Istanza di prelievo ex art. 71 bis c.p.a.
La legge di stabilità 2016 ha introdotto nel codice del processo amministrativo l’art. 71 bis, che individua i possibili effetti dell’istanza di prelievo presentata da una delle parti del rapporto processuale ai sensi del precedente art. 71. La non perfetta formulazione letterale della norma ha comportato qualche incertezza in sede di sua prima applicazione. L’A. ricostruisce la volontà del legislatore del 2016 e focalizza le conseguenze che, al maturarsi di determinate condizioni, scaturiscono dalla novella.
Ai sensi dell’art. 71 bis c.p.a.1 «a seguito dell’istanza di cui al co. 2 dell’art. 71, il giudice, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata».
L’art. 71 bis dunque, come chiarito nella sua stessa rubrica, individua gli effetti dell’istanza di prelievo, istituto disciplinato dal co. 2 del precedente art. 712. Il Legislatore non ha quindi inteso prevedere una nuova e diversa istanza di prelievo rispetto a quella già disciplinata dal co. 2 dell’art. 71, ma introdurre strumenti di accelerazione della definizione dei ricorsi, per i quali sia stata condivisa dal Presidente (di Sezione del Consiglio di Stato, del TAR o, nei TAR multisezione, di Sezione) l’esistenza di profili di urgenza evidenziati dalla parte nell’istanza, portandoli in camera di consiglio, a condizione che sussistano anche i presupposti di cui all’art. 74 c.p.a.3.
La parte non deve quindi presentare una nuova istanza di prelievo ex art. 71 bis, essendo una e una soltanto quella codificata. La riprova è nella rubrica dell’art. 71 bis, che reca «Effetti dell’istanza di prelievo», con evidente rinvio all’istanza di prelievo disciplinata dal co. 2 del precedente art. 71.
In realtà, come sarà meglio chiarito in seguito, la rubrica non è proprio fedele al contenuto della norma. Gli effetti “ordinari” dell’istanza di prelievo si evincono dai co. 1 e 2 dell’art. 71; il co. 2 introduce l’istituto dell’istanza di prelievo («La parte può segnalare l’urgenza del ricorso depositando istanza di prelievo»), che rafforza la domanda di fissazione di udienza prevista dal precedente co. 1, perché indica le ragioni di urgenza che indurrebbero il Presidente a dare priorità alla fissazione di quel ricorso, anteponendolo ad altri depositati in data antecedente. Giova infatti ricordare che il codice del processo amministrativo, lungi dal rimettere alla sola discrezionalità del Presidente la scelta dei ricorsi da portare in decisione, fissa una serie di regole alle quali lo stesso Presidente deve attenersi. L’art. 8 dell’allegato 2 al codice (Norme di attuazione al Codice) al co. 1 chiarisce che la regola nella fissazione del giorno dell’udienza per la trattazione dei ricorsi è l’ordine di iscrizione delle istanze di fissazione d’udienza nell’apposito registro. Tale regola è derogata, ai sensi del successivo co. 2, per i ricorsi per i quali le relative istanze di prelievo sono state ritenute “fondate” o per esigenze di funzionalità dell’ufficio, ovvero per connessione di materia, nonché in ogni caso in cui il Consiglio di Stato abbia annullato la sentenza o l’ordinanza e rinviato la causa al giudice di primo grado4.
L’art. 71 bis deve essere letto in combinato disposto con altre due norme del codice, la prima, come si è detto, l’art. 71, espressamente richiamata; la seconda, l’art. 74, alla quale si fa implicitamente rinvio. Il richiamo alle suddette due norme consente di ritenere che i ricorsi, per i quali sia stata chiesta la fissazione con istanza di prelievo ex art. 71 c.p.a., se sono di facile definizione ai sensi del successivo art. 74 («manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso»), sono portati in decisione in via prioritaria rispetto a quelli considerati urgenti ai sensi del co. 2 dell’art. 71 c.p.a. Per questi ultimi è infatti necessario fissare un’udienza pubblica, con i tempi previsti dal co. 5 dell’art. 71, per l’invio degli avvisi di udienza (almeno 60 giorni prima dell’udienza o 30 per i ricorsi soggetti a termini dimidiati) e tenendo conto delle vacanze dei ruoli di merito, anche alla luce delle ulteriori priorità individuate dall’art. 8 dell’allegato 2 al d.lgs. 2.7.2010 n. 104. La causa portata in camera di consiglio segue invece termini dimidiati ed è meno soggetta alle vacanze dei relativi ruoli (art. 87, co. 3).
