NICOLETTO, Italo
NICOLETTO, Italo. – Nacque a Oberhausen, in Germania, nella regione della Renania-Vestfalia, il 15 luglio 1909, primo dei due figli di Napoleone e di Regina Conti, emigrati in cerca di lavoro.
All’età di due anni, considerate le difficoltà dei genitori a crescere un figlio in terra straniera, venne affidato ai nonni materni, Graziano Conti e Maria Baronchelli, residenti a Quinzano d’Oglio, piccolo paese agricolo in provincia di Brescia. Frequentate le scuole elementari nel paese dei nonni, si iscrisse all’istituto tecnico inferiore a Brescia. Influenzato dapprima dal nonno, di simpatie socialiste, e poi dal padre – che dopo essere tornato in Italia per adempiere agli obblighi di leva durante la Grande Guerra si era candidato alle elezioni amministrative del 1919 nelle liste del PSI (Partito socialista italiano) e in seguito avrebbe aderito al PCd’I (Partito comunista d’Italia) – il giovane presto decise di ricalcare le orme dei familiari e a 15 anni, nel 1924, si iscrisse alla FGCI (Federazione giovanile comunista italiana). Da subito molto attivo all’interno dell’organizzazione, fu arrestato nell’aprile 1927 a Brescia e, rinviato a giudizio di fronte al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, fu condannato, con sentenza del 3 luglio 1928, a 3 anni di reclusione, che scontò presso il carcere di Viterbo.
La carcerazione interruppe in maniera forzata gli studi liceali intrapresi a partire dal 1925 nel liceo scientifico a Brescia; l’aspirazione al miglioramento del suo bagaglio culturale rimase comunque molto forte e, come ogni buon detenuto comunista, utilizzò il periodo di prigionia a questo scopo (si appassionò in particolare allo studio delle lingue straniere, giungendo nel corso degli anni a parlare correntemente francese, inglese, tedesco e spagnolo).
Nel 1929 si rifiutò di firmare la domanda di grazia presentata dai suoi genitori, poiché, come scrisse alla madre, «non voglio che si dica che ho fatto atto di sottomissione per paura o per viltà» (lettera del 16 marzo 1929, in Lettere dal carcere, dal confino, dall’esilio, Brescia 1980, p. 32). Per questo motivo, finita di scontare la pena nell’aprile 1930, fu mandato al confino a Lipari per altri 2 anni. Lì si distinse per alcune azioni di protesta contro la censura della corrispondenza.
Nel marzo 1931, ottenne la sospensione condizionale della pena per poter adempiere al servizio militare, che svolse a Milano, assegnato al VII reggimento fanteria. Dopo il congedo fece ritorno a Brescia, dove si rimise in contatto con i pochi comunisti locali rimasti a piede libero, per cercare di ricostruire una rete clandestina di partito falcidiata dai ripetuti arresti operati dalla polizia fascista, ma non ebbe successo. Nel luglio 1932, fu nuovamente arrestato a Lumezzane, in provincia di Brescia, e inviato per la seconda volta al confino, a Ponza, per altri 3 anni; nominato direttore dello spaccio autogestito dai confinati, fu in prima linea nelle manifestazioni di protesta contro le vessazioni imposte dall’amministrazione della colonia, il che gli procurò, nel giugno 1933, un altro arresto e una condanna a 4 mesi di reclusione, scontati a Napoli. Tornato a Ponza, in ottobre sposò Maria Pippan, comunista triestina, anch’ella confinata politica, e da lui conosciuta sull’isola, dalla quale avrebbe avuto tre figli, Vittoria, Uliana e Boretti.
Pochi mesi dopo, nella sua veste di direttore dello spaccio, fu al centro di un nuovo conflitto con le autorità, che avevano rifiutato la richiesta dei confinati di acquistare carne congelata per evitare di rifornirsi presso i macellai locali, che spesso vendevano loro merce avariata. La vicenda si concluse, ancora una volta, con l’arresto di Nicoletto – su esplicita richiesta di Mussolini, messo al corrente del caso dal capo della polizia Arturo Bocchini – e il suo trasferimento punitivo prima presso l’isola di San Domino, alle Tremiti, e poi a Ventotene. Qui fu tra i protagonisti di un’altra manifestazione di protesta contro la direzione, che aveva tolto ai confinati la gestione dello spaccio, e rimediò nell’aprile 1935 un ennesimo arresto e una condanna a 8 mesi di reclusione a Napoli.
Riacquistata la libertà nel luglio 1936, fece ritorno a Brescia, dove cercò di riallacciare i contatti con i compagni di partito; dopo pochi mesi però, ricercato dalla polizia, fu costretto a lasciare l’Italia e a rifugiarsi in Iugoslavia. Da lì, imbarcatosi assieme alla moglie, intraprese un lungo viaggio che, attraverso Malta e la Tunisia, lo fece approdare in Francia nel settembre 1937, prima a Marsiglia e poi a Parigi, dove si mise a disposizione del Centro estero del PCd’I. Contravvenendo al costume imperante tra i comunisti, secondo cui ogni buon militante doveva disciplinatamente accettare gli incarichi assegnatigli dalla dirigenza, rifiutò l’offerta di recarsi a Mosca a frequentare la scuola di partito, chiedendo in alternativa di essere inviato in Spagna a combattere a difesa del governo legittimo. Nel marzo 1938 così partì per Barcellona, arruolandosi nelle Brigate internazionali. Ferito in battaglia sul fronte dell’Ebro a settembre, abbandonò l’attività militare e, tornato a Barcellona, svolse incarichi politici all’interno del Partito comunista spagnolo fin quasi alla fine del conflitto.
