IUGOSLAVIA (A. T, 77-78)
È il nome assunto dal nuovo stato sorto, in seguito alla conflagrazione mondiale, per l'ingrandimento del vecchio regno di Serbia. Il nuovo stato fu chiamato dapprima (patto di Corfù del 20 luglio 1917 e Statuto del 28 giugno 1921) Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (S. H. S.), a indicare i popoli che si univano sotto un'unica bandiera e a sancire il principio che nessuno di essi doveva predominare sugli altri. Ma già s'era infiltrato nell'uso, soprattutto all'estero, il nome meno proprio di Iugoslavia (Slavia meridionale), e dal 3 ottobre 1929 il nome di Regno di Iugoslavia è stato assunto come denominazione ufficiale. Per gli atti diplomatici che presiedettcro alla costituzione del nuovo stato e alla delimitazione dei suoi confini v. appresso: Storia.
Sommario: Geografia: Confini (p. 15); Geologia e morfologia (p. 16); Coste e isole (p. 18); Idrografia (p. 18); Clima (p. 20); Fauna (p. 20); Etnografia (p. 20); Dati statistici sulla popolazione (p. 22); Vegetazione e regioni agricole (p. 24); Agricoltura (p. 26); Allevamento (p. 27); Boschi (p. 28); Miniere (p. 30); Pesca (p. 30); Industria (p. 30); Distribuzione della popolazione e centri urbani (p. 31); Comunicazioni e porti (p. 34); Commercio estero (p. 35). - Ordinamento dello stato: Ordinamento costituzionale (p. 36); Culti (p. 37); Forze armate (p. 37); Finanze (p. 38). - Storia (p. 39). - Folklore (p. 42). - Arte (p. 43).
Confini. - La Iugoslavia risulta approssimativamente costituita da: a) il vecchio Regno di Serbia, la cui frontiera orientale con la Bulgaria fu modificata in suo favore; b) la Bosnia e l'Erzegovina; c) la Dalmazia, salvo Zara e alcune isole; d) la Croazia; e) la Slovenia, costituita dalla maggior parte della Carniola, dalla parte meridionale della Stiria e dalla Valle di Mižica (Misstal) che fa parte geograficamente della Carinzia; f) la Slavonia; g) una piccola parte della Barania (Baranja), la Bačka e parte del Banato, formanti la cosiddetta Voivodina; h) il vecchio regno del Montenegro.
Compresa tra 46° 53′ e 40° 52′ di lat. N., 13° 40′ e 23° long. E., la Iugoslavia ha un'area che si calcola di 247.542 kmq., vale a dire circa quattro quinti della superficie dell'Italia; e a 13 milioni e 931 mila abitanti ammonta, secondo il censimento del marzo 1931, la popolazione vivente entro i suoi confini. Presenta la forma di un trapezio irregolare, con l'asse maggiore, orientato da NO. a SE., lungo più di due volte l'asse minore (rispettivamente 930 e 430 km.). Costituito da regioni geomorfologiche e climatiche diverse e risultante dall'unione di paesi diversi per storia, lingua, religione e tradizioni politiche, il nuovo regno non si può dire una vera unità geografica: l'estremità nord-occidentale dello stato rientra nella regione alpina; le pianure settentrionali, parte integrante del bacino pannonico, nella regione carpatico-danubiana; il rimanente del paese appartiene alla regione balcanica. La maggior parte dei suoi confini ha carattere etnico o soltanto convenzionale, anziché fisico. Una relativa unità, invece, può vedersi: nella comune direzione dei monti, per lo più orientati da NO. a SE.; nella loro prevalente struttura ad altipiani, con bacini interni e valli viventi di vita propria; nel defluire della maggior parte delle acque delle zone montuose verso Sava e Danubio; nella presenza del lungo corridoio costituito dalle valli della Morava e del Vardar, che unisce il bacino di quest'ultimo fiume con le pianure settentrionali.
Geologia e morfologia. - La struttura geofisica della Iugoslavia, per la diversità delle regioni che compongono il nuovo regno, risulta abbastanza complicata e mal si presta a una descrizione d'insieme. I rilievi occupano i quattro quinti della superficie dello stato e molti raggiungono un'altitudine notevole, spesso superando i 2000 e talora i 2500 m. s. m. Di gran lunga le maggiori pianure si stendono a settentrione, e dal nord verso il mezzogiorno o l'occidente il paese si va in massima irregolarmente sollevando.
La struttura geologica del paese può venire schematizzata così: a) Un grande blocco di rocce antiche, azoiche o cristalline, occupa, a guisa di immenso triangolo con vertice poco a nord della Morava serba od occidentale, tutto il sud-est dello stato. Gneiss e scisti vi predominano, ma numerosi, e talora assai estesi, vi sono gli espandimenti trachitici e granitici, e in alcuni bacini di sprofondamento si accumularono i depositi degli ultimi periodi del Terziario o quelli postpliocenici. b) Ampie estensioni di rocce secondarie occupano tutto l'O. e NO., mentre in larghe isole affiorano le rocce del Carbonico, e solo assai di rado compare qualche limitato espandimento trachitico o porfirico. I terreni cretacei sono più largamente diffusi all'esterno, verso l'Adriatico, e si estendono in un grande golfo nei bacini del Lim e dell'Ibar, a sud di Sarajevo. I terreni giurassici e triassici, che comprendono gli affioramenti del Carbonico, compaiono, invece, più nell'interno e nell'estremità nord-occidentale dello stato, e solo nelle Alpi Bebie (Velebit) e nei Gran Capella settentrionali accompagnano la costa adriatica. Terreni eocenici appaiono, invece, in sottili strisce lungo la costa dalmata, e più largamente a N. di Sebenico. c) Tutto il settentrione dello stato è costituito di terreni terziarî e quaternarî, e, lungo le valli fluviali, di depositi recenti. d) Una larga striscia di terreni cretacei, parte dell'arco carpato-balcanico, si stende nell'estremità nord-orientale. Dalle rocce cretacee emergono i terreni cristallini che costituiscono il prolungamento delle Alpi Transilvaniche, a sud delle Porte di Ferro, e quelli rappresentanti le maggiori elevazioni dei Balcani Occidentali; ma numerose altre isole vulcaniche, o degli ultimi periodi del Paleozoico o dei primi del Mesozoico, interrompono anch'esse l'unità delle rocce cretacee.
Anche l'orografia può, parallelamente e grossolanamente, schematizzarsi in: a) un massiccio triangolo di sollevamento antichissimo, con vertice poco a N. della Morava serba o occidentale e sempre più allargantesi di mano in mano che si proceda verso il mezzogiorno. È la zona montuosa più elevata e compatta dell'intera regione: numerose sono le vette intorno ai 1500 m. s. m., e alcune si avvicinano od oltrepassano i 2 mila metri. Il modellamento del suolo non mostra ben definite catene montuose nettamente orientate, ma la varietà delle rocce che lo compongono (tra le quali, se prevalgono gli gneiss e gli scisti, non mancano, come si disse, i terreni trachitici e granitici o quelli del Carbonico) e la presenza di ampî bacini di abbassamento, diversificano e frazionano il rilievo che appare costituito da estesi massicci montuosi separati tra loro da vasti bacini; b) un'ampia regione montuosa, che dall'estremità nord-occidentale dello stato occupa tutta la parte occidentale della Iugoslavia, giungendo sino ai suoi confini meridionali, e si prolunga nel territorio albanese. Estesa a N., così da abbracciare quasi tutta la Slovenia, si restringe poco più a S., nella Croazia, per largamente espandersi a mezzogiorno. Questa larga fascia montagnosa è costituita dalle Caravanche e dalle Giulie a N., separate tra loro dal carso carniolano; e alle Giulie si attaccano i rilievi dinarici, che sotto vario nome orlano la regione e si espandono verso mezzogiorno negli estesi altipiani interni della Croazia, della Bosnia, dell'Erzegovina e del Montenegro. Nati col sollevamento alpino, e assomiglianti alle Alpi Orientali per la natura geologica delle rocce, questi rilievi hanno forme differenti; ma tanto le catene quanto gli altipiani, le piattaforme elevate e le depressioni, hanno tutte direzione più o meno parallela alla costa adriatica. Spesso si raggiungono i 2000 metri e in qualche cima i 2500; c) una zona settentrionale costituente l'orlo e il fondo del bacino pannonico. A mezzogiorno della Sava e del Danubio essa è formata da una serie di rilievi che, per lo più a forma di terrazze, lentamente digradano verso la pianura pannonica. A mezzogiorno, in vicinanza della Sava e del Danubio, il suolo è formato da terreni mio-pliocenici e quaternarî, i quali ultimi rivestono da maggior parte del bacino pannonico, solo interrotti dalle alluvioni recenti dei fiumi. Ad occidente, tra Sava e Drava, rocce diverse formano i deboli rilievi della Slavonia; d) una zona nord-orientale, rappresentata da una parte dell'arco carpato-balcanico: essa comprende il prolungamento delle Alpi Transilvaniche, a mezzodì delle Porte di Ferro, e il versante di ponente di una parte della Stara Planina (Balcani Occidentali).
Il rilievo dell'estremità nord-occidentale dello stato, parte del sistema alpino, è costituito, nella sua ossatura, dalle due catene delle Caravanche e delle Giulie, nei loro versanti rivolti verso la Sava. Le Caravanche oltrepassano i 2500 m. nel Grintovec, nelle Kamniške Alpi; e quest'altezza superano anche le Giulie nel Tricorno (m. 2863), nel Ialluz (m. 2655), nella Rogizza (m. 2584).
La regione dinarica occupa tutto l'occidente della Iugoslavia. I suoi rilievi sono formati dalle catene che continuano le Giulie lungo l'Adriatico, e dagli altipiani che si svolgono nell'interno, riallacciandosi ai rilievi della Serbia occidentale. La regione montuosa è formata a N. dalle Alpi Bebie (Velebit), che si elevano in gigantesca, arcuata muraglia, lungo la costa croata, ad altezze notevoli (Vaganski Vrh, m. 1758; M. Sveto Brdo, m. 1753; M. Badanj, m. 1629), e che, coi Capella, di poco meno alti di esse (Bijela Lasica, m. 1533, M. Viševica, 1428 m.; ecc.), i Pljesevica (m. 1675) e il gruppo del Javornik (m. 1552), chiudono, il grande altipiano della Lika. A oriente dei Capella e dei Plieševica si stende, assai inferiore per altezza, il Carso croato. A mezzodì delle Alpi Bebie si apre tutta la serie di piattaforme dinariche, le quali, da un'altitudine di alcune centinaia di metri lungo la costa, con immensi gradini si portano sin quasi ai 2000 metri. Al disopra della piattaforma più elevata si ergono possenti le maggiori cime, quali il Durmitor (metri 2483), il Maglič (metri 2387) e altre ancora. Costituita prevalentemente di calcari secondarî, la regione è caratterizzata dallo sviluppo del fenomeno carsico. Assai di frequente infatti vi si incontrano lapiaz e doline di poche diecine di metri di diametro: uvalas comprendenti spesso una serie di doline e lunghe oltre un chilometro; polja o conche carsiche che raggiungono talora 60 km. di lunghezza e 10 o 15 di larghezza. Le rare valli, incassate nei calcari a guisa di cañon e non più larghe del fiume stesso che le ha originate, si perdono nelle piattaforme carsiche; e i corsi d'acqua, che appaiono nel fondo stesso delle cavità carsiche, presto s'ingolfano nel sottosuolo. Rare vi sono le sorgenti, e in molte zone l'acqua manca del tutto. La purezza del calcare che quasi non lascia residuo insolubile; le frequenti fessurazioni del suolo, attraverso cui i materiali di decomposizione e gli altri terreni mobili sono assorbiti; la violenza della bora, a cui è soggetta una parte della regione, lasciano spesso nuda la roccia o ne rendono assai misero il rivestimento vegetale. Lungo il versante adriatico, solo in piccole aree riparate dalla bora o nel fondo delle cavità carsiche si raccoglie la terra rossa, buona per le colture. Assai meglio rivestiti di vegetazione e di colture sono invece gli altipiani interni. Il carso dinarico si divide in: regione delle planine o delle montagne; regione del primorje, o litorale adriatico, e regione della zagora, che s'intercala tra le due.
La regione che occupa la parte meridionale della Iugoslavia può dirsi regione cristallina o del Rodope, poiché di quel blocco cristallino può considerarsi parte. Va da poco a N. del corso della Morava occidentale sino ai confini meridionali dello stato e comprende approssimativamente la Serbia centrale e quella di mezzodì. È unificata dalle valli della Morava e del Vardar, che formano l'asse longitudinale verso cui gravita il territorio circostante, e dalle forme del suolo fortemente accidentate. Compresa tra i due sistemi a pieghe: quello dei rilievi dinarici e quelli carpato-balcanici, che in essa vennero a contatto con l'antico blocco cristallino, la regione è costituita dalle rocce più diverse. Vi prevalgono gli gneiss e gli scisti; e frequentissimi, e talora assai ampî, vi sono gli espandimenti vulcanici provocati dall'urto del ripiegamento alpino con il blocco azoico. Ma rocce devoniche e carboniche appaiono qua e là a giorno; sviluppati, in special modo a occidente, sono i terreni cretacei; alcuni ampî bacini sono ricoperti da una coltre mio-pliocenica e di depositi quaternarî e recenti. La varietà delle rocce è una delle cause della varietà del paesaggio, caratterizzato dalla frammentarietà e dall'asprezza del rilievo, in mezzo al quale si trovano numerosi bacini, chiusi da erte pareti e collegati tra loro da anguste gole. Il rilievo spesso raggiunge grande altezza: nella Šar Planina, tra i bacini di Tetovo, Metohija e Kosovo (Ljubotin, m. 2510, Babašnica, metri 2487; Kobilica, metri 2371); nel gruppo dei Karadag (Crna Gora) che incombe sul bacino di Skoplje; nel gruppo dei Kopaonik, nella vallata dell'Ibar (Gobelja, m. 2073; Suho Rudište, m. 2106); nella Golija Planina, m. 1931, sulla sinistra dello stesso fiume; nel gruppo del Jastrebac, m. 1556, e nella Suha Planina e Ruj Planina; mentre i bacini da esso dominati hanno in generale un'altitudine di appena poche centinaia di metri.
Tutti quanti questi bacini erano riempiti, durante il Pliocene, ricorda il Cvijić, da grandi laghi, che comunicavano tra loro per mezzo dei colli profondi o delle valli prelacustri, e poi s'isolarono alla fine del Pliocene. Il loro suolo ne è risultato di depositi lacustri, e spesso i declivî dei monti che li recingono presentano terrazze della stessa origine. Alcuni bacini, circondati da monti assai alti, sono caratterizzati da potenti conoidi di deiezione o da morene diluviali e ciottoli fluvioglaciali; mentre le valli più larghe conservano anch'esse qua e là depositi lacustri o alluvioni fluviali. Ma la vegetazione e le influenze climatiche hanno trasformato il materiale superficiale, di qualunque origine, in humus e terra nera, che raggiungono uno spessore considerevole.
A settentrione, la Šumadija, la quale rappresenta l'orlo e il fondo dell'antico lago pannonico, è una piattaforma che lentamente declina verso Danubio e Sava.
A N. del Danubio, si stende la Voivodina, formata da una distesa di terreni quaternarî e solcata da Danubio, Tibisco, Tamiš e loro affluenti. Ma per la debole pendenza del suolo questi fiumi scorrono pigri, lenti, tortuosi e spesso, inondando, nel passato soprattutto, la pianura circostante, depositarono in zone assai estese i loro sedimenti, che rendono la regione una delle pianure più fertili. Nelle immediate vicinanze dei loro corsi, le troppo frequenti inondazioni fanno piuttosto paludoso il suolo; ma di mano in mano che ci si allontana dai fiumi, argille e sabbie diluviali ricoprono i ciottoli e i sedimenti neogenici.
Tra Sava, Drava, Danubio si stende la Slavonia, che comprende anche il Sirmio, nella sua parte orientale. Meno uniforme della Voivodina, i depositi mio-pliocenici formano a ovest una larga isola fra i terreni quaternarî; da quest'isola emergono le colline della Bilo Gora, plioceniche, e varî gruppi vulcanici o cristallini. Anche Sava e Drava hanno depositato lungo i loro corsi, in abbondanza, materiali recenti, che a valle ancor più si espandono, confondendosi con quelli portati dalla Bosna, dalla Drina, dal Danubio, dal Tibisco e dai rispettivi affluenti; mentre tra Danubio e Sava si allunga una lingua di terreni quaternarî, sovrastata dalla Fruška Gora.
Alla Šumadija si riallaccia l'estremità nord-orientale dello stato, il bacino del Timok, costituito dalle propaggini meridionali delle Alpi Transilvaniche e dalla Stara Planina. Chiuso da monti che in generale non raggiungono i 1500 m. e unito al bacino della Morava per mezzo di bassi colli che facevan comunicare tra loro i rispettivi laghi pliocenici, il bacino del Timok presenta le stesse forme lacustri della Šumadija, e a questa si avvicina per le colture e la popolazione.
