JOSZ, Italo
Nacque a Firenze il 30 genn. 1878 da Ludovico, di Trieste, e da Emilia Finzi, di Ferrara, terzo di quattro figli.
In famiglia lo J. ricevette i primi elementi fondanti la sua formazione, così come il fratello Livio, disegnatore tecnico e a sua volta pittore dilettante; infatti sia il nonno paterno, Bernardo, sia il padre praticarono l'incisione. Il primo, di origine ungherese, della città di Nagy Kanizsa, fu attivo a Trieste nella prima metà del XIX secolo e, sposatosi con Rosa Romanin (senese, discendente del poeta Salomone Fiorentino), iniziò alla professione il figlio Ludovico. Quest'ultimo completò gli studi di disegno alla scuola del Museo Revoltella di Trieste; quindi si recò a Parigi nel 1861, dove si perfezionò nell'arte dell'incisione e, per sedici anni, rimase a Firenze, con l'incarico (assunto dal 1875) della fornitura di timbri postali per il ministero delle Poste italiane.
A Milano, dove la famiglia si trasferì nel 1891 per seguire l'attività della sorella dello J., Aurelia, fondatrice e direttrice della Scuola pratica agricola femminile di Niguarda, il padre aprì uno studio fotografico. In questa città lo J. studiò all'Accademia di belle arti sotto la guida del ritrattista G. Mentessi e intraprese la sua formazione musicale studiando il violino presso T. Serafin. Dal 1898 al 1938 lo J. fu presente, con una certa continuità, alle moltissime esposizioni che animarono in quegli anni l'ambiente artistico milanese e dell'Italia settentrionale. Nel 1910, all'esposizione annuale della Famiglia artistica, presentò Donna umbra (di questo dipinto, come di diversi altri, non si conosce l'ubicazione: molte opere sono comunque patrimonio degli eredi dell'artista).
Almeno al 1913 risalgono le frequentazioni futuriste dello J.: in quell'anno infatti fu sfidato a duello dal giornalista G. Buggelli (il duello venne poi conciliato, come testimonia un atto conservato nell'archivio di famiglia), e suoi padrini furono C. Carrà, L. Dudreville e A. Sant'Elia. Tali frequentazioni non influirono sulle sue scelte artistiche, ma determinarono in lui un approccio disinvolto al mestiere della pittura. Nel 1916, l'Autoritratto esposto alla Famiglia artistica dimostra l'atteggiamento ironico e dissacrante del pittore nei confronti di un genere pur coltivato fino alla fine della sua attività con puntigliosa diligenza: l'artista si ritrasse infatti con gli occhi sgranati e la testa incassata nelle spalle con espressione sgomenta, stupita e non certo autocelebrativa. Nel 1920, alla Permanente, espose il Ritratto della signora Mejer.
Il credito che lo J. raggiunse nell'ambiente milanese è confermato nel 1921 con la nomina a socio onorario dell'Accademia di belle arti e poi, nel 1923, con il suo inserimento nel consiglio direttivo della Famiglia artistica nel ruolo di revisore. Sempre nel 1923, alla Quadriennale di Torino, presentò Lettura, un doppio ritratto femminile. Nel 1924 espose a Monza, alla mostra del ritratto femminile contemporaneo, Ritratto di signora e, nella rivista Le Arti belle, venne citato come "interprete amoroso e tecnico eminente della figura" (1924, n. 3, p. 90). Il 1925 fu per lo J. particolarmente fecondo dal punto di vista sia pittorico sia musicale. A giugno presentò a Ferrara due dipinti, Pausa e Violinista, ben recensiti da G.E. Mottini: "Italo Josz di Milano non ha che due cose, ma fra le più belle della mostra. C'è un riflesso tardo dell'Hayez nella Violinista, e un poco dello spettro cromatico del Cremona nella Figura femminile" (L'esposizione d'arte ferrarese…, in Corriere padano, 30 giugno 1925). Partecipò all'esposizione nazionale di ottobre-dicembre dell'Accademia di Brera, con il dipinto Psiche e… Psiche (Marangoni, 1925), che ritrae l'abbraccio sensuale di due donne seminude; e ancora nel dicembre del 1925 comparve, al teatro del Popolo a Milano, nelle vesti di violinista a fianco del violoncellista L.R. Cannonieri e di A. Russolo al piano, per sperimentare l'arco enarmonico inventato da L. Russolo, su musiche composte dal fratello Antonio e da F. Casavola. Alla Primaverile milanese del 1928 espose Fantasticherie, che ritrae una giovane donna nuda distesa, con lo sguardo rivolto verso la luce sul fondo del dipinto.