Rientrato a Parigi ai primi di dicembre 1938 assieme a Luigi Longo, riprese il lavoro all’interno del Centro estero del PCd’I, occupandosi in particolare di attività editoriali. La repressione di cui furono fatti oggetto i comunisti emigrati in Francia dopo la stipula del patto tedesco-sovietico dell’agosto 1939 lo costrinse, per poter sbarcare il lunario, ad abbandonare le mansioni affidategli dal partito e a svolgere numerosi lavori manuali (bracciante agricolo, operaio in una officina e in un salumificio, facchino e altri ancora).
In seguito all’invasione nazista della Francia del giugno 1940, fuggì nella zona del Lot-et-Garonne, dove iniziò a prendere parte ad azioni di sabotaggio e di guerriglia contro gli occupanti tedeschi. Il suo impegno nella Resistenza francese proseguì e si intensificò nei mesi seguenti: nel corso del 1942 si trasferì a Marsiglia e divenne uno dei comandanti dei gruppi stranieri di Francs-tireurs partisans della Francia meridionale, con il nome di battaglia di Andreis. Nel luglio 1943 fu arrestato a Nizza dai carabinieri e, dopo essere stato sottoposto per alcuni giorni a interrogatori molto stringenti, fu processato da un Tribunale militare italiano di stanza in Francia e condannato a 7 anni e mezzo di reclusione. Trasferito in Italia, scontò la pena prima nel carcere di Cuneo, poi in quello di Fossano, e quindi, dopo un paio di tentativi di evasione, alle Nuove di Torino. Fu liberato dalle SS nell’agosto 1944 assieme a Emilio Sereni: una liberazione inusuale, forse dovuta al fatto che la Procura militare dalla quale erano stati condannati in Francia aveva modificato, prima di inviarli a Torino, i loro incartamenti processuali, facendoli risultare elementi ‘antimonarchici’, qualifica che avrebbe indotto i tedeschi a rilasciarli.
Non appena libero si aggregò alle formazioni partigiane piemontesi, diventando commissario politico delle Brigate Garibaldi nelle Langhe. Nel marzo 1945 fu nominato comandante militare della piazza di Torino; in questa veste il 25 aprile impartì a tutte le forze in campo l’ordine di mobilitazione per l’insurrezione della città, prevista per il giorno successivo, nonostante il parere contrario degli alleati anglo-americani. Pochi giorni dopo la liberazione lasciò Torino e fece ritorno a Brescia.
Nel dopoguerra fu segretario della Federazione del PCI (Partito comunista italiano) di Brescia (1945-47 e 1949-53) e di Mantova (1947-49); consigliere comunale a Brescia (1946-51); sindaco di Quinzano d’Oglio (1951-53). Nel 1948, coronando un percorso comune a molti militanti della sua generazione, forgiatisi nelle carceri e al confino e nella Resistenza e infine approdati all’interno delle istituzioni repubblicane, fu eletto alla Camera dei deputati nel collegio Bergamo-Brescia, venendo riconfermato nelle successive tre legislature, fino al 1968. Operò quasi sempre all’interno della commissione Finanze e tesoro; fu anche senatore nella IX legislatura per un breve periodo (dicembre 1986-luglio 1987), in sostituzione di un collega dimissionario.
Morì a Brescia il 5 dicembre 1992.
Opere: oltre alle Lettere dal carcere, dal confino, dall’esilio, cit., Anni della mia vita (1909-1945), Brescia 1981.
Fonti e Bibl.: Archivio centrale dello Stato, Roma, Ministero dell’Interno, Direzione generale Pubblica sicurezza, Casellario politico centrale, b. 3537; L. Longo, Le Brigate internazionali in Spagna, Roma 1956; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, I-V, Torino 1967-75, ad ind.; G. Vaccarino - C. Gobetti - R. Gobbi, L’insurrezione di Torino, Parma 1968; T. Noce, Rivoluzionaria professionale, Roma 1974, ad ind.; A. Dal Pont, I lager di Mussolini, Milano 1975, ad ind.; G. Isola, N. I., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, III, Roma 1977, pp. 677-680; G. Georges-Picot, L’innocence et la ruse: des étrangers dans la Résistance en Provence (1940-1944), Paris 2000; L. Borgomaneri, N. I., in Dizionario della Resistenza, a cura di E. Collotti - R. Sandri - F. Sessi, II, Luoghi, formazioni, protagonisti, Torino 2001, p. 600; S. Corvisieri, La villeggiatura di Mussolini. Il confino da Bocchini a Berlusconi, Milano 2004, ad indicem.