Nonostante l’autorevolezza della fonte5, si ritiene che il richiamo implicito sia, come si è detto, all’art. 74, e non, come è stato sostenuto, all’art. 60 c.p.a. Ed invero, sebbene anche quest’ultima norma faccia riferimento alla definizione di un giudizio con sentenza resa in forma semplificata in camera di consiglio, si tratta in realtà della ben diversa ipotesi in cui la causa è stata portata in camera di consiglio per la trattazione della misura cautelare e il Collegio – accertata dal giudice la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria e purché nessuna delle parti dichiari che intenda proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o regolamento di giurisdizione – decide, previa relativa comunicazione data alle parti, che la causa è matura per essere definita nel merito. Più pertinente sembra quindi il collegamento con l’art. 74 c.p.a. che, per i ricorsi da trattare in udienza pubblica, offre la possibilità per il giudice estensore di definire la vertenza con una sentenza resa in forma semplificata purché il ricorso sia di facile soluzione perché manifestamente fondato o infondato o irricevibile, inammissibile o improcedibile6.
Come si è detto, il testo letterale dell’art. 71 bis non è di aiuto per inquadrare bene la novella del 20167. Ambito di applicazione, competenze e limiti della stessa si evincono dal combinato disposto degli artt. 71 e 74 c.p.a.
Dalla circostanza che l’art. 71 bis è strettamente connesso al precedente art. 71 – non costituendo una diversa forma di istanza di prelievo che si aggiunge a quella ex art. 71 c.p.a., ma individuando alcuni possibili effetti della stessa – deriva che dal suo ambito di applicazione sfuggono innanzitutto i ricorsi che devono essere decisi in camera di consiglio. L’art. 87, co. 3, c.p.a. prevede infatti che, per i giudizi da trattare in camera di consiglio, questa «è fissata d’ufficio» alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate. La “fissazione d’ufficio” sottintende che non è necessario presentare istanza di fissazione di udienza. Né è ipotizzabile il deposito dell’istanza di prelievo ex art. 71 c.p.a., dal momento che è lo stesso co. 3 che, come si è detto, indica entro quanto tempo («prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate») dal deposito del ricorso questo deve essere definito.
Analoga conclusione vale per i ricorsi: a) in materia di procedure ad evidenza pubblica, per i quali l’art. 120 c.p.a., oltre a prevedere (anche per questi) la «fissazione d’ufficio» (co. 6), dispone che per i casi rientranti nelle ipotesi disciplinate dal co. 2 l’udienza di trattazione della causa deve tenersi entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente (co. 6), mentre per quelli rientranti nelle ipotesi disciplinate dal co. 2 bis, la camera di consiglio (o, su espressa richiesta di una delle parti, la pubblica udienza) deve essere celebrata entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente (co. 6 bis); b) in materia elettorale ex art. 129 c.p.a., la cui scansione temporale, in ordine alla fissazione dell’udienza, è già stata fissata dal legislatore del codice nella citata norma (co. 5, secondo cui «L’udienza di discussione si celebra, senza possibilità di rinvio anche in presenza di ricorso incidentale, nel termine di tre giorni dal deposito del ricorso, senza avvisi»).
