VALENTI, Italo
Nacque a Milano il 29 aprile 1912, primo dei tre figli di Oreste, commerciante di vini, e di Paolina Lomazzi. Durante la prima guerra mondiale, il padre si arruolò come bersagliere e la madre dovette trasferirsi a Vicenza per occuparsi dell’impresa vinicola di famiglia. Il bambino trascorse così l’infanzia in condizioni agiate ma piuttosto isolate, tra la casa milanese dell’amata nonna materna Emilia e quella dei nonni paterni a Mercallo, non lontano da Varese.
Alla fine del conflitto, nel 1919 Italo si ricongiunse con i genitori a Vicenza. Qui, fino al 1926, frequentò svogliatamente la scuola, che avrebbe presto lasciato per mettersi a bottega da un ceramista locale. Dopo un breve soggiorno a Milano nel 1927, segnato dalla frequentazione di un corso serale di disegno, il giovane rientrò a Vicenza. Nei quattro anni successivi, lavorò quindi come pittore di miniature a smalto al servizio di un orefice. Contemporaneamente frequentò la scuola di arti e mestieri, dove strinse amicizia con il pittore Maurizio Girotto, il futuro editore Neri Pozza e il pittore e teosofo Libero Augenti. Quest’ultimo lo introdusse al mondo della letteratura e della musica e, soprattutto, ai più recenti esiti della pittura europea.
Si data al 1932 il suo esordio espositivo, con una mostra tenuta insieme a Giovanni Magrin a Valdagno, nei pressi di Vicenza. L’anno seguente, dopo pochi mesi trascorsi all’Accademia di belle arti di Venezia, Valenti poté iscriversi a Brera grazie al supporto economico di uno zio che aveva fatto fortuna nell’America del Sud. Nel capoluogo lombardo egli avrebbe concluso la propria formazione artistica sotto gli insegnamenti di Aldo Carpi e di Eva Tea, cominciando intanto a esporre con buona frequenza alle mostre sindacali.
Dalla sequenza di opere del catalogo generale, curato nel 1998 da Carlo Carena e da Stefano Pult, emerge con chiarezza come i lavori di esordio dell’artista si orientino soprattutto verso la rappresentazione di un’umanità umile e dimessa. Dal punto di vista stilistico, però, figure come quelle della tela Operai (1932) rivelano una forte solidità d’impianto e un modellato influenzato – seppur con certe ingenuità giovanili – dall’allora diffusa temperie novecentista.
Nel 1935, grazie a una borsa di studio, Valenti ebbe la possibilità visitare Bruxelles e Parigi, dove le sue attenzioni furono attratte in primo luogo dalla pittura degli impressionisti, dei fauves, di Van Gogh e di Rousseau il Doganiere. Il ricordo diretto delle opere della Ville lumière si rintraccia nell’inedita libertà cromatica e nel ricercato anti-naturalismo dei dipinti realizzati al rientro a Milano, come Il poeta maledetto (1936).
Sospettato di attività antifascista, nell’aprile del 1937 Valenti fu trattenuto nel carcere di S. Vittore per alcune settimane insieme ad altri amici e pittori, tra i quali Aligi Sassu, Renato Birolli e Giuseppe Migneco. Tale vicenda giudiziaria non gli avrebbe tuttavia precluso la possibilità di assumere negli anni successivi l’incarico di insegnate alla scuola del nudo di Brera.
Intorno a queste date, però, il lavoro e gli interessi di Valenti si legarono in primo luogo al progetto della nuova rivista Corrente, fondata da Ernesto Treccani nel 1938. Il quindicinale si sarebbe presto imposto come decisivo polo di rinnovamento e di apertura internazionale per la giovane cultura italiana. Insieme agli altri artisti gravitanti intorno al periodico, Valenti prese parte a entrambe le mostre collettive organizzate nel 1939 e, di lì a poco, alla seconda e alla quarta edizione del premio Bergamo. Nel maggio del 1941, poi, fu proprio negli spazi espositivi della nuova Bottega di Corrente che egli tenne la sua prima personale, seguita due anni più tardi da un’altra importante occasione espositiva alla galleria del Milione.
Al centro della sua produzione, in questi anni, emergono alcuni cicli di tema onirico e fiabesco, come L’isola dei cani, Le biciclette o I pazzi dell’isola. Si tratta di acquerelli e piccole tele dalla pennellata fluida, malinconici teatrini abitati da quelle che l’amico poeta Beniamino Joppolo definì «figure umiliate da forme e da colori sottili» immerse in «un’atmosfera trasognata» (Joppolo, 1940, p. 5). Solo in seguito, all’interno della prima monografia sul pittore (1943), Guido Piovene avrebbe potuto rintracciare una nuova volontà costruttiva nelle sue più recenti figure e nature morte, particolarmente ricettive nei confronti dei modelli picassiani riletti attraverso la pittura di Renato Guttuso.
