itangliano
Il termine itangliano è stato coniato, sulla scia dell’antecedente franglais (lo spanglish era di là da venire), per indicare un italiano fortemente influenzato dall’inglese e, soprattutto, caratterizzato dalla massiccia presenza di ➔ anglicismi (e pseudoanglicismi) non adattati o di elementi (per es. prefissi e suffissi) inglesi o più spesso angloamericani.
La parola risale a una monografia della fine degli anni Settanta del Novecento (Elliot 1977) dove si presentavano in forma di casistica aneddotica gli esempi più eclatanti di commistione italiano-inglese riconducibili principalmente all’ambiente aziendale e ai suoi tic linguistici (in appendice al volume l’elenco dei 400 termini tipici). Altri termini sono stati coniati a definire il linguaggio che risulta dalla «mescolanza di vocaboli e costrutti italiani e inglesi»: italiaricano, itanglese, italiese, itenglish (Schweickard 2006: 562), ma itangliano è la denominazione prevalente (cfr. la sua ripresa in Trifone 2007). Su un piano diverso, va anche ricordato che l’italiano anglicizzato è stato considerato una specifica varietà del repertorio contemporaneo (Sanga 1981).
Nel corso di un trentennio, lo scenario ha mutato gli attori: il bacino d’utenza passiva e attiva dell’inglese è andato per cause diverse ampliandosi (maggiore consistenza qualitativa e quantitativa dell’insegnamento dell’inglese; maggiore esposizione al suo uso vivo per turismo, relazioni sociali e diffusione di TV satellitari e Internet), e l’influsso angloamericano ha permeato sempre più massicciamente, accanto ai tradizionali, settori nuovi: la cultura hip-hop, le serie televisive di grande successo e seguito, le nuove tecnologie. Ciascuno di questi settori ha portato, accanto ai grandi cambiamenti sociali che ha determinato e secondo i noti meccanismi che sottostanno alle dinamiche del prestito interlinguistico (cfr. Cartago 1994), il proprio contributo lessicale all’italiano: i cinema multisala hanno tutti nomi inglesi (a Roma Sud ci si accorda per serate al Warner [Village], o allo Stardust), ai convegni ci si interroga sul portato pedagogico dei social network, nei corridoi delle facoltà studenti vagano, laptop alla mano, alla ricerca dei migliori punti wireless, i professionisti si concedono, nel tardo pomeriggio, un tonificante happy-hour. È nuova in questo quadro la sola promozione degli anglicismi a usi anche istituzionali: alla Camera dei deputati i membri del governo rispondono al question time, i sottosegretari hanno delega al welfare e si moltiplicano, a tutela dei cittadini e dei consumatori, le authority preposte al controllo di settori strategici per la vita del paese.
Con l’itangliano hanno facile gioco i puristi e quanti ritengono che il primo elemento del composto debba in qualche modo essere protetto e tutelato dal secondo: è semplice, in un enunciato mistilingue, isolare l’elemento alloglotto, biasimarne l’uso (Castellani 1987) e, se del caso, proporre per esso un sostituente (Giovanardi, Gualdo & Coco 2008). In alcuni casi poi l’itangliano fa gridare vendetta e viene naturale schierarsi dalla parte, almeno, del buonsenso:
DoesItOffendYou, Yeah? […]
With a heavy heart i regret to inform you che gli ospiti dell’opening parti della nuova stagione sono i Does It Offend You, Yeah? You have no idea what you’re getting yourself into, ma se avete il fegato per scoprirlo, l’appuntamento è il 10 ottobre alla Locanda […].
Scommettiamo che alla fine potrete gridare anche voi we are rock stars?
Saluti.