La connessione tra art. 71 bis e art. 74 delimita i presupposti perché i ricorsi – per i quali il Presidente ha condiviso le ragioni di urgenza indicate dalla parte nell’istanza di prelievo depositata ai sensi dell’art. 71 c.p.a. – possano essere portati in camera di consiglio, e non definiti secondo il rito ordinario dell’udienza pubblica. Deve trattarsi di causa che il Presidente ha giudicato, a seguito di una sommaria delibazione (“prima facie”), di pronta definizione, e quindi con contraddittorio integro, non bisognevole di implementazione istruttoria e manifestamente fondato, infondato o definibile in rito. Ne consegue, come corollario obbligato, che i presupposti per la fissazione in camera di consiglio del ricorso per il quale sia stata presentata istanza di prelievo è, dall’1.1.2016, sia l’urgenza che la facile sua definizione. Resta ferma la sola condizione dell’urgenza, anche dopo l’1.1.2016, per la fissazione in pubblica udienza senza rispettare l’ordine cronologico di iscrizione delle istanze di fissazione d’udienza nell’apposito registro (art. 8 dell’allegato 2 al codice).
La previa, sommaria delibazione dell’esistenza di tali presupposti è rimessa al Presidente, al quale solo spetta il vaglio delle istanze di prelievo. Se egli giudica sussistenti i presupposti per la decisione, previsti sia dal co. 2 dell’art. 71 (id est, l’urgenza) che dall’art. 74 (id est, la facile definizione), il ricorso è fissato in camera di consiglio per la delibazione da parte del Collegio. Da rilevare che il Presidente, nel verificare l’esistenza dei presupposti della “facile definizione del giudizio” ex art. 74 c.p.a., compie una valutazione di carattere oggettivo – soprattutto con riferimento ai vizi in rito (difetto di giurisdizione, tardività, mancata instaurazione del contraddittorio, ecc.) – ben diversa da quella, più prettamente soggettiva, relativa all’esistenza, dichiarata dalla parte, o meno dell’urgenza di decidere. Di qui una innegabile maggiore responsabilità nella fase di valutazione delle istanze di prelievo ex art. 71 bis c.p.a.
Ove il Collegio non concordi con il Presidente in ordine all’esistenza dei presupposti per la decisione in forma semplificata, il ricorso é rimesso sul ruolo perché sia definito nella sua sede naturale, la udienza pubblica, udienza fissata in considerazione dell’urgenza che era stata già ritenuta sussistente dallo stesso Presidente. Parimenti la causa è rimessa sul ruolo di merito se, “sentite le parti” nella camera di consiglio fissata per la trattazione della causa, emergano giusti motivi per un approfondimento nella sede dell’udienza pubblica. Evenienza, quest’ultima, non infrequente ove si consideri che, non essendo l’istanza di prelievo notificata alle controparti in causa, la fissazione della camera di consiglio (e la relativa dimidiazione dei termini a difesa) potrebbe cogliere impreparate le altre parti costituite8.
Dalla competenza esclusiva del Presidente a valutare l’esistenza delle condizioni normativamente richieste per portare in camera di consiglio la causa consegue, come corollario obbligato, che non deve essere fissata una prima camera di consiglio perché il Collegio verifichi la sussistenza dei presupposti ex art. 71 bis ed una seconda per la decisione della causa, permanendo, appunto, la competenza del Presidente ad effettuare la prima delibazione.
La causa portata in camera di consiglio subisce un mutamento di rito che, ai sensi dell’art. 87 c.p.a., non si sostanzia solo nell’essere l’udienza svolta “a porte chiuse” quanto, soprattutto, nel soggiacere alla regola della dimidiazione dei termini ex art. 87 c.p.a. Il co. 3 di tale norma prevede, infatti, che «tutti i termini processuali sono dimezzati, rispetto a quelli del processo ordinario, tranne, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti», per tutti i giudizi di cui al precedente co. 29 il quale, oltre ad elencare i ricorsi da trattare in camera di consiglio – che, come si è detto, sono esclusi dal campo di applicazione dell’art. 71 bis – fa generico rinvio «agli altri casi espressamente previsti», “casi” nei quali possono certamente farsi rientrare i ricorsi ex art. 71 bis.