L’indomani dei bombardamenti dell’agosto del 1943, Valenti lasciò Milano per rifugiarsi a Porcia, presso la famiglia della moglie Angela Valdevit, un’allieva dell’Accademia che aveva sposato l’anno precedente. Durante il soggiorno forzato in Friuli, il pittore continuò regolarmente a lavorare, collaborando intanto con il Comitato di liberazione nazionale. Sarebbe rientrato nel capoluogo lombardo, riprendendo il proprio incarico a Brera, soltanto nel 1945.
Alla conclusione del conflitto, egli prese le distanze da quello che era stato il gruppo di Corrente e dal Fronte nuovo delle arti. Iniziò così per lui un periodo di volontario isolamento finalizzato ad approfondire in maniera autonoma le proprie ricerche pittoriche. Nel 1948 partecipò per la prima volta alla Biennale di Venezia con una Natura morta, una Sedia e una Stazione. Si tratta, insieme alle serie dei Traghetti e degli Aquiloni, di alcuni dei temi più frequenti della pittura di Valenti in questi anni. I suoi sono lavori dalla vaga intonazione metafisica, in cui un’intensa libertà cromatica convive, talvolta, con una personalissima rilettura della grammatica compositiva post-cubista.
L’artista trascorse l’estate del 1950 ad Ascona, in Svizzera, per dirigere un corso di pittura. Il breve soggiorno si rivelò determinante e gli offrì la possibilità di confrontarsi con un panorama culturale stimolante e di respiro internazionale. Appena due anni più tardi, separatosi dalla moglie e abbandonato l’insegnamento, il pittore decise quindi di trasferirsi a Muralto, nei pressi di Locarno. Qui, negli anni successivi, avrebbe vissuto insieme alla nuova compagna, la scrittrice Anne de Montet.
Negli anni Cinquanta prese avvio una fase di intenso rinnovamento per la produzione di Valenti, culminata con la partecipazione alla Biennale veneziana del 1958 con otto Composizioni. Nel catalogo generale dell’esposizione Guido Ballo scrisse della nuova «carica emotiva» raggiunta dall’artista, esito di una «partecipazione totale all’atto pittorico» (Ballo, 1958, p. 78).
Le tele veneziane, infatti, segnarono l’approdo a una pittura a tutti gli effetti informale. Esse furono il punto d’arrivo di un percorso, cominciato all’inizio del decennio, di progressivo sfaldamento delle forme in un turbinio di pennellate dense e vorticose. Già nelle serie Materia e Caos (1957), del resto, la pittura di Valenti si era fatta fortemente materica, articolata in grumi spessi e stratificazioni di colore molto vicine ai lavori di Nicolas de Staël e di Jean-Paul Riopelle. L’artista, intanto, era pervenuto a esiti di libera carica gestuale anche in alcune litografie ispirate alla genesi dell’universo descritta nel De rerum natura di Lucrezio. Questa serie di incisioni, tuttavia, sarebbe stata pubblicata solamente negli anni Settanta.
Tra il 1958 e il 1959 Valenti strinse amicizia con artisti come Ben Nicholson, Julius Bissier e Hans Arp, insieme ai quali cominciò a frequentare assiduamente l’atelier collettivo dello scultore Remo Rossi, a Locarno. Questi nuovi contatti ebbero presto un influsso decisivo su di lui. Già all’inizio degli anni Sessanta le sue tele abbandonarono definitivamente i densi impasti pittorici precedenti. Si assiste, infatti, a una progressiva semplificazione compositiva, giocata adesso su sovrapposizioni e controllati accostamenti di piani colorati uniformi. Non è un caso che intorno a queste date l’artista cominciasse ad affiancare all’attività pittorica anche la pratica del collage, che nel corso dei decenni successivi avrebbe assunto un ruolo sempre più centrale all’interno della sua produzione.
A partire dai primi esperimenti su alcuni biglietti natalizi del 1959, Valenti trovò nel processo di colorazione, ritaglio e accostamento dei frammenti cartacei uno strumento privilegiato per la propria ricerca intorno a un sistema di puri equilibri formali. Le composizioni dei suoi papiers collés, tuttavia, risultano sempre giocate su una costante tensione tra elementi regolari e inaspettate libertà. Le perfette geometrie dei ritagli convivono, ad esempio, con gli effetti più pittorici di alcuni strappi della carta, debitori nei confronti del modello dei papiers déchirés di Arp. Così, i toni pacati delle superfici di fondo sono spesso movimentati dalle intense accensioni cromatiche di alcuni elementi cartacei. Interventi del genere appaiono mirati, in primo luogo, ad arricchire le opere di un sapore più dichiaratamente narrativo, non privo talvolta di chiare allusioni a referenti figurativi. Non sono rari, del resto, i titoli che rimandano a precisi episodi biblici (La scala di Giacobbe, 1960) e mitologici (Euridice, 1963). Sono poi numerosi anche i riferimenti ai luoghi visitati dall’artista nei suoi frequenti viaggi (Amsterdam, 1967; Bretagna, 1965-70).
Si inaugurò intanto, per il pittore, una stagione ricca di importanti occasioni espositive: dalle personali alla Galerie Charles Lienhard di Zurigo (1959, 1963), a quelle alle Waddington Galleries di Londra (1962, 1964), dalla partecipazione a Documenta III di Kassel (1964), alle prime mostre negli Stati Uniti (1961, 1965).
Ottenuto l’annullamento del primo matrimonio, nel 1967 Valenti poté finalmente sposare la compagna Anne de Montet, con la quale di lì a poco si sarebbe trasferito ad Ascona. Non perse comunque i contatti con l’ambiente artistico di Locarno. Qui, proprio in quegli anni, diede avvio a una proficua collaborazione con l’editore e stampatore François Lafranca. Nell’atelier di quest’ultimo poté intensificare la propria produzione disegnativa, presto confluita nella pubblicazione di alcuni volumi illustrati.
Risale al 1970 l’importante monografia dedicata al pittore dall’amico Manuel Gasser, edita da Scheiwiller. Nel suo contributo, il critico svizzero mise in luce come l’apparente astrazione formale delle opere di Valenti derivasse sempre, in realtà, da un preciso richiamo al mondo reale o letterario, imprescindibile punto di partenza per la trasfigurazione lirica operata dall’artista nel suo lavoro.
Negli anni successivi Valenti continuò a lavorare assiduamente intorno a un numero ristretto di nuclei tematici. Risalgono agli anni Settanta, ad esempio, le serie dedicate alla Luna e all’Uccello P’eng: tra i principali protagonisti di numerose tele, collages e incisioni. Opere in cui convivono e si contaminano in maniera originale suggestioni molto eterogenee: da un lato le lunghe visite del pittore all’osservatorio astronomico di Locarno-Monti, dall’altro la sua lettura appassionata degli antichi poeti orientali della dinastia Tang.
Gli anni Ottanta segnarono il definitivo riconoscimento da parte della critica. Il decennio si aprì con una grande retrospettiva al Kunsthaus di Zurigo (1980) e continuò con una serie di importanti pubblicazioni dedicate all’artista: la monografia di Walter Schönenberger (1984), l’articolo di Carlo Ludovico Ragghianti su La critica d’arte (1984), il lungo contributo di Carlo Carena su Verbanus (1985) e il ricco volume curato da Sylvio Acatos (1987).
Nel maggio del 1985 Valenti fu colpito da un ictus celebrale che lo privò momentaneamente dell’uso della parola, paralizzandogli la parte destra del corpo. Dopo una lunga permanenza in ospedale, grazie all’aiuto della moglie poté gradualmente riprendere a lavorare utilizzando la sola mano sinistra. Le opere degli ultimi anni, come Cervi volanti (1993), sono per lo più collages di dimensioni abbastanza contenute, in cui si nota una progressiva attenuazione cromatica rispetto ai decenni precedenti. Le sue composizioni furono adesso affidate, nella maggior parte dei casi, a più pacati accordi di bianchi, bruni e neri.
L’indomani dell’importante retrospettiva organizzata alla Galleria civica di Bellinzona nel 1991, le condizioni fisiche dell’artista andarono progressivamente peggiorando, precludendogli infine la possibilità di lavorare.
Valenti morì ad Ascona il 6 settembre 1995.
Le maggiori raccolte di documentazione archivistica su Valenti sono conservate dall’Archivio Italo Valenti di Mendrisio (Svizzera).
B. Joppolo, Il pittore Valenti, in Corrente, 15 aprile 1940, p. 5; I. V. (catal.), a cura di L. Anceschi, Milano 1941; G. Piovene, I. V., Novara 1943; G. Ballo, I. V., in Catalogo della XXIX Esposizione biennale internazionale d’arte, Venezia 1958, pp. 78 s.; M. Gasser - H. Bauchau, I. V., a cura di F. Vercelotti, Milano 1970; C.L. Ragghianti, Favoloso Valenti, in La critica d’arte, XLIX (1984), 3, pp. 25 s.; W. Schönenberger, I. V., Bellinzona 1984; C. Carena, I. V. nel Ticino, in Verbanus, VI (1985), pp. 81-99; Sylvio Acatos, I. V., Lausanne-Paris 1987; I. V. Mostra antologica (catal.), a cura di E. Pontiggia, Bellinzona 1991; I. V. Catalogo ragionato dei dipinti, a cura di C. Carena - S. Pult, Milano 1998; I. V. Catalogo ragionato dei collage, a cura di C. Carena - S. Pult, Milano 1998; I. V. 1912-1995 (catal.), a cura di G. Menato, Vicenza 2001; I. V. Antologica (catal.), a cura di L. Cavadini, Locarno 2003; I. V. Il suo lirico candore (catal., Milano), a cura di M. Bianchi, Tesserete 2012.