ISTOLOGIA (dal gr. ἱστός "tessuto" e λόγος "dottrina"; tedesco Gewebelehre)
È la disciplina che s'occupa degli attributi dei materiali costitutivi del soma degli organismi, denominati tessuti (v.): i medesimi hanno negli animali e nelle piante qualche analogia, ma in complesso sono molto differenti, e perciò l'istologia animale e vegetale vanno mantenute distinte.
Istologia animale.
Istologia normale. - I tessuti non debbono essere confusi con gli organi, strumenti della funzione: gli organi, come le cellule, hanno una forma che può essere descritta e talora è riconducibile a figure geometriche, e una grandezza che può essere misurata; i tessuti, invece, non sono entità morfologiche e non sono neppure obiettivamente dimostrabili. Ciascun organo consta di varî tessuti (solamente in pochissimi ve n'è uno solo, per es., il cristallino) intrecciati l'uno con l'altro in una trama molto complicata, per lo più invisibile senza l'aiuto del microscopio; per la lontana analogia di questa trama con quella della stoffa di lana o di cotone, si diede il nome di tessuti ai materiali costitutivi degli organi.
Riferiamoci a un esempio: il fegato è un organo ghiandolare che riversa il suo secreto nel canale digerente e ha molte altre complesse funzioni; il suo componente principale è un tessuto epiteliale (fig. 3); è inoltre percorso da una trama di sostegno connettivale, da vasi sanguigni e linfatici, da nervi, componenti che, come diremo fra breve, appartengono a tessuti diversi, ma che non possono essere materialmente isolati in tutta la loro estensione. Ritroviamo questi stessi componenti in altri organi, ma essi non sono sempre identici, anzi, pur presentando alcune proprietà comuni, assumono caratteri peculiari propri per ciascun organo; le cellule secernenti dell'interrenale, p. es., differiscono da quelle del fegato; lo stesso valga per la rete dei capillari sanguigni, per la trama di sostegno reticolare, per il plesso di fibre nervose.
Perciò l'istologia si distingue nella sua essenza e nei metodi dall'anatomia microscopica; quest'ultima è parte integrante dell'anatomia sistematica e si vale del metodo anatomico descrittivo. L'istologia, invece, considera l'intima costituzione dei tessuti da un punto di vista generale, inoltre rintraccia il nesso esistente fra gli attributi morfologici dei tessuti e le manifestazioni funzionali. S'è voluto suddividere l'istologia in generale e speciale, intendendo con quest'ultima la conoscenza delle disposizioni particolari che i tessuti hanno nei varî organi; ma istologia significa illustrazione dei tessuti e questa non può a meno d'essere intrapresa da un punto di vista generale. Spetta, per es., all'istologia di studiare la struttura dei vasi sanguigni, dei nervi, del tessuto connettivo e anche i caratteri particolari che questi tessuti presentano nei varî organi, mentre è compito dell'anatomia microscopica descrivere i rapporti materiali vicendevoli esistenti nei singoli organi fra i varî tessuti.
Saverio Bichat con dissezioni minuziose, ma senza avere intrapreso osservazioni microscopiche, acquistò la convinzione dell'esistenza, in tutti gli organi degli animali, di costituenti fondamentali comuni, tenendo conto dei caratteri anatomici grossolani, delle proprietà fisiche e degli attributi fisiologici. A lui si deve l'introduzione nella scienza della nozione di tessuto ed egli a ragione è ritenuto il fondatore dell'istologia animale, con la sua opera Anatomie générale (Parigi 1801), denominazione più tardi abbandonata e sostituita con quella di "istologia". Le indagini successive sulla struttura microscopica degli organi degli animali confermarono il principio che il genio di Bichat aveva intuito, che materiali costitutivi analoghi partecipano alla costituzione dei più diversi organi. E parimenti negli organismi vegetali si riconobbe l'esistenza di tessuti differenti. Il grande progresso dell'istologia data da quando M. Schleiden e T. Schwann ebbero enunciato la dottrina cellulare, nel 1839 (v. cellula); solamente allora si riconobbe che i tessuti sono costituiti sempre senza eccezione dalle individualità elementari della sostanza organizzata, da cellule e da sostanze elaborate dalle cellule. Durante la seconda metà del secolo la conoscenza dell'intima struttura dei tessuti fece grandissimi e rapidi progressi: vanno segnalati in particolar modo i nomi di R. A. v. Kölliker, di J. E. Purkinje, di R. Remak, di E. W. Brücke, di R. Virchow, di H. Kühne, di M. Schultze, di L. A. Ranvier, di F. G. J. Henle, di R. Heidenhain. Fra le ricerche di studiosi italiani eccellono quelle di A. Corti, di F. Pacini, e di A. Tigri. Ma solamente verso la fine del sec. XIX si crearono in Italia, per merito di G. Bizzozero e di C. Golgi, fiorenti scuole d'istologia; a quest'ultimo spetta il vanto d'avere svelato l'intima struttura del tessuto nervoso. Nel frattempo progrediva rapidamente la conoscenza della storia dello sviluppo dell'uomo e degli animali (v. embriologia) con grande profitto per l'istologia; M. Schultze, F. C. Boll, W. Flemming, W. His analizzarono le trasformazioni che si producono nei tessuti durante lo sviluppo embrionario; si creò così un nuovo capitolo: l'istogenesi. Dal 1870 al 1900 E. Strassburger, W. Flemming, E. v. Beneden, J. B. C. Carnoy, C. Rabl, O. e R. Hertwig, T. Boveri diedero grande impulso agli studî sull'intima struttura della cellula e sulle sue trasformazioni durante la divisione; la citologia in origine era una modesta gemma cresciuta dal grande albero dell'istologia, ben presto divenne un ramo vigoroso ed è oggi considerata come una disciplina distinta, alla quale si dedicano con ardore centinaia di studiosi. I primi studiosi d'istologia animale (Schwann, Kölliker, Virchow, Brücke, ecc.) erano medici e perciò s'occuparono a preferenza di tessuti dell'uomo e degli animali simili all'uomo nella speranza di contribuire, con la conoscenza della struttura dei tessuti normali, al progresso della medicina. Ma ben presto molti naturalisti si volsero allo studio dei tessuti di forme animali inferiori; fra questi fu un precursore, G. Müller; vennero poco dopo F. v. Leydig, R. Wagner, N. Kleinenberg e molti altri. Si svolse così l'istologia comparata, la quale tende a porre in luce i caratteri che un singolo tessuto ha in comune in tutti i Metazoi, come pure le diversità che un tessuto presenta nelle varie specie, cercando di scoprire, per quanto è possibile, quali sono le condizioni che determinano tali diversità. Pure grande sviluppo ebbero le ricerche iniziate da R. Virchow e proseguite da F. D. v. Recklinghausen, da E. Klebs, da M. W. Ribbert e da altri sulle modificazioni dei tessuti in condizioni morbose (istologia patologica, v. sotto). In complesso l'istologia ha esercitato un'immensa influenza sul progresso della biologia e della medicina. Riferendoci a qualche esempio, le sole interpretazioni plausibili del meccanismo funzionale dei centri nervosi in condizioni normali e morbose risalgono al periodo in cui il Golgi ha svelato l'intima struttura del tessuto nervoso. Parimenti la patologia ha progredito solamente dopo che fu approfondita l'analisi della struttura normale dei tessuti; gli studî sui processi rigenerativi, sui neoplasmi, sull'infiammazione, si fondano in modo quasi esclusivo sull'istologia normale. Il suo contenuto costituisce un complesso di nozioni delle più essenziali nella medicina, le quali sono un'introduzione indispensabile all'anatomia normale e alla patologia.
I grandi istologi del sec. XIX erano in prevalenza morfologi e ritenevano che lo studio della struttura, come quello della forma degli organismi, dovesse essere fine a sé stesso; ma quando la conoscenza della struttura della sostanza organizzata divenne completa, o quasi, incominciò a manifestarsi da molte parti il desiderio di ricercare il significato funzionale delle strutture che l'opera paziente di tanti studiosi aveva svelate. Certamente tale tendenza ha vivificato l'istologia e spesso valse a porre sotto una luce nuova molti particolari considerati dapprima d'importanza accessoria; valgano d'esempio gli stuaî di L. G. Gebhardt, di F. Petersen, di A. Benninghoff sull'importanza statica dell'orientazione delle fibre collagene nelle ossa e nella cartilagine. Tuttavia il metodo descrittivo apparve a molti inadeguato a rintracciare il nesso fra struttura e funzione; spesso la conoscenza anche perfetta d'una struttura potrà permetterci tutt'al più qualche supposizione sul suo significato funzionale, ma le condizioni biologiche profonde le quali ne determinano la ragione d'essere ci sfuggono. Donde la necessità di ricorrere nell'istologia al metodo sperimentale; si concepì la speranza che col produrre artificialmente mutamenti nella struttura tipica dei tessuti s'aprisse la via a una analisi biologica dei medesimi; si cercò d'ottenere questo risultato per varia via, col trapiantarli in un'altra sede, col coltivarli fuori dell'organismo, ecc. Questo nuovo orientamento, sebbene di data recente, ha già dato notevoli frutti ed esso è molto probabilmente destinato a produrre nell'istologia un rinnovamento analogo a quello che negli ultimi 25 anni ha vivificato l'embriologia sotto l'impulso delle scoperte e delle idee di W. Roux e di H. Driesch, trasformandola da scienza descrittiva in sperimentale (v. embriologia: Embriologia sperimentale).
Il solo mezzo per svelare la struttura dei tessuti è l'osservazione col microscopio, il più spesso a luce rifratta, con la quale si ottiene un'immagine negativa per diverso grado di assorbimento di luce nei singoli punti d'un tessuto; può talvolta riuscire utile anche il metodo d'illuminazione laterale (v. citologia). Le parti anisotrope dei tessuti, esaminate col microscopio polarizzatore, essendo birifrangenti, appaiono luminose a nicol incrociati.
Poiché l'istologia si propone l'indagine dei tessuti viventi, il metodo preferibile dovrebbe essere l'osservazione microscopica dell'animale vivente; ma il più delle volte questo metodo non è applicabile perché un organo integro non permette il passaggio dei raggi luminosi riflessi dallo specchio del microscopio; inevitabilmente deve essere suddiviso in lamine o in particelle trasparenti.