Coste e isole. - Dalle forme e dalla natura del suolo e da un abbassamento della regione che si affaccia sull'Adriatico, abbassamento che deve essere avvenuto in tempi geologici abbastanza recenti, deriva alle coste della Iugoslavia il loro carattere di frastagliamento e il numeroso corteggio di isole che le orlano.
Da poco a sud di Fiume sino alla foce della Boiana, nel golfo del Drin, la costa iugoslava si svolge per oltre un migliaio e mezzo di km. (1590 km.) nella direzione generale seguita dal rilievo dinarico, da NO. a SE. e presenta in quasi tutta la sua lunghezza un frastagliamento minuto, continuo, irregolare, e tutta una serie di insenature più o meno anguste e riparate.
Circa un migliaio di isole (914) tra grandi e piccole, si allungano a poca distanza dalla costa (v. dalmazia). Allineate nella stessa direzione dei rilievi dinarici e spesso disposte in ripetute serie, assai agili e snelle di forme e separate tra loro o dalla costa per mezzo di canali meridiani stretti e profondi, presto rivelano la loro natura continentale. Esse, infatti, rappresentano i residui subaerei della regione sommersa probabilmente per bradisismo; e le acque del mare, penetrando nelle valli longitudinali, formarono gli stretti e profondi canali che le separano dalla costa e tra loro, e, infiltrandosi anche nelle valli e vallecole secondarie, formarono il dentellato orlo costiero.
Idrografia.- Caratteri e natura geologica del rilievo contribuiscono assai più del clima a determinare l'idrografia della regione. L'assenza di una catena assiale, e, il più delle volte, anche di nette linee di spartiacque; il frazionamento del rilievo in unità distinte e la frequenza di altipiani di altezza non molto diversa o di bacini chiusi appena comunicanti tra loro per mezzo di anguste valli o di colli soltanto, dànno anche alla rete idrografica caratteri d'incertezza e di frazionamento. Lo sviluppo dei terreni carsici nella regione dinarica comunica all'idrografia del bacino adriatico i caratteri proprî del carsismo.
All'Adriatico manda le sue acque la maggior parte della regione dinarica. La linea di spartiacque, assai meglio segnata che altrove, ma pure talora incerta, corre non lontano dalla costa. La rete idrografica superficiale, per la natura carsica delle rocce, è estremamente povera. Le acque, che cadono abbondanti specie in vicinanza dei rilievi o sui monti più alti, presto si disperdono nelle fessurazioni del calcare per ricomparire a valle, non lontano dal mare, dove si raccolgono in corsi, brevi di lunghezza ma relativamente ricchi di portata. E ricche di acqua, ma assai variabili nella portata, sono pure le rare sorgenti che compaiono nelle depressioni o nelle incisioni del rilievo. Dopo la Fiumara, che scorre presso Fiume, bisogna giungere sino alla piattaforma di Scardona, per trovar corsi d'acqua di una certa importanza. Si incontra dapprima la Zermagna, lunga appena 80 km., che si getta in fondo al Canale della Morlacca, nella baia di Novegradi. Quindi la Cherca, lunga 111 km., che si getta con otto cascate in fondo al Golfo di Sebenico. Di quasi uguale lunghezza, è la Cetina (96 km.), che sfocia nel Canale di Brazza; invece lunga il doppio è la Narenta (v.), il maggior fiume di tutta la regione (218 km.).
Poco più a S., presso Ragusa, si getta l'Ombla, che, come il Timavo, ha corso sotterraneo e nasce presso la costa, con una sorgente assai ricca di acque. Di alcuni di questi fiumi è navigabile, da imbarcazioni di stazza più o meno grande, il corso inferiore: la Cherca da Scardona al mare: la Narenta da Metcovich sino alla foce. Nessun fiume di qualche importanza sfocia nell'Adriatico lungo la costa montenegrina. La Morača, che accoglie la Zeta, si versa nel Lago di Scutari, di cui è emissario la Boiana, confine tra Iugoslavia e Albania. Tuttavia, una parte della Serbia e anche un piccolo lembo del Montenegro mandano le proprie acque all'Adriatico per mezzo del Drin Bianco e del Drin Nero. All'Egeo corre il Vardar (v.) lungo circa 350 km., di cui 264 entro i confini dello stato iugoslavo.
Per il carattere delle piogge, per la natura geologica e la nudità dei terreni che dànno loro origine o sono da essi attraversati, così i fiumi che si gettano nell'Adriatico come quelli che vanno all'Egeo hanno portata molto variabile, e talora, durante le forti siccità estive, molti di essi si prosciugano quasi del tutto.
Ma di gran lunga la maggior parte del paese manda, per mezzo della Sava, della Drava e della Morava, le proprie acque al Danubio, che le convoglia nel Mar Nero. Svolge tutto il suo lungo corso (940 km., maggiore di quello del Po), in territorio iugoslavo, la Sava, che con i suoi affluenti e subaffluenti di destra, i quali hanno le sorgenti nell'interno del paese o addirittura in vicinanza della costa adriatica, raccoglie anche le acque di buona parte della regione dinarica settentrionale e centrale.
Il più lungo di tutti, la Drina (461 km. circa, più lunga dell'Adige), formata dalla Piva e dalla Tara, riceve, nel suo corso alto, il Lim, e tutti e tre questi fiumi hanno per loro bacino buona parte del Montenegro. Le loro sorgenti sono separate solo a mezzo di qualche esile dorsale da quelle della Narenta, della Zeta, della Morača e del Drin Bianco, che defluiscono all'Adriatico. La Bosna, il Vrbas e l'Una, portano alla Sava le acque della Bosnia; la Kupa (Culpa), che nasce a pochi km. dall'Adriatico, con i suoi affluenti di destra (Korana, Glina, ecc.), quelle della Croazia. Alcuni di questi affluenti sono navigabili solo per tratti assai brevi; invece la Sava è tale per ben 600 km. sino alla confluenza con la Culpa.
La Drava attraversa il territorio iugoslavo in diversi tratti o fa da confine al nuovo stato. Assai più importante è la Morava, che, insieme col Vardar, costituisce l'unica vera arteria longitudinale del paese, verso cui gravitano regioni impervie e isolate. È il fiume serbo per eccellenza, poiché disserve quasi tutta la Serbia centrale e settentrionale: nasce da due rami, la Morava meridionale (Južna Morava) e la Morava occidentale (Zapadna Morava), che uniti formano la Grande Morava (Velika Morava). Alla sinistra il Danubio riceve in territorio iugoslavo il Tibisco, proveniente dall'Ungheria, e poi il Tamiš, che viene dalla Transilvania. Alla sua destra accoglie ancora la Mlava e il Pek, e, più a oriente, al di là delle Porte di Ferro, il Timok dal bacino limitato.
In complesso la Iugoslavia manda la maggior parte delle sue acque al Danubio, che l'attraversa da poco a S. di Mohács sino a BaziaŞ, donde segna il confine con la Romania, sino alla confluenza del Timok. Ma poco risente il grande fiume dell'apporto delle acque iugoslave, e ancora a valle di Belgrado il suo regime dipende essenzialmente da quello dei fiumi alpini e dell'Europa centrale o da quello dei fiumi che scendono dall'arco carpatico-transilvano. Entro i confini dello stato il Danubio scorre per oltre 500 km., tutti navigabili.
Laghi. - Per la natura carsica della regione dinarica e per il modellamento del suolo delle regioni interne, assai irregolare, con ampie fratture e bacini più o meno chiusi, la Iugoslavia conta tuttora numerosi laghi, e più ne contava in passato. Diversa è la loro origine e la loro grandezza. Numerosi, nella regione alpina nonché nei rilievi dinarici o in quelli dell'interno, che conobbero anch'essi i ghiacciai, sono i laghetti di origine glaciale. Anche più numerosi sono quelli di origine carsica, di cui alcuni solo temporanei; e quelli di origine tettonica. Frequentissimi, specie nella pianura pannonica, i laghi e le paludi alluvionali.
Mentre però dei laghi interamente iugoslavi nessuno raggiunge dimensioni grandi (il maggiore è il lago di Vrana in Dalmazia), la Iugoslavia divide con l'Albania il possesso dei due grandi laghi di Scutari e di Ochrida (Ohrid); con l'Albania e la Grecia quello del Lago di Prespa. Il maggiore di questi laghì è quello di Scutari (Skadarsko Jezero), che, grande quasi quanto il Lago di Garda, si stende su di una superficie di circa 370 kmq., di cui circa ⅔ appartengono alla Iugoslavia. I laghi di Ohrid (Ohridsko Jezero) e di Prespa (Prespansko Jezero) sono entrambi poco più grandi del lago Maggiore; tagliato dal confine greco-iugoslavo è anche il laghetto di Dojran.
Clima. - Il solo porsi dinnanzi una cartina fisica della regione balcanica basta a far intendere, nelle sue linee generali, i caratteri climatici della Iugoslavia. Il nuovo stato non si allunga molto in latitudine, e perciò questo fattore climatico interverrà soltanto in piccola parte a modificare i caratteri climatici delle varie sue regioni, che saranno invece dominati dall'andamento dei rilievi, dalle forme topografiche del suolo e, naturalmente, dall'altitudine.
A occidente, una più o meno continua barriera montuosa si allunga, toccando notevoli altezze, in vicinanza della costa e contrasta alle influenze climatiche del mare, non soltanto tutto l'interno del paese, ma anche luoghi assai vicini all'Adriatico. Solo la stretta fascia costiera, oltre alle isole, ha perciò, da questo lato, clima mediterraneo; e la diversità di clima e di vegetazione dalle altre regioni dello stato e l'isolamento fisico, per le difficili comunicazioni con l'interno, dànno alla Dalmazia una sua particolare fisionomia fisica ed economica, che, ripercossasi nella sua storia e nei caratteri della sua popolazione, ne fa indubbiamente una regione separata a sé stante. Solo nelle valli, e in quella della Narenta in special modo, per la sua maggiore ampiezza, penetrano per alcuni chilometri nell'interno gl'influssi climatici dell'Adriatico: ma assai presto vengono dominati dal clima dell'interno. Nella zona a clima mediterraneo sono miti le temperature; deboli le escursioni; abbondanti le piogge, che raggiungono un metro o un metro e mezzo, e cadono soprattutto in inverno e primavera, ma sono sempre di breve durata. Sui monti o in qualche zona chiusa, esse raggiungono cifre assai maggiori, come a Cattaro. La fascia costiera a clima mediterraneo non è larga per lo più se non qualche chilometro, e non si eleva al di sopra dei 200 m. s. m. Con l'elevarsi del suolo in immediata vicinanza della costa, anche il clima muta radicalmente, ed il passaggio dall'una all'altra regione climatica è infatti fra i più bruschi che si possano registrare.
Il forte dislivello di altezza tra costa e monti vicini e la nudità delle rocce rendono poi frequente la bora, che scende impetuosa, asciutta e tagliente dai rilievi al mare, per la differenza di pressione spesso causata dalla diversità delle temperature, ed essicca gli alberi, sradica le piante, solleva qualche volta i tetti. Le colture mediterranee devono ripararsi da essa, e sono costrette a rifugiarsi nei luoghi più protetti.
A mezzodì, verso l'Egeo, il paese è chiuso ai venti meridionali da una serie di alti rilievi, che si aprono solo nella valle del Vardar. E per questa appunto, sin quasi a Veles, s'insinua un golfo di clima mediterraneo, attenuato dalla vicinanza degli alti monti e dal clima che domina nella regione circostante.
Eccettuate queste due ristrette regioni, il paese, chiuso alle influenze marittime e aprentesi solo verso la pianura pannonica, anch'essa a sua volta nettamente conchiusa, ha clima continentale, con estate calda, inverno rigido e precipitazioni estive. Le forme del suolo, però, così per la varia altezza e la diversa orientazione del rilievo come per la presenza di numerosi bacini profondamente incassati nella montagna, modificano i caratteri del clima anche da un luogo all'altro di una stessa regione, a seconda della sua altitudine e ancor più della sua situazione topografica. Ma, a parte queste differenze locali, dovute soprattutto alla situazione topografica dei singoli luoghi, è possibile distinguere alcune differenze più generali nella vasta regione a clima continentale. Più che le temperature, ce le mostrano la diversa quantità delle piogge cadute e la loro distribuzione entro l'anno.
Nella regione nord-occidentale o alpina, che possiamo approssimativamente identificare con la Slovenia, gl'inverni sono rigorosi, piuttosto calde le estati, abbondanti le precipitazioni, che oltrepassano il metro in pianura e cadono specialmente in estate. Le nebbie occupano quasi in permanenza il fondo dei bacini, durante tutta la stagione invernale.
Nella regione occidentale, e cioè negli altipiani della Bosnia, dell'Erzegovina, del Montenegro e della parte della Serbia che confina con essi, per l'elevatezza del rilievo e la profondità dei bacini, egualmente freddo è l'inverno - e il freddo, per l'inversione della temperatura, è più rigido nel fondo dei bacini -, relativamente fresca l'estate, anche più abbondanti le piogge - un metro o un metro e mezzo -, le quali cadono in prevalenza nelle stagioni intermedie e in generale diminuiscono verso oriente, con lo scemare dell'altezza dei monti.
Nella regione settentrionale, comprendente le pianure del bacino pannonico e le regioni di transizione che verso esso digradano, l'inverno è un po' meno rigido, sebbene per giorni e giorni, e talora per una o due settimane intere, si faccia sentire la košava, vento affine alla bora, freddo, asciutto e violentissimo, che discende dall'arco carpato-balcanico e apporta gravi danni alla vegetazione, specie agli alberi da frutta. Calde vi sono le estati: più nella pianura vera, un po' meno nelle regioni accidentate. Meno abbondanti le precipitazioni, che variano fra gli 800 e i 600 mm. e vanno diminuendo, come il rilievo, dalle regioni occidentali verso quelle orientali e settentrionali. Cadono in maggior quantità alla fine della primavera e nell'autunno, ma sono distribuite abbastanza durante tutte le stagioni, nelle zone accidentate; frequenti, invece, nella pianura sono le siccità estive. Secondo lo Cvijić, il clima della Šumadija è catatterizzato da "un lungo autunno, che, dopo un breve periodo di freddo, si prolunga sin quasi a dicembre; clima dolce e umido, assai favorevole alle colture dei campi e degli orti".
E clima non molto diverso da quello della Sumadija ha la regione che si stende a mezzogiorno di essa, dove si fa sentire soprattutto la varietà delle forme del suolo. I bacini meno incassati, come quello di Skoplje, son più caldi e asciutti; quelli chiusi da alti monti, come Kosovo, hanno inverni lunghi ed estati relativamente fresche. Ma già nella Serbia meridionale si fa avvertire l'influenza dell'ampio golfo di clima mediterraneo penetrante nella valle del Vardar sino a Veles, e se ancora abbastanza rigorosi sono gl'inverni, più lunga vi è l'estate e più comune l'assenza di piogge durante i mesi estivi.
Fauna. - La fauna della Iugoslavia non offre caratteristiche peculiari, rientrando perfettamente nel complesso faunistico dell'Europa centrale e della regione balcanica. Le specie che vi s'incontrano sono quindi comuni alla fauna centro-orientale europea. Tra i Mammiferi notiamo varî pipistrelli, insettivori, carnivori tra i quali il lupo, la volpe, varie martore, molti rosicanti (Sciurus, Eliomys, Lepus, Mus, Micropus). Fra gli Uccelli la beccaccia, l'occhione, la gallinella, la cicogna bianca e la nera, varie Ardee, alcuni gallinacei, molti rapaci, rampicanti, passeracei e palmipedi. I Rettili e gli Anfibî annoverano un discreto numero di specie, particolarmente di lacertidi, ofidî, cheloni, anuri e urodeli. Ben rappresentati anche i pesci d'acqua dolce. Estesissima la schiera degl'invertebrati terrestri con numerosi artropodi, specialmente insetti, e molluschi terrestri e d'acqua dolce.
Etnografia. - I gruppi meridionali degli Slavi, diretti nel loro lento moto di migrazione verso le provincie balcaniche dell'Impero d'Oriente e verso il Carso illirico, furono separati dai loro parenti settentrionali dall'invasione magiara del 900. Ma fin dall'800 la fondazione di stati indipendenti, sottoposti a influssi culturali dall'oriente e dall'occidente, mette in luce l'individualità dei Croati e dei Serbi, e, in modo meno marcato, quella degli Sloveni.