Il nuovo regime dei termini (dimidiati) decorre dal momento immediatamente successivo al decreto presidenziale, che ha accolto l’istanza di prelievo ex art. 71 bis, indipendentemente da una espressa previsione in tal senso nel decreto stesso, scaturendo tale conseguenza direttamente dalla norma.
Giova peraltro chiarire che tale mutamento di rito, non essendo strettamente connesso alla natura della controversia, ma alla sola finalità di una più celere definizione della causa, è limitato al grado in cui ha trovato applicazione, nel senso che, ad esempio, la causa definita in primo grado in camera di consiglio (con termini quindi abbreviati) ex art. 71 bis, in caso di appello riprende il rito ordinario, salvo che anche in secondo grado non siano ravvisabili gli estremi (e ci sia naturalmente un’istanza di prelievo in tale senso) per una definizione in camera di consiglio.
Quanto alla fase transitoria, si ritiene condivisibile la tesi10 secondo cui la novella si applica alle istanze di prelievo presentate dall’1.1.2016, in attuazione del principio del tempus regit actum, salvo che, in sede di istanza ex art. 71 bis relativa ad affare su cui penda istanza di prelievo, la parte specifichi i motivi dell’urgenza (così sostanzialmente reiterando o novando l’istanza già pendente) e uno actu chieda la fissazione della camera di consiglio.
Non è dubbio che l’art. 71 bis c.p.a. sottende l’evidente – ed apprezzabile – intento del Legislatore di individuare ulteriori forme di accelerazione del processo, con riferimento ad alcuni ricorsi per i quali è condivisa dal Presidente l’urgenza di decidere, manifestata da una delle parti con l’istanza di prelievo. Non pochi dubbi, ad avviso di chi scrive, sono però ravvisabili sul raggiungimento dell’obiettivo, che di fatto è rimesso alla circostanza che la causa, per la quale sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex artt. 71 e 71 bis c.p.a., sarà definita in camera di consiglio e non, come avrebbe dovuto essere, in pubblica udienza.
Nel rinviare, per le caratteristiche proprie del rito della camera di consiglio, al par. 2 che precede, appare, proprio in considerazione di tali caratteristiche, di immediata evidenza come ai fini della definizione di un giudizio, per il Collegio giudicante, poco cambia se la causa è stata portata in camera di consiglio o in pubblica udienza, fatto salvo (particolare, invero, comunque non trascurabile) il termine per il deposito della decisione, dimezzato per i ricorsi definiti in camera di consiglio. Ma se questo solo era l’obiettivo del legislatore sarebbe stato certamente più semplice prevedere una disposizione ad hoc nell’articolato (ad es. con un ultimo alinea al co. 2 dell’art. 71, che recitasse: “Ove il ricorso sia fissato in ragione dell’urgenza, la decisione è depositata entro 23 giorni dalla udienza di trattazione”) anziché modificare il rito, con le non poche conseguenze che ciò comporta, in ordine ai termini di deposito di memorie e documenti ex art. 87, co. 3, c.p.a., termini che mutano nel corso del giudizio.
Né è possibile ritenere che la preferenza per un tipo di rito rispetto a quello proprio della causa sia dettata dal più breve termine di trenta giorni, in luogo dei sessanta (co. 5 dell’art. 71), necessario per la comunicazione di Segreteria della fissazione della camera di consiglio di trattazione della causa, trattandosi di scarto temporale così esiguo che non potrebbe da solo giustificare una siffatta previsione normativa11.
La criticità della norma è rinvenibile non tanto nel ricorso al rito camerale, in luogo di quello pubblico, quanto piuttosto nell’inutilità, rispetto agli obiettivi programmati, di tale mutamento che, come si è detto, incide sui termini a difesa delle parti. Se è vero infatti che il legislatore del codice ha mostrato un maggior favore per le udienze “pubbliche” rispetto a quelle in camera di consiglio, alla quale sono ammessi solo i difensori delle parti e non anche queste ultime (né, a maggior ragione, il pubblico)12, è altresì vero che la giurisprudenza ha comunque ritenuto conforme al giusto processo anche il rito cd. ”a porte chiuse”13.
