ISTRUZIONE (fr. instruction; sp. instrucción; ted. Unterricht; ingl. instruction)
Sotto questo concetto si suole comprendere tanto il processo di comunicazione delle conoscenze quanto il risultato di esso (il sapere conquistato dal soggetto). Se si confronta il concetto con quello di cultura, si può dire che nel primo ha maggior rilievo il contenuto intellettuale (conoscenze), mentre nel secondo si comprende anche quell'insieme di abilità onde l'uomo acquista più piena coscienza di sé, più largo dominio su sé stesso e sulle cose. Ma, in realtà, non c'è vera istruzione che non sia anche cultura, perciò appunto che non c'è vera conoscenza affatto staccata da ogni abilità, non radicata, cioè, in un saper fare (uso appropriato di mezzi e di energie) e non culminante in un saper fare (cioè in un'applicazione delle conoscenze, la quale è anche conquista di chiarezza maggiore e possesso più sicuro di esse). Questa più esatta determinazione del concetto porta anzitutto a chiarire il rapporto tra istruzione materiale e istruzione formale. S'intende, in generale, per istruzione materiale quella che consiste in un acquisto o possesso di sapere positivo, cioè di verità o d'idee corrispondenti a oggetti reali. È istruzione formale quella che consiste in uno sviluppo dei poteri mentali, in una forma più piena e differenziata, in una potenzialità e produttività maggiori, raggiunte dal soggetto. La prima dà valore decisivo al contenuto, all'oggetto; la seconda, appunto, al soggetto del conoscere. Ma è subito evidente l'errore e la falsità d'un'istruzione intesa essenzialmente come contenuto, la quale genera l'enciclopedismo didattico, cioè una concezione materialistica della scuola. Poiché lo scibile è infinito, e, in secondo luogo, non vi è possibilità d'appropriarsene una parte se non in quanto sian presupposti gli organi di acquisto e di elaborazione e ne sia aumentato progressivamente il potere. Il sapere è sempre processo attivo e non tanto vale il sapere come possesso attuale quanto la forma mentale e la capacità di sapere. Si è discusso se si verifichi, nell'atto di acquisto d'una determinata nozione o abilità, e in proporzione del suo ripetersi, un risultato energetico, un trasporto (transfer, come dicono gl'Inglesi), cioè un incremento latente d'attitudine ad acquisizioni diverse da quelle che erano oggetto diretto dell'esercizio. Esempio speciale, quello della memoria, per la quale è stata da molti - dal Locke al Beneke e poi al James, al Nečaev (Neischajeff), al Thorndike, al Woodworth, allo Sleight, al Wessely, al Piéron, ecc. - negata la possibilità d'un incremento di potenziale, distinto dall'aumento di contenuto, cioè di oggetti ricordati. Ma le ricerche di psicologia sembrano ormai condurre al riconoscimento d'un risultato formale dei processi di cultura. E la storia dell'educazione ha sempre più orientato concetto e metodi dell'istruzione verso un ideale di formazione dell'uomo. Ma l'istruzione formativa, che è poi la veramente umana, non implica indifferenza per il contenuto del sapere. Se è vero che questo va essenzialmente valutato non in sé e per sé, ma in rapporto al risultato che il soggetto realizza come sviluppo e coscienza di sé, sicché una scelta tra le cognizioni è, in tal senso, indispensabile, è però anche vero:1. che varî sono gl'interessi e i bisogni spirituali dell'uomo, molteplice il mondo della sua esperienza; 2. che vi sono conoscenze strumentali, necessarie all'acquisto di altre; 3. che il possesso d'un determinato contenuto di sapere, abbastanza vario e ricco, è indispensabile all'orientamento del soggetto nella realtà, naturale e umana, cioè, in fondo, alla coscienza e al possesso effettivo di sé medesimo. Il che vuol dire che la stessa istruzione formale implica, per i suoi fini appunto, un'istruzione materiale. Analogamente va considerata l'antitesi fra istruzione o cultura disinteressata, formativa, e istruzione utilitaria. La categoria dell'utile è essenziale in tutta l'istruzione, se s'intende, appunto, che tutto ciò che si apprende deve giovare ai fini dell'essere umano; è estranea o secondaria, in quanto l'utilità delle conoscenze si ricerchi nella loro