Gli Sloveni poi (oltre 1 milione, nel 1921), per la vicinanza dei Tedeschi, ed essendo stati in parte sotto il dominio di conti e duchi tedeschi, hanno in sostanza adottato il tipo di vita delle Alpi orientali; ma appartenendo nel passato all'antico patriarcato di Aquileia hanno subito anche l'influenza italiana. I Croati, anch'essi cattolici romani, sono fissati fin dal VII secolo nelle regioni carsiche adriatiche estendentisi nell'interno fino oltre la Sava. I maomettani della Bosnia provengono per lo più da antiche famiglie indigene, che appartenevano fino al sec. XIV alla setta cristiana dei Bogomili. I cosiddetti Morlacchi (dal gr. maurovlachoi, "Valacchi neri", perché vestiti di mantelli neri di lana di pecora, che parlavano in origine una lingua neolatina, erano pastori nomadi provenienti dalla regione balcanica interna e danubiana: la loro invasione si spinse fino alle isole dalmatiche e all'Istria, quando nei secoli XIV e XV fuggirono davanti ai Turchi. Di fronte all'influsso culturale italiano svolgentesi nel Medioevo dalla regione costiera, e rappresentato più tardi dai dominî e dalla cultura della repubblica di Venezia, si contrappose dall'interno sin dal sec. XIV la dominazione politica dei Turchi, innestata in parte sulle tradizioni dell'Impero romano d'Oriente: come effetto di questo dominio la Iugoslavia alberga ancora nella sua popolazione un grandissimo numero di maomettani.
I Serbi occupano sin dall'alto Medioevo le montagne oltre lo spartiacque danubiano-adriatico. La loro organizzazione statale si svolse perciò principalmente sotto l'influsso della civiltà romana orientale, andando di pari passo con la fondazione d'istituzioni chiesastiche ortodosse.
Nella parte meridionale del regno, i Macedoni rappresentano una popolazione particolare sia nella lingua sia nella cultura. Nella zona sud-orientale di questo paese, specialmente nel Piano di Kosovo, lo stato iugoslavo ospita poi un gran numero (circa 450.000) di Albanesi. Lungo la Drava e il Danubio, la vecchia "marca militare" austriaca, si insediarono dopo il 1730 colonie croate provenienti dalla Dalmazia e dalla Lika; e nel 1730 vi ebbe luogo una forte immigrazione di Serbi. Nella Voivodina abitano poi ancora (dati del 1921) circa 472.000 Magiari e 74.000 Romeni; numerosi Romeni abitano inoltre nei dintorni di Negotin, città posta presso il confine con la Romania e con la Bulgaria, nella regione detta Krajina. La bonifica della Voivodina fu compiuta però principalmente da Tedeschi, coloni provenienti dalla Germania sud-occidentale, i quali diffusero in tutto il paese la coltura agricola e rurale oggi dominante e rappresentano tuttora un elemento assai importante della popolazione (513 mila nel 1921).
La vita rurale slovena s'identifica, come si è detto, con quella delle Alpi meridionali: sono da notare la presenza degli essiccatoi per il fieno (ladino rescanne), che non oltrepassano a E. il confine linguistico sloveno, e l'apicoltura praticata in cassette del tipo mediterraneo. L'abitazione è molto somigliante a quella delle Alpi tedesche; la casa è di legno, costruita però su fondamenta di pietra, con cucina e tinello provvisto di stufa. Questo tipo di abitazione si è diffuso anche nelle abitazioni rurali delle regioni boscose della Croazia e della Bosnia.
L'abbigliamento popolare sloveno è pure molto simile a quello alpino tedesco, eccettuato il costume estivo, che consiste in lunghi pantaloni di tela bianca e camicia sovrapposta per gli uomini, e camice con cintura per le donne. Un costume analogo, che corrisponde meglio a quello antico sloveno, si è mantenuto nel distretto di Kočevje (Gottschee), dove i Tedeschi si sono insediati a partire dal sec. XIII.
Nei paesi boscosi della Carniola si fabbricano, fin dai tempi più remoti, oggetti casalinghi e agricoli in legno, come pale, forche, rastrelli, recipienti, grandi e piccoli, ecc. Un'industria molto diffusa è anche quella dei panieri. Per contro gli oggetti di maiolica, come boccali di vino, erano importati un tempo da Pordenone e da Pesaro.
Socialmente si attribuisce agli Sloveni un carattere di sensibilità, e il canto popolare vi ha un notevole valore musicale. Le chiese frequentate dai pellegrinaggi popolari si trovano per lo più sulle alture, alcune forse al posto di luoghi di culto pre-cristiano, e fino alla Croazia s'incontrano feste religiose, doni votivi, e immagini sacre, che portano l'impronta d'influenze occidentali.
Nelle pianure fluviali della Sava e del Danubio predomina la masseria con la casa costruita nello stile tedesco, composta di cucina, tinello e camere e spesso provvista di un portico di legno artisticamente lavorato. I granai di legno sono anche ornati con intagli e pitture. Questi servono per tutta la comunità (zadruga), rappresentata qui dalla grande famiglia. Le zone soggette a inondazione nei piani della Sava hanno anche costruzioni a travature sopraelevate su pali, spesso negli stessi luoghi che hanno rivelato villaggi preistorici su palafitte (Donja Dolina). Il costume, che segue ancora l'antica moda, è dotato di ricchi ricami a colori e applicazioni di nastro, specialmente sui fazzoletti per il capo, le camicette, i grembiuli e i mantelli senza maniche delle donne. I cappucci femminili erano un tempo ornati con l'antichissimo "punto tagliato" o con ricamo Gobelin. Del resto anche i Serbi e i Romeni delle fertili regioni danubiane hanno sviluppato un'arte tessile e del ricamo ugualmente ricca.
Il Carso illirico, utilizzato più che altro come pascolo per le greggi vaganti di pecore e di capre, e in minima parte per la piccola razza bovina indigena, nei territorî disboscati mostra ancora le case costruite senza cemento, con sole pietre sovrapposte a secco e il tetto di paglia. All'interno arde un fuoco aperto nell'unica stanza usata per cucinare e per abitare, dove, in passato, si dormiva coricati su un pagliericcio o su una coperta di lana. A questo tipo di vita appartengono anche la primitiva lavorazione della lana di pecora per abiti, gli antichi attrezzi per filare, artisticamente lavorati, le coppe di legno dei pecorai. Hanno durato a lungo in questi territorî, specialmente nel Montenegro, le abitudini di guerriglia, le lotte gentilizie e le vendette, dimostranti indubbiamente coraggio e abilità guerriera.
Dove l'influsso della civiltà italiana è più evidente è nella regione costiera e nelle fertili campagne, ove prosperano la vite, i fichi, gli ulivi e i legumi mediterranei, che si coltivano con sistemi tradizionali appresi in parte già dai Romani. Nei villaggi si trovano, qui, buone costruzioni in pietra e tetti di tegole, e anche l'interno dell'abitazione con le sue cucine a camino, gli attrezzi del focolare e tanti altri oggetti, ripete fedelmente il quadro di un interno rurale italiano. In queste regioni s'importavano una volta molte ceramiche italiane, merletti e ricami per ornare le vesti, e l'oreficeria indigena aveva raggiunto lo sviluppo di una vera industria artistica influenzata da Venezia, ma sulla base degli antichi stili indigeni.
Nelle città poste al di là del versante costiero si fa già più palese l'influsso della civiltà turca, che si basa su tradizioni bizantine; questo si vede ad esempio nella distribuzione dei mestieri al modo dei bazar, nell'esclusione della donna dalla vita pubblica, nell'abbigliamento della donna stessa e nello stile dei costumi di gala.
Nelle montagne boscose del territorio serbo centrale e sud-occidentale si è conservata anche un'economia essenzialmente pastorale; nell'ultima delle due regioni vivono ancora pastori nomadi. Altrove prevale invece per l'allevamento il sistema delle cascine alpestri. Qui predomina l'insediamento ad abitazioni rurali isolate e sparse, derivate dalla divisione delle antiche comunità familiari. Oltre all'allevamento del bestiame vi si trova un po' di agricoltura e frutticoltura. Diffuso è specialmente il susino, dal cui frutto si fabbrica anche una bevanda alcoolica. Le case sono costruite in travatura, e le stalle per il bestiame conservano in alcuni casi la forma di capanna conica fatta di pali con una copertura di paglia.
Il costume è qui molto semplice e per gli uomini è composto di lunghi pantaloni di lana di pecora, color marrone, di calzettoni pesanti e di scarpe tagliate in un pezzo di cuoio. A questo si aggiunge la giacca, la sottoveste, e un berretto nero di pelle d'agnello. Le donne portano un camice, uno o due grembiuli e un ampio soprabito senza maniche.
Nella Macedonia l'influenza orientale nell'abitazione è marcata in modo particolarmente sensibile. Vi predomina infatti la casa di mattoni seccati al sole; il costume femminile ha ricche ornamentazioni che variano a seconda dell'età e dello stato civile. Sviluppatissima è l'arte tessile praticata dalle donne.
Dati statistici sulla popolazione. - Secondo il censimento del 31 gennaio 1921, la Iugoslavia contava una popolazione di abitanti 11.984.911, che sono saliti a 13.930.918 secondo il censimento del 1931. La tabella che segue mostra come essi si distribuiscono nei nove banati in cui si divide la Iugoslavia.
Tre quarti della popolazione del nuovo regno e cioè, secondo i dati statistici del 1931, oltre dieci milioni d'individui, hanno un'unica lingua letteraria il serbo-croato (v. serbocroata, lingua; per la regione macedone v. però anche bulgaria: Lingua; macedonia), alla quale fanno riscontro diversi dialetti e l'adozione prevalente dell'alfabeto latino nell'occidente e di quello cirillico nelle regioni più orientali. Accanto a essi un altro milione d'individui parla sloveno (v. sloveni); 174 mila individui usano altre lingue slave. Ma tre gruppi di alloglotti, di circa mezzo milione d'individui ciascuno, parlano il tedesco, l'ungherese, l'albanese. Gruppi minori parlano il romeno coi dialetti cutzo-valacchi, l'italiano, e altre lingue.
Ecco come si divide la popolazione della Iugoslavia secondo le lingue principali.
Questi dati, desunti in base ai dati ufficiali del 1931, sono da accogliersi con qualche cautela, specialmente per quanto riguarda alcune minoranze. Particolarmente sospetto è inoltre il dato di 8860 Italiani denunziati ufficialmente.
I nuclei maggiori di alloglotti si trovano nel NE. e nel SO. dello stato. La maggior parte dei Tedeschi e degli Ungheresi è nella Voivodina. Praticamente, i Tedeschi e gli Ungheresi costituiscono, secondo le stesse statistiche iugoslave, oltre la metà della popolazione della Voivodina, e nelle loro mani è buona parte dei commerci e delle industrie delle città e la coltivazione di molte campagne. I Tedeschi si trovano in nuclei più compatti nelle regioni centrali e nord-orientali del Banato, nella Bačka occidentale, nel mezzodì della Baranja. I Magiari penetrano entro i confini del nuovo stato lungo il Danubio e lungo il Tibisco, sin quasi alla metà del corso di questo fiume al di qua della frontiera, o si svolgono ad anello intorno al distretto di Subotica, o sono sparsi in altri luoghi della Voivodina. Ma Tedeschi e Ungheresi si trovano anche in altre regioni dello stato; i secondi formano isole compatte sin presso Belgrado; mentre un'ampia e compatta isola tedesca si trova a nord della Culpa, intorno a Kočevje, e tedesca è parte della popolazione di molte città slovene e segnatamente di Marburgo (Maribor), Ptuj e Celie. Anche in Slovenia gli Ungheresi sconfinano al di qua della frontiera, e nuclei minori magiari o tedeschi si trovano anche a mezzodì della Sava.
Anche nella Voivodina si trovano forti nuclei romeni, soprattutto nel Banato meridionale; ma essi in special modo prevalgono a settentrione del Timok, nell'estremità nord-orientale dello stato, dove per lo più esercitano l'agricoltura. Nel mezzogiorno del nuovo regno, invece, parlano albanese oltre tre quarti degli abitanti della vasta regione che dalla Šar Planina, dalla Crna Gora e dall'alto Vardar a nord di Skoplje, va sino alla Kopaonik Planina o all'alto corso dell'Ibar, e dal confine dell'Albania si allarga sino alla Morava meridionale. I rimanenti alloglotti parlano l'italiano, il turco o lingue diverse.
Nel complesso gli alloglotti sono, anche secondo le fonti ufficiali, poco meno di due milioni d'individui, cioè circa il 14% della popolazione totale (altri calcoli ne fanno salire di molto il numero), mentre a meno di 500.000 ascendono, sempre secondo dati ufficiali, gli Iugoslavi rimasti al di là dei confini. Importante, nei riguardi della coesione dello stato, è il fatto che gli alloglotti sono distribuiti di solito in nuclei compatti nelle regioni periferiche, in prossimità dei confini.
Comunque, nei riguardi della lingua esiste, in questo regno, una notevole maggioranza che parla lingue slave meridionali. Per religione, invece, questi popoli sono divisi quant'altri mai tra l'ortodossia, il cattolicismo, l'islamismo, e uno stesso popolo partecipa alle tre confessioni dominanti.
Ecco qual è la divisione della popolazione secondo la religione (i dati sono quelli del censimento iugoslavo del 1931).
Prevale la religione greco-ortodossa, e la sua area di diffusione coincide su per giù con l'area occupata dai Serbi o con quelle in cui costoro s'infiltrarono: occupa, infatti, tutta la Serbia, comprese anche la regione dove prevalgono popolazioni romene; oltrepassa solo in isole più o meno ampie il Danubio nella Voivodina; penetra profondamente nel carso bosniaco e croato: sino alla Culpa e alla Sava a settentrione, al 44° Parallelo, a mezzodì, toccando quasi il corso medio della Bosna a est e i Capella a occidente; si allarga, infine, in una grande isola comprendente l'intero Montenegro. E queste due maggiori isole sono separate dalla massa maggiore di gente ortodossa per opera delle infiltrazioni dell'islamismo, a cui si convertirono molte popolazioni della Bosnia, dell'Erzegovina e della Serbia meridionale e tutta quanta quella albanese rimasta al di qua dei confini iugoslavi. L'islamismo fu importato dai Turchi, che dominarono per tanti secoli in queste regioni; la fede greco-ortodossa venne da Bisanzio; mentre dall'Europa centrale e dall'opposta sponda adriatica giunse la religione cattolico-romana, che è professata con grande prevalenza: dalle genti a N. della Sava, eccettuato il Sirmio; nelle isole e lungo la costa dalmata, spingendosi a N. della Narenta, sin quasi all'alta Bosnia; e, con minor predominio nella Voivodina.
Protestanti, in parte, sono i Tedeschi; pochi gl'israeliti e i cattolici di culto greco. La distribuzione percentuale delle confessioni nelle singole regioni è la seguente (1921):
La sola Slovenia ha una popolazione compatta di fede cattolica, mentre Croazia, Slavonia e Dalmazia sono divise tra cattolici e ortodossi; Serbia e Montenegro tra ortodossi e maomettani; Bosnia e Voivodina, sono, invece, divise da diversi culti.
Ma insieme con la diversità delle religioni professate, altri indici possono documentare quanto siano differenti tra loro, per grado di cultura o di civiltà raggiunto, i popoli chiamati a far parte di un unico regno. Così, ad esempio, secondo il censimento del 1921, nella Slovenia era analfabeta appena un settimo della popolazione (14%); nella Voivodina poco più di un quarto (22%), nella Croazia-Slavonia un terzo (33%). Nella Dalmazia, però, metà della popolazione non sapeva né leggere né scrivere (49%); nella Serbia e nel Montenegro i due terzi (rispettivamente 66 e 67%); nella Bosnia-Erzegovina e nella Serbia meridionale, la grande maggioranza: rispettivamente il 79 e l'84%. Secondo altre fonti le percentuali sarebbero anche maggiori; ma, per il grande impulso dato all'istruzione elementare nel nuovo regno, ora le percentuali più elevate saranno certo diminuite di molto: oggi si contano, infatti, 10.250 scuole primarie con oltre 23 mila insegnanti e più di un milione di allievi.
Come indice del grado di civiltà, possiamo prendere in considerazione l'assistenza ospitaliera, rilevando, così, che mentre nella Slovenia si hanno da cinque a sei letti, in media, per ogni mille abitanti, nelle altre regioni, indubbiamente meno evolute, non se ne hanno che uno e mezzo o due.
Del resto, la diversità delle condizioni fisiche ed economiche delle varie regioni e quindi il diverso sviluppo conseguito nel!'agricoltura o nell'industria da ciascuna di esse, già lascia intendere quali profonde differenze debbano esistere nel grado di benessere e quindi di civiltà dell'una o dell'altra popolazione.
Vegetazione e regioni agricole. - Clima, natura e forme del suolo collaborano insieme nel determinare la vegetazione di un luogo, vegetazione che l'uomo poi cerca di trasformare a suo vantaggio con l'agricoltura. Perciò, avendo presenti questi tre fattori, i quali naturalmente risultano da molti altri, potremo costruire le singole zone di vegetazione della Iugoslavia e spiegarci anche l'agricoltura del paese.