Una siffatta previsione – che allo stato, come si è detto, è inutile – potrebbe divenire addirittura controproducente se analoghe modalità di definizione del giudizio da eccezioni finissero per divenire la regola.
È noto il favore che da ultimo il legislatore ha mostrato per il rito in camera di consiglio, ritenendolo strumento deflattivo del contenzioso. Anche nella l. 28.1.2016, n. 1114 è stato previsto un nuovo rito, super accelerato, per le controversie in materia di affidamento ad evidenza pubblica, da svolgersi (preferibilmente, fatta salva diversa richiesta delle parti) in camera di consiglio, che consente l’immediata risoluzione del contenzioso relativo all’impugnazione dei provvedimenti di esclusione dalla gara o di ammissione alla stessa per carenza dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali (lett. bbb del co. 1 dell’art. 1). Il decreto delegato 18.4.2016, n. 50 (cd. nuovo codice dei contratti pubblici) ha recepito la delega, sebbene con qualche variante, con l’art. 204; tale norma ha, tra l’altro, introdotto nell’art. 120 c.p.a. (norma del Codice del processo amministrativo che disciplina il rito appalti) il co. 2 bis, che ha previsto che il provvedimento, che determina l’esclusione dalla procedura di affidamento e l’ammissione ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali, deve essere impugnato nel termine di trenta giorni, decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell’art. 29, co. 1, dello stesso codice dei contratti. Ha aggiunto, inserendo il co. 6 bis nell’art. 120 c.p.a., che nei ricorsi proposti ai sensi del co. 2 bis il giudizio è definito in camera di consiglio (da tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente). Solo su richiesta delle parti il ricorso è definito, negli stessi termini, in udienza pubblica.
Il pericolo, ormai più concreto che temuto, è che il numero, già non indifferente di giudizi da definire in camera di consiglio in applicazione delle disposizioni del codice del processo (accessi, silenzi, ottemperanze, competenza del giudice adito, opposizione ai decreti che pronunciano l’estinzione o l’improcedibilità del giudizio, correzione di errore materiale di sentenza, ai quali si aggiungono, in secondo grado, gli appelli avverso l’ordinanza che ha sospeso o interrotto il giudizio e avverso la decisione che ha declinato la giurisdizione), finisca, per effetto delle ultime disposizioni normative15, per accrescersi a tal punto da trasformare la trattazione in camera di consiglio, da eccezione che era, a regola processuale, con conseguente perdita di quei presunti vantaggi che avevano indotto a sacrificare la pubblicità delle udienze in nome di una più celere definizione della causa.
Da rilevare ancora che l’obiettivo, perseguito dalla legge di stabilità del 2016, di una più celere definizione dei giudizi non può dirsi certamente più facilmente raggiungibile grazie alla previsione che è possibile decidere il ricorso con sentenza in forma semplificata. Si tratta infatti, come chiarito sub 2, di una eventualità che il codice già prevede all’art. 74 nei casi in cui la controversia sia di facile definizione e che non sembra abbia avuto un ruolo determinante nella riduzione dei tempi di definizione dei giudizi. Né è possibile un parallelismo con l’art. 60 c.p.a.; tale norma effettivamente ha dato ottimi risultati in termini di immediata definizione dei processi, grazie però non alla possibilità, pure prevista, di decidere con sentenza in forma semplificata quanto piuttosto perché la causa è decisa nella camera di consiglio che era stata convocata per la delibazione dell’istanza cautelare e dunque generalmente in un arco temporale molto breve dal deposito del ricorso.