diretta applicazione a fini pratici determinati. Perché ciò che importa è la formazione del soggetto umano, prima dell'impiego delle sue energie al raggiungimento di fini utili. La valutazione gerarchica delle varie parti del sapere, fondata sulla gerarchia dei bisogni della vita (Spencer), sovverte necessariamente il concetto stesso di cultura come fatto umano. Di qui il rapporto da porre tra istruzione ed educazione morale. Le quali non vanno ormai intese come due sezioni, sia pure finitime, ma separate, dell'educazione, bensì come momenti o aspetti d'un unico processo, secondo un concetto proprio anche all'idealismo contemporaneo, ma fissato già, per la prima volta in termini scientifici, dalla dottrina dell'istruzione educativa (erziehender Unterricht) di Herbart. Non solo non v'è sviluppo di coscienza morale senza sviluppo del giudizio e dei poteri mentali in genere, quindi senza la disciplina conferita da una positiva istruzione; ma non è concepibile esatto intendimento d'idealità etiche, ricchezza di vita interiore e di volontà morale, senza, appunto, quella più vasta esperienza, quel più intenso e sostanzioso nutrimento dello spirito, che sono conferiti dalla cultura. E, per converso, l'istruzione stessa non si conquista se non attraverso un dispiegamento della nostra volontà e una coscienza sempre più chiara e convinta del valore del sapere. Il che vuol dire che educazione morale è sempre anche istruzione, e che questa è sempre anche esercizio di energie e di valutazioni morali. Ma tale intima unità presuppone che l'istruzione si accosti quanto più è possibile al suo ideale, cioè si sviluppi secondo una sostanziale unità e organicità delle sue parti, e in rapporto coi vitali interessi dello spirito. Certo, è possibile in essa distinguere sfere o nuclei diversi, e precisamente: 1. un sapere naturalistico, rivolto alla realtà esterna; 2. un sapere umanistico-storico, rivolto ai fatti e prodotti del mondo umano; 3. un sapere logico-matematico, cioè un sapere che, in contrapposto ai due precedenti, si potrebbe dire di forme (rapporti logici, enti e rapporti matematici, astratti da qualsiasi contenuto concreto); 4. un sapere filosofico, che ha per suo oggetto una visione complessiva del mondo, e in particolare l'essenza propria dello spirito. Si può discutere se a ciascuno di questi nuclei o centri di cultura corrispondano, soggettivamente, tipi mentali o almeno attitudini diverse (ad es. i talenti atti alla conoscenza della materielle Welt e quelli atti alla conoscenza della Selenwelt, già rigidamente distinti, fino a volerli separati nella scuola, dal Beneke, le intelligenze concrete e quelle astratte di Galton, gli idea-thinkers e i thing-thinkers del Thorndike, gli osservatori, i mnemonici, i rappresentativi, i combinatori, i meditativi ovvero logico-sistematici, di Baerwald, o i tipi subiettivo, obiettivo e sistematico, di Barth, Della Valle, ecc.). Ma è, comunque, innegabile che solo nella loro armonia è veramente cultura. Poiché non sarebbero oggi accettabili né la tesi cara al razionalismo dei secoli XVII e XVIII, dell'efficacia formativa, universale e perfetta, delle matematiche, né quella del neo-umanismo della seconda metà del sec. XVIII, che quella funzione attribuiva viceversa allo studio delle lingue classiche. L'azione formale d'ogni disciplina non si estende ugualmente su tutti i poteri mentali del soggetto. Lo studio delle correlazioni, cioè del rapporto in cui lo sviluppo d'una funzione psichica si rivela con quello d'un'altra, o del rapporto dell'attitudine in una disciplina col profitto in un'altra (Binet-Henry, Spearmann, Kröger, Brown, Harding, Simpson, ecc.), ha illuminato di nuova luce il problema della cultura formale; e il risultato è che questa va conseguita partendo da centri diversi, sebbene sia sempre da riconoscere maggior valore alle discipline che appaiono fornite d'un più alto indice di correlazione con un maggior numero di altre. Nel che sta poi la distinzione tra l'ideale formativo della cultura e quello della cultura integrale (Bertrand, ecc.), espressione che risale al Fourier e il concetto al Comte, e che è più vicino all'enciclopedismo.