Distinguiamo innanzitutto una zona di vegetazione mediterranea, che coincide con l'omonima regione climatica. È il clima soprattutto che caratterizza la regione: la mitezza dell'inverno, il calore e la siccità dell'estate, la limpidezza del cielo. Ma le forme del suolo favoriscono il formarsi della bora che, dall'alta muraglia dei rilievi dinarici, specie a N., precipita sulla pianura costiera e le isole: e la vegetazione mediterranea, con la sua tipica macchia, è costretta a rifugiarsi nei luoghi più riparati e protetti. Nudo di materiali mobili o di disfacimento è in gran parte il suolo, per la carsicità del calcare; e le colture si stendono solo nelle zone dove meno sviluppato è il carsismo o nel fondo delle depressioni carsiche, dove si è raccolta un po' di terra rossa e più si ferma l'acqua. Perciò l'ulivo, la vite, gli alberi da frutta, i legumi, insieme con le colture seminative, si trovano in un'assai esile fascia lungo la costa, mentre un po' più si espandono nella parte meridionale della piattaforma di Scardona, nella valle della Narenta e nelle isole dalmate. Vegetazione mediterranea s'incontra anche nell'ampio golfo di clima mediterraneo più o meno attenuato, che per la valle del Vardar s'insinua verso il N. e fa penetrare sino a Veles le influenze dei venti dell'Egeo. Di qui s'infiltrano verso l'interno alcune specie della flora mediterranea più resistenti. I terreni di natura geologica diversa, perché in prevalenza cristallini, sono egualmente poveri; e per lo più spogli di vegetazione arborea sono i declivî dei monti, per la natura della roccia, ma anche più per le siccità estive. Solo verso la cima, i monti sono rivestiti di boschi. Le colture si limitano alle regioni pianeggianti degli ampî bacini che separano i monti, dove si è raccolta la terra di disfacimento. Ma la scarsezza delle piogge rende necessaria l'irrigazione, la quale è pratica assai antica, per il tabacco e il riso, per il papavero da oppio, per i legumi, per i peperoni, che sono comunissimi, per il cotone. Qui si alleva anche il gelso.
Al di là di queste due zone di vegetazione mediterranea, tutto il rimanente del paese è coperto dalla vegetazione dell'Europa centrale, nella quale a O., e cioè sul sistema dinarico e nella Serbia occidentale, si può distinguere una flora più propriamente illirica mentre dall'E. e dal N. penetra una flora steppica. Ma anche in questa grande regione, nella quale la vegetazione non varia molto da quella dell'Europa centrale, possiamo vedere, come per il clima diverse zone agricole, che sono appunto in rapporto con le diversità di clima e di suolo.
A levante della zona mediterranea descritta avanti, in un'ampia fascia che assai si espande a mezzogiorno, dove copre l'intero Montenegro, non muta la natura calcarea dei terreni, bensì scema, di mano in mano che si procede verso il levante, l'intensità del fenomeno carsico. La barriera montuosa occidentale, che oppone ostacolo ai venti del Mediterraneo, e l'altezza stessa del rilievo, dànno a questa regione, dalle forme assai accidentate, un clima continentale. Tuttavia le estati vi sono fresche, e le piogge abbondanti distribuite in tutte le stagioni favoriscono lo sviluppo della vegetazione, dovunque si è potuto raccogliere e mantenere il materiale di disfacimento. Perciò nella parte occidentale di questa regione, dove il calcare è fortemente carsico e le piogge abbondanti hanno contribuito a denudare la roccia privandola dei materiali di dilavamento inghiottiti dalle fessure e dai ponor, ecc., il suolo è spaventosamente nudo. L'agricoltura si limita al fondo delle depressioni carsiche, e neppure a tutte; agli avvallamenti o dovunque si sia raccolto un po' di terra rossa, che è talora fertile. Sulle pendici meglio esposte la terra rossa è portata a spalla e trattenuta da muretti a secco. Miseri e stenti i radi boschi, scarsi e magri i pascoli alpini; la roccia, nuda e biancastra, domina dappertutto. Prati e colture si allungano solo nel fondo delle doline e delle uvale, e il granturco e le patate che dànno questi pochi seminativi non bastan certo a sfamare la popolazione scarsa ma esuberante per le risorse del paese. Questa regione carsica è più povera di tutte. Ma più a oriente i fenomeni carsici vanno diminuendo d'intensità; e muta, in conseguenza, il paesaggio, che si fa assai più riposante. Non mutano le forme del suolo, divenute anche più aspre ed elevate, ma la roccia, sinora nuda e bianca, sempre più si riveste di verde. I materiali di disfacimento, per la minore carsicità del suolo, assai di più si conservano nelle ampie piattaforme dei planina e si mutano in fertile terreno umico; le estati fresche e piovose dopo gl'inverni freddi e le lunghe primavere, alimentano la vegetazione. Sino a una certa altezza (1600-1700 m.) sono i boschi di latifoglie o di aghifoglie che rivestono i declivî dei monti; al disopra, si stendono i prati e i pascoli smeraldini; al limite, tra boschi e pascoli, numerosi orti e i giardini che circondano le frequenti abitazioni temporanee estive, i katun.
Nelle grandi e poco profonde depressioni carsiche, dove si raccoglie la terra rossa, si aprono, invece, i campi di cereali. Anche qui, però, i seminativi sono pochi rispetto agli abitanti, e si deve integrare la produzione dei cereali con l'importazione.
Accanto a questa regione, più a oriente, si stendono le due altre regioni agrarie che comprendono tutto il resto del paese: la piccola regione delle pianure settentrionali, che si stende appunto nel bacino pannonico, e la grande regione montuosa interna, che si stende sulla maggior parte del paese.
La regione montuosa interna non solo è la più estesa, perché va dalla Slovenia alla Macedonia, con una larga fascia che attraversa tutto lo stato, e a settentrione manda una lingua nella pianura danubiana con i rilievi della Slavonia, a mezzogiorno si espande su tutta la Serbia centrale e meridionale, ma è anche la più varia. Infatti, nella sue estremità settentrionale, nella Slovenia e nella Croazia, il paese in generale ha forme movimentate, i terreni sono in parte poveri e rigido è il clima; e di boschi più o meno fitti e di estesi prati e pascoli è rivestito, in maggior parte, il suolo. Ma non manca neppure nelle zone montuose qualche vallata più aperta, qualche bacino più ampio e ridente, come quelli di Lubiana o di Celje; e anche a oriente, dove i monti digradano verso le pianure della Sava e della Drava, il paesaggio, ricoperto di un mantello di terreni recenti, diviene collinare ed aprico, ai boschi e ai pascoli si sostituiscono le colture. Fertile è qui la terra, mite il freddo dell'inverno, calda l'estate, sufficienti le piogge; e i cereali vi coprono ampie distese di campi, frequenti sono gli alberi da frutta e specie di susino; la vite riveste le pendici dei colli. Però, nel suo complesso, il bosco, assai sviluppato sui monti, ha in questa regione un'estensione appena inferiore a quella delle colture e dei prati o pascoli, che alimentano numeroso bestiame. Una proporzione anche mnggiore ha il bosco più a S., nella Bosnia, regione dalle forme del suolo assai accidentate e varie, dai terreni poveri, dal clima rigido e dalle estati fresche: per questi caratteri fisici, che convengono al suo sviluppo, il bosco copre qui oltre la metà della superficie della regione. Ne sono rivestite soprattutto le cime, che si elevano dalla coltre di depositi lacustri, la quale riveste gran parte del paese, e i monti che l'orlano a mezzogiorno. Agli alberi da frutta, e al susino specialmente, sono dedicati, invece, molti dei terrazzi di origine lacustre e i terreni pianeggianti che si affacciano sulla Sava o sulla Drina e prolungano a occidente quelli analoghi della Serbia settentrionale. Quest'altra regione è assai meno boschiva e di gran lunga più produttiva. Nella Sumadija e nel basso bacino della Morava, dove il paesaggio, pianeggiante e terrazzato, si apre nel suo insieme verso la grande pianura danubiana, i terreni sono assai fertili, perché alle ultime propaggini dell'antico blocco cristallino si sovrappose un profondo mantello di depositi recenti, che riveste le valli nonché le terrazze più elevate. Propizio alla vegetazione è il clima, che ha i caratteri continentali della Pianura Pannonica attenuati dall'altitudine e dalla situazione geografica di transizione; più abbondanti che nella pianura le piogge, ben distribuite entro l'anno e cadenti soprattutto in primavera, quando più giovano alla vegetazione, e in autunno. La regione, ancora nei primi decennî del secolo passato, era tutta rivestita di boschi di querce e di faggi ed era dedicata perciò all'allevamento dei suini. Ma durante il secolo un diboscamento feroce la spogliò del tutto di questa sua veste, e oggi le colture si stendono dovunque il terreno sia pianeggiante o in lieve pendio, e anche sulle terrazze più elevate. Nelle pianure più profonde e feraci prosperano il grano e il mais, che ha sostituito le Querce per l'allevamento dei maiali. Sui declivî solatii dei colli, sui terreni calcarei o vulcanici sono i bei filari di viti. Ma la coltura più diffusa è quella dei susini, che compaiono un po' dappertutto, sparsi in mezzo alle altre coltivazioni o nei ritagli di terra; nei broli che circondano le case dei villaggi, nei terrazzi dei monti, nei declivî stessi. Poco esigente in fatto di terreni, resistente a ogni clima, il susino si avvale del terreno umido, sebbene piuttosto acido, lasciato dai boschi, e prospera dovunque, a differenza dei meli e dei peri, che, assai meno numerosi, si riparano solo nelle valli meno esposte ai venti. Sviluppato è, in questa regione, l'allevamento dei bovini e, soprattutto, quello degli ovini. Più a S., nella Serbia centrale o Raška, continuano press'a poco i caratteri fisici della Šumadija. Ma le forme del suolo si fanno più elevate e aspre, e maggiore la loro influenza nel differenziare il clima dei diversi bacini chiusi tra gli alti monti. Le rocce cristalline povere, predominano di gran lunga sugli altri terreni, e se qui continuano anche i caratteri agricoli della Šumadija, i campi cerealicoli si fanno più rari, restringendosi ai soli bacini e alle valli più apriche. La vite, per lo scoscendere ripido dei monti e la ristrettezza della maggior parte delle valli, trova poche pendici su cui potersi distendere; e anche i susini poco a poco vanno scomparendo, e quasi non appaiono a mezzodì del 43° parallelo. Ancora più a S., la Serbia meridionale e la Macedonia serba presentano a O. caratteri press'a poco analoghi a quelli della Raška; e a E., invece, la valle del medio Vardar e i territorî adiacenti rientrano, per il clima, e non per la natura geologica dei terreni affatto diversa, nella regione mediterranea, che fu trattata per prima.
A settentrione, infine, si stende la zona che fa parte della pianura pannonica.
È questa la regione agricola più importante dello stato. Le forme pianeggianti del suolo; la natura alluvionale dei terreni e la loro assai notevole profondità la fanno la più ferace e la più adatta alle colture, e in special modo a quelle cerealicole, a cui molto conviene il clima prettamente continentale: il freddo dell'inverno, l'estate calda; le piogge che cadono in misura più che bastevole, e soprattutto la loro distribuzione entro l'anno, con un massimo in primavera, quando più giovano ai cereali. E al frumento e al granturco, che vi dànno i maggiori raccolti unitarî, sono specialmente dedicate le pingui pianure di questa regione; ma anche la vite prospera in queste terre e fornisce un'assai abbondante vendemmia.
Agricoltura. - Sarebbe bastata la semplice descrizione fisica a farci intendere come, per le sue forme accidentate e la sua notevole altitudine, solo una parte relativamente limitata del paese potesse venir dedicata alle colture. E infatti, il bosco e la macchia insieme con i prati e pascoli occupano oltre la metà dell'area totale dello stato (il 30,3% i primi, il 23,8%, i secondi), e un altro sesto (il 17,4%) è occupato dalle terre incoltivabili, improduttive o diversamente sfruttate. Ai seminativi non rimane che poco più di un quarto (28,5%), mentre invece in Italia essi occupano quasi la metà (45%) del suolo.
Fra le colture, altissima è la prevalenza di quelle cerealicole, che occupano gli otto decimi (in Italia solo i cinque decimi) dei seminativi, oltre un quinto della superficie totale dello stato. I cereali minori tutti insieme non coprono neppure un quarto dell'area cerealicola, la quale per oltre tre quarti, dunque, è destinata al frumento e al granturco, che sono di gran lunga le due colture più importanti per l'economia del paese: la produzione di questi due cereali è eccedente, infatti, rispetto al fabbisogno interno, e alimenta una delle maggiori esportazioni. Entrambe le colture sono caratterizzate dalla grande estensione, dal loro aumento in questi ultimi anni, dalla mediocrità e saltuarietà della produzione unitaria.
Fra le altre colture alimentari, le patate occupano la maggiore estensione; ma diffusissimi, specie come colture intercalari, sono i fagioli, le lenticchie, le fave e i piselli, i cetrioli, le cipolle e agli, i cavoli e i cocomeri, i pomodori e la paprica o pimento rosso. I fagioli sono coltivati dappertutto, specie insieme col granturco, e alimentano una notevole esportazione; ma anche gli altri legumi e gli ortaggi si vanno estendendo sempre più, e le colture orticole potrebbero ancora espandersi molto nei terreni irrigui delle pianure o nella terra rossa delle doline.
Fra le colture industriali hanno la maggiore importanza la barbabietola da zucchero e il tabacco, il papavero da oppio e il luppolo, la canapa e il lino.
Dànno luogo a esportazioni di valore non indifferente anche altri prodotti di piante aromatiche o medicinali: il crisantemo o piretro, che ha raggiunto rinomanza mondiale, per la fabbricazione della polvere insetticida; la salvia, l'olio di rosmarino, il lauro. Questi prodotti sono forniti dalla flora dalmata, mentre la Slovenia ne dà altri proprî della flora alpina; i monti della Bosnia dànno coccole di ginepro, fiori di tiglio e belladonna; le pianure del Danubio, la camomilla, lo stramonio, la saponaria, e i paesi del sud specialmente l'anice.
Un po' dovunque, in Iugoslavia, sono diffusi gli alberi da frutta, che si arrampicano là dove non riescono le colture erbacee e facilmente sfuggono, per la brevità della primavera, alle brinate di quella stagione che tanto danno apportano in altri paesi. Ma tutti insieme questi alberi da frutta non sono neppure la metà dei susini, il cui numero si aggira intorno a una cinquantina di milioni di piante: quasi quattro alberi, in media, per abitante; due alberi almeno per ogni ettaro dell'intera superficie dello stato. Più intensa è la coltura del susino a mezzodì della Sava, in una fascia profonda da 100 a 150 km., tra la confluenza del Vrbas e quella della Morava. Nella Serbia settentrionale, dove i susini occupano quasi i tre quinti della coltura, si producono le migliori prugne per qualità e grossezza; un altro quinto degli alberi si trova nella Bosnia, che dà frutta più piccole ma sode.
La maggior parte del raccolto è adoperata per la distillazione di una forte acquavite (assai conosciuta col nome di slivovitz) di cui si fa gran consumo specialmente nelle regioni nelle quali non prospera la vite; ma grandi quantità di susine vengono anche seccate, sebbene con mezzi rudimentali, per il mercato interno o per l'esportazione, e una parte viene anche conservata sotto forma di marmellata senza zucchero (pekmez).
Nella Dalmazia, nelle regioni del Danubio e nella Slovenia orientale ha notevole importanza anche la viticoltura, che dà, specie in Dalmazia, vini pregiati.
I metodi colturali. - La mediocrità della produzioni unitarie è di per sé un indice abbastanza chiaro dei non molto progrediti metodi colturali. E infatti, la maggior parte degli esercizî agrarî non pratica rotazione di sorta e si limita al dannoso avvicendamento di granturco e grano o cereali minori; solo in alcune regioni più progredite, al granturco e al frumento si fanno seguire la barbabietola o altre colture, in una rotazione triennale. Egualmente, la grande maggioranza degli agricoltori ricorre ancora allo stallatico soltanto per dar forza ai proprî terreni; e le limitate quantità di superfosfato o di concimi potassici consumate in paese, vengono per una metà circa assorbite dalle pianure della Voivodina, regione assai più sviluppata delle altre dal lato tecnico, e per un quarto circa dalla Croazia e Slavonia. Poco usati del pari appaiono in tutto il resto dello stato i trattori meccanici e le altre moderne macchine agricole, che trovano maggiore impiego nelle stesse pianure settentrionali.
Ma d'altra parte va considerato che forme del terreno, natura del suolo e clima non sempre sono favorevoli alle colture. Le forme del suolo, lo spezzettamento della proprietà e la piccolezza degli esercizî, la frequenza degli alberi, rendono poi difficile e non sempre economico l'impiego di macchine e trattrici agricole. La deficienza dei mezzi di comunicazione rende assai costoso il trasporto dei concimi e obbliga gli agricoltori a vendere a prezzo vile agli incettatori il prodotto della loro terra. Infine, e questa è forse la causa maggiore, la povertà di capitale circolante da parte degli agricoltori li spinge ad acquistare quanto meno è possibile dal commercio. Bisogna poi ricordare ancora che un'asprissima riforma agraria è tuttora in atto e ha rivoluzionato tutta quanta l'economia agraria di un paese sino alla fine della guerra assoggettato a regimi e condizioni assai diverse.