Keep It Yours
HolidatsLive + SoftPunkDj set + NoizeInvasion Dj set
Visual Aira
Questo è il volantino pubblicitario (corsivi originali) di una serata-evento in un locale romano distribuito al bar di una facoltà universitaria. Questo è un itangliano voluto, ricercato e non certo di necessità come può esserlo quello di un manuale di informatica o quello in uso presso la redazione esteri di una testata giornalistica (cfr. Frenguelli 2006): l’effetto qui è caricaturale e si fa fatica a capire se testi come questi ricalchino, scimmiottino o promuovano tendenze dell’uso vivo. Sembrerebbero ricalcare, queste righe, le stesse logiche d’ordine commerciale che fanno sistematicamente preferire ai pubblicitari aftershave al già consolidato «dopobarba» e dire agli stilisti che, avendo a cuore il look e non l’«aspetto», essi disegnano capi fashion, non «alla moda», e definiscono trend, non «tendenze».
È più complesso di quanto non lo sia in questi esempi identificare gli elementi estranei quando all’itangliano riesca di ben mimetizzarsi; quando, cioè, il materiale lessicale o morfosintattico che costituisce un enunciato sia tutto, almeno in apparenza, italiano. Lì a segnalare che un qualcosa stona, non quadra, rimane la sola familiarità con l’italiano standard, e a far balenare l’idea di un possibile influsso angloamericano è la sola conoscenza ben approfondita della lingua inglese. Condizioni rare a trovarsi combinate: di lì l’alto tasso di permeabilità al sistema e di riproposizione nei parlanti. Si dice grazie per l’impegno che profondi, anche se faremmo meglio a dire grazie di; siamo amici, con Mario, da tre anni, ma in italiano si dice essere amico di; e via così esemplificando. In altri termini, come vanno dimostrando gli interventi più recenti sul tema da parte di studiosi attenti alla questione (cfr. Dardano, Frenguelli & Perna 2000; Sullam Calimani 2003; Bombi 2005), gli influssi dell’angloamericano sulla nostra lingua cominciano a esondare dal campo tradizionale del lessico (Klajn 1972) per raggiungere anche altri livelli.
È itangliano, anche se ben camuffato, l’impiego risemantizzato, legato soprattutto alle traduzioni in italiano della saggistica e della narrativa e alla pratica del doppiaggio cinematografico e televisivo (cfr. Garzone 2005; Pavesi 2006; ➔ doppiaggio e lingua), di alcuni verbi attestati nella nostra tradizione con significati diversi da quelli ora più in voga. Quando salviamo un file parliamo due volte itangliano: non solo impieghiamo file invece di documento, ma anche il senso di «archiviare», prima sconosciuto a salvare, lo stiamo in realtà mutuando da quello inglese di to save. Parliamo itangliano quando impieghiamo locuzioni come fare sesso o prendersi il proprio tempo che scalzano quelle di prassi: fare (al)l’amore e fare con comodo / calma. È itangliano che elementi angloamericani entrino, a volte scompaginando procedure ben consolidate, nella morfologia, soprattutto nei processi di derivazione e composizione (cfr. Frenguelli 2005): avviene con il tipo baby pensione che antepone, come d’obbligo in inglese, il determinante (la qualifica) al determinato (la cosa qualificata) o anche con il tipo Papa boys, nel quale una relazione sintattica articolata («i ragazzi del Papa / che seguono il Papa») viene compressa e resa, semplificata, con una sola giustapposizione. Non è immune dal fenomeno la morfosintassi (cfr. Degano 2005): può essere intaccato l’aspetto verbale, come accade con il tipo è che non l’ho lavato da anni al posto del più opportuno non lo lavo o, tratto davvero recentissimo ma in forte espansione, l’impiego di gerundive implicite a scapito delle prescritte subordinate esplicite:
(1) il gruppo […] è caratterizzato da una struttura variabile sia a livello di organico che di repertorio, spaziando da …
mentre corretto sarebbe stato avere, piuttosto, dato che spazia da; ancora:
(2) anoressia e bulimia rappresentano la prima causa di morte per malattia tra le giovani italiane […] colpendo oggi circa […] 150/200mila donne
mentre corretto sarebbe stato avere dal momento che colpisce.
Anche la grafia risente dell’itangliano: è ormai sistematico nella trascrizione delle cifre l’impiego, riverberato anche nel parlato, del punto al posto della virgola per i decimali, oppure l’uso delle maiuscole per gli etnici anche in funzione aggettivale, o dei mesi dell’anno nelle date.