A questa esigenza corrisponde del resto lo stesso sviluppo storico dell'istruzione come fatto pedagogico-sociale, per cui la scuola è andata via via assorbendo gli elementi di cultura che assumevano importanza nella vita intellettuale e sociale contemporanea: onde l'inevitabile coincidere dell'esigenza sociale con quella della formazione dell'individuo che, come realtà storica concreta e come attività operante, non può esser veramente colto fuori della cultura del suo tempo. Così, l'umanismo ha introdotto o sviluppato con nuovi intenti lo studio dell'antichità (storia, lingue, autori classici), come poi il sec. XVIII vi ha introdotto quello della storia moderna e il sec. XX la storia della civiltà; il sec. XVII ha introdotto l'insegnamento delle lingue nazionali e, ancor timidamente, la geografia, il XVIII le scienze naturali, il XIX le lingue moderne e poi canto, disegno, insegnamenti estetici in generale, ginnastica, lavoro, studio dell'economia, ecc. Di qui un ampliarsi dell'ideale dell'uomo colto, un allargarsi del compito della scuola, anche dell'elementare, un continuo risorgere di conflitti tra i diritti e le pretese delle varie discipline e una continua necessità di adeguare le esigenze della cultura a quelle dello spirito da coltivare.
Ma è evidente che il concetto d'una cultura armonica deve valere anche come norma metodica. Il che vuol dire, anzitutto, che le varie discipline o, almeno, i gruppi o le forme tipiche del sapere non devono seguirsi l'una all'altra, in periodi distinti e successivi dell'intero corso scolastico, ma devono svilupparsi insieme, secondo una concezione funzionale della cultura, cioè per la necessità che questa si sviluppi, organicamente, dal bisogno dello spirito di esprimere e di attuare in ogni momento tutto sé stesso, nella conquista progressiva di tutti gli aspetti essenziali della realtà: nel che è anche il lato giusto dell'insegnamento ciclico (Comenio), quando questo sia largamente inteso, come progressivo approfondimento, differenziazione e arricchimento d'un sapere sostanzialmente uno. In secondo luogo, l'applicazione metodica del concetto di cultura armonica vuol dire che i singoli insegnamenti vanno tenuti quanto più è possibile in rapporto reciproco fra loro; il che si può cercare sia tentando una vera e propria e in realtà inammissibile, concentrazione intorno a uno o ad altro insegnamento, lo storico-religioso (Ziller e altri herbartiani) o il geografico (parecchi geografi e, in qualche punto e in un certo senso, lo stesso Herbart) o quello della lingua materna (padre Girard) o quello del lavoro (Dewey e i rappresentanti d'un certo indirizzo, ormai superato, dell'Arbeitsschule) o quello artistico (Dresdner, Wolgast e in genere il radicalismo estetico-didattico), ecc., sia attuando quella che si potrebbe meglio chiamare correlazione o coordinazione (Barth, H. Schiller, Picker, ecc.), stabilendo cioè, dove si presentino veramente significative e feconde, associazioni tra nozioni inerenti a discipline diverse, facendo delle une mezzo di chiarimento, di approfondimento o di applicazione delle altre (le lezioni unitarie della scuola nuova, entrate anche ufficialmente nella scuola elementare italiana con la riforma Gentile, servono bene allo scopo), sicché tutte si giovino a vicenda e, pur svolgendosi con relativa libertà, tendano all'unità di un sistema mentale. In realtà, si può dire che tutto il processo dell'istruzione muove da una fase iniziale, in cui una più intima unità o concentrazione del sapere elementare è possibile, ad es., intorno alla conoscenza del luogo natale (Heimatsprinzip della didattica tedesca, attuato in sostanza anche dalla riforma Gentile), per successive sempre più nette differenziazioni e più ricche coordinazioni, verso quell'unità suprema, ideale, che si esprime nel carattere morale, ma non compromette la varietà di fini e di valori che la cultura deve esprimere