Allevamento. - Importanza eguale o, forse, anche maggiore dell'agricoltura, hanno nell'economia iugoslava l'allevamento del bestiame e lo sfruttamento dei boschi.
Piccola è l'area che l'agricoltura dedica ai prati artificiali e alle piante da foraggio, in rispondenza delle condizioni naturali spesso poco favorevoli e dei metodi colturali piuttosto arretrati. Ma i prati naturali e i pascoli, che le forme del suolo lasciano a disposizione di quest'industria, coprono un'area appena inferiore a quella agricola e, per una popolazione che non è neppure un terzo di quella dell'Italia, la Iugoslavia alleva tanti cavalli e maiali quanti se ne allevano in Italia, due terzi degli ovini, una metà dei bovini e caprini italiani. E lo scarso consumo interno fa sì che i prodotti dell'allevamento occupino uno dei primi posti nelle esportazioni. Forse prima della guerra mondiale l'importanza dell'allevamento, per le regioni oggi riunite entro le frontiere di un unico stato, doveva essere anche più grande. Infatti, se il nuovo assetto politico dei paesi danubiani non avesse intralciato, con barriere doganali, gli scambî di bestiame che si avevano prima della guerra, dopo ben dodici anni dalla fine delle ostilità il patrimonio bestiame si sarebbe dovuto ricostituire nella sua integrità, mentre ancora nel 1930 si era assai lontani dalle cifre prebelliche.
Il patrimonio più vicino a ricostituirsi è quello dei cavalli, che, per le necessità dei trasporti in un paese non molto ricco di ferrovie, erano più richiesti dal mercato interno. La Iugoslavia ne conta ora anche più dell'Italia, quanti ne ha l'Inghilterra, in numero assoluto; ma in rapporto alla popolazione ne conta indubbiamente assai di più: otto per ogni 100 abitanti, mentre l'Italia e la Gran Bretagna non ne contano che due. L'Italia, però, a differenza della Iugoslavia, dispone di un numero di muli e di asini superiore a quello dei cavalli. Il maggior numero di cavalli si trova nelle pianure settentrionali, ove sono più necessarî per i trasporti e l'agricoltura più progredita, ma anche le regioni di montagna contano numerosi cavalli.
I bovini, invece, non sono neppure i due terzi di quanti erano prima della guerra negli stessi paesi, e sono poco più della metà di quanti ne ha l'Italia. La loro distribuzione nelle singole regioni dello stato dipende soprattutto dall'estensione e dalla ricchezza dei pascoli. Così il bestiame bovino appare più denso nelle regioni di clima continentale. Nelle regioni di clima mediterraneo o in quelle dove i terreni appaiono affatto nudi durante l'anno per la loro eccessiva carsicità, meno denso è il patrimonio bovino, come meno densa è la popolazione.
Il frazionamento morfologico del paese e la difficoltà delle comunicazioni dànno ragione dell'economia patriarcale in cui vivono ancora molte regioni e ci spiegano anche l'ingente numero di ovini esistenti in Iugoslavia. Come gli altri paesi balcanici, la Iugoslavia ne conta in gran numero: circa otto milioni di pecore, più di una per ogni due abitanti (il Montenegro, la Serbia, la Bosnia-Erzegovina, ne contano una o più per ogni abitante). Nelle parti più povere della regione dinarica e nella Dalmazia, l'allevamento delle pecore e capre è, forse, la principale risorsa della popolazione. Ma i magri pascoli non potrebbero alimentare gli armenti durante tutto l'anno, e dalle pianure dalmate i greggi salgono agli altipiani della Lika e della Bosnia quando hanno consumato i loro pascoli; mentre all'interno, dalle alture affacciantisi verso la Sava, scendono i greggi due volte l'anno verso i campi in riva al fiume: in autunno, a pascere sulle stoppie del mais, e in primavera. L'allevamento è fatto soprattutto per la carne e per la lana.
Assai meno numerose sono le capre, diffuse in special modo nella Serbia meridionale e nel Montenegro, nel bacino della Morava e nel litorale dalmata.
Molto antico è l'allevamento del maiale, un tempo nutrito dalle ghiande dei fitti querceti che rivestivano una parte assai vasta del paese, ora invece alimentato dalla grande diffusione della coltura del granturco.
Infine la Iugoslavia possiede un enorme numero di bestie da cortile, che costituiscono una delle più importanti ricchezze del piccolo coltivatore. Il grande predominio delle colture cerealicole ce ne spiega facilmente la diffusione. Non vanno poi dimenticati l'allevamento del baco e quello dell'ape.
Nella tabella sono riassunti i dati del patrimonio zootecnico.
Boschi. - Una semplice occhiata a una carta fisica della Iugoslavia, mostrando le forme accidentate del terreno e la notevole altitudine sul livello del mare di tanta parte della sua superficie, lascia intendere lo sviluppo che deve avere in essa la vegetazione arborea e di macchia. Inoltre, il carattere impervio delle regioni dell'interno, la mancanza di vie, e, in gran parte, anche l'impossibilità della fluitazione, insieme con l'economia chiusa in cui ha vissuto sinora la maggior parte dei suoi abitanti, hanno forse contribuito a conservare il patrimonio boschivo più che in altri stati d'Europa. Infatti, la Voivodina, la Šumadija, dove le vie della pianura o quelle scendenti alla pianura facilitavano i trasporti; la Dalmazia, che per le vie del mare riforniva la Serenissima di palafitte per i suoi palazzi o di alberi e di tavole per le sue navi; e l'Erzegovina stessa, che dava legname alla repubblica marinara di Ragusa, sono oggi le regioni più povere di boschi. Invece, nella Bosnia una metà del suolo è coperta di boschi, nella Slovenia più di due quinti, nella Croazia oltre un terzo. In queste regioni soprattutto si è conservato il patrimonio boschivo del paese e per esse la Iugoslavia con i suoi 7 milioni e mezzo di ettari a bosco, che rappresentano quasi un terzo dell'area dello stato, è fra i paesi d'Europa meglio forniti di boschi, così per cifre assolute come per cifre relative. E, quel che più conta, per i suoi limitati bisogni, può esportare in grandi quantità il legname, che rappresenta di solito in valore la maggior voce degl'invii all'estero. Dei 7½ milioni di ettari a bosco, 2½ si trovano in Bosnia, 2 in Serbia, 1½ in Croazia e Slavonia; la Slovenia ha 700 mila ettari; il rimanente si divide tra Dalmazia, Montenegro e Voivodina. Ma nella Dalmazia si tratta solo di macchie e cespugli, e non di vero bosco.
Nell'insieme del paese, però, poca è la macchia, e due terzi dell'area boschiva sono coperti da piante d'alto fusto. Le essenze predominanti sono il faggio e la quercia, ma insieme con esse troviamo il carpino, l'acero, l'ontano, il frassino, il pioppo, il salice, il tiglio, ecc., e in buona parte dell'area boschiva predominano le conifere.
Le conifere sono più diffuse nelle regioni di clima alpino, nelle zone più elevate: nella Slovenia, nella Bosnia, nella Croazia e nella Serbia occidentale, nel Montenegro. L'essenza più comune è l'abete; ma sul Carso bosniaco è anche molto diffuso il pino, che nella sua varietà alpina si trova pure altrove al limite della vegetazione boschiva. Ad altitudine inferiore, soprattutto sui terreni calcarei, prevale la quercia, largamente diffusa nella Slovenia, nella Slavonia e nella Bosnia: anzi, la rovere di Slavonia è nota in commercio come uno dei migliori legni d'opera. Più diffuso, però, è il faggio, che si eleva ad altitudini superiori a quelle della quercia, mescolandosi in alto, sui fianchi delle montagne, con le conifere, in basso con le querce e con le altre latifoglie. Nella Slovenia, la betulla e il ginepro sono tra le essenze più comuni; mentre nelle regioni di clima mediterraneo si trovano il pino nero, il pino d'Aleppo, il pino da pinoli, il cipresso, insieme con la quercia, col faggio e il lauro; e nelle pianure del bacino danubiano, specie sui terreni esposti alle inondazioni, s'incontrano assai frequenti il salice, il pioppo, l'olmo, e così via.
Due terzi dei boschi della Iugoslavia appartengono allo stato (48%) e a comuni, monasteri o altri enti (19%): nella Bosnia soprattutto, dove i tre quarti dell'area boschiva sono demaniali. Di proprietà privata è l'altro terzo della superficie forestale, che si estende per la maggior parte nella Slovenia, intorno a Lubiana. Tra le forme di proprietà prevale la piccola: quasi tre quarti dei possessi (72%) sono inferiori ai 10 ettari.
Lo sfruttamento di sì grande ricchezza, sebbene tuttora intralciato dalla scarsezza delle vie ferroviarie e ordinarie per il trasporto e dalla necessità di trasbordi - per differenza di scartamento, dalle linee secondarie a quelle principali - si calcola intorno ai 12 milioni di mc. all'anno, per la maggior parte inviati all'estero. A oltre 14 milioni di mc. all'anno si fa ascendere da tecnici l'accrescimento medio, e la disponibilità di legname sarà anche maggiore quando avranno cominciato a dare i loro frutti le nuove leggi emanate per la protezione dei boschi.
Miniere. - La diversa età delle rocce che costituiscono le regioni oggi riunite a formare un unico stato; l'estensione dell'antico blocco cristallino e la frequenza delle intrusioni vulcaniche, dànno alla Iugoslavia varietà di minerali, di cui taluno si trova anche in abbondanza.
Accanto al carbone e al ferro, la Iugoslavia possiede infatti rame, piombo, zinco, cromo, bauxite - in grande quantità -, manganese, antimonio, mercurio, arsenico, oltre al petrolio, all'asfalto, al salgemma. Non mancano neppure l'oro e l'argento nei terreni cristallini o nelle sabbie dei fiumi. Anzi, erano questi due ultimi che, insieme col rame, venivano già estratti nella Serbia e nella Bosnia, dai Romani, i quali pare anche fondessero i minerali di ferro adoperando il legname fornito da quegli immensi boschi (e l'opera dei Romani è stata ripresa più tardi dai Ragusei). Nei tempi più recenti, si è cercato di conoscere e di sfruttare meglio le ricchezze minerarie di queste regioni, ma non poche condizioni sfavorevoli hanno ostacolato una più intensa attività mineraria. Il carbone non manca, ma in generale è di qualità scadente; le vie ordinarie e quelle ferrate non sono troppo fitte e il diverso scartamento delle linee principali e secondarie obbliga a costosi trasbordi; il popolo non ama il lavoro delle miniere e vi si adatta solo saltuariamente, per brevi periodi, per poi ritornare ai campi e ai boschi, rendendo così assai difficile la formazione di una mano d'opera esperta; le condizioni politiche stesse non erano fino al 1914 favorevoli. Ma, sopra tutte le altre deficienze certo la più importante, scarseggiava il capitale, non allettato, per le condizioni di cui si è fatto cenno, ad arrischiarsi nei costosi impianti industriali moderni. Il nuovo stato ha cercato di dare a questo ramo d'industria il maggiore impulso compatibile con la non abbondante disponibilità di capitali, e tutte le produzioni più notevoli appaiono infatti in sensibile aumento.
La produzione mineraria più importante è quella del carbon fossile, che la Iugoslavia possiede non in grande abbondanza, ma in misura assai superiore agli stati vicini, e tale che sarebbe sufficiente per quantità al fabbisogno del paese, se la qualità scadente non obbligasse a introdurre carboni migliori dall'estero per le necessità di alcune industrie. Infatti, benché i terreni del Carbonico occorrano frequenti, come è già stato accennato, in molte regioni del regno, solo assai raramente le rocce di questa serie contengono antracite in depositi economicamente sfruttabili, e quasi tutto il carbone estratto è lignite, sia pur di ottima qualità, dei terreni secondarî, che hanno così larga diffusione, o, in minor misura, di quelli terziarî.
Già noti ai Romani erano, almeno in parte, i giacimenti di minerali di rame, che dànno oggi alla Iugoslavia il terzo posto in Europa, dopo la Spagna e la Germania, su per giù alla pari con la Norvegia, che però da tre anni ha superata. Assai più ricca delle altre regioni dello stato ne è la Serbia, con le sue miniere di Majdan-pek e di Bor, nell'estremità nord-orientale della regione. Minerali di rame vengono anche estratti in altre parti della Serbia, nella Bosnia e in Croazia, ma sempre in quantità limitate.
La Iugoslavia è tra i maggiori produttori europei anche per i minerali di piombo, che si trovano in diverse località, ma in special modo nella Slovenia, nella Bosnia e nella Serbia.
Infine, la Iugoslavia trova ancora, nei suoi terreni così varî, il manganese, il nichel, il bismuto, l'antimonio, l'amianto, il mercurio, il cinabro, lo zolfo, né mancano, come sopra s'è detto, oro e argento. Ma occorre ricordare specialmente le miniere di cromo della Bosnia e della Serbia (Macedonia), che le dànno il primato in Europa per tale minerale, e quelle, già menzionate, di bauxite, di cui sono ricche la Dalmazia e le altre regioni carsiche, e che, ottime per l'alto tenore di alluminio del minerale, mettono la Iugoslavia, dopo la Francia, Italia e Ungheria, tra i maggiori produttori europei. Questo minerale, poiché nel paese non esistono grandi fabbriche di alluminio, viene tutto esportato. E specialmente in Dalmazia si trovano anche il gesso, che fornisce l'industria dei cementi di Spalato, e l'asfalto, di cui vi è una ricca cava nella valle della Zermagna. Nelle isole, specialmente a Pago, si estrae il sale dal mare, e nella Bosnia, a Donja Tuzla, dove tuttora il nome turco (tuzla, "sale") sta ad indicare quel minerale, il salgemma si estrae per mezzo di pompe dal sottosuolo. Ma la produzione del sale non riesce a coprire il consumo e occorre importarne.
Per l'abbondanza delle rocce sedimentarie quasi dappertutto, in Iugoslavia, si trova ottimo materiale per la fabbricazione dei cementi, che si esportano in grande quantità, specie verso l'Italia, dalla costa dalmata; bei marmi; pietre da macina; pietre litografiche; sabbie da vetro, ecc.
Ai pochi assaggi fatti sinora, le argille e le sabbie del Terziario recente, che, a Nord della Sava, fanno parte del bacino pannonico, hanno rivelato in molti luoghi la presenza di olî minerali o di gas che li preannunciano; ma ancora non è possibile precisare l'importanza di queste riserve. La costa dalmata e alcune isole posseggono invece in abbondanza argille asfaltiche, che per lo più appartengono al Cretacico, ma talora sono anche del Terziario. Se ne trovano in molte località: presso Sebenico; in molti luoghi intorno a Spalato; presso Traù, e, soprattutto, alla foce della Narenta.
Ecco la produzione dei minerali più importanti per qualità e quantità:
Pesca. - Piuttosto importanza locale ha la pesca, che per la ricchezza di acque dolci nell'interno e la portuosità della costa dalmata potrebbe, forse, dare maggiori proventi con una più efficace industrializzazione.
Dal mare trae i mezzi di sussistenza molta gente della Dalmazia e delle isole, che manda i pesci nei grandi centri dell'Europa sudorientale, appena messi in cassetta, subito dopo la pesca, con sale e ghiaccio; mentre il tonno, le sardine, le alici, che in grande abbondanza si pescano in primavera e nell'estate, vengono conservati in olio o sale, in scatole di latta o barili, o sono lavorati in pasta, e in massima parte sono esportati in Italia.
La flotta peschereccia conta circa 3600 unità, di un paio di tonnellate in media e dotate di 304 uomini di equipaggio ciascuna: in totale una quindicina di migliaia d'individui. Essi stessi o le loro donne curano, in generale, la salatura del pesce; ma oltre all'industria domestica si trova in Dalmazia una ventina di stabilimenti che procedono a una lavorazione più accurata del pesce, giovandosi dell'olio di oliva prodotto sul posto. Così ogni anno, tra pesce fresco e pesce conservato, se ne mandano all'estero all'incirca dai 25 ai 30 mila quintali.
Industria. - La larga disponibilità di alcune materie prime estratte dal sottosuolo, ricavate dalla vegetazione spontanea o prodotte dall'agricoltura e dall'allevamento, non è valsa a dare alla Iugoslavia un intenso sviluppo industriale. Ce lo dicono con chiarezza poche cifre statistiche. Forse un mezzo milione d'individui, a conti larghi, è assorbito dalle industrie vere e proprie; il consumo del combustibile fossile si mantiene appena intorno ai due milioni e mezzo di tonnellate all'anno, in termini di carbone; i prodotti fabbricati rappresentano i sette decimi delle importazioni, in valore, e neppure un decimo delle esportazioni.
