-ità / -ietà [prontuario]
Nella formazione delle parole per ➔ derivazione, il suffisso -ità (< -itātem, con apocope di tem) dà luogo a nomi deaggettivali femminili: affidabile → affidabilità, aggressivo → aggressività, elettrico → elettricità, moderno → modernità, intenso → intensità. Quando l’aggettivo che fa da base di derivazione termina in -io (con i ultimo elemento radicale e o desinenza, ad es. bonari-o), il suffisso -ità si trasforma in -età per dissimilazione, ovvero per differenziare la i radicale dalla i del suffisso: bonario → bonarietà. Dagli aggettivi uscenti in -are e non in -ario, si ha quindi -ità e non -ietà: complementare → complementarità, e non *complementarietà, interdisciplinare → interdisciplinarità, e non *interdisciplinarietà. L’uso delle forme in -(i)età è un errore abbastanza frequente, che capita di trovare anche in testi di scriventi colti.
La formazione di derivati in -(i)età è produttiva quasi esclusivamente con aggettivi in -rio: illusorio → illusorietà, perentorio → perentorietà, arbitrario → arbitrarietà, autoritario → autoritarietà, ordinario → ordinarietà; è invece marginale con aggettivi in -vio: pervio → pervietà, ovvio → ovvietà. I pochi nomi in -(i)età preceduti da consonanti diverse da r e v non si sono formati in italiano, ma in latino: pietà < pietatem, ansietà < anxietatem, dubbietà < dubietatem, empietà < impietatem, sazietà < satietatem, società < societatem (oggi la ‹i› ha mero valore diacritico).
Nei primi secoli della storia della lingua italiana, molti nomi in -ità, e -(i)età (a cui si aggiunga -tà: crudeltà, nobiltà, realtà, ecc.) tra quelli che hanno continuato direttamente etimi latini, erano affiancati, soprattutto nella ➔ lingua poetica, da forme in -tade / -tate (la prima con ➔ sonorizzazione della consonante sorda intervocalica), cioè da forme che hanno mantenuto la sillaba finale del suffisso -itātem: bontade / bontate, nobiltade / nobiltate, pietade / pietate, veritade / veritate.