziose:
“Faccia ascoltare Yahweh al mio signore notizie di bene.”
“Ora, in accordo con tutto ciò che ha ordinato il mio signore, il tuo servo ha eseguito: ho scritto sulla porta tutto quello che mi ha ordinato il mio signore; e per quanto riguarda ciò che il mio signore ha chiesto su Beth ha-Rafid, là non vi è nessuno. Shema’yahu ha chiamato Semakyahu e l’ha fatto venire in città, ma io non ho mandato là il tuo servo, ma (lo farò) allo spuntare del giorno e saprà.”
“Noi osserviamo i segnali di Lakish, tutti i segnali che il mio signore manda; ma non vediamo ’Azeqah. ”
Il tentativo di ribellione del re Elyaqim e quindi di suo figlio Yoyaqin, schieratisi con il faraone Nekao che ancora cerca di riprendersi il territorio palestinese, fallisce con la sconfitta di Nekao, provoca la feroce repressione di Nabucodonosor che saccheggia Gerusalemme e deporta il re Yoyaqin in Babilonia insieme a tutta l’élite civile e militare del Paese: circa 10 mila persone, secondo 2Re 24:13-14. Mentre Yoyaqin e la sua corte sono trattenuti a Babilonia – ove il loro soggiorno è documentato anche da alcuni testi amministrativi cuneiformi – sul trono di Giuda è posto un altro membro della dinastia davidica, Mattania, rinominato Sedecia (sovrano dal 598 al 587 a.C.), il quale nel 588 a.C. commette l’errore di appoggiare nuovamente gli Egiziani, sotto Aprie. Questa volta Nabucodonosor non usa mezze misure: dopo quattro mesi di assedio e dopo aver privato Gerusalemme di ogni fonte di sostentamento, riesce a penetrare nella capitale, saccheggiando il tempio e la città, riservando a Sedecia in fuga il trattamento riservato a un vassallo traditore:
“I soldati dei Caldei inseguirono il re e lo raggiunsero nelle steppe di Gerico, mentre tutto il suo esercito si disperse, allontanandosi da lui. Presero il re e lo condussero dal re di Babilonia a Ribla; si pronunciò la sentenza su di lui. I figli di Sedecìa furono ammazzati davanti ai suoi occhi; Nabucodonosor fece cavare gli occhi a Sedecia, lo fece mettere in catene e lo condusse a Babilonia.” (2Re 25:5-7; versione CEI).
Negli anni immediatamente successivi, malgrado l’esistenza di una reggenza giudaica locale, retta dal pio governatore Gedalyah, vengono deportate in Babilonia ancora migliaia di persone, come ricorda anche il profeta Geremia (52:29-30). Deportazioni che, tuttavia, non lasciano certo deserta Gerusalemme e la Giudea, che solo fonti bibliche molto più tarde descrivono come quasi del tutto spopolata. La frattura sociale e culturale determinatasi con gli eventi intorno al 587 a.C. non si sana nemmeno quando, nel 538 a.C., Ciro II di Persia consente ai Giudei in esilio di rientrare nei territori aviti, ma ormai babilonesi da generazioni, una parte dei discendenti dei deportati sceglie di restare in Babilonia. Nel frattempo proprio a Babilonia i Giudei sono giunti, non senza numerose ibridazioni con la cultura e le tradizioni religiose locali, a una nuova formulazione della storia nazionale destinata a mutare profondamente la fisionomia del giudaismo, su cui s’innesta stabilmente il differenziale fra tutto quanto è “pre-esilico” e quanto è, e sarà, “post-esilico”: momento in cui il dominio sulla terra e sull’uomo passa, con un’importanza tutta nuova attribuita al sacerdozio, dal potere del monarca al volere di Dio.
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, Il Vicino Oriente Antico, Storia