Del resto, lo scarso sviluppo industriale del nuovo stato trova le sue cause nei caratteri fisici, nella storia, e anche nelle presenti condizioni di vita del paese. La maggior parte delle regioni che lo compongono, poco ricche di carbon fossile, impervie e, per le forme stesse e la natura del suolo, abitate da popolazioni sparse e povere, di per sé non erano propizie alla nascita della moderna industria. E né all'antica monarchia austro-ungarica, la quale chiudeva nel suo seno altre regioni assai più progredite o assai meglio dotate da natura, poteva sembrar conveniente far sorgere un'intensa attività industriale in terre che mal vi si adattavano; né questo compito poteva essere assolto dal pigro governo turco o dai poveri e ristretti governi locali.
Ancor oggi, del resto, ostacolano il sorgere della grande industria la lunga tradizione agricola e pastorale e le condizioni patriarcali di vita di una parte della popolazione, che provvede da sé stessa ai proprî scarsi bisogni, vivendo di quanto produce e incurante di produrre più di quanto a essa occorra.
Il sorgere di grandi industrie in Iugoslavia fu ostacolato, ritardato o addirittura del tutto impedito, in alcune regioni, da deficienza di strade, di capitali, di mano d'opera, di mercato. Talora vi si oppose l'interesse o l'ignavia della nazione dominante, talora l'ostacolarono le condizioni di vita degli abitanti, e l'unione delle varie regioni, che facevano parte di organismi politici ed economici diversi, diede al nuovo stato un'industria di eccessiva o deficiente capacità lavorativa, a seconda dei rami di produzione, rispetto al mercato intemo, e non sempre in grado di resistere alla concorrenza estera. Le barriere doganali che gli stati confinanti, cui appartenevano le singole regioni che ora fanno parte del nuovo regno, hanno eretto contro alcuni prodotti di cui prima erano mercato naturale, hanno contribuito, poi, ad aggravare ancor più le difficoltà incontrate in Iugoslavia dalle industrie.
Le regioni ove l'industria è più sviluppata sono la Slovenia e la Voivodina. Entrambe per la loro situazione geografica, per le loro ricchezze naturali e per la loro storia. Nella prima, soprattutto per la sua facilità di comunicazioni con i porti e l'abbondanza di boschi, pascoli e miniere, come per le sue condizioni sociali, facilmente sorsero le industrie per il taglio degli alberi e la lavorazione del legname, per l'estrazione dei combustibili fossili e dei più ricchi minerali metallici, per la trasformazione dei prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento.
Nella Voivodina, per la sua fertilità e gli assai più progrediti metodi colturali, per lo sviluppo assuntovi dall'allevamento, per la facilità delle comunicazioni, e soprattutto perché verso questa regione gravita, attraverso le valli, tanta parte dell'interno, spontaneamente si localizzarono, o vi assunsero proporzioni maggiori che altrove, le industrie che trasformano i prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento: quelle che lavorano i cereali (molitorie, delle paste alimentari, dell'amido, ecc.) o la barbabietola, e quelle che dai cereali, dalle patate o dalle melasse estraggono l'alcool; le industrie per la birra, per l'abbondanza del luppolo; la lavorazione delle carni suine, di cui la Voivodina conta la maggior disponibilità; quella dei pellami e dei cuoi; quelle della seta, della canapa, della lana e dei tappeti. Qui, per l'esistenza di queste ultime industrie tessili, per naturale trasformazione o integrazione, per la facilità dei trasporti e l'esistenza di un più vasto mercato, sorsero o meglio prosperarono anche le industrie del cotone; e per i trasporti più che per ogni altro motivo, vi sorsero alcune industrie chimiche le quali dall'estero ricevevano la materia prima e nella Voivodina trovavano il maggior mercato.
Abbastanza sviluppata, relativamente, è l'industria nella Croazia e Slavonia, che traevano vantaggio dalla vicinanza del porto di Fiume e dai due grandi corsi d'acqua che attraversano la regione, ma soprattutto dalle ricchezze naturali.
Nella Slavonia troviamo localizzate, oltre alle industrie del legno e della concia, quelle chimiche, che distillano il legno; le industrie del vetro, che lavorano sabbie locali; quelle dello zucchero e qualcuna delle maggiori industrie meccaniche. Nella Croazia, a Zagabria e a Karlovac, troviamo sviluppate le industrie tessili, evidentemente per la loro favorevole posizione in vicinanza del porto di Fiume, da cui giungono cotone e lana; e a Zagabria, soprattutto, incontriamo le più diverse industrie.
Nella Dalmazia, ove l'agricoltura è povera, gli abitanti lungo le coste sono pescatori o marinai. Esistono qua e là, ma sono disperse e antiquate, alcune piccole industrie agricole, come quella dell'estrazione dell'olio, di cui si giovano le fabbriche di pesce in scatola, o quella del vino.
Le industrie maggiori lavorano i minerali non metallici di cui è ricco il suolo: soprattutto le sabbie di cemento e la bauxite per l'alluminio e si giovano della lignite che vi si scava, dell'energia idroelettrica sprigionantesi dalle potenti cascate dei suoi brevi fiumi sfruttati più di quelli di ogni altra regione, del carbone che la regione può ricevere attraverso il porto di Spalato.
Anche meno industriali, rispetto alla loro popolazione, sono la Serbia, la Bosnia-Erzegovina e, meno di ogni altra regione, il Montenegro. Eppure nella Serbia, e ancora più nella Bosnia, è maggiore abbondanza e varietà di minerali che in qualsiasi altra regione del nuovo stato e non mancano di certo in queste due regioni diverse altre ricchezze naturali, che forse esistono anche nel Montenegro. Anche più dell'altitudine stessa, la frammentarietà del rilievo rende però assai difficili in queste regioni gli scambî di beni morali o economici e le popolazioni, spesso accantonate anche per ragioni storiche, in bacini tettonici e fluviali chiusi da imponenti bastioni montani o da fiumi impetuosi, sempre più si differenziarono tra loro per costumi, lingua, religione; e, tornati a una vita patriarcale, costituirono unità diverse e vissero di un'economia rinchiusa e povera, affatto contraria al sorgere delle industrie e allo sviluppo dei commerci.
La Serbia, oltre che a Belgrado, capitale dell'antico e del nuovo regno, vede le sue rare industrie concentrate in pochi centri della valle della Morava, e solo alcune di quelle che lavorano i minerali sono localizzate presso i luoghi di estrazione. Tutto il resto del paese, tutte le regioni interne, non hanno che le poche lavorazioni casalinghe che rispondono ai bisogni locali o manifatturano e conservano alcuni prodotti dell'agricoltura.
Nella Bosnia sono diffuse soltanto le industrie del legno e appena qualche centro minerario, oltre Sarajevo, raggiunge una qualche importanza industriale.
Più vicina al mondo orientale, di cui più subì gl'influssi sociali e religiosi, e, in parte, più a lungo il dominio; frazionata dalle forme del suolo e isolata dalla posizione geografica, la popolazione di queste regioni meno seppe sfruttare le ricchezze del sottosuolo, dell'agricoltura, dei boschi, o quelle derivabili dalle acque correnti; e meno delle altre seppe creare industrie e commerci.
Distribuzione della popolazione e centri urbani. - Condizioni fisiche ed economiche sono i fattori che più controllano la distribuzione degli abitanti, dovuta, ben s'intende, anche alle condizioni storiche e politiche dei tempi andati.
La Iugoslavia ha una densità di 56 abitanti per kmq., il che importa che essa è uno degli stati meno popolosi di Europa.
La distribuzione degli abitanti è assai diversa da una regione all'altra; la Voivodina, dove la popolazione è più fitta, ha una densità più che tripla del Montenegro, doppia della Bosnia-Erzegovina. Le differenze locali sono anche maggiori. Ci se ne può render conto agevolmente solo che si osservino delle cartine fisiche e geologiche o solo economiche. Le regioni di maggiore densità coincidono con le regioni pianeggianti, o coi terreni che verso di esse digradano; con le valli più aperte dei fiumi, che seguono in quasi tutto il loro corso; con alcune zone particolarmente ricche di minerali o quelle in cui, per le cause che sono già state illustrate in precedenza, meglio si svilupparono le industrie e i commerci, e si formarono i principali centri urbani.
Alta densità presenta la Slovenia, dove la popolazione si fa più fitta a mano a mano che dalle maggiori altitudini si scende verso le pianure orientali e alle alte montange di roccia antica o calcarea, dominio del bosco e del prato, si sostituiscono le morbide groppe di terreni recenti, date ai vigneti e ad altre colture. Qui fittissimi sono gli abitanti nelle zone minerarie; ma densità elevata riscontriamo pure nelle conche e nei bacini dove si accumularono i terreni di disfacimento, e, per la più sviluppata agricoltura o per l'incrociarvisi delle valli e quindi delle comunicazioni, sorsero importanti centri urbani.
Ivi in un'ampia conca formata dalla Sava a valle delle Kamniške Alpi, forse ancora dal periodo celtico e di certo dalla colonizzazione romana, sorge Lubiana (Ljubljana, l'antica Aemona), capitale della più industre provincia del regno e centro ferroviario e commerciale di grande importanza. Supera oggi i 60 mila abitanti, ed è perciò una delle maggiori città della Iugoslavia. All'incontro delle valli della Savinja e della Celje, che la prima mette in comunicazione con quella della Sava, è Celje (Cilli), l'antica Celeja, anch'essa nodo ferroviario; e, poco più a N., nella valle della Drava, in due fertili conche: Maribor (Marburgo) che ha oltre trenta mila abitanti ed è legata ai centri stiriani; e Ptuj (Pettau). Centri minerarî e industriali degni di menzione sono Tržič (Neumarktl), Kranj, Kamnik (Stein), Trbovlje e Zagorje, ecc.; e parecchi sono i centri commerciali e agrarî, tra i quali va ricordato, anzitutto, Longatico (Logatec); mentre numerosi piccoli villaggi sono sparsi un poco dovunque.
Dalla Slovenia sud-orientale, che a differenza di quella di SO., dicemmo fortemente popolata, la densità cresce ancora alle falde dei rilievi croati che dalla Sava, a monte di Zagabria, si stendono sino alla Drava, o nelle pianure che oltrepassano questo fiume. Qui si superano anche i 100 ab. per kmq., e Zagabria con i suoi 186 mila ab. circa è, dopo Belgrado, la più popolata città del regno. La capitale della Croazia per la sua splendida situazione topografica è indubbiamente una delle più belle e salubri città del regno; e per la sua ottima situazione geografica, al centro di una delle regioni più industri, legata con ferrovie ai maggiori porti dell'Adriatico, a Vienna e a Belgrado e ai centri minerarî della Slovenia e della Bosnia, è forse la città dove più sviluppate che altrove sono l'industria, il commercio, la banca. Notevole per la sua posizione rispetto alla rete ferroviaria è Karlovac, la cui situazione potrà migliorare ancora in seguito col completamento della rete di vie acquee e ferrate; centro agricolo è Varasdino (Varaždin), nella fertilissima pianura di Medjumurie; centro commerciale è Sisak, situato alla confluenza della Culpa e della Sava.
Ma procedendo verso il Danubio, fra Drava e Sava e anche a mezzodì di questa, la densità si mantiene tra i 40 e i 55 ab. per kmq. I grandi centri urbani vanno diminuendo e più frequenti e popolosi si fanno i villaggi agricoli, che spesso, per numero di abitanti, sono vere cittadine. Qui, nella Slavonia, alcuni centri fluviali hanno avuto maggiore sviluppo: Osijek (Esseg), sulla Drava; Vukovar, sul Danubio; Mitrovica e Brod sulla Sava. Alcuni di tali centri erano già importanti durante l'occupazione romana: Mursa (Osijek); Sirmium (Mitrovica); la stessa Sisak, allora Siscia.
La Voivodina è la regione di più alta densità di tutto il regno, e la maggiore popolosità va messa in rapporto con la fertile natura dei terreni, i facili scambî, lo sviluppo delle industrie. Anzi, la densità degli abitanti potrebbe essere anche più fitta, e, secondo quanto riferiscono diversi studiosi, tra cui l'italiano Musoni in un suo breve ma succoso lavoro, un più sensibile aumento di popolazione sarebbe stato qui contrastato dalla forma della proprietà terriera che predominava: il grande possesso. Più fitta risulta la popolazione tra il Danubio e Tibisco, nella Bačka, dove raggiunge gli 80 ab. per kmq., mentre parecchio inferiore è nel Banato e, ancor più nella Baranja.
Nella Voivodina numerosi e popolosi sono i centri abitati: Subotica (Maria Theresiopoli, Szabadka) supera i 100 mila ab.; Novi Sad (Ujvidék, Neusatz) i 64; Sombor, Veliki Bečkerek, Velika Kikinda, Senta, Vršac e forse qualche altra ancora superano i 30. Questi pochi centri raccolgono circa un quarto degli abitanti di tutta la regione e, localizzati più favorevolmente di altri, sulle vie ferroviarie o fluviali di maggior traffico, da semplici villaggi agricoli sorsero all'importanza di vere e grandi città, nelle quali dapprima si svolgeva il commercio dei prodotti agricoli e più tardi se ne iniziò la lavorazione industriale.
Meno popolata, in rapporto alla sua superficie, è la Serbia, in cui la popolazione si raccoglie specialmente, come è facile intendere, nell'ampia vallata della Morava e in quella parte del paese che digrada verso la Sava, mentre rada si mantiene dove le forme del suolo sono più movimentate.
Poiché i rilievi si fanno più alti di mano in mano che si va verso il mezzogiorno, dove sempre più ci allontaniamo dalle zone industriali e commerciali, anche la popolazione si va diradando quanto più si proceda verso il sud. Nelle valli dei fiumi, dove queste più si aprono, o alla confluenza di valli minori entro quelle principali; alla confluenza dei fiumi, o nei punti dove questi discendono con potenti cascate; nei bacini minerarî; nei luoghi di transito, ovvero nel fondo di fertili bacini tettonici o fluviali, troviamo i centri urbani, e, per lo più, insieme con essi, anche isole di maggior densità.
Il centro più grande è Belgrado (Beograd), la capitale, l'antico Singidunum dei Romani, che, alla confluenza tra Sava e Danubio, malgrado la sua situazione veramente felice così sotto il punto di vista commerciale come per quello politico o strategico, non contava 8 mila abitanti un secolo addietro e non raggiungeva i 100 mila prima della guerra, quand'era capitale del vecchio regno di Serbia. Ma grande impulso ha avuto dalla costituzione del nuovo regno e oggi ha già raggiunto i 241.542 abitanti (v. belgrado). Gli altri centri minori: Niš, Leskovac, Kruševac, Smederevo, ecc., si trovano tutti nella valle della Morava e in quelle che in essa sboccano, non lontano dalla confluenza, e soltanto qualcuno ha potuto svilupparsi nell'interno; i più notevoli sono Kragujevac e Priština, mentre nel mezzogiorno, nella Valle del Vardar o di qualcuno dei suoi principali affluenti, si svilupparono Skoplje (Üsküb), Veles, Štip, Negotin, Prilep, ecc. Alcuni di essi solo da poco sono divenuti piccole città; ma altri esistevano già in epoca romana: Naissus (Niš), Scupi (Skoplje), per la loro situazione, all'incrocio delle valli, sulle vie più battute, o per i bacini minerarî. Skoplje, in un fertile bacino della valle del Vardar, è presto divenuto un nodo ferroviario di prim'ordine, poiché vi s'incontrano le diverse linee provenienti da Ohrid, Bitolj e Salonicco; quella che da Mitrovica attraversa il ricco bacino di Kosovo, e quella, infine, che scende per la valle della Morava, congiungendo la città a Belgrado e ai paesi del Danubio. Perciò Skoplje è divenuta il principale mercato dei prodotti di queste regioni, specie pelli e oppio, e, con una popolazione di circa 65 mila ab., si classifica quinta in tutto il regno. La segue per importanza, nella Serbia meridionale, Bitolj (Monastir), che già supera oggi i 30 mila ab., e che, situata sulla Via Egnatia, era già sviluppata ai tempi di Roma.
Tutto l'occidente, la regione dinarica, per i suoi alti e poveri rilievi sempre a carattere più o meno carsico, ha debole densità, che si eleva soltanto dove le forme del suolo, digradando verso la Sava, si rivestono di un fertile mantello di materiali teneri; ovvero a occidente dei rilievi stessi, lungo la costa, ove dal mare trassero vita gli antichi centri di colonizzazione romana.
L'area di minor densità di popolazione coincide con la regione montuosa più elevata, e si apre a guisa di triangolo, avendo un vertice nel Tricorno e allargandosi verso il mezzogiorno. Il rilievo si eleva verso mezzogiorno, e colà appunto, nel bacino dell'alta Drina, dove si ergono possenti i colossi del Durmitor, del Maglić, del Maganik, ecc., si hanno anche le minori densità, che in taluni distretti non raggiungono neppure i 15 abit. per kmq. Ma la stessa bassissima densità s'incontra pure in qualche distretto centrale, come in quello di Glamoč, ad esempio; mentre popolosità appena più elevata, che non supera od oltrepassa di poco i 25-30 abit. per kmq., si ha in quasi tutto il Montenegro, l'Erzegovina e la Bosnia meridionale, centrale e occidentale, come anche nella parte sud-occidentale della Croazia, e nelle zone più elevate della Slovenia. Nella regione mineraria a N. di Sarajevo la popolazione si fa più fitta, e così densa si mantiene - intorno ai 50 abitanti per kmq. o giù di lì - nelle valli medie e basse dell'Una, del Vrbas, della Bosna e della Drina nelle isole dalmate e lungo quasi tutto il litorale, in una fascia or più or meno ampia, da Zaravecchia alla foce della Boiana, ad eccezione di qualche breve tratto paludoso.