Infine l’obiettivo perseguito dall’art. 71 bis di una più celere definizione del contenzioso sembra difficilmente raggiungibile anche nel caso in cui il legislatore avesse ritenuto che non ci siano limiti di fissazione di cause da portare in camera di consiglio, come accade invece per le udienze pubbliche. Il potenziale non esiguo numero di cause, per le quali si valuti favorevolmente l’istanza di prelievo ex artt. 71 e 71 bis, porterebbe ad ingolfare i ruoli delle camere di consiglio, con conseguenti effetti di rallentamento anche nella decisione dei ricorsi che per loro natura (accesso, silenzio, ottemperanze) vedono più che in altri un’urgenza di essere definiti.
Note
1 Inserito dall’art. 1, co. 781, lett. b), l. 28.12.2015, n. 208, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), in Gazz. Uff., S.O., 30.12.2015, n. 302, con vigenza dall’1.1.2016.
2 I co. 1 e 2 dell’art. 71 (Fissazione dell’udienza) così dispongono: «1. La fissazione dell’udienza di discussione deve essere chiesta da una delle parti con apposita istanza, non revocabile, da presentare entro il termine massimo di un anno dal deposito del ricorso o dalla cancellazione della causa dal ruolo. 2. La parte può segnalare l’urgenza del ricorso depositando istanza di prelievo».
3 Ai sensi dell’art. 74 c.p.a. (Sentenze in forma semplificata): «1. Nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata. La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme».
4 In effetti lo stesso codice individua più nel dettaglio i ricorsi che devono essere fissati prima di altri, e cioè “con assoluta priorità” i ricorsi in materia di appalti depositati sino al 25.6.2014; “con priorità”, oltre ai ricorsi previsti dall’art. 8 dell’allegato 2 al codice, quelli vertenti su un’unica questione, ex art. 72 c.p.a.; “in via d’urgenza”, alcune tipologie di ricorsi elettorali; “con sollecitudine”, ad es. i ricorsi per i quali sia stata accolta l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato; “a tre giorni”, ad es. il ricorso elettorale ex art. 129 c.p.a.; “entro trenta giorni”, i ricorsi in materia di procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, disciplinate dall’art. 120 c.p.a.
5 V. Parere dell’Ufficio studi della giustizia amministrativa, in www.giustiziaamministrativa.it.
6 In dottrina Ferrari, G., Art. 74 c.p.a., in Il nuovo Codice del processo amministrativo, Roma, IV ed., 2014, ha espresso qualche dubbio sulla necessità di riservare una norma ad hoc alla possibilità di chiudere un ricorso portato in pubblica udienza con una sentenza resa in forma semplificata. In effetti la tipologia della sentenza – se essa sia, per definizione del giudice, in forma semplificata ovvero un’ordinaria sentenza – non assume alcuna rilevanza, allorché la causa sia stata fissata per l’udienza pubblica ai fini della sua decisione, essendo essa la sede ordinaria per la definizione delle controversie; peraltro, se una sentenza pronunciata a seguito di udienza pubblica è definita in forma semplificata (con ciò supponendosi una più stringata motivazione in relazione all’esame e alle decisioni assunte sui motivi di ricorso), ciò rileva non sul piano formale, poiché è irrilevante la qualificazione formale dell’atto del giudice, bensì sul piano sostanziale, e cioè in ordine alla concreta adeguatezza della motivazione che sorregge la pronuncia medesima; il che comporta la proposizione, in sede d’impugnazione, di una censura afferente al difetto di motivazione, e non già di una censura meramente formale che, come tale, sarebbe infondata (Cons. St., sez. IV, 20.11.2012, n. 5879).
7 Ad avviso di Lignani, P., L’equivoco della sentenza semplificata, in www.lexitalia.it, «la nuova disposizione deve essere decifrata».