La dilacerazione con mezzi meccanici ne compromette quasi sempre l'integrità; inoltre i tessuti freschi si disgregano così presto, che il periodo utile per l'osservazione è breve. Un mezzo semplice e rapido per esaminare la struttura dei tessuti freschi è il seguente: un organo, o una sua parte, viene indurito (con un getto d'anidride carbonica); il pezzo può allora venire suddiviso in sottili fette col microtomo. Le fette vanno esaminate in una soluzione salina isotonica senza aggiunta di sostanze coloranti, né di altri reagenti e debbono essere esaminate subito; però s'alterano rapidamente.
Per ottenere preparati microscopici permanenti, occorre conservare indefinitamente la struttura dei tessuti quanto più è possibile simile a quella dell'organismo vivente; suddividere gli organi in sottili fette; ottenere con sostanze coloranti un contrasto fra le parti talora piccolissime dei tessuti, in modo da renderle facilmente visibili. Il materiale così preparato viene posto sopra una lastra di vetro (fig. 1, a) immergendolo in una goccia d'una sostanza con indice di rifrazione elevato, quanto più è possibile vicino a quello del tessuto (glicerina, gelatina, olî essenziali, balsamo del Canada); vi si sovrappone una lastrina di vetro (fig. 1, b) per proteggere la fetta dalla polvere; questa seconda lastrina dev'essere molto sottile in modo da poter avvicinare gli obiettivi del microscopio, anche se a breve distanza focale. Il preparato può essere conservato indefinitamente senza alterarsi.
Il procedimento più importante per ottenere tale risultato è di precipitare i colloidi dei tessuti trasformandoli in gel irreversibili (fissazione del tessuto); i liquidi fissatori più usati a questo fine sono l'alcool, la formalina, i sali di metalli pesanti, alcuni acidi organici o minerali, ecc. per lo più si studiano per via empirica miscele di queste varie sostanze a proporzioni determinate (miscele d'acido cromico, osmico, acetico, oppure di bicloruro mercurico, bicromato potassico, formalina e moltissime altre). L'esperienza insegna qual'è la miscela più adatta per conservare una determinata struttura; non vi si prestano le sostanze che precipitano i colloidi dei tessuti in forma d'ammassi grossolani (p. es., l'alcool); invece fissando con miscele contenenti acido osmico s'ottiene un'immagine molto simile a quella del tessuto vivente. L'organo, dopo essere stato fissato, deve acquistare una consistenza sufficiente per essere suddiviso in sottili fette. Anche l'organo fissato, e anzi meglio ancora di quello fresco (v. sopra), può essere diviso in fette mediante il congelamento con l'anidride carbonica. Però questo metodo, pur ottimo, non può essere sempre impiegato. Nella maggior parte dei casi l'organo in esame deve essere imbevuto sino nei più piccoli meati con una sostanza d'una certa consistenza (gelatina, celloidina o paraffina) in modo da ottenere un blocco compatto e uniforme; per avere una perfetta imbibizione con paraffina (che è il metodo più usato) è indispensabile rendere il pezzo perfettamente anidro con l'alcool e poi imbeverlo con una sostanza miscibile con la paraffina (benzolo, olio di cedro, ecc.), e infine tenerlo per qualche tempo nella paraffina fusa al calore. Dal blocco così ottenuto si tagliano col microtomo fette d'uno spessore esattamente determinabile, talora anche estremamente sottili, sino a un minimo di 2-3 millesimi di millimetro (μ). Quando il materiale in esame è in forma di membrane sottili e trasparenti, oppure di cellule libere in un liquido (elementi del sangue e della linfa, spermatozoi, cellule contenute in un liquido patologico), si può colorirlo senz'altro subito dopo la fissazione, evitando così la suddivisione in fate la quale non è certo innocua per l'integrità del tessuto. Le fette ottenute col microtomo (ed eventualmente le cellule sospese in un liquido) si fanno aderire alla lastrina di vetro e s'immergono in una soluzione colorante. Nei tessuti colorati si distinguono particelle anche piccolissime, che sarebbero in altro modo invisibili, per la tinta più intensa che assumono.
Premettiamo che le soluzioni coloranti usate in istologia sono sistemi dispersi (v. collomi); i costituenti dei tessuti i quali hanno determinate proprietà fisiche o chimiche fissano stabilmente le micelle colloidali della soluzione colorante in maggior quantità di altri costituenti (colorazione elettiva); se il tessuto si tinge diffusamente, la colorazione non risponde allo scopo. S'adoperano per le colorazioni istologiche soluzioni di carminio, sostanza estratta da un insetto (cocciniglia), oppure di colori d'origine vegetale (fra questi il più usato è l'ematossilina estratta dal legno di campeggio); e infine soluzioni dei numerosissimi colori di anilina preparati da prodotti di distillazione del catrame; le colorazioni dei preparati ottenute con sostanze d'origine animale e vegetale sono le più stabili, non sbiadiscono neppure dopo decennî. Anche con metalli pesanti (sali d'oro e d'argento) si può avere una colorazione istologica.
Nella scelta della soluzione colorante non si procede naturalmente a caso: l'esperienza ha insegnato qual'è la sostanza più adatta per mettere in risalto una determinata struttura. Per es., varî colori basici tingono elettivamente la cromatina nucleare, l'orceina in soluzione acida tinge in modo esclusivo le fibre elastiche (fig. 2), la picrofucsina le fibre collagene (lacche fra azzurro di anilina e acido fosfomolibdico e fosfowolframico dànno lo stesso risultato), l'argento colloidale tinge la sostanza neurofibrillare degli elementi nervosi, ecc. Spesso si ricorre a colorazioni multiple per avere un più vivace contrasto fra i costituenti dei tessuti, e i varî colori possono essere mescolati in una soluzione, o si fanno agire successivamente. Per le colorazioni vitali, v. citologia.
In un preparato istologico non è possibile porre in evidenza tutti i componenti di un tessuto: i rapporti vicendevoli fra cellule parenchimali, stroma di sostegno, vasi e nervi sono tanto intimi che quando tutti i componenti si colorano l'osservatore non riesce ad analizzarli: anzi, quanto più è parziale una colorazione tanto meglio risponde al suo scopo. L'istologo si abitua a sovrapporre e integrare le immagini ottenute con metodi diversi. Per ottenere tale risultato di colorare in tanti preparati distinti i varî tessuti oppure singoli particolari d'un tessuto o d'una cellula, la tecnica dispone di varî mezzi: ha certo molta importanza l'affinità elettiva di singoli costituenti istologici per determinate sostanze.
Riferendoci all'esempio su accennato del fegato, per dimostrare le varie particolarità strutturali del lobulo epatico si allestiranno preparati con metodi diversi (fig. 3): le cellule epatiche, con una soluzione di ematossilina alluminica; il glicogeno contenuto nelle cellule epatiche, col metodo della fucsina-resorcina (Vastarini-Cresi); il grasso e i lipoidi contenuti nelle cellule, con l'acido osmico o col Sudan III; i condriosomi delle cellule epatiche (v. citologia), con uno dei varî metodi per la colorazione del condrioma; la rete dei capillari biliari, con un'iniezione di gelatina colorata nelle vie biliari oppure con l'impregnazione con cromato d'argento; le fibrille reticolari, con uno dei varî metodi all'argento colloidale, p. es. col tannato d'argento; i capillari sanguigni, iniettando i vasi con gelatina colorata; le cellule endoteliali dei capillari, con un procedimento di colorazione vitale (blu trypan); il plesso intralobulare di fibre nervose, con la colorazione vitale al blu di metilene (metodo di Ehrlich).
La natura del processo di colorazione dei tessuti è poco conosciuta; è probabile che v'abbiano parte fattori multipli; l'affinità dei costituenti dei tessuti per i colori non dipende soltanto da affinità chimiche; hanno molta importanza i fenomeni di adsorbimento ed elettrici; i colloidi a carica elettro-positiva dei tessuti fissano le sostanze coloranti colloidali a carica opposta e viceversa. Ha pure influenza sulla riuscita della colorazione la natura delle sostanze adoperate nella fissazione; da un lato vi sono infatti sali di metalli pesanti (sali di cromo) i quali agiscono come mordenti, vale a dire fissano alcuni colori al tessuto formando una lacca (combinazione del colore col mordente), d'altro lato vi sono liquidi fissatori (p. es., l'acido osmico) i quali diminuiscono l'affinità dei tessuti per i colori.
La tecnica per la conservazione e la colorazione dei preparati è certo praticamente importante, ma è un metodo grossolanamente empirico, il quale non ci dà mai la certezza che le strutture preesistenti nel vivente siano conservate nella loro integrità nel preparato. Negli ultimi anni furono studiati nuovi tecnicismi atti a facilitare l'analisi microscopica dei tessuti viventi. Fra questi ha assunto grande importanza il metodo di R. G. Harrison, ulteriormente svolto da A. Carrel, della coltivazione dei tessuti in vitro, mediante il quale frammenti minutissimi d'organi posti con speciali cautele in una cella di vetro possono sopravvivere a lungo e accrescersi (v. tessuti, colture di); e, ciò che ha maggior interesse per l'istologia, le cellule in queste condizioni divengono molto trasparenti e possono essere studiate al microscopio con i più forti ingrandimenti, nelle loro manifestazioni vitali. Molto promettente è il metodo d'esame microscopico con illuminazione dall'alto (illuminatore dei corpi opachi usato finora per indagini di metallografia) mediante il quale riesce possibile analizzare la struttura di organi integri lasciati nella loro sede naturale nell'animale vivente (metodo V. Vonwiller).