Di grandi città, in tutta quest'ampia regione, non v'è che Sarajevo, oltre a quelle minori di Spalato, Mostar, ecc. Sarajevo deve il suo sviluppo al trovarsi al centro quasi di una regione montuosa, impervia ma ricca di giacimenti minerarî, forse assai più sfruttati nei tempi antichi che non oggi, e in un bacino che aveva comunicazioni più o meno facili: con la Sava e le pianure settentrionali, a mezzo della valle della Bosna; con la Serbia occidentale, per gli affluenti della Drina; e col mare, per la valle della Narenta o per il Popovo polje e per Ragusa. Conta oggi quasi 80 mila abitanti.
Ma la maggior parte della popolazione, in tutta questa regione tanto estesa, vive sulle alture, dove abita le terrazze, i pianori, i declivî meno ripidi, le valli più solatie. Nella grande maggioranza son pastori e poveri agricoltori che vivono di un'economia chiusa ancora, si può dire, a regime patriarcale. Per lo più erano organizzati in "zadrughe", che contavano alcune diecine di membri, e talora raggiungevano quasi un centinaio d'individui, tutti legati da parentela e coabitanti sotto uno stesso tetto. Le loro case, perciò, sono veri cascinali, circondati da molte costruzioni accessorie, orti, stalle, ecc. e i loro villaggi, che risultano in conseguenza di case sparse, sono disseminati in tutta la regione. Solo qualcuno di questi villaggi riuscì a formarsi in grossa borgata o piccola città. Queste, invece, sorsero più facilmente nelle zone minerarie o commerciali e lungo la costa.
Lungo la costa, assai più che nell'interno, troviamo il ricordo della dominazione romana; e Segna, Veglia, Pago, Nona, Ugliano, Scardona, Spalato, Salona e parecchie altre località conservano ancora il nome latino. Ma anche laddove il nome antico non si è conservato, o è stato radicalmente trasformato o si tratta addirittura di fondazioni più recenti, l'impronta di Roma tradiscono le rovine, la topografia e l'architettura di queste città o cittaduzze, ove eleganti bifore veneziane o l'alato leone, scolpito su archi e porte donde invano si cerca di cancellarlo, ricordano anche il lungo dominio della Serenissima.
Comunicazioni e porti. - Un grave intralcio ai commerci è costituito dalle forme del suolo, che, accidentate e impervie, dànno chiara spiegazione dell'economia chiusa in cui vivono tante sue regioni e della storia di questi popoli. La rete stradale fu iniziata principalmente dai Romani, che da alcuni centri costieri già allora importanti, quali Salona, Spalatum, Narona (alla foce della Narenta), Epidaurum (Ragusavecchia), Dyrrachium (Durazzo), irraggiarono strade attraverso tutta la regione mineraria della Bosnia, il Montenegro e l'Albania. Verso le valli della Sava, della Bosna o della Narenta, e, per questa e per Saraievo, sino alla valle della Drina, si dirigevano le strade partenti da Salona e da Narona. Attraversava il Montenegro sino a Pljevlja, la via che nell'età di mezzo fu detta de' Ragusei, e continuava sino a Niš, nella valle della Morava. Univa Bisanzio a Roma la famosa Via Egnatia, che attraversava l'Albania, e passava per Bitolia (Monastir) e Salonicco. Ma durante il Medioevo parecchie strade si aprirono, per lo più longitudinalmente, seguendo le valli dei fiumi che si dirigono verso la Sava o il Danubio, e soprattutto lungo le magnifiche vie naturali della Morava e del Vardar. Oggi la Iugoslavia conta una rete stradale abbastanza estesa: circa 50 mila km.: un chilometro di strada per ogni 5 kmq. di superficie. Ma il tracciato pur delle vie maggiori, costrette a seguire le forme del suolo, la diversa distribuzione nelle singole regioni e, molte volte, la cattiva manutenzione anche di strade principali, molto ne attenuano l'importanza. E i trasporti sulle vie ordinarie si fanno soprattutto con gli animali da tiro e da soma, coi cavalli, buoi o asini. Poche sono le automobili e gli autocarri: 12.500 nel 1910, e cioè un'auto per oltre 1100 abitanti (Italia: una per ogni 143); poche le motociclette: 3200, e cioè una per oltre 4300 abitanti (Italia: una per ogni 460).
Molta parte del traffico si svolge per ferrovia. Ma la rete ferroviaria, anch'essa, naturalmente, legata alle forme del suolo e chiamata a rispondere a esigenze diverse da quelle per le quali era stata costruita, non soddisfa di certo agli odierni bisogni, né per il suo tracciato né per la sua distribuzione. Senza dubbio le sue maglie sono abbastanza rade rispetto alla superficie, ché vi è un km. di linea per ogni 25 kmq. di territorio (Italia: uno per ogni 14 kmq.), ma questo è proprio dei paesi montuosi, e, rispetto al numero degli abitanti, il rapporto è più vantaggioso di quel che non sia in Italia: un km. di linea per ogni 1400 ab. (Italia: uno per ogni 1900). Comunque, non è questo l'inconveniente maggiore. Innanzi tutto, la fittezza della rete è assai diversa nelle varie provincie, e se nella Voivodina esistono quasi 12 km. di linea per ogni miriametro quadrato e nella Slovenia 7, la Croazia non ne ha che 4 e poco più di 2 o anche meno ne hanno le altre regioni.
Assai più ricchi, quindi, appaiono i territorî più vicini all'Austria e all'Ungheria, le quali, per evidenti ragioni politiche ed economiche, curarono soprattutto di unire tra loro i centri urbani di ciascuna provincia, e collegarli poi con Vienna o con Budapest. Così, tutto un ulteriore riallacciamento delle diverse reti si è reso necessario, alla costituzione del nuovo regno, e si va a poco a poco, con forzata lentezza, compiendo. E a chi guardi una cartina della rete ferroviaria iugoslava, viene spontaneo osservare, oltre alla scarsezza delle comunicazíoni nella Serbia e nella Bosnia, anche il deficiente collegamento delle regioni interne coi porti dell'Adriatico, verso i quali, pure, si dirige buona parte delle esportazioni.
Ma un altro grave difetto della rete ostacola i traffici delle diverse provincie tra loro, proprio dove questi potrebbero assumere un assai maggiore sviluppo: la diversità dello scartamento dei binarî, che obbliga a un costoso trasbordo delle merci. Nella Serbia, quasi metà; nella Bosnia, tutta la rete è a scartamento ridotto. La ripidità dei pendii, la frequenza di ponti e viadotti, la strettezza delle curve a cui obbligano le forme del suolo, rendono, poi, costosa la manutenzione e alto il consumo di combustibile. Il riattamento delle opere e del materiale, e, più tardi, il riallacciamento delle singole reti ha costituito e costituisce uno dei gravi problemi che il nuovo regno ha dovuto affrontare.
Supplisce almeno in parte, alla deficienza delle ferrovie, la rete fluviale, che svolge una parte non trascurabile del traffico con l'estero, specie nelle importazioni. Anche questa, imperniata com'è soprattutto sul Danubio, che scorre entro i confini del regno per circa 500 km.; sulla Sava, navigabile per 600 km.; sulla Drava, che si può navigare per 160 km. sui 400 del suo corso entro il territorio iugoslavo e sul Tibisco (160 km.), serve soprattutto proprio le regioni nelle quali le reti ferroviaria e stradale sono più sviluppate. Ma nella Bosnia, l'Una, il Vrbas e, specialmente, la Bosna e la Drina rappresentano da soli circa 700 km. di vie acquee, e completate dalla Sava in cui immettono, costituiscono una rete abbastanza ben disposta, che lavori di canalizzazione e approfondimento potrebbero estendere ancora. Nel mezzodì della Serbia, la Morava meridionale, oltre al Lim, comune con il Montenegro, a occidente, rendono discreti servigi agli scambî interni; e, sia pure in maniera più modesta, lo stesso è della Cherca e della Zermagna, navigabili solo per una settantina di km., nei riguardi della Dalmazia; del Lim, della Piva e della Tara, per il Montenegro; della Narenta per l'Erzegovina.
Alla rete fluviale bisogna, poi, aggiungere la breve ma importante rete di canali che attraversa la più ricca regione agricola dello stato, la Voivodina; il canale di Re Pietro, che unisce il Danubio al Tibisco; il canale di Re Alessandro, che dal precedente si stacca per raggiungere Novi Sad; il canale di Bega, che unisce Veliki Bečkerek con Timisoara, oltrepassando, così, i confini dello stato. Con i canali nominati, la rete acquea interna supera i 2 mila km., e importanti lavori sono in progetto. I maggiori porti danubiani sono quelli di: Belgrado, alla confluenza della Sava; Novi Sad e Vukovar; Pančevo, sul Tamiš, ma a pochi km. dal maggior fiume; e, sul Danubio ancora, Smederevo. Osijek è l'unico porto della Drava; Šabac, Brod, Sisak e Zagabria, oltre a Belgrado, che si stende assai più sulla Sava che sul Danubio, sono i maggiori della Sava; di minore importanza sono quelli del Tibisco.
Utilissima per il commercio interno, soprattutto per gli scambî a breve distanza, la rete fluviale partecipa anche, come s'è detto, al traffico estero, il quale si svolge tuttavia in gran parte per mezzo delle ferrovie e dei porti marittimi.
Questi, data la natura della costa, sarebbero in grandissimo numero: oltre 300 luoghi di approdo, di cui un centinaio almeno porti discreti, s'allungano sui 1600 km. circa del litorale iugoslavo; ma una cinquantina di porti appena è aperta al traffico, e sinora soltanto pochi son riuniti per ferrovia con le regioni dell'interno: Sušak, Sebenico, Spalato, Gravosa e Zelenicca nelle bocche di Cattaro. Il primo di essi è un piccolo porto vicino a Fiume, da cui è separato dalla Fiumara e di cui era prima un limitato bacino artificiale meglio noto sotto il nome di porto Baros, detto dagl'Italiani Sauro. È l'unico porto iugoslavo convenientemente attrezzato, e ad esso il governo diede il maggiore sviluppo dopo gli accordi di Roma: ha un'area di 120 mila mq., un chilometro e mezzo di banchine. È di tutti il porto meglio allacciato con l'interno, e le linee ferroviarie da Lubiana, Zagabria (Belgrado-Sisak) e Gospić rendono assai vasto il suo retroterra da cui riceve soprattutto legname e al quale distribuisce fosfato, piriti e ferramenta, che sbarcano dall'estero. Traffico anche maggiore ha, però, Spalato, che viceversa, è meno attrezzato di Sušak, non avendo che poco più di un chilometro di banchine, ed essendo povero di mezzi meccanici per il carico o lo scarico. Legato per ferrovia a Sebenico e Zagabria, è il maggior porto del nuovo regno, e probabilmente vedrà crescere sempre più il suo primato; ma buona parte del lavoro gli viene dai locali stabilimenti di cemento, che, con mezzi proprî, vi fanno grandi carichi di cemento e di marne, o ricevono combustibili. Minore importanza ha il magnifico e ben riparato porto naturale di Sebenico, che esporta il legname della Bosnia e i prodotti delle locali industrie elettrochimiche, e ancor meno quelli di Gravosa, Metcovich, Zelenicca sulle Bocche di Cattaro, ecc. Infine, i patti di Roma riservarono alla Iugoslavia per cinquant'anni l'uso esclusivo del bacino Thaon di Revel nel porto di Fiume, e accordi con la Grecia, presi dal vecchio Regno di Serbia prima della guerra e rinnovati più tardi dal nuovo regno, le diedero una zona franca di un centinaio di migliaia di mq., metà acqua e metà terra, nel porto di Salonicco, per il commercio della Serbia meridionale, che, sinora assai male allacciata per ferrovie all'Adriatico difficilmente potrebbe svolgere il suo scarso commercio attraverso i porti nazionali.
Marina mercantile. - Il primo nucleo della marina mercantile iugoslava fu costituito in seguito al Trattato di Versailles e agli accordi successivi, per cui tutta la flotta mercantile ex austro-ungarica fu ripartita fra l'Italia e la Iugoslavia. Le 114.338 tonn. del 1920 aumentarono sino a 176.382 nel 1925, ma poi il progresso fu più rapido (224.719 nel 1926, 254.247 nel 1927, 315.500 nel 1929). Al 30 giugno 1932 la marina iugoslava era costituita da 381.045 tonn. lorde, così ripartite: 378.460 di piroscafi, solo 2585 di motonavi, nessun veliero superiore alle 100 tonn. Le sovvenzioni date dal governo hanno validamente contribuito a questo aumento. Una legge del 1928-29 stabilì per un decennio una sovvenzione globale annuale di dinari 49.500.000, ripartita come segue: 30.500.000 alla società Jadranska Plovidba (58 piroscafi per tonn. 23.436, 6 linee regolari); 11.250.000 alla Ragusea o Dubrovačka Parobrodska Plovidba (22 piroscafi per tonn. 44.476, 10 linee); 7 milioni alla Boka (8 piroscafi per tonn. 1031, 9 linee); 750.000 alla Hum. Le compagnie si sono impegnate, per tale periodo, a mantenere un certo numero di linee regolari e a costruire 24 navi per tonn. 8800 complessive. Altre convenzioni speciali per l'esercizio di particolari linee sono state poi stipulate con l'Oceania e con lo Jugoslavenski Lloyd. Ulteriori forme di assistenza statale all'industria armatoriale sono: la concessione (legge 31 maggio 1929) di esoneri da moltissime imposte per 12 anni (a partire dal 1° aprile 1928) alle aziende e ai cantieri in esercizio; il progetto che estende tale esonero per i cantieri sino al marzo 1950 e che concede a essi le zone demaniali marittime necessarie senza onere di canone, l'importazione in franchigia dei materiali occorrenti e un compenso di costruzione variabile per tonnellata lorda; inoltre, la propaganda in ogni sua forma. Occorre poi ricordare che l'attuale basso corso del dinaro favorisce l'armamento iugoslavo. Anche in esso si sono verificate varie fusioni, la più importante delle quali è stata quella (1928) della Atlantska Plovidba con la Jugoslavenska Amerikanska Plovidba nello Jugoslavenski Lloyd (26 piroscafi per circa tonn. 131.000). Nel 1931 furono costituite in Iugoslavia cinque nuove compagnie di navigazione, la più importante delle quali, la Jadran, a opera di armatori inglesi. Tanto l'armamento inglese quanto quello francese s'interessano alquanto alla marina iugoslava, e ciò per trarre vantaggio dal minor costo di esercizio e dagli esoneri fiscali. Accanto alla navigazione marittima è da citare quella fluviale, la cui flotta appartiene oggi principalmente a una società costituita dallo stato nel 1926 (52 rimorchiatori, 19 piroscafi misti, 583 chiatte, ecc.). Esistono peraltro anche alcune società di minore importanza.
Aviazione civile. - La prima società è stata costituita nel 1927 e nel febbraio 1928 ha iniziato i viaggi sul percorso Belgrado-Zagabria, collegandosi a Belgrado con le linee della C. I. D. N. A. e assicurando a Zagabria la congiunzione dell'Europa occidentale con l'orientale. Nell'agosto 1929 la linea Belgrado-Zagabria è stata prolungata fino a Skoplje per giungere a Salonicco da una parte e a Vienna dall'altra. Le condizioni sufficientemente favorevoli permetterebbero di creare nella nazione una industria aeronautica indipendente e il governo ha fatto notevoli sforzi per utilizzare la ricchezza naturale del paese. La Iugoslavia oggi possiede due fabbriche di motori d'aviazione, una per motori Jupiter e una (la società Vlajković-Walter) per i motori Walter. Vi sono inoltre quattro fabbriche d'aeroplani che costruiscono generalmente apparecchi di licenza francese, come i Dewoitine, Bréguet, Potez, Hanriot, ecc.
Per iniziativa dell'Aero-Club di Belgrado sono sorte le scuole civili d'aviazione per piloti e per motoristi. La prima ha sede nell'aeroporto di Bežanija, vicino a Belgrado; per la seconda le lezioni pratiche vengono svolte presso la società per motori Vlajković e quelle teoriche nella sede dell'Aero-Club.