8 Non è invece necessario che il Presidente, in camera di consiglio, dia l’avviso alle parti che la causa sarà definita, essendo questo l’esito naturale della fissazione della camera di consiglio ex art. 71 bis c.p.a. Avviso di definizione della causa che invece, ove non sia stato dato nel corso della camera di consiglio convocata per la delibazione della istanza cautelare, determina, in caso di appello, l’annullamento con rinvio della sentenza resa ex art. 60 c.p.a. (Cons. St., sez. V, 7.9.2015, n. 4144).
9 Con esclusione dei giudizi cautelari e di quelli relativi all’esecuzione delle misure cautelari collegiali, per i quali si applicano i termini previsti dagli artt. 55 e 59 c.p.a. e fatto salvo quanto disposto dall’art. 116, co. 1, che fissa in trenta giorni il termine per la notifica del ricorso proposto contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all’inadempimento degli obblighi di trasparenza.
10 Parere dell’Ufficio studi della giustizia amministrativa, in www.giustiziaamministrativa.it.
11 Ad avviso di Lignani, P., L’equivoco della sentenza semplificata, in www.lexitalia.it, la circostanza che la causa sia soggetta a termini dimiadiati brevi (preavviso alle parti di trenta giorni invece che sessanta, etc.) non è tale da «rendere il giudizio più spedito, e il sistema giustizia più efficiente».
12 Il co. 1 dell’art. 87 apre infatti con l’affermazione di un principio («Le udienze sono pubbliche a pena di nullità»), sebbene poi introduca le eccezioni alla regola generale («salvo quanto previsto dal co. 2»).
13 Giova ricordare come la giurisprudenza abbia ritenuto non contrastante né con i principi costituzionali né con quelli europei la trattazione di una causa in camera di consiglio inluogo della pubblica udienza. È stato chiarito (Cons. St., sez. IV, 17.10.2012, n. 5327; Cons. St., sez. IV, 4.4.2012, n. 1975; Cons. St., sez. IV, 28.2.2012, n. 1162) che il principio della pubblicità del giudizio che si svolge innanzi ad organi giurisdizionali, pur costituendo un cardine dell’ordinamento democratico, fondato sulla sovranità popolare, sulla quale si basa l’amministrazione della giustizia, ai sensi dell’art. 101, primo co., Cost., non trova un’applicazione assoluta, potendo essere limitato, oltre che nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico, della sicurezza nazionale, dei minori o della vita privata delle stesse parti del processo, anche nell’interesse stesso della giustizia, come peraltro sancisce l’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU), il cui par. 1 prevede che «ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza» (Cass., S.U., 20.4.2004, n. 7585); inoltre, fatte salve le eccezioni previste dallo stesso art. 6, è sufficiente l’assicurazione che “il processo debba prevedere un momento di trattazione in udienza pubblica” (Cass. civ., sez. III, 18.7.2008, n. 19947). Il giudice delle leggi, intervenendo sul punto (sent. 11.3.2011, n. 80) ed esaminando l’applicazione dell’art. 6 CEDU nell’ordinamento nazionale, ha affermato che «la valenza del controllo immediato del quisque de populo sullo svolgimento delle attività processuali, reso possibile dal libero accesso all’aula d’udienza … si apprezza … in modo specifico quando il giudice sia chiamato ad assumere prove, specialmente orali-espressive, e comunque ad accertare o ricostruire fatti; mentre si attenua grandemente allorché al giudice competa soltanto risolvere questioni interpretative di disposizioni normative». Ha quindi concluso che sarebbe manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale delle disposizioni che prevedono la trattazione della causa in camera di consiglio; né sussiste una contrarietà delle stesse alla CEDU, tale da sorreggere la proposizione di una questione pregiudiziale innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
14 «Delega al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26/02/2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture».
15 Da ricordare anche il giudizio proposto per la liquidazione dell’indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo, se lo stesso è chiesto in seno al ricorso proposto avverso il silenzio serbato dalla P.A., da trattare in camera di consiglio ai sensi dell’art. 28, co. 4, d.l. 21.6.2013, n. 69 (recante Disposizione urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni dalla l. 9.8.2013, n. 98.