È presto per dire se questi recenti colpi vibrati all’integrità del sistema lingua siano, come altri vezzi esotici rivelatisi poi, alla prova dei decenni, meri occasionalismi, da considerarsi salve o bordate d’artiglieria: sarà il tempo a palesarci le sorti dell’itangliano (e dell’italiano). Il quadro all’orizzonte è però forse meno cupo di quanto gli stessi segnali qui presentati possano indurre a ritenere: entrano, è vero, nelle nostre vite e in itangliano PIN (Personal identity number), smart-card e facebook, ma pur sempre salda rimane, a presidio dell’italianità almeno delle nostre e-mail, una ben tenace chiocciolina.
Bombi, Raffaella (2005), La linguistica del contatto. Tipologie di anglicismi nell’italiano contemporaneo e riflessi metalinguistici, Roma, Il Calamo.
Cardinaletti, Anna & Garzone, Giuliana (a cura di) (2005), L’italiano delle traduzioni, Milano, Angeli.
Cartago, Gabriella (1994), L’apporto inglese, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 3° (Le altre lingue), pp. 721-750.
Castellani, Arrigo (1987), Morbus Anglicus, «Studi linguistici italiani» 13, pp. 137-153.
Dardano, Maurizio, Frenguelli, Gianluca & Perna, Teresa (2000), L’italiano di fronte all’inglese alle soglie del terzo millennio, in L’italiano oltre frontiera. Atti del V convegno internazionale dell’AISLLI (Leuven, 22-25 aprile 1998), a cura di S. Vanvolsem et al., Leuven, University Press; Firenze, Cesati, 2 voll., vol. 1°, pp. 31-55.
Degano, Chiara (2005), Influssi inglesi sulla sintassi italiana: uno studio preliminare sul caso della perifrasi progressiva, in Cardinaletti & Garzone 2005, pp. 85-106.
Elliot, Giacomo (1977), Parliamo itang’liano, ovvero le 400 parole inglesi che deve sapere chi vuole fare carriera, Milano, Rizzoli.
Frenguelli, Gianluca (2005), La composizione con elementi inglesi, in Lessico e formazione delle parole. Studi offerti a Maurizio Dardano per il suo 70° compleanno, a cura di C. Giovanardi, Firenze, Cesati, pp. 159-176.
Frenguelli, Gianluca (2006), Ricezione degli anglismi e mezzi di comunicazione di massa, in La “nuova Europa” tra identità culturale e comunità politica. Atti del Convegno internazionale (Roma, Università ‘La Sapienza’, 21-22 ottobre 2005), a cura di F. Cabasino, Roma, Aracne, pp. 222-236.
Garzone, Giuliana (2005), Osservazioni sull’assetto del testo italiano tradotto dall’inglese, in Cardinaletti & Garzone 2005, pp. 35-58.
Giovanardi, Claudio, Gualdo, Riccardo & Coco, Alessandra (2008), Inglese-italiano 1 a 1. Tradurre o non tradurre le parole inglesi?, nuova ed. riv., San Cesario di Lecce, Manni.
Klajn, Ivan (1972), Influssi inglesi nella lingua italiana, Firenze, Olschki.
Pavesi, Maria (2006), La traduzione filmica. Aspetti del parlato doppiato dall’inglese all’italiano, Roma, Carocci.
Sanga, Glauco (1981), Les dynamiques linguistiques de la société italienne (1861-1980): de la naissance de l’italien populaire à la diffusion des ethnicismes linguistiques, «Langages» 61, pp. 93-115.
Schweickard, Wolfgang (2006), Deonomasticon Italicum. Dizionario storico dei derivati da nomi geografici e da nomi di persona, Tübingen, Niemeyer, vol. 2º (Derivati da nomi geografici: F-L).
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Trifone, Pietro (2007), Call center. Fenomenologia del nuovo latinorum, in Id., Malalingua. L’italiano scorretto da Dante a oggi, Bologna, il Mulino, pp. 155-163.