Commercio estero. - La Iugoslavia ha struttura economica prevalentemente agricola e forestale; tuttavia la produzione della sua agricoltura non lascia eccessivo margine alle esportazioni, una volta soddisfatto il mercato nazionale; e anche quel limitato supero la Iugoslavia stenta a esportare, per esserle venuti meno quelli che erano i mercati naturali delle regioni che ora ne fanno parte. Solo i prodotti dei boschi o quelli dell'allevamento incontrano minori ostacoli a oltrepassare i confini del paese, per la povertà di foreste e di bestiame di alcuni stati vicini. L'industria è ancora nascente, anche se in più di un ramo, in conseguenza della formazione territoriale del nuovo regno, appaia sproporzionata al mercato interno. Ma lo sviluppo stesso raggiunto da alcune delle industrie, l'abbondanza di determinate materie prime e la disponibilità di energia, fanno sognare un avvenire industriale e inducono il governo a una politica economica di protezione, mentre negli altri stati successori dell'Austria una politica simile fa opporre eguali barriere, che vengono così a chiudere alle industrie iugoslave quei mercati rimasti oltre confine, per soddisfare i quali in buona parte esse erano nate e divenute prospere.
Ostacolata, dunque, nelle sue esportazioni, e d'altro canto ostacolando le importazioni per proteggere l'industria propria o equilibrare la bilancia commerciale, la Iugoslavia poco commercia con l'estero. Molta sua popolazione vive chiusa in un'economia patriarcale, molta limita, per atavismo, per educazione o per le difficoltà stesse del commercio interno, i proprî bisogni; molta, e di certo la maggioranza, li limita per necessità. E il cittadino iugoslavo poca merce porta al mercato, poca ne acquista, e molto limita i suoi scambî con i paesi esteri; anzi, in Europa, è di quelli che commerciano meno. Egli compra o vende all'estero per 18 dollari appena all'anno (1928-30); mentre gl'Italiani commerciano per 44 dollari a testa, e gli Ungheresi raggiungono i 39 dollari a persona.
In complesso, la Iugoslavia, con i suoi scambî di merci con l'estero per 284 milioni di dollari in media annua, poco ha partecipato - 0,40% - al commercio mondiale dell'ultimo triennio: assai meno perfino del piccolo Stato Libero di Irlanda; in Europa solo la Grecia e le tre repubbliche baltiche hanno commerciato con l'estero meno della Iugoslavia.
Subito dopo la guerra il commercio estero iugoslavo era di poco più limitato di quel che non sia ora: 16 dollari a testa in luogo di 18; ma mentre i 18 dollari di quest'ultimo triennio si dividono in parti eguali tra le merci introdotte e quelle spedite all'estero, i sedici dollari del primo triennio postbellico (1919-22) erano dovuti per tre quarti alle importazioni e solo per un quarto alle esportazioni. Effetto naturale, questo, così del disordine avvenuto nella compagine economica dei paesi entrati a far parte del nuovo stato e avulsi dai loro antichi mercati, come delle condizioni in cui eran rimasti gl'impianti industriali, l'agricoltura e l'allevamento dopo la guerra, e le nuove esigenze della popolazione.
La tabella seguente dà i dati del commercio estero distinto per classi di merci (media del 1927-30; % sui valori).
La fisionomia agricola, forestale e pastorale del nuovo stato e la sua poca industrialità si rivelano appieno, si può dire, nella grandissima prevalenza che hanno le materie gregge e alimentari, negl'invii all'estero.
Nelle importazioni, le poche voci segnate rappresentano, in valore, i sei decimi del totale, e il rimanente è costituito dalle merci più diverse. Il cotone da solo assorbe un quinto delle importazioni, ma poca è la fibra greggia e molti i filati e tessuti; il ferro, introdotto quasi tutto semilavorato, documenta le deficienze dell'industria pesante; e anche nella voce lana come in quella seta sono i tessuti soprattutto e i filati, che gravano sulla bilancia. Tra le altre merci sono il carbone, il caffè, gli olî e petrolî, ecc.
Negl'invii all'estero, oltre al legname da costruzione si hanno pure, in quantità e valori assai più modesti, traversine ferroviarie e legna da ardere. Dei cereali, ora è il frumento ora il granturco quello che prevale, a seconda dell'annata; e del pari variabili sono gl'invii di bestiame e di carni. Oltre alle voci indicate, l'agricoltura partecipa alle esportazioni con la canapa, il luppolo, l'oppio, i fagioli, le prugne secche, il vino. L'allevamento fornisce ancora diverse migliaia di cavalli e molte migliaia di ovini, oltre alle carni preparate e allo strutto, e l'industria casearia dà del buon caciocavallo. I boschi dànno ancora estratti tannanti, e le industrie estrattive ed elettrochimiche dànno piombo e altri minerali, soda ammoniaca e soda caustica, carburo di calcio e calciocianamide.
Gli scambî della Iugoslavia si svolgono con intensità con pochi paesi soltanto: con l'Italia, con i due stati successori della monarchia austroungarica a carattere industriale, e cioè Austria e Cecoslovacchia, e con la Germania. Queste quattro nazioni assorbono due terzi circa del commercio iugoslavo, così per gli arrivi come per gl'imbarchi; l'altro terzo si ripartisce soprattutto tra i paesi vicini e quelli dell'Europa nord-occidentale, per le esportazioni dalla Iugoslavia; gli stessi paesi europei e gli Stati Uniti d'America, il Brasile e le Indie, per le importazioni.
Il maggiore e il più costante mercato per le merci iugoslave, secondo le statistiche stesse del nuovo regno, è l'Italia, che da molti anni ormai assorbe almeno un quarto, in valore, dei prodotti esportati. Nessun altro cliente si è mostrato in questi anni fedele acquirente come il vicino dell'altra sponda adriatica. L'Austria stessa, che nei primi tempi del dopoguerra accoglieva più di un terzo delle esportazioni iugoslave, da alcuni anni ne riceve ormai un sesto soltanto. La Iugoslavia manda in Italia, per grandi quantità e valori ingenti, in special modo: il legno dei suoi boschi, da costruzione, da ardere o in carboni; i prodotti dell'allevamento: bovini e cavalli, uova e pollame, carni e pelli; spesso il granturco e talora il frumento; quasi sempre i legumi secchi, ecc.
Non egualmente fedele si mostrò all'Italia la Iugoslavia, che nel 1920 attinse dall'Italia oltre un terzo delle sue importazioni, e nella media dei sei anni seguenti oltre un quarto almeno; mentre ora non si rifornisce dall'Italia che per un decimo appena, o poco più, delle merci di cui abbisogna. Adesso i suoi principali fornitori sono la Germania e gli stati industriali che prima facevano parte della ex-monarchia: Austria e Cecoslovacchia. Ma se l'Austria va anch'essa perdendo, sia pur meno dell'Italia, la sua posizione di fornitrice, e la Cecoslovacchia mantiene indisturbata, da alcuni anni, la sua, la Germania, invece, gradualmente, sempre più penetra in quel mercato.
Le merci che l'Italia esporta in Iugoslavia per valori più ragguardevoli sono, innanzi tutto, i prodotti delle industrie tessili: filati, cucirini e tessuti di cotone; tessuti di lana; filati e tessuti di lino, canapa e iuta. Ma se i filati italiani di cotone e di canapa hanno saputo resistere alla concorrenza; i tessuti di cotone e quelli di lana furono dall'Italia esportati, negli ultimi anni, per quantità e valori sempre più ridotti, e ormai per questa importantissima voce Cecoslovacchia e Germania assai prevalgono. E da qualche anno a questa parte si vanno pure riducendo gl'invii di riso, agrumi e pelli crude, che, con le automobili e i cappelli, erano tra i maggiori. Così scambî italiani con questo paese, dieci anni fa favorevoli all'Italia, dal 1923 in poi sono stati sempre più o meno fortemente passivi per l'Italia.
Bibl.: Per la struttura fisica (oltre agli studî particolari già indicati sotto le voci bosnia; erzegovina, ecc.) e per la generalità (per le quali vedi anche balcanica, regione): J. Cvijić, La péninsule balkanique, Parigi 1918; G. Dainelli, La regione balcanica, Firenze 1922; F. Musoni, La Jugoslavia, Firenze 1923; O. Randi, La Jugoslavia, Napoli 1922; Y. Chataigneau, La Yougoslavie, in Ann. de Géogr., 1921; Excurs. Interuniv. en Yougoslavie, in Ann. de Géogr., Parigi 1930; P. Vujević, Royaume de Yougoslavie, Belgrado 1930; N. Krebs, Beiträge zur Geographie Serbiens und Rasciens, Stoccarda 1922; L. Olivier e altri, La Bosnie et l'Herzégovine, Parigi 1901; G. Dainelli, La Dalmazia, Novara 1918; J. Cvijić, L'époque glaciaire dans la Pén. balk., in Ann. de Géogr., 1917; id., Das Karstphänomen, in Geogr. Abhandl., 1893; G. Gravier, La Choumadia, in Ann. de Géographie, 1921; M. I. Newbigin, Geographical Aspects of Balkan problems, Londra 1915; J. Dedijer, Les zones pastorales dans les montagnes du système dinarique, in Bull. Soc. Serbe de Géogr., 1914. Per le condizioni economiche: A. Filipić, La Jugoslavia economica, Milano 1922; K. Patton, Kingdom of S. C. S., Washington 1928; M. R. Schackleton, Economic resources and problems of Yugoslavia, in Scottish Geogr. Mag., 1925; R. Aranitovic, Les ressources et l'activité économique de la Y., Parigi 1930; B. Ž. Milojević, The K. of the S. C. S. - administrative divisions in relation to natural regions, in Geographical Rev., 1925; M. Harvey, Report on the economic and industrial conditions in the S. C. S. Kingdom, Londra 1925; H. N. Sturrock, Economic conditions in Yugoslavia, Londra 1932; M. Radovanovitch-Savtchich, La Serbie économique, Ginevra 1918; Diversi, Le R. de Yougoslavie 1919-1929, Belgrado 1930; Ist. per l'Esp., La Jugoslavia economica, Belgrado 1932; G. Schacher, Der Balkan u. s. wirtsch. Kräfte, Stoccarda 1930; i numeri speciali. Central European Review, Londra 1929; Neue Freie Presse, Vienna 1930; Chicago Tribune, Parigi 1930; Lloyd Commercial, Bruxelles 1930; Manchester Guardian, Manchester 1931. Pei singoli argomenti economici: Min. de l'Agr. et des Eaux du R. des S. C. S., Superficies productives et rendement des plantes cultivées, Belgrado, ann.; Direction Gén. de la Stat., Recensement du bétail de ferme dans le R. des S. C. S., Sarajevo 1927; Banque Agric. Privil. S. A., Compte rendu, 1930; M. Ivšić, Les problèmes agraires en Y., Parigi 1926; M. Djordjović, Le crédit agricole en Y., Algeri 1926; Srebreno Dolinski, La réforme agraire en Yougoslavie, Parigi 1921; M. Nedeljković, La réforme agraire en Y., in Rev. écon. et pol., 1924; Les forêts dans le R. des S. C. S., par le Ministère des For. et Mines, Belgrado 1926; L. Savadjian, L'industrie forestière en Y., Parigi 1930; A. Ugrenović e altri, Le Karst yougoslave, Zagabria 1928; D. A. Wray, Geology and mineral resources of the S. C. S. State, Londra 1921; J. Lakatoš, Der Bergbau J., Belgrado 1931; Industrielle Jahrbuch, Zagabria 1930; J. Lakatoš, La Y. industrielle, Belgrado 1930; A. Haendel, Die Zuckerindustrie Y., Zurigo 1930; M. Nedeljković, Le marché du travail dans le R. S. C. S., in Rev. Int. du Trav., 1923; Ph. ballf, Das Strassenwesen in Bosnien und der Herz., Vienna 1903; id., Römische Strassen in B. u. der H., Vienna 1901-04; L. Savadjian, Le commerce en Y., in Rev. des Balkans, 1931; Min. des Fin., Statistique du commerce éxterieur de la Y., Belgrado 1932; Banque Nat. du R. de Y., Bulletin trimestriel, Belgrado, ann.; Chambre de Comm. et d'Ind. de Split, Statistique maritime du R. de Y., Spalato, ann.; Dir. Gen. des Ch. de fer d'État, Statistique des Ch. de fer du R. S. C. S., ann. Per la popolazione: Dir. Gén. de la Statistique d'État, Resultats définitifs du recens. de la population du 31 janv. 1921, Sarajevo 1932; id., Aperçu statistique du R. de Y. par banovines, Belgrado 1930; id., Résultats provisoires du recens. de la population, du 31 mars 1931, dans le R. de Y., Belgrado 1931; id., Annuaire statistique 1929, Belgrado 1932; L. Gallois, Les populations slaves de la Pén. des Balkans, Parigi 1920; J. Cvijić, Die ethnographische Abgrenzung der Völker auf der Balkanhalbinsel, in Geogr. Rev., 1918; O. Randi, I popoli balcanici, Roma 1929; J. Ancel, Peuples et Nations des Balkans, Parigi 1930; M. S. Stanojevich, The ethnography of the Y., in Geogr. Rev., 1919; B. Auerbach, Les races et les nationalités en Autriche-Hongrie, Parigi 1917; D. Novaković, La zadrouga, Parigi 1905; K. J. Jireček, Die Romanen in den Städten Dalmatiens während des Mittelalters, Vienna 1901-04; G. Dainelli, Fiume e la Dalmazia, 2ª ed., Torino 1930; A. Tamaro, Italiani e Slavi nell'Adriatico, Roma 1915; id., La Vénétie julienne et la Dalmatie, Roma 1918; M. Bassi, La crisi polit. in Jugoslavia, Roma 1930; J. Ancel, Les Balkans face à l'Italie, Parigi 1928.
Ordinamento dello stato.
Ordinamento costituzionale. - La Costituzione del 28 giugno 1921 veniva approvata con decreti legge del 6 e 8 gennaio 1929 (v. paragrafo Storia); la Iugoslavia da stato costituzionale veniva trasformata in monarchia assoluta. Nell'ottobre 1929, le regioni storiche (Serbia, Bosnia, ecc.) erano abolite e il paese diviso in 9 territorî (banati), ciascuno presieduto da un bano.
Il giorno 3 settembre 1931 il re Alessandro elargiva ai suoi popoli una nuova costituzione. Secondo il testo della costituzione che consta di 132 articoli il regno iugoslavo è oggi una monarchia costituzionale ereditaria. Lingue ufficiali sono il serbo-croato e lo sloveno. Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge. Esiste una sola nazionalità in tutto il regno e non viene riconosciuto alcun privilegio alla nobiltà. La costituzione garantisce ai cittadini la tutela della proprietà privata e le libertà civili, patriottiche e religiose dentro i limiti segnati dalla legge. È vietata la formazione di associazioni su basi confessionali, etniche o regionali, a scopi politici o di educazione fisica. Nel campo dell'istruzione è permessa l'esistenza di scuole private oltre a quelle dello stato. Il segreto epistolare è garantito. Lo stato può intervenire nei conflitti fra le varie classi dei cittadini nell'intento di eliminare i contrasti sociali. Spetta alla corona la facoltà di dichiarare la guerra e di concludere la pace. Qualora però il paese non venga aggredito o la guerra non sia dichiarata da un altro stato, per dichiararle è necessaria l'approvazione della rappresentanza nazionale. Il sovrano ha facoltà di sciogliere il parlamento prima dei termini di legge. Egli può diventare capo di un altro stato senza il consenso delle due camere. La costituzione regola anche i diritti di successione al trono.
La rappresentanza nazionale è formata dal Senato e dalla Camera. Il mandato dei senatori, per metà nominati dal re e per l'altra metà eletti, durerà 6 anni. Il diritto elettorale attivo spetta a tutti i cittadini che abbiano compiuto i 21 anni di età; ne sono eccettuati coloro che prestano servizio militare. I funzionarî dello stato e gli ufficiali non possono esercitare il diritto elettorale passivo. Il parlamento viene eletto in base al diritto di voto generale eguale e immediato. Altre clausole stabiliscono le norme per la immunità dei deputati e dei senatori. La suddivisione amministrativa dello stato rimane immutata in 9 banati divisi a loro volta in distretti e in comuni.
Culti. - Le differenze etniche e la diversità di formazione storico-culturale della popolazione si riflettono anche - come si è già visto - nella religione.
La chiesa ortodossa iugoslava continua il patriarcato serbo, autocefalo dal 1879 e ristabilito nel 1920. Ha alla testa il patriarca di Belgrado, assistito da un sinodo metropolitano da lui presieduto e composto di 4 vescovi, eletti dall'assemblea dei vescovi. Il patriarca è arcivescovo di Peć, metropolita di Belgrado e Karlovci; vi sono inoltre metropoliti per la Dalmazia e la Bosnia, il Montenegro e Primorje, Zletovo e Strumica a Banjaluka, a Skoplje; vescovi a Mostar, Pakrac, Bocche di Cattaro, Niš, Peć, Bačka, Ohrid, Sebenico, Timok, Žića, Prizren, Karlovac, Nikšić, Vršac, Braničevo, Karlovci, Šabac, Bitoli, Tuzla, Bihać.
La chiesa cattolica comprende i due arcivescovati di Antivari (sec. IX; arcivescovato dal 1034) e di Belgrado (1924; con unito il titolo di Semendria) e i vescovati di Lavernt (1228; residenza a Maribor) e di Skoplje (arcivescovato dal 1656; