ittiti
Il nome deriva dall’egiziano h(e)ta, hita, ebraico hiti, che rende l’ittita Hatti («re/uomini del Paese di Hatti»). La prima attestazione della presenza ittita in Anatolia risale al periodo degli insediamenti commerciali assiri (ca. 1850-1700 a.C.). Gli archivi dei mercanti assiri, rinvenuti in particolare a Kanish / Nesha, presso Kayseri (Cesarea), registrano nomi propri e termini comuni ittiti e luvi. Si presume che genti che condividevano l’appartenenza linguistica al gruppo indoeuropeo, costituendone il ramo proto-anatolico, siano penetrati in Anatolia (forse seguendo la riva orientale del Mar Nero) nel corso del 23° sec. L’ittita, diffuso sull’altopiano centrale, è la lingua di gran lunga meglio rappresentata; il luvio era parlato nell’Anatolia meridionale e occidentale; il palaico (poveramente documentato) apparteneva a genti insediate nella regione a N di Ankara. In anatolico, ed/ad significa «mangiare», pata «piede», watar «acqua». Tra il 1750 e il 1700 un re ittita, Pithana, proveniente da Kussara (nella regione dell’od. Sivas), conquistò Kanish, il centro più importante dell’Anatolia. Egli e suo figlio Anitta condussero diverse campagne contro i principati del «Paese di Hatti», l’altopiano centrale incluso nell’ampia ansa del fiume Kizilirmak (Halys), dove era insediata una popolazione la cui lingua (che utilizza prefissi) non è riconducibile a nessun altro gruppo. Anitta distrusse Hattusa, maledicendo chi l’avesse ricostruita, e giunse fino a Zalpa, sul Mar Nero. Il prestigio del regno di Anitta (che controllava buona parte dell’Anatolia centrale) fu tale che gli i. diedero il nome di «(lingua di) Nesha (nesili)» al proprio idioma (Kanish > Nesha). Questo sistema politico entrò ben presto in crisi per ragioni ignote: verso la fine del 18° sec. Kanish e alcuni centri maggiori (Purushanda) vennero abbandonati.