I tessuti del corpo dei Metazoi. - I varî tessuti differiscono uno dall'altro per caratteri strutturali molto appariscenti: tali caratteri permisero ai primi istologi di distinguerli e di classificarli. Ben presto si riconobbe che queste differenze sono l'espressione di particolari funzioni alle quali sono destinati. Inoltre dalla conoscenza della storia dello sviluppo degli organismi emerse che i varî tessuti s'originano da regioni determinate del germe. Nel raggruppamento dei tessuti si deve dunque tener conto di questi varî criterî morfologici, fisiologici e genetici: i primi due hanno però importanza più grande. In quasi tutti i Metazoi adulti si distinguono i tessuti seguenti:
1. Gli epitelî (v. epiteliale, tessuto) sono membrane costituite in modo esclusivo da cellule a mutuo contatto senza discontinuità di sorta: rivestono la superficie del corpo e delimitano le cavità comunicanti all'esterno, sono adunque gl'intermediarî fra l'organismo e il mondo esterno: va perciò considerato come estraneo all'organismo tutto ciò che risiede di là dall'epitelio, compreso il contenuto delle cavità interne del corpo (per es., il contenuto dell'intestino e della vescica). Sono destinati a funzioni di protezione, di riassorbimento, di secrezione, di recezione degli eccitamenti che trasmettono agli elementi del tessuto nervoso, i quali hanno con gli epitelî i rapporti più stretti. Sono annoverati fra i derivati epiteliali tessuti i quali collaborano alle funzioni di superficie degli epitelî, ma nei quali i caratteri sopra indicati non sono sempre molto evidenti; però durante lo sviluppo embrionale derivano da trasformazione degli epitelî e conservano spesso con questi rapporti materiali. Appartengono ai derivati epiteliali i tessuti ghiandolari esocrini (e alcuni degli endocrini), che producono sostanze specifiche ed eliminano i prodotti di rifiuto dell'organismo, e vi appartengono parti più consistenti destinate a dare più valida protezione al corpo (peli, piume, squamme cornee, unghie, artigli, ecc.).
In alcune forme molto basse di Metazoi (negl'Idroidi) il soma è costituito in modo esclusivo da epitelî, nei quali perciò si cumulano funzioni di superficie, di sostegno, di secrezione, di recezione degli eccitamenti e di movimento. Ma in tutti gli altri Metazoi s'è determinata una divisione di lavoro: si sono costituiti altri tessuti a struttura più complessa, a ciascuno dei quali spetta una funzione specifica.
2. Diffusione molto grande hanno i tessuti che per la loro speciale struttura resistono alle azioni meccaniche e perciò possono adempi-re a funzioni di protezione e di sostegno; di questi esistono almeno nei Vertebrati molte varietà: il connettivo in senso stretto (v. connettivo, tessuto), il quale forma in quasi tutti gli organi una trama compenetrata con altri tessuti, percorsa da liquidi nutritivi e perciò l'intermediario degli scambî nutritivi; costituisce pure organi passivi di movimento, i tendini, i legamenti, la cartilagine, il tessuto osseo, i quali sono il costituente preponderante di elementi scheletrici del corpo, il tessuto adiposo.
3. Nei Vertebrati i liquidi nutritivi e le cellule in essi sospese circolano in un sistema chiuso di canali, i vasi sanguigni e linfatici, i quali s'insinuano in tutti gli organi accompagnati quasi dappertutto da guaine di connettivo: gli elementi del sangue della linfa e i canali nei quali questi sono contenuti, come pure i tessuti nei quali, anche nell'adulto, avviene il rinnovamento degli elementi del sangue (tessuti ematopoietici, midollo osseo, tessuto linfoide dei noduli e ganglî linfatici) sono considerati, per la loro funzione specifica e per il modo con cui si originano, un tessuto a sé.
4. Chiamiamo muscolare la varietà di tessuto costituita da elementi che per la loro struttura specifica sono specializzati per la funzione contrattile: essendo capaci di mutare di forma, determinano uno spostamento delle parti sulle quali s'inseriscono.
5. In tutti i Metazoi, eccettuate le Spugne, v'è un tessuto in connessione materiale con gli altri mediante i prolungamenti di cui le sue cellule sono provviste: è questo il tessuto nervoso, a struttura straordinariamente complessa; mentre gli ormoni circolanti nel sangue rendono possibili le correlazioni umorali fra gli organi, le propaggini delle cellule nervose, le quali, ripetiamo, si spingono in tutti i tessuti formandovi degl'intrecci talora intricatissimi, istituiscono fra i varî organi rapporti d'interdipendenza di altra natura: le correlazioni nervose.
6. La trama di sostegno degli organi nervosi ha caratteri proprî ben diversi da quella degli altri e viene considerata come un tessuto a sé, la nevroglia.
I caratteri proprî dei varî tessuti si manifestano in periodi non precocissimi dello sviluppo embrionale. Le cellule nelle quali l'uovo fecondato si suddivide (v. embriologia) hanno caratteri uniformi, e anche quando si formano i tre foglietti germinativi dell'embrione (ectoderma, mesoderma e endoderma) non sono ancora palesi i caratteri specifici dei varî tessuti (fig. 4). Questi incominciano a manifestarsi per gradi, per il fenomeno della differenziazione strutturale (figg. 5-8); quando nell'embrione sono già distinti alcuni organi con forma propria v'è un solo tessuto indifferente, e questo stesso si ritrova anche negli organi che si abbozzano tardi; l'organogenesi precede adunque l'istogenesi; e ancor più tardi della comparsa dei primi caratteri specifici l'organo è compenetrato da vasi, da mesenchima e da nervi.
Alcuni tessuti sono preformati soltanto in regioni determinate del germe, per altri invece non v'è specificità di sorta. L'epitelio del tegumento deriva direttamente dall'ectoderma, l'epitelio intestinale dall'endoderma, l'epitelio che riveste le cavità derivate dal celoma (peritoneo, ecc.), dal mesoderma; secondariamente dai suddetti epitelî si differenziano i tessuti delle ghiandole e degli altri organi tegumentarî (ghiandole cutanee, peli, ecc.), quelli delle ghiandole annesse al canale alimentare (ghiandole salivari, fegato, pancreas). Ma l'opinione, molto diffusa un tempo, che tutti gli epitelî derivino direttamente dai foglietti embrionarî è oggi riconosciuta errata; la più gran parte degli epitelî ghiandolari del rene, come pure gli epitelî di varie ghiandole endocrine, derivano da una massa di cellule che non hanno carattere epiteliale (blastema renale, blastema dell'interrenale, ecc.). I tessuti a funzione meccanica (connettivo cartilagineo, osseo, adiposo) derivano, almeno in parte, da un tessuto denominato mesenchima, che non è però specifico, bensì rappresenta un atteggiamento transitorio dei blastemi che nei Vertebrati hanno prevalentemente origine mesodermica (ma non in modo esclusivo come un tempo si riteneva); esso adempie durante il periodo embrionale a funzioni di sostegno e trofiche. Le cellule del mesenchima primario emigrano precocemente dal mesoderma, costituendo ammassi a limiti non sempre ben netti; più tardi la loro forma diviene stellata, emettono sottili prolungamenti ramificati, producono abbondante sostanza intercellulare amorfa, molto imbevuta d'acqua; questo tessuto (mesenchima secondario) s'estende ben presto in una gran parte del corpo dell'embrione (fig. 5), ed è la matrice di buona parte dei tessuti a funzione meccanica; in seno alla sostanza intercellulare si differenziano fibrille collagene e elastiche, le cellule mesenchimali si trasformano rispettivamente in fibrociti, in cellule cartilaginee, in osteoblasti. Una parte delle cellule mesenchimali s'addensano in ammassi compatti costituendo gli elementi scheletrici, ma in buona parte s'insinuano nel parenchima degli organi formandovi la trama di sostegno; questa diviene gradatamente più complessa col progredire dello sviluppo. I tessuti a funzione meccanica derivano dunque, in prevalenza almeno, dal mesenchima; ma ciò vale soltanto per i Vertebrati; negli Artropodi tutto il tessuto di sostegno deriva dall'ectoderma. D'altra parte le cellule mesenchimali non sono destinate a formare in modo esclusivo tessuti di sostegno; possono anche differenziarsi in cellule ghiandolari a funzione endocrina (nel testicolo e nell'ovario), e anche in cellule muscolari lisce; tale origine hanno queste cellule nel tegumento, nell'apparato digerente, respiratorio e urogenitale; parimenti le cellule muscolari lisee dei vasi sanguigni derivano dal mesenchima. Quelle delle ghiandole sudoripare e del muscolo dilatatore dell'iride sono invece derivate da cellule epiteliali ecto-dermiche. Le fibre muscolari striate si differenziano dal mesoderma; nella parte dorsale del tronco derivano da una regione ben circoscritta dei somiti mesodermici (miotomo, fig. 8), e tutta la rimanente muscolatura striata da elementi mesodermici situati in varie regioni dell'embrione (negli arti, ecc.). Il tessuto nervoso deriva da un territorio ben circoscritto del germe, dalla doccia neurale; singoli elementi assumono caratteri proprî, di neuroblasti (figura 6), per la formazione nel citoplasma d'una speciale sostanza, che si colora con l'argento (sostanza neurofibrillare); emettono propaggini, le quali, crescendo in lunghezza, s'insinuano nelle regioni più diverse dell'embrione (fig. 7) e finiscono col raggiungere gli organi periferici (muscoli, epiteli, ghiandole, ecc.). Il tessuto di sostegno del sistema nervoso (nevroglia) ha origine comune al tessuto nervoso, vale a dire si differenzia a spese del materiale derivato dalla placca midollare.
Gli elementi del sangue, come pure le cellule le quali costituiscono il sottilissimo rivestimento dei primitivi vasi sanguigni (endotelî vascolari), derivano da un abbozzo specifico mesodermico (angioblasto); però in periodi ulteriori dello sviluppo gli elementi del sangue, e probabilmente anche gli endotelî vascolari, derivano dal mesenchima. Inoltre il tessuto proveniente dall'angioblasto acquista intimi rapporti con elementi di origine mesenchimale; all'endotelio primitivo si sovrappongono nelle arterie, nelle vene, cellule che formano fibrille collagene ed elastiche, e in parte si differenziano in elementi muscolari: strutture le quali finiscono col far parte integrante della parete dei vasi.
Considerando, dunque, che cellule a funzione e struttura identica derivano da foglietti germinativi diversi, e che d'altra parte tessuti differenti traggono origine da un abbozzo comune, si deve concludere che i fatti desunti dall'embriologia hanno importanza limitata per la classificazione dei tessuti. Fu detto che la differenziazione istologica procede per gradi; infatti tra la fase nella quale appaiono in un determinato tessuto i primi caratteri specifici e quella di maturità intercede un lungo periodo nel quale la struttura del tessuto si perfeziona; inoltre la differenziazione istologica interferisce con l'accrescimento, vale a dire con l'incremento di massa di tutto il germe e perciò dei singoli tessuti; il fondamento strutturale di quest'incremento dipende a preferenza da moltiplicazione di cellule rimaste indifferenti (fig. 6), mentre quelle differenziate non si dividono. Però, a seconda del periodo in cui s'inizia la differenziazione e a seconda della velocità con cui procede l'accrescimento dei singoli tessuti, assume un'impronta propria. Si distinguono (G. Bizzozero) da tale punto di vista: 1. I tessuti a elementi perenni (nervoso e muscolare striato), nei quali la differenziazione incomincia prima che in tutti gli altri; è dapprima limitata a poche cellule (fig. 6), mentre le rimanenti rimaste indifferenti continuano a moltiplicarsi; ma poiché un numero sempre crescente di cellule si differenzia, la proliferazione delle cellule a caratteri embrionali decresce a poco a poco, finché la riserva di queste s'esaurisce; il numero delle cellule non aumenta ulteriormente e l'accrescimento ulteriore del tessuto consiste esclusivamente in aumento di volume di cellule differenziate (fig. 8). Così, p. es., il numero degli elementi nervosi del midollo spinale di embrione di pollo dal 13° al 14° giorno d'incubazione in poi è quasi eguale a quello dell'animale adulto; il notevole incremento del midollo spinale dipende da aumento di volume delle cellule e delle fibre nervose. 2. I tessuti a elementi stabili (fegato, pancreas, ghiandole salivari, rene, ecc.) assumono più tardi dei precedenti i caratteri proprî e conservano una riserva di cellule embrionali sino al termine del periodo d'accrescimento; quando questo cessa, tutte le cellule sono differenziate, l'incremento del tessuto s'arresta e non è possibile durante il resto della vita un rinnovamento delle cellule. 3. Nei tessuti a elementi labili, invece, la riserva di cellule embrionali persiste durante tutta la vita, e non è destinata all'incremento dell'organo, bensì a riparare all'usura continua delle cellule differenziate; appartengono a questo gruppo di tessuti molti epiteli (l'epitelio del tegumento, di tutto il canale alimentare, ecc.), e gli elementi del sangue. La vita delle cellule di questi due tessuti è breve: quando alcune di esse regrediscono e i loro residui sono eliminati, vengono immediatamente sostituite dalle cellule embrionali che si moltiplicano e successivamente si differenziano.
Bibl.: L. Ranvier, Traité technique d'histologie, Parigi 1875; Th. v. Koelliker, Handbuch der Gewebelehre des Menschen, Lipsia 1889-1902; M. Heidenhain, Plasma und Zelle, in Barderleben's Handb. der Anat. des Menschen, Jena 1907-1911; A. Prenant, P. Bouin, L. Maillard, Traité d'histologie, Parigi 1911; A. Gurwitsch, Vorlesungen über allgemeine Histologie, Jena 1913; D. Carazzi e G. Levi, Tecnica microscopica, 3ª ed., Milano 1916; H. Petersen, Histologie und mikroskopische Anatomie, Monaco 1924; A. Pensa, Trattato di istologia generale, Milano 1925; R. Krause, Enzyklopädie der mikroskopischen Technik, 3ª ed., Berlino e Vienna 1926; G. Levi, Trattato di istologia, Torino 1927; B. Romeis, Taschenbuch der mikroskopischen Technik, 12ª ed., Monaco e Berlino 1928; T. Péterfi, Methodik der wissenschaftlichen Biologie, Berlino 1928; W. von Möllendorf, Handbuch der mikroskopischen Anatomie des Menschen, volumi 7, Berlino 1927-1932.
Istologia patologica. - L'istologia patologica con l'aiuto del microscopio ci conduce nello studio delle malattie a una più intima e precisa conoscenza delle alterazioni che possono, per cause diverse, in varia sede e per varie estensioni, manifestarsi negli organismi viventi, e si potrebbe perciò definire "l'anatomia patologica microscopica". L'anatomia patologica al suo nascere dovette limitarsi al solo esame macroscopico qual era consentito dai limiti della visibilità, senz'alcun mezzo ottico d'ingrandimento. Molte cognizioni furono così acquisite e si poterono stabilire per varie malattie le caratteristiche macroscopiche delle alterazioni che le contraddistinguono. Se questa valutazione ancora oggi è sufficiente e risolutiva in alcuni casi, in altri è manchevole, giacchè organi che in vita per le alterazioni funzionali si dovevano presumere lesi, non presentano poi al tavolo anatomico alterazioni anatomiche apprezzabili a occhio nudo. Successivamente, il microscopio aumentò i limiti della visibilità dell'occhio: con la scoperta della cellula s'arrivò a una più intima conoscenza della struttura normale degli organi e dei varî tessuti che li costituiscono. Così, insieme con l'istologia normale (v. sopra) sorgeva l'istologia patologica che studia le variazioni dalla norma che possono presentare cellule, tessuti, organi, per mettere in rilievo e raggruppare le diverse alterazioni che si riscontrano nelle malattie e che talora di queste sono specifiche. L'istologia patologica ha tratto buon alimento dallo studio anche delle alterazioni che s'osservano negli animali inferiori e nelle piante, essendo intimo il legame tra gli esseri inferiori e i superiori ed essendo sempre utile il risalire nello studio dei fenomeni (specialmente quelli biologici, che sono più complessi) dal più semplice al più complicato. S'è poi anche avvantaggiata, oltreché dai grandi progressi raggiunti dal microscopio, anche dai sempre più fini e appropriati metodi di tecnica istologica, sussidiati da una più precisa conoscenza dei costituenti chimici e dello stato fisico-chimico della materia, cosicché in alcuni casi riesce a valutare, non solo dal punto di vista morfologico, le alterazioni degli elementi sottoposti all'osservazione, ma anche ad avere delle indicazioni precise sulle alterazioni chimiche o fisico chimiche avvenute nella loro costituzione. Inoltre la ricerca sperimentale ha permesso di riprodurre molte delle malattie che spontaneamente sorgono nell'uomo o negli animali, di seguirne cronologicamente lo svolgimento fino alla guarigione più o meno completa, o alla morte, e di studiarne in ogni momento le lesioni caratteristiche. I trattati d'anatomia patologica, così, a mano a mano cominciarono a completare la descrizione macroscopica con qualche reperto istologico, e oggi sono corredati da numerosi disegni o da nitide microfotografie che illustrano le alterazioni istologiche caratteristiche. S'è ottenuto così un notevole affinamento nel giudizio delle lesioni che si possono riscontrare al tavolo anatomico giacché dal controllo istologico dei caratteri macroscopici (volume, forma, colore, consistenza, aspetto della superficie dell'organo o della superficie di sezione, ecc.) siamo arrivati alla possibilità d'una loro valutazione così fine e precisa come in passato non sarebbe stato possibile, con grande utilità per le scienze strettamente affini all'anatomia patologica. Prime tra queste la clinica, e non solo per la dimostrazione delle lesioni istologiche proprie delle varie malattie, ma anche per le valutazioni, necessarie ai fini diagnostici e prognostici, degli elementi tratti dal vivo per biopsia, o per mezzo di punture esplorative o eliminati dall'organismo in forma liquida, talora insieme con scarsi elementi d'essudazione o d'esfogliazione, (urina, sudore, ecc.) o semiliquida (escreati) o solida (feci). Inoltre la dimostrazione di lesioni laddove non si potevano prima sospettare per mancanza di segni macroscopici, condusse al riconoscimento di malattie nuove che poterono in tal modo essere descritte e classificate. Così, molti quadri morbosi che venivano un tempo considerati esclusivamente nel campo della clinica psichiatrica, passarono in quello della neuropatologia dopo che l'indagine istologica permise di determinarne la base anatomica, non altrimenti rilevabile, e non è azzardato l'affermare che per questa via il campo della psichiatria andrà sempre più restringendosi. Anche la fisiologia con i nuovi studî istopatologici poté fare notevoli progressi: le fu, per esempio, possibile stabilire istologicamente i rapporti tra alterazioni funzionali e lesioni morfologiche, cromatiche, fisiche, fisico chimiche di elementi anatomici colpiti in stati funzionali varî o in stato di funzione lesa, di studiare le correlazioni ormoniche fra gli organi endocrini, di precisare le localizzazioni cerebrali, ecc. Nella medicina legale l'istologia patologica ha permesso accertamenti più precisi sulla natura delle lesioni (se avvenute cioè in vita o in morte), sulle cause della morte, specialmente in quei casi d'avvelenamento nei quali le lesioni mortali sono discernibili in determinati distretti cellulari solo all'indagine istologica, e sullo svolgimento cronologico delle lesioni Ricordiamo, infine, la vasta messe d'osservazioni che, determinando la base istopatologica delle varie malattie parassitarie, e d'infezione, vennero a completare le nozioni fornite dalla parassitologia e dalla batteriologia.
I nomi degli scienziati che diedero i più importanti contributi alla istologia patologica, formandone una delle basi più solide della medicina moderna, potrebbero essere distinti in tre gruppi. Il primo comprende coloro che con le osservazioni d'istologia normale e patologica negli svariati campi della biologia resero possibile a R. Virchow di scrivere nel 1858 quel suo classico trattato di patologia cellulare che coordinò in forma precisa quanto fino a quel giorno s'era osservato in istologia patologica. Il secondo comprende i patologi contemporanei del Virchow che lo aiutarono a irrobustire e ampliare la nuova scienza. Nel terzo, infine, coloro che, successivamente al Virchow, affermatasi per opera di R. Koch e di L. Pasteur (che in U. Bassi ebbero il geniale precursore) la concezione microbiologica della malattia, tolsero alla teoria cellulare del Virchow quanto di eccessivamente schematico essa conteneva per dilatarne i confini a una più vasta e precisa concezione delle manifestazioni morbose. Queste non vennero più riferite soltanto a semplici variazioni morfologiche o cromatiche degli elementi, ma furono studiate anche nelle loro vaste e complesse manifestazioni umorali e si stabilì una più intima collaborazione dell'anatomia patologica con la clinica controllando pazientemente e costantemente le lesioni istologiche con le alterazioni funzionali. Ricorderemo nel primo gruppo: M. Malpighi, A. Tigri, F. Fontana, F. Pacini, A. Corti, M. F. X. Bichat, J. E. Purkinie, T. Schwann, E. J. Remak, M. Schleiden, E. Brucke, ecc.; e nel secondo gruppo T. Boveri, R. Heidenhain, F. Henle, O. Hertwig, R. Kölliker, W. Kühne, L. Ranvier, M. Schultze, W. Flemming, ecc. Per il terzo gruppo ricorderemo quanto s'è fatto specialmente in Italia. L'istologia patologica del sistema nervoso ebbe un poderoso impulso per opera di C. Golgi, che con i metodi cromoargentici fece conoscere la struttura normale del cervello e del midollo spinale, permettendoci così di valutarne le alterazioni; gli studî del Golgi furono continuati da S. R. Ramón y Cajal, da F. Nissl, da K. Weigert, da V. Marchi, da A. Donaggio, ecc., che, indicandoci metodi specifici per la dimostrazione delle alterazioni della mielina, o del citoplasma, o delle cellule della glia o della microglia, delle fibrille endo- o pericellulari, ci hanno permesso di completare le nostre conoscenze sull'istologia patologica del sistema nervoso. Ricorderemo, inoltre, G. Bizzozzero e i suoi allievi (G. Vassale, C. Sacerdotti, ecc.) nello studio degli organi ematopoietici e dei processi di riparazione e di cicatrizzazione; E. Marchiafava (con i suoi allievi P. Dionisi, A. Bignami, G. Bastianelli, A. Nazari), A. Celli, G. B. Grassi, C. Golgi, che tanto lume portarono nello studio della malaria; G. Banti, per i suoi studî sulle anemie spleniche, sugl'itteri emolitici e sulla malattia che da lui prende il nome, A. Maffuci, per le sue classiche ricerche sulla tubercolosi; P. Foà, che nei suoi studî ematologici ebbe la felice intuizione di ricerche, di cui solo oggi si può riconoscere tutta l'importanza, tra le quali quella con la colorazione vitale, metodo che, perfezionato nella tecnica, condusse il suo allievo A. Cesaris-Demel a estendere notevolmente le nostre cognizioni sulle alterazioni degli elementi corpuscolari sanguigni (Foà ebbe altri valorosi allievi in A. Bonome e T. Carbone); O. Barbacci, per gli studî sui tumori compendiati in un classico trattato, e per le sue interessanti osservazioni sul comportamento delle fibre a graticcio; G. Guarnieri, con la dimostrazione del Cytoryctes (supposto parassita endocellulare del vaccino e del vaiolo); G. Galeotti, che per primo cercò d'applicare i metodi della fisico-chimica all'interpretazione dei fenomeni biologici e fece importanti osservazioni sui granuli di secrezione presenti negli elementi cellulari; tacendo per brevità di molti altri, i quali con le loro ricerche istologiche hanno veramente contribuito al progresso della scienza.
I metodi d'indagine sono fondamentalmente quelli stessi dell'istologia normale (v. sopra), però le speciali necessità dell'istologia patologica hanno indicato, caso per caso, quali siano le miscele o i liquidi fissatori o i metodi d'inclusione preferibili per ottenere la migliore conservazione o dimostrazione di determinate strutture, l'eventuale presenza di particolari sostanze in rapporto alle singole alterazioni morbose. Ne sono derivati particolari avvertimenti tecnici, o nuovi metodi che sono stati poi utilmente adoperati anche in istologia normale, e ne viene ora ricordato qualcuno:
Volendo dimostrare il glicogene, l'acido urico, i grassi osmiati, si deve adoperare come fissativo l'acetone che li conserva ottimamente; il sublimato conserva bene il sangue, il formolo scioglie l'acido urico e può sciogliere la calce; i composti del cromo fissano, colorandola elettivamente, la sostanza cromaffine delle capsule surrenali e dei paraganglî; varî acidi sciolgono la calce, ecc. Scelta la fissazione adatta, con metodi speciali di colorazione si dimostrano specificamente i grassi neutri, i saponi, i lipoidi, la colesterina, la calce, i varî pigmenti, la sostanza amiloide, i corpi amilacei, le sostanze ialine, le sostanze cornee, il glicogene, la sostanza elastica, il connettivo, ecc. Spesso uno studio completo richiede che più sezioni di pezzi dello stesso organo siano variamente fissate e sottoposte a procedimenti diversi di colorazione; e solo dal confronto dei varî reperti, che così vicendevolmente s'integrano, si può giungere alla completa interpretazione del caso.
L'esame microscopico si fa quasi sempre a luce diretta, in rari casi a luce polarizzata. Col microscopio binoculare si stanca meno l'occhio dell'osservatore e si ottiene un maggior rilievo nelle immagini. L'ultramicroscopio non solo dimostra elementi piccolissimi, invisibili a luce diretta, ma anche in quelli che siamo abituati a esaminare a luce diretta, come p. es. in sezioni di tessuti debitamente colorate (nelle quali, con questo metodo, appaiono i colori complementari di quelli veramente assunti) per gli aspetti diversi che manifestano è possibile riconoscere particolarità di struttura che altrimenti sarebbero sfuggite all'osservazione. Con l'ultramicroscopio si sono potuti dimostrare i virus filtrabili; studiare meglio quelle minute forme granulari presenti nel sangue e descritte da H. Muller col nome di emoconî, nonché le strutture micellari e pseudomicellari che il protoplasma può presentare nei varî periodi funzionali e in svariate condizioni morbose. I globuli rossi policromatofili, descritti da P. Ehrlich nell'anemia perniciosa progressiva all'ultramicroscopio dimostrano di contenere innumerevoli piccole forme granulari che appaiono a luce diretta come una colorazione diffusa; questi granuli, fondendosi a mano a mano insieme, formano granulazioni sempre più voluminose che allora sono visibili anche a luce diretta, e corrispondono alle ben note granulazioni basofile. Associando i due metodi d'esame s'è potuto dimostrare che queste formazioni granulari derivano dalla sostanza cromatofila endoglobulare (sostanza a e b di A. Cesaris-Demel) quando sui globuli rossi giovani che la contengano vengano ad agire cause tossiche. L'ultramicroscopio ha permesso ancora di precisare il significato delle alterazioni cromatiche e morfologiche che appaiono nei globuli bianchi negli stati degenerativi; ha rivelato che dai globuli rossi, per cause fisiche o chimiche che ne alterino la massa protoplasmatica, possono staccarsi dei frammenti ondulati, aventi tutto l'aspetto di forme spirochetiche pur non essendo tali assolutamente. L'oculare micrometrico permette di valutare le variazioni volumetriche fisiologiche e patologiche dei varî elementi (p. es., anisocitosi delle emazie; aumento di volume e non di numero delle fibre muscolari nell'ipertrofia muscolare, ecc.). Più che l'istologia normale, in alcuni casi l'istologia patologica ha bisogno, per una diagnosi rapida, d'allestire preparati microscopici che permettano di formulare un giudizio diagnostico in pochi minuti, tanto che a operazione iniziata il chirurgo possa poi guidare l'atto operatorio a seconda del responso ottenuto: oppure l'anatomo-patologo con l'esame anche dei preparati istologici dei varî organi, eseguito durante l'autopsia, possa formulare con maggior fondatezza l'epicrisi. Il metodo migliore è la rapida fissazione in formolo al 10%, a temperatura elevata, ma non oltre 90°. Modernamente, inoltre, l'istologia patologica s'è servita anche del metodo di coltivazione dei tessuti proposto da E. Harrison e A. Carrel, per studiare direttamente lo svolgimento delle alterazioni che si possono determinare artificialmente, negli elementi moltiplicantisi nella coltura, o meglio, fissando l'intera colonia in blocco nel plasma che la contiene e facendone poi delle sezioni che permettono una continuata e replicata osservazione. Infine, conservando in vita, fuori dell'organismo, per mezzo della circolazione artificiale organi isolati e saggiando sostanze diverse, mescolate opportunamente nel liquido di perfusione, si sono potuti dimostrare fatti interessanti in rapporto all'azione elettiva di dette sostanze e all'istogenesi delle alterazioni che ne derivano (p. es., la degenerazione grassa del miocardio ottenuta con arsenico, fosforo, tossina difterica, ecc.), stabilendo una base istologica ad alterazioni delle quali prima era possibile registrare, col metodo grafico, soltanto le caratteristiche funzionali. Troppo recenti poi sono le osservazioni istologiche fatte a mezzo dei raggi ultravioletti e dei raggi infrarossi perché se ne possa ora riferire; è certo però che questo nuovo metodo dà adito a buone speranze.
Con l'esame istologico delle cellule, dei tessuti, degli organi malati dell'uomo e degli animali s'è potuto venire in molti casi (non in tutti, perché il campo ancora da esplorarsi è molto esteso) alla precisa conoscenza di quei complessi di alterazioni che costituiscono la base anatomica delle varie malattie, e si sono potuti insieme risolvere alcuni interessanti problemi di patologia cellulare e, in senso anche più lato, di patologia generale. Ciò s'è ottenuto, dunque, procedendo, non dal semplice al complesso, ma dal complesso al semplice. Così, per esempio, le conoscenze molto estese, se non complete, che noi abbiamo delle degenerazioni cellulari, sono state ottenute non soltanto facendo agire determinati stimoli fisici, chimici e fisico-chimici su elementi cellulari isolati, ma specialmente studiando gli elementi cellulari dei vari tessuti quando su questi agivano spontaneamente i ricordati stimoli: così per ogni alterazione degenerativa o infiltrativa, dalla molteplicità dei casi nei quali si trovava presente, s'è potuto scoprire non solo la causa determinante che la ricerca sperimentale non sarebbe stata sufficiente a stabilire, ma se ne è potuto seguire lo svolgimento talora progrediente fino alla morte della cellula, tal'altra reversibile e tale da permettere la restitutio ad integrum della cellula malata.
Frequente e reversibile s'è mostrata così la degenerazione albuminosa, più grave e non facilmente reversibile la degenerazione grassa, che oggi in alcuni casi s'ammette avvenire per trasformazione diretta delle sostanze albuminoidi in grasso, da non confondersi con quell'aumento in grasso che può avvenire negli elementi per un aumento della loro attività nutritiva o per una diminuzione della loro capacità funzionale, o per un'infiltrazione di grasso dall'esterno. Affine alla degenerazione grassa s'è trovata quella dipendente da un accumulo di lipoidi o di colesterina negli elementi. Della degenerazione amiloide s'è potuto seguire l'inizio dalle pareti vascolari fino agl'interstizî dei tessuti, solo raramente alle cellule parenchimatose e sperimentalmente anche dimostrarne la reversibilità. Della degenerazione mucosa (rivelataci dalle reazioni istochimiche: tionina, mucicarmino), s'è potuto seguire lo svolgimento anche in elementi che normalmente non contengono mucina e ciò si può ripetere specie per l'infiltrazione glicogenica (dimostrando il glicogeno col carminio di Best) che, a differenza delle altre, s'appalesa anche nella massa nucleare.
Anche per la conoscenza delle infiltrazioni pigmentane specialmente il materiale umano fu prezioso giacché s'è potuto su questo stabilire che negli organi pigmentati, accanto a elementi formatori dei pigmenti (melanoblasti), ne esistono altri (cromatofori) che servono a trasportarli altrove.
Così avviene per i pigmenti (melanine) che si trovano nella cute per azione dei raggi ultravioletti, nei nèi pigmentarî, nei sarcomi melanotici (e che sembra non derivino dall'emoglobina) e che possono passare nel sangue, ossidarsi e rendersi incolori, mentre poi, eliminandosi attraverso al rene e perdendo l'ossigeno, tornano colorati. Nell'oocronosi compare un pigmento affine alle melanine, che pure non deriva dall'emoglobina come non derivano da questa né la luteina, né i lipocromi (pigmenti delle cellule nervose). Dall'emoglobina, invece, si sono dimostrati derivare l'emosiderina (grossi granuli a forma irregolare che dànno la reazione del ferro), l'ematoidina (a forma di cristalli romboidali, che non la dànno) e l'una e l'altra si possono trovare libere nel tessuto interstiziale (in questi casi talora si vedono formarsi per successiva trasformazione dei pigmenti biliari, fatto questo che per alcuni dimostrerebbe la possibilità d'una formazione extraepatica dei pigmenti biliari), o inglobati specialmente negli elementi del sistema reticolo-endoteliale e da ciò l'emosiderosi della milza e del fegato. Nella malaria per la distruzione dei globuli rossi s'è potuto dimostrare la formazione della melanina (che non dà la reazione del ferro) e l'emosiderina; e che ambedue i pigmenti, accumulandosi nei capillari del cervello, vi determinano alterazioni nutritive e tossiche che sono la base anatomica dei gravissimi disturbi cerebrali della perniciosa comatosa; questi pigmenti, accumulandosi nel fegato e nella milza, li colorano intensamente e vi determinano fatti ipertrofici; poi, a lungo andare, scompaiono in seguito a processi ossidativi.
Interessanti sono anche i rilievi che si sono potuti fare: a) in rapporto ai processi d'atrofia, dipendenti dall'involuzione senile, dall'inattività, dal difetto di nutrizione, da azioni tossiche, ecc., non sempre identici nelle manifestazioni perché talora segnati da una semplice diminuzione di volume (atrofia semplice), tal'altra da un accumulo di pigmento (atrofia bruna), tal'altra da un accumulo di grasso (atrofia lipomatosa); b) in rapporto a un'ipertrofia dell'elemento cellulare, che, se esteso a molti elementi, porta a un'ipertrofia dell'organo, come avviene nei muscoli ipertrofici nei quali non sono aumentate le fibre muscolari; c) in rapporto ai processi progressivi, che sotto l'azione di stimoli ripetuti, o per riparare a perdite di sostanza, conducono alla produzione di nuovi elementi e quindi di un nuovo tessuto alcune volte (cute e mucose) eguale a quello perduto, in altri casi rappresentato unicamente da tessuto connettivale (dell'una o dell'altra delle sue varietà): per ogni organo si sono potute dimostrare le modalità di queste proliferazioni e di queste riparazioni. S'è potuto anche dimostrare che gli stimoli possono influire deleteriamente sui processi di moltiplicazione cellulare alterando la cosiddetta relazione plasmatico-nucleare e conducendo a modificazioni nella divisione nucleare, l'amitotica (e così si spiega uno dei modi di formazione delle cellule giganti), la mitotica (varie forme di cariocinesi atipiche). Si è visto anche che nelle cellule, sotto stimoli abnormi, compaiono alterazioni morfologiche e cromatiche tanto nel citoplasma quanto nel nucleo e lo studio di queste alterazioni va acquistando oggi una speciale importanza nello studio del cancro.
Esclusa la teoria parassitaria, oggi si considera il cancro come una malattia esclusivamente cellulare; sotto stimoli, che possono essere diversissimi, si determina nella cellula epiteliale una mutazione in modo che questa s'individualizza (si stacca cioè dall'individuo), prolifera abbondantemente a detrimento dei tessuti vicini che infiltra e che distrugge alimentandosi con i prodotti del loro disfacimento e, portata per via linfatica a distanza, dove s'arresta, prolifera e produce un nuovo nodo canceroso. L'istologia patologica con lo studio di queste cellule sta ora indicando un complesso di lesioni che formano nel loro insieme un indice prezioso per la diagnosi di cancro: cariocinesi atipiche e asimmetriche, variazioni nel numero dei cromosomi, comparsa di cappucci basofili perinucleari, alterazioni nei granuli di secrezione e nelle formazioni mitocondriali, alterazioni vacuolari protoplasmatiche da squilibrio osmotico (un tempo ritenute parassiti; v. coccidî), divisioni mitotiche con produzione di cellule giganti.
Importantissima è la messe d'osservazioni che l'istologia patologica ha potuto fare nello studio delle malattie determinate da microparassiti vegetali precisando la sede degli agenti patogeni, il loro punto d'ingresso, le reazioni locali e generali studiate dal punto di vista puramente morfologico, trovando così la base istologica anche di certi fenomeni allergici di sensibilizzazione, di refrattarietà, d'immunità, ecc., che si potevano altrimenti ritenere semplicemente umorali, e contribuendo validamente alla conoscenza dei fenomeni infiammatorî e al rilievo dei caratteri istologici specifici che ci fanno distinguere i varî tessuti granulomatosi indipendentemente dalla dimostrazione in essi dei microrganismi specifici che li hanno determinati (v. granuloma). Ha potuto nettamente differenziare le lesioni che sono in diretto rapporto con la presenza dei microrganismi, da quelle che si producono a distanza in elementi che ne sono elettivamente colpiti. Ha stabilito le vie d'eliminazione dei microrganismi patogeni, e, in alcuni casi, la sede della loro permanenza dopo la guarigione, offrendo così dati preziosi per la profilassi. Analoghe osservazioni e di non minore importanza furono fatte per le infezioni da parassiti animali quali la malaria, la malattia del sonno, l'anemia splenica, la dissenteria amebica, ecc. E anche in malattie sicuramente infettive, ma delle quali l'agente specifico è ancora ignoto (rabbia, tracoma, vaiolo, vaccino, ecc.), l'istologia patologica ha dimostrato lesioni endocellulari, verosimilmente di natura degenerativa, legate alla presenza del virus ancora ignoto. Nello studio del sangue e degli organi ematopoietici sono state individuate nuove malattie e ben definite altre di cui s'aveva un'incompleta conoscenza (anemie, leucemie, pseudoleucemie, eritremie, diatesi emorragiche, ecc.). Questi studî portarono un notevole contributo alla conoscenza della genealogia dei varî elementi corpuscolari sanguigni, e a dimostrare che il tessuto connettivo non ha semplicemente una funzione di sostegno, ma partecipa anche alla funzione ematopoietica con alcuni dei suoi elementi (elementi istiocitarî) i quali nel loro insieme formano il grande sistema reticolo-endoteliale o reticolo-istiocitario, di grande importanza nei processi di difesa dell'organismo contro le malattie da infezione. L'istologia patologica, poi, è riuscita a stabilire che molte delle alterazioni che dal punto di vista macroscopico si ritenevano di natura infiammatoria non lo sono sempre, dimostrando così la possibilità per ogni organo di presentare, accanto alle vere infiammazioni acute e croniche: patiti (per es., nefriti, endocarditi, epatiti, ecc.), anche le patosi nelle quali a fatti primitivamente degenerativi segue una reazione puramente produttiva iperplastica, e infine le patie nelle quali si tratta di fatti cronici in rapporto a stimoli chimici o a lesioni vascolari (stasi, aterosclerosi) persistenti. All'istologia patologica si deve anche una più precisa conoscenza dell'istogenesi dei tumori, della loro struttura (ciò che permise una loro logica classificazione), del loro modo di crescere e d'infiltrarsi, di diffondersi a distanza per via embolica sì da dare metastasi, nelle quali poi non solo fu dimostrata la stessa struttura del nodo primitivo, ma anche la funzione degli elementi dai quali il tumore è derivato, come s'è visto avvenire nei nodi metastatici di cancro epatico, nei quali si poté osservare ancora la produzione della bile. Accenneremo, infine, ad alcune delle più notevoli acquisizioni dell'istologia patologica riferendoci agli apparati o agli organi più importanti. (V. tavole a colori).
Apparato circolatorio. - Le alterazioni di varia natura localizzate al fascio di Paladino-His, quale base anatomica di disturbi gravi nella funzionalità cardiaca (malattia di Adams-Stokes); le alterazioni specifiche della miocardite reumatica (reazioni granulomatose perivascolari riscontrate poi anche in altri organi); la netta differenziazione fra le alterazioni degenerative iperplastiche dei vasi (aterosclerosi) e le infiammatorie (tra queste la specifica mesoaortite sifilitica); l'istogenesi della periarterite nodosa, ecc.
Milza. - Le varie forme di splenomegalia, l'intima conoscenza del morbo di Gaucher, sottratto all'errata interpretazione neoplastica.
Apparato locomotore. - La precisa conoscenza delle caratteristiche istologiche dell'osteomalacia, del rachitismo, della malattia di Möller-Barlow, dell'osteocondrite sifilitica, dell'acromegalia, ecc.
Apparato respiratorio. - La conoscenza delle vie di penetrazione, dei modi d'insorgere, di diffondersi, di cicatrizzare della tubercolosi e delle altre forme d'infiammazione polmonare (pseudotubercolari, micotiche, ecc.). Alterazioni istologiche dell'enfisema e dell'atelettasia, e una più precisa conoscenza dei tumori del polmone e della pleura.
Sistema nervoso. - I perfezionamenti dei metodi tecnici avevano fatto sperare che si potessero dimostrare alterazioni specifiche per le varie malattie, ma ben presto si tolse ogni valore di specificità a quelle produzioni varicose che il metodo cromoargentico mette in rilievo nei prolungamenti delle cellule nervose, come anche a quelle alterazioni cromatolitiche che si dimostrano col metodo di Nissl nella sostanza tigroide delle cellule nervose e alle alterazioni delle polioencefalomieliti determinate da virus diversi. I metodi che mettono in rilievo le alterazioni delle guaine mieliniche in rapporto alle alterazioni discendenti o ascendenti nei varî cordoni del midollo spinale, hanno dato alla fisiologia e alla clinica risultati preziosi per determinare vie di conduzione e localizzazione funzionali.
Apparato uropoietico. - Specialmente interessanti le acquisizioni sulle alterazioni degenerative e infiammatorie e sui rapporti che tra queste intercedono, che permisero alla clinica utili chiarimenti sulla valutazione diagnostica e prognostica delle varie affezioni renali.
Apparato digerente. - Oltre alla conoscenza delle alterazioni circolatorie, degenerative, infiammatorie, neoplastiche dei varî segmenti intestinali, nella patologia del fegato sono interessanti i rapporti dimostrati fra alterazioni istologiche e alterazioni funzionali e gli studî sulle varie forme di cirrosi, delle quali la più frequente quella atrofica, interpretata oggi, più che in rapporto a una primitiva alterazione iperplastica o infiammatoria connettivale, come una primitiva alterazione degenerativa cellulare.
Organi endocrini. - Questi furono studiati in tutti i casi nei quali la clinica poteva sospettare uno squilibrio ormonico, endocrino, e le conquiste raggiunte in questo campo sono notevoli: basti ricordare i rapporti fra alterazioni dell'ipofisi con l'acromegalia, della tiroide col cretinismo, del pancreas col diabete, delle surrenali col morbo di Addison, delle ovaie con l'osteomalacia, ecc.
Bibl.: L'istologia patologica si trova ampiamente riassunta nei moderni trattati di anatomia patologica dei quali ricordiamo: G. Banti, Anatomia patologica, Milano 1907; O. Barbacci, Tumori, Milano 1907; P. Foà, Trattato di anatomia patologica, Torino 1922; N. Tendeloo, Allgemeine Pathologie, Berlino 1925; F. Henke e O. Lubarsch, Handbuch der speziellen pathologischen Anatomie und Histologie, Berlino 1925; A. Lustig, P. Rondoni e G. Galeotti, Patologia generale, Milano 1928; M. Letulle, Anatomie pathologique, Parigi 1931; P. Kaufmann, Lehrbuch der speziellen pathologischen Anatomie, Berlino 1931. Per la tecnica, alla quale dobbiamo gran parte delle nostre cognizioni d'istologia patologica, ricordiamo: A. Ruffini, Processi di tecnica embriologica e istologica, Bologna 1927; D. Carazzi e G. Levi, Tecnica microscopica, Milano 1927; G. Schmorl, I metodi di indagine istologica, Torino 1930.
Istologia vegetale.
L'istologia vegetale, come del resto quella animale (v. sopra), sorse e si sviluppò con l'invenzione e il perfezionamento del microscopio: le prime osservazioni risalgono quindi alla prima metà del sec. XVII quando gli antichi Lincei (G. Faber, F. Cesi) vennero in possesso del microscopio.
Storia. - Nel 1667 Roberto Hooke, matematico e fisico inglese, per dimostrare la bontà del suo microscopio disegnò e descrisse sommariamente la struttura del sughero, risultante di minute cavità che egli chiamò cellule. Poco più tardi, nel 1671, l'italiano M. Malpighi e l'inglese N. Grew, quasi contemporaneamente, illustrarono con molto acume la struttura di varî organi delle piante. Il Malpighi osservò le trachee con gl'ispessimenti a spirale, le fibre del legno e della corteccia il reticolo vascolare, i fasci, i raggi midollari; il Grew introdusse per il primo il termine tessuto e illustrò il parenchima nel caule di asparago. Nel secolo successivo gli studî microscopici sulla costituzione dei vegetali, così bene intrapresi dai due suddetti autori, non ebbero nessuno incremento, essendo l'attenzione dei botanici rivolta verso la sistematica in seguito soprattutto all'entusiasmo suscitato dalle classiche opere del Linneo. Il sec. XIX si può ritenere il periodo di massimo sviluppo della istologia vegetale. Al principio di detto secolo (1805-1811) C. F. Mirbel, C. Treviranus e G. Berhardi resero note le prime classificazioni dei tessuti ed emisero la loro opinione sull'accrescimento in spessore del caule delle Dicotiledoni e delle Conifere; G. Moldenhawer (1812) interpretò con cura la costituzione del fascio vascolare, mettendo in chiaro lo sviluppo centripeto della porzione cribrosa e centrifugo della porzione vascolare; F. Meyen (1835) studiò la struttura e l'origine degli stomi, T. Hartig (1837) scoprì i tubi cribrosi.
Fino allora si era attribuita nello studio della cellula la maggiore importanza alla membrana, trascurando il contenuto, modo questo interamente errato di concepire l'elemento cellulare, che fu modificato dalle ricerche di Hugo von Mohl sul protoplasma, in seguito alle quali il nome di cellula fu inteso non più come una cavità limitata da parete, bensì come un organismo semplicissimo fatto di una massa viva, il protoplasma, cinto o no da membrana. Nel 1838 M. Schleiden espose la sua teoria cellulare la quale, sebbene basata sull'errore che le singole cellule d'un tessuto si organizzassero in seno a una massa primitiva di protoplasma, ha avuto il merito di attribuire a tutti gli organismi la caratteristica comune della struttura cellulare. F. Unger (1841), studiando i giovani tessuti dell'apice caulinare, combatté l'idea dello Schleiden circa il modo d'origine delle cellule, per sostenere invece che esse derivano l'una dall'altra per divisione, come fu confermato nel 1846 da C. Nägeli e trent'anni più tardi (1875) dalle fondamentali ricerche di E. Strasburger sulla divisione cellulare.
La prima classificazione razionale dei tessuti nelle piante spetta al Nägeli (1858); essa fu accolta favorevolmente, fin dal principio, dalla maggioranza dei botanici e tutt'ora è adottata nelle sue linee generali dai migliori trattati: i tessuti, in base ai caratteri genetici e morfologici, vi sono distinti in formativi o meristematici, i cui elementi sono in continua divisione, e definitivi o adulti, provenienti dai primi e distinti alla loro volta, a seconda della forma delle cellule, in parenchimatici e prosenchimatici. C. Sanio nel 1863 fornì un'esatta spiegazione dell'origine e del funzionamento del cambio nelle Dicotiledoni e nelle Conifere e un esame accurato dell'istologia del legno.
Sulla provenienza dei tessuti meristematici dell'apice del caule e della radice il Nägeli (1845) e il Hofmeister (1851) osservarono che essi derivano dalle ripetute divisioni di una cellula apicale in forma di cuneo oppure di tetraedro, molto evidente nelle radici e nel caule degli Equiseti e delle Felci. Per molto tempo si ritenne che la presenza d'una cellula apicale, produttrice di tessuti meristematici, fosse la regola generale nelle piante vascolari; però G. Hanstein (1868) dimostrò che nelle Fanerogame, in luogo d'una cellula apicale, esiste un gruppo di cellule iniziali e ammise che sia nell'apice del caule, sia in quello della radice si possono distinguere tre istogeni o meristemi a funzione specifica: il dermatogeno o produttore dell'epidermide, il periblema donde deriva il cilindro corticale e il pleroma che origina il cilindro centrale. E. Janczewski accennò più tardi nella radice a un quarto istogeno, il caliptrogeno, generatore della cuffia o pileoriza. La teoria degl'istogeni del Hanstein non gode della generalizzazione che è propria di quella dei foglietti germinali degli animali, cosicché se è verificabile di regola nella radice, non lo è sempre nel caule, dove spesso è estremamente difficoltoso, fatta eccezione per il dermatogeno, seguire il raccordo fra le regioni adulte e gl'istogeni apicali. Di recente L. Flot (1905), modificando le vedute del Hanstein, ha ammesso anch'egli nell'apice caulinare e nelle giovani protuberanze fogliari l'esistenza di tre strati istogenici, il meristema epidermico, il corticale, il vascolare di cui i due ultimi non corrispondenti perfettamente al periblema e al pleroma del Hanstein. Tale differenza di pareri è appunto l'indizio che la questione circa la presenza di meristemi a funzione specifica nell'apice caulinare non è ancora perfettamente assodata.
Essendo le cellule vegetali generalmente fornite di membrane, si ritenne per molto tempo che nelle piante esistesse una grande indipendenza fra gli elementi d'uno stesso tessuto; ciò che rendeva difficile la spiegazione di diversi processi, in primo luogo di quelli relativi alla trasmissione degli stimoli. Ma ecco che il Tangl nel 1880 osserva per il primo la presenza di comunicazioni protoplasmatiche fra le cellule dell'endosperma di Strychnos nux vomica, scoperta di grande interesse alla cui generalizzazione concorsero con metodi di tecnica più perfezionati il Gardiner, il Russow e numerosi altri. Cosicché oggi tali comunicazioni, o plasmodesmi come li ha chiamati lo Strasburger, sono state messe in evidenza in tutti i tessuti vegetali, nonché nelle colonie o famiglie cellulari delle piante inferiori, e si mostrano in forma di esilissimi filamenti isolati o in gruppi attraverso lo spessore della membrana, specialmente in corrispondenza delle punteggiature.
Metodi di tecnica. - I metodi di tecnica usati nell'istologia vegetale, sono presso a poco gli stessi, spesso più semplici, di quelli adoperati nell'istologia animale. Per le piante inferiori microscopiche, quando non si tratti di mettere in evidenza speciali dettagli cellulari, basta l'osservazione diretta del materiale vivo al microscopio; per le piante di maggior mole è necessario praticare sezioni a mano libera o col microtomo Ranvier nel materiale fresco o precedentemente indurito nell'alcool. Le sezioni così ottenute si possono senz'altro utilizzare per l'esame microscopico o più opportunamente si possono colorare, approfittando dell'affinità delle membrane cellulari di diversa natura chimica per i coloranti in uso nella tecnica microscopica, ottenendosi colorazioni semplici, doppie e anche triple molto dimostrative. Quando però si ha da fare con tessuti molto delicati, come quelli degli apici vegetativi, dei bottoni fiorali, degli apparecchi della procreazione, nei quali più che le membrane importa mettere in evidenza il contenuto cellulare, è indispensabile ricorrere ai procedimenti di fissazione del materiale con speciali miscele di liquidi, all'inclusione in paraffina ed ai tagli in serie col microtomo automatico, né più né meno di quanto si pratica in istologia animale.
Classificazione degli aggregati cellulari. - Nelle classificazioni attualî dei vari aggregati cellulari nelle piante si adottano a un tempo criterî morfologici, genetici e fisiologici. Tali aggregati possono originarsi in due modi diversi: o per divisioni ripetute di una cellula primitiva (germe), i cui prodotti rimangono uniti, oppure per associazione di cellule prima libere. Il primo modo è di gran lunga il più frequente e dà origine a tre distinte sorta di riunioni cellulari: le colonie o famiglie; i tessuti; le fusioni cellulari.
Colonie. - Sono proprie delle piante inferiori (Batterî, Alghe) e rappresentano riunioni temporanee o anche permanenti ma facoltative, in cui le cellule, godendo di una spiccata indipendenza, possono a un certo momento sia naturalmente sia per una causa accidentale dividersi e ciascuna per proprio conto dar luogo a una nuova colonia (v. colonie cellulari).
Tessuti. - Si trovano in molte Alghe (lattuga di mare, sargasso, laminaria, ecc.) e in tutte le Embriofite dai Musehi alle Fanerogame. Essi sono riunioni cellulari permanenti, obbligate, in cui i singoli elementi, pur conservando la loro individualità, non diventano mai liberi, fatta eccezione per i tessuti a funzione riproduttiva, in cui le cellule si isolano per produrre le spore o i gameti. Nella stessa pianta si distinguono due sorta di tessuti: formativi o meristematici e definitivi o adulti. I primi si riconoscono dalle loro cellule relativamente piccole, a perfetto contatto fra loro, con sottile membrana, abbondante citoplasma e grosso nucleo, in continua attività di divisione; queste cellule man mano che si allontanano dal focolaio di formazione aumentano di dimensioni, cessano di dividersi e passano a far parte dei tessuti adulti. I meristemi occupano nel corpo della pianta le regioni di accrescimento, quindi gli apici (meristemi apicali) o anche zone interposte fra tessuti adulti (menstemi intercalari). I meristemi apicali derivano o da una cellula o da un gruppo di cellule messe al vertice dell'apice, sono perciò di origine primaria; i meristemi intercalari invece o sono residui di meristemi primarî rimasti fra i tessuti adulti, come il cambio intrafascicolare delle Conifere e delle Dicotiledoni, oppure derivano da tessuti adulti, in cui alcuni elementi riacquistano la capacità di dividersi e ritornano allo stato meristematico, come ad es. il fellogeno, produttore di sughero.
I tessuti definitivi - detti primarî se derivano direttamente dai meristemi apicali, secondarî se sono il prodotto dell'attività dei meristemi intercalari - compiono le numerose funzioni proprie dello stato adulto della pianta e perciò sono molto varî nell'aspetto e nella costituzione. Si distinguono ordinariamente in tessuti cellulari propriamente detti e tessuti fibrosi, secondo che risultano di elementi isodiametrici (sferici, poliedrici, ecc.) oppure di elementi allungati e appuntiti alle due estremità (fibre), i quali non si sovrappongono come nei tessuti cellulari, ma si giustappongono a becco di flauto.
I tessuti fibrosi, compiendo funzione prevalentemente di sostegno, hanno elementi talora vivi, più spesso morti, con pareti ispessite e frequentemente lignificate. Si sviluppano sotto l'epidermide del fusto e della foglia, dove formano ipodermi meccanici, nei fasci vascolari a ridosso della porzione cribrosa e talora anche di quella vascolare dove costituiscono delle guaine meccaniche, nella corteccia, nel legno. Un particolare tessuto fibroso è il tessuto tracheidico del legno delle conifere, i cui elementi (tracheidi areolati) hanno a un tempo funzione di sostegno e di conduzione dell'acqua.
Molto più importanti per i molteplici loro uffici sono i tessuti cellulari. Vi appartengono: 1. i tessuti cutanei (epidermico e sugheroso) con funzione di protezione; 2. i tessuti parenchimatici preposti alle funzioni importantissime del ricambio, come: i clorenchimi delle foglie e dei cauli, ricchi di cloroplasti, i parenchimi di riserva dei tuberi, dei rizomi, dei semi, del legno e della corteccia, ricchi di amido o di altri carboidrati, di grassi, di sostanze azotate; i parenchimi acquiferi frequenti in molte piante di luoghi aridi; i parenchimi secretori ed escretori che accumulano nelle loro cellule svariati prodotti secondarî del ricambio; i parenchimi aereatori destinati agli scambî dei gas e dei vapori fra l'interno del corpo della pianta e l'ambiente e perciò limitanti fra le cellule spazî intercellulari più o meno ampî (tessuto spugnoso delle foglie, tessuto lacunoso delle piante acquatiche); 3. il tessuto vascolare fatto di trachee e di tracheidi, il cui ufficio è il trasporto dell'acqua e dei sali nutritizî in essa disciolti; 4. il tessuto cribroso fatto di tubi cribrosi e adibito dalla pianta al trasporto delle sostanze proteiche; 5. il tessuto sclerenchimatico a cellule corte, quasi isodiametriche, oppure lunghe, sempre con pareti ispessite e punteggiate, generalmente lignificate, l'ufficio del quale è di conferire solidità e consistenza alle parti in cui si sviluppa (aculei, spine, gusci di semi, noduli pietrosi della polpa delle pere, delle melecotogne).
Particolare è il tessuto collenchimatico il quale secondo i casi è ora di tipo cellulare, ora di tipo fibroso, sempre però ad elementi vivi, molto elastici, le cui pareti presentano negli angoli ispessimenti celluloso-pectici, cosicché questo tessuto, a funzione meccanica, è particolarmente adatto per le piante o parti di piante a consistenza erbacea, nelle quali si sviluppa sotto l'epidermide, formando un ipoderma collenchimatico.
Fusioni cellulari. - In queste riunioni gli elementi disposti gli uni sugli altri, in pila, riassorbono più o meno completamente le pareti divisorie e fondono il contenuto protoplasmatico, in modo che la loro individualità scompare. Le tre sorta più comuni di fusioni cellulari sono i tubi cribrosi, le trachee, e i vasi laticiferi, tutte e tre molto importanti per le funzioni cui sono preposte. In alcune piante, appartenenti specialmente alle Alghe e ai Funghi, il corpo ha una struttura particolare, essendo fatto di una massa citoplasmatica unica con numerosi nuclei. Un tale corpo è stato variamente interpretato: alcuni autori lo hanno considerato come unicellulare plurinucleato; altri, più giustamente, ritenendo che la cellula tipica è uninucleata, ammettono che esso sia paragonabile a un corpo pluricellulare (in quanto che ognuno dei numerosi nuclei domina un certo territorio citoplasmatico), ma che sia privo di struttura cellulare, perché alle ripetute divisioni nucleari non seguono le divisioni del citoplasma; perciò lo hanno indicato col nome di apocizio. Begli esempî di apocizio ci mostrano le Alghe sifonali (Caulerpa, Cladophora, ecc.) e i Sifonomiceti tra i Funghi (Mucor, Peronospora, ecc.).
Alle riunioni cellulari che si formano per associazione di cellule prima indipendenti e non per divisione d' una cellula primitiva, come nei casi finora descritti, si ascrivono i simplasti e i falsi tessuti. Un esempio di simplasti è offerto dal plasmodio di fusione dei Mixomiceti prodotto dal confluire di numerose mixoamebe che si saldano per il citoplasma ma non per i nuclei, cosicché anche in questo caso si forma una massa protoplasmatica plurinucleata, ma d'origine differente da quella dell'apocizio.
I falsi tessuti (ifenchimi, pseudoparenchimi) sono osservabili nei ricettacoli degli Ascomiceti, dei Basidiomiceti e nei Licheni; risultano formati dall'intreccio delle ife o filamenti micelici. Nello sclerozio della segale cornuta i filamenti si associano strettamente fra loro e perfino possono saldarsi con le pareti, in modo che il fitto intreccio in una sezione al microscopio si mostra con l'aspetto d'un ordinario parenchima.
Bibl.: J. Sachs, Geschichte der Botanik, Monaco 1875; J. R. Green, A history of Botany (1860-1900), Oxford 1909; G. Bonnier e Leclerc du Sablon Cours de botanique, Parigi 1905; A. De Bary, Vergleichende Anatomie, Lipsia 1877; G. Haberlandt, Physiologische Pflanzenanatomie, Lipsia 1924; E. Strasburger, Trattato di botanica, 4ª ed. ital., Milano 1928.