da sé nella ricchezza poliedrica dello spirito umano. Ma, da quando si è accentuato l'aspetto soggettivo e 10rmativo d'ogni vera istruzione, l'esigenza didattica si è manifestata anche nella ricerca di leggi psicologiche cui deve obbedire il processo d'acquisto del sapere. Onde ogni insegnamento è apparso vincolato a due norme fondamentali: rispetto della natura umana e insieme rispetto delle condizioni storiche della cultura (Naturgemässheit e Kulturgemässheit di Diesterweg). E anzitutto, poiché, subiettivamente, istruzione non è che allargamento e approfondimento dell'esperienza - e nient'altro è, in certo senso, la scuola (Findlay) -, il primo principio prevalso nella pedagogia moderna è quello dell'intuizione diretta, posta a base della formazione delle idee e di tutto il processo di cultura (Comenio-RousseauPestalozzi, ecc.). In secondo luogo, la continuità essenziale alla vita spirituale ha condotto, da una parte, a scorgere nel rapporto tra l'idea nuova da accogliere e il complesso d'idee possedute dal soggetto, la condizione essenziale alla possibilità del processo d'apprendimento, cioè d'inserzione del nuovo nell'antico (appercezione di Herbart e degli herbartiani), e, dall'altra, a ricercare una legge di gradazione. La quale a sua volta è stata concepita prevalentemente o come il ritmo sempre uguale inerente alla forma che deve assumere qualsiasi insegnamento (chiarezza, associazione, metodo e sistema di Herbart e, in genere, i gradi formali dei herbartiani, Ziller, ecc.; ritmo sintesi-analisi-sintesi di R. Lambruschini e di altri, cioè passaggio da una considerazione sintetica primitiva, indistinta, dell'oggetto alla sua analisi, per tornar da ultimo a una nuova sintesi, più compiuta, organica e distinta, ecc.), ovvero come legge di successione delle intellezioni, secondo il grado cui esse appartengono (Rosmini). Ciò che ha dato nuovo aspetto a questa legge di gradazione è stato il concetto d'attività e d'autonomia dell'educando. Se nel Rousseau esso ha portato alla tesi, sia pure non assoluta, d'una educazione negativa che sembra, almeno, affidar tutto all'attività del fanciullo e al lento maturare spontaneo delle sue facoltà, dall'altra, approfondendo il concetto herbartiano dell'interesse e portando a considerarlo come un bisogno o una forza premente dall'interno verso il suo soddisfacimento, ha reso possibile la coincidenza su un terreno comune di conseguenze pratiche, la concezione storicistica dello spirito, propria del romanticismo e dell'idealismo, e quella prammatistica o biologica. La prima delle quali, per es. con la successione vichiana di senso, fantasia e ragione, affermava una legge di gradazione didattica riducibile alla successione dei momenti storici essenziali dello spirito (donde, da G. B. Vico a G. Lombardo-Radice e Ferretti, l'indispensabile precedenza d'una forma estetica d'apprendimento del reale e d'attività da parte del fanciullo); e la seconda conduceva a un metodo inventivo o genetico-funzionale (Dewey, Claparède, ecc.), per il quale le esperienze e le cognizioni devono succedersi in funzione del manifestarsi dei bisogni (interessi) e come mezzo di adattamento e di dominio del reale in rapporto al loro soddisfacimento. Di qui i varî concetti e tipi di scuola attiva (Kerschensteiner, Dewey, Decroly, Ferrière, Cousinet, A. S. O'Neill, piano Dalton, piano Winnetka, Pizzigoni, Salvoni, Wyneken, Geheeb, Oestreich, Loskij, la riforma bolscevica, ecc.), che giungono fino a negare ogni metodo e a trasformare completamente gli antichi concetti d'istruzione e di scuola in quello di una Lebensgemeinschaft (Lay, Petersen e soprattutto Guglielmo Paulsen, ecc.), cioè in una comunità di vita e di lavoro che raccoglie intorno ai fanciulli, in libera collaborazione, senza distinzione di maestri e non maestri, le persone e i mezzi con cui essi possano sviluppare le loro attività e le loro attitudini sociali.