Nel 1929 l'edizione milanese del quotidiano La Sera riportava la notizia della presentazione ufficiale nella sede delle Distillerie italiane della Madonnina di Chiaravalle di Ercole Procaccini il Vecchio appena restaurata dallo J. (Una lapide ai caduti e una pregevole opera d'arte, 19 novembre). In quello stesso anno lo J. dipinse un altro Autoritratto (Firenze, Uffizi). Il dipinto, benché più ortodosso di quello del 1916, venne dallo stesso artista giovialmente deriso per la propria calvizie nel Guerin meschino. Alla Permanente del 1931 espose Vanità, nudo di donna dalla folta chioma scura, che si accarezza i capelli con una mano e con l'altra afferra uno specchio. Nel 1933 l'ospedale Maggiore di Milano gli commissionò il ritratto dell'ingegnere G. Canziani. Il dipinto appartiene a una tipologia di ritratto inusuale per lo J., essendo a figura intera e con ambientazione. Lo stesso anno, alla Mostra sindacale lombarda, lo J. presentò Figura femminile, ritratto di una giovane donna sportiva dallo sguardo diretto e sorridente. Nel 1935 espose al Salon parigino Signora d'Umbria, dallo sguardo dolce e raffinato; mentre, alla Permanente di Milano, presentò Figura con violoncello. L'anno seguente, la Civica Galleria d'arte moderna di Milano acquistò Nelda, elegante signora borghese ritratta con stola e cappellino alla moda. Alla Primaverile milanese del 1937 lo J. fu presente con Riposando, che raffigura una donna comune, forse una massaia, seduta in atteggiamento stanco ma rilassato. L'anno seguente espose, ancora alla Primaverile, La corda nuova, che ritrae una giovane musicista intenta ad accordare il suo violino.
Dal novembre del 1938, in seguito all'emanazione delle leggi razziali, lo J. venne escluso dalle esposizioni pubbliche. Solo nel 1940 l'Istituto dei ciechi presentò ancora al pubblico un suo dipinto: il Ritratto di Antonio Asiani. L'artista, amareggiato dalla situazione politica e privo di commissioni pubbliche, morì a Milano il 1° dic. 1942.
Lo J. si dedicò principalmente al ritratto femminile condotto sui moduli della ritrattistica tradizionale, in prevalenza il mezzobusto frontale, che lascia alla gestualità e allo sguardo l'identificazione psicologica del soggetto. L'effetto di immediatezza e veridicità fotografica dei ritratti dello J. è probabilmente dovuto al ricorso all'obiettivo: lo J. fotografò molte delle sue opere con la macchina del padre e quasi certamente utilizzò questo mezzo per impostare molti dei suoi ritratti. La pittura dello J. riflette due diversi aspetti della donna nel primo Novecento: da una parte, i ritratti ne mostrano, attraverso una lucida indagine d'impronta positivista, l'intrinseco valore umano e psicologico, dall'altra, nei nudi e nei dipinti a tema (come in Psiche e… Psiche ma anche, con sfumature diverse, nei dipinti Fantasticherie, dove più diretto è il riferimento a Venere, e Vanità, più vicino all'ambito mitteleuropeo secessionista), la donna continua a incarnare il mito della bellezza classica o della femme fatale. Le ardite sperimentazioni musicali condotte dall'artista con Russolo nel 1925 non ebbero nei suoi dipinti alcuna eco: il tema del violino ricorre in almeno tre tele (Violinista del 1925, Figura con violoncello del 1935 e La corda nuova del 1938), ma l'approccio poetico sembra essere l'unica chiave di lettura di questi quadri. Anche nei paesaggi, alcuni dei quali realizzati durante brevi soggiorni dell'artista ad Albenga (lo J. si recava in vacanza nella vicina Alassio), non viene celebrato il mito della modernità. Al contrario, in questi dipinti, dove ricorre l'elemento dell'acqua, la luce limpida e diffusa e la descrizione analitica sembrano emanare un sottile sentimento di rimpianto per una cultura travolta dalla vita moderna. Sul rovescio delle tele dipinte, l'artista ribadì sempre con orgoglio le sue origini fiorentine scrivendo in latino "Florentiae natus". Tale appartenenza volle che fosse dichiarata anche sulla lastra tombale: "Florentiae natus vixit et pinxit Mediolani".
Nel 1943 la già citata sorella Aurelia (nata a Firenze nel 1869), agronoma e pedagogista, con la quale lo J. aveva condiviso la vita milanese e intrattenuto vivaci rapporti epistolari, donò alla Civica Galleria d'arte moderna di Milano il dipinto Venere (probabilmente la stessa opera presentata alla Primaverile del 1928 con il titolo Fantasticherie), prima di essere deportata ad Auschwitz (dove morì nel 1944).
Fonti e Bibl.: L'Archivio Italo Josz è conservato per la parte cartacea (cataloghi, giornali, documenti, spartiti) presso Mirella Vita vedova Zylberstajn (Milano) e per la parte fotografica presso Aurelio Josef Heger (Milano). Si vedano, inoltre, G. Marangoni, Mostra del ritratto femminile contemporaneo, Bergamo 1924, tav. XLII; Id., Le esposizioni d'arte. Alla Biennale di Brera, in La Grande Illustrazione d'Italia, novembre 1925, pp. 29, 31; A. Paci-Perini, La IV Mostra sindacale lombarda, in L'Artista moderno, 10 apr. 1933, pp. 133, 135; Galleria d'arte moderna, a cura di L. Caramel - C. Pirovano, Opere del Novecento, Milano 1974, p. 42, fig. 642; Opere dell'Ottocento/N-Z, ibid. 1975, ad indicem; Gli Uffizi. Catalogo generale, Firenze 1979, p. 903; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIX, pp. 185 s.; A.M. Comanducci, Diz. illustrato dei pittori…, Milano 1972, pp. 1641 s. Per la sorella Aurelia cfr. Diz. biogr. delle donne lombarde, 568-1968, a cura di R. Farina, Milano 1995, pp. 601 s.