È chiaro in ogni caso che l'armonia delle varie parti della cultura non può attuarsi che per gradi. Di qui la distinzione fra un'istruzione elementare, un'istruzione secondaria e una superiore. La prima mira a enucleare gradatamente dall'esperienza globale e irriflessa, che il bambino ha del suo mondo, sistemi elementari di nozioni riflesse e di abilità. E poiché tale vera e propria istruzione richiede una fase preparatoria, di primo esercizio, prevalentemente spontaneo, delle attività infantili, che sia però trapasso dalla vita familiare alla vita e ai compiti della scuola, essa si è, nei tempi moderni, integrata con una fase di educazione prescolastica o materna, dalle prime sale o scuole di giuochi olandesi e dalle prime istituzioni filantropico-educative del sec. XVIII e dei principî del seguente (Oberlin, Owen, Wilderspin, ecc.) alle più recenti (Aporti, Fröbel, Montessori, Agazzi, ecc.): educazione materna che la riforma Gentile ha inserito organicamente, come primo grado dell'istruzione elementare, nel sistema della scuola pubblica italiana. L'istruzione secondaria da una parte arricchisce la cultura del fanciullo, allargandone la visione, e, dall'altra, la differenzia maggiormente in sistemi più distinti e logicamente organizzati d'idee, dando maggiore parte all'elaborazione e alla ricerca personale dell'allievo. Infine, l'istruzione universitaria mira all'approfondimento della cultura in un campo determinato e all'acquisto del metodo della ricerca scientifica, senza che peraltro neppur qui possano mancare né educazione logica generale, fondamento d'ogni metodo, né cultura filosofica che dia il senso concreto dell'unità e della funzione umana di tutto il sapere. Solo però nei tempi moderni questi tre gradi d'istruzione si presentano nettamente distìnti. Nell'università medievale, troviamo insieme quella che noi chiamiamo istruzione secondaria e la superiore; e per qualche parte questo carattere è rimasto, ad es., nell'università inglese di tipo antico (Oxford, Cambridge e quelle scozzesi di St Andrews, Glasgow, Aberdeen, Edimburgo), mentre è ancor più accentuato nelle università dell'America del Nord. Nello stesso modo, rimasero a lungo confuse o non bene distinte istruzione elementare e secondaria, così nella scuola medievale come nella stessa scuola umanistica. Solo con l'affermarsi del concetto d'una scuola popolare, cioè d'una cultura elementare comune a tutto il popolo, nel sec. XVIII, divenne netta la distinzione, della quale peraltro il primo accenno storicamente importantissimo si ha in quelle scuole, borghesi e laiche, di leggere, scrivere e far di conto, che nascono nei comuni d'Italia e delle Fiandre fra il sec. XIII e il XIV, diffuse poi nelle città anseatiche.
Ma un'altra distinzione che si è andata operando è quella tra istruzione generale e istruzione professionale. Nel primo grado, elementare, essa si annuncia appena, mediante il progressivo diffondersi, in tutti gli stati, dei corsi popolari, intesi come corsi di preapprendistato o di apprendistato o di avviamento al lavoro, e ai quali si aggiungono ormai, in molti paesi civili, i corsi di complemento (le Fortbildungsschulen tedesche), ossia di prosecuzione dell'istruzione popolare. Ben più netta è la divisione nel grado secondario, nel quale, accanto alle scuole di cultura, si hanno scuole sia strettamente professionali sia d'istruzione tecnica, nelle quali più largamente la cultura generale si congiunge con la preparazione a determinate professioni minori, mentre poi in altri istituti (quelli magistrali) il fine professionale è tale che le abilità corrispondenti più si compenetrano coi fini umani di ogni vera cultura. Infine, nell'insegnamento superiore si è molto discusso intorno alla possibilità di distinguere nettamente la funzione puramente scientifica, quale sarebbe quella dell'antica Philosophische Fakultät tedesca, da quella professionale, spettante a ogni facolta o istituto superiore che abiliti a una professione mediante gli studî speciali e pratici che a questa conducono: distinzione che altri attuerebbe invece abolendo ogni barriera tra le facoltà e distinguendo tra varie specie di esami, cioè quelli di stato, necessarî per l'abilitazione all'esercizio professionale, e quelli di laurea o di dottorato, che conferirebbero un titolo puramente scientifico in base a studî liberamente perseguiti nell'ambito delle facoltà universitarie. Certo è però che di recente si sono andate sempre più moltiplicando le scuole e gl'istituti di carattere universitario, ma di tipo speciale e professionale, mentre non si è riusciti in nessun paese a separare nettamente facoltà di pura scienza e facoltà di scienza applicata, ed è piuttosto avvertita la tendenza a sopprimere ogni rigida distinzione tra le varie facoltà. Il problema rimane, e conferma, comunque, una verità essenziale: e cioè che la distinzione fra istruzione pura o disinteressata e istruzione professionale, è solo di grado; che questa in tanto è scuola in quanto implica, anzitutto, una disciplina mentale e una cultura generale, condizioni all'acquisto d'ogni abilità specifica; e che, a sua volta, la stessa istruzione formativa è inizialmente anche educazione professionale, in quanto di necessità implica anche acquisto di abilità che renderanno possibile l'applicazione del sapere, l'attitudine tecnica, il fare.
Un ultimo aspetto del processo evolutivo è nel progressivo spostarsi del rapporto tra istruzione privata e pubblica a favore di quest'ultima. Istruzione pubblica (non solo collettiva) è quella in cui si esplicano direttamente attività educatrice e potere organizzatore dello stato. La difesa fatta, con grande efficacia, da Quintiliano dell'istruzione in comune, vale anche per la scuola privata e mira sostanzialmente, dati i tempi, a quest'ultima. Quella fatta nel '700 dal Filangieri è già, propriamente, difesa dell'istruzione pubblica. E invero, via via che lo stato moderno si forma, il problema dell'istruzione accentua il suo aspetto, oltre che genericamente sociale, specificamente politico, in quanto la cultura, come formazione del soggetto, è, nella sua realtà storica, anche coscienza civica; e infine, la nuova e suprema forma ed essenza dello stato, quella nazionale, non può non corrispondere a una nuova coscienza, statale e nazionale insieme. Ora, è nella scuola pubblica, nella quale lo stato, direttamente o indirettamente, è presente e attivo con i suoi ideali e con le sue esigenze, che l'istruzione acquista pienamente questo contenuto e questo valore educativo. Virtù civiche e politiche, virile spirito nazionale non si formano nella scuola privata (Gioberti), sebbene forme d'istruzione quasi-pubblica e controllata, per motivi varî, non esclusa la necessità di favorire il rigoglio d'iniziative scolastiche, siano pur sempre possibili e opportune. La scuola pubblica diventa così mezzo poderoso alla formazione compiuta della coscienza individuale nella sua realtà storica e, perciò, anche nella sua realtà nazionale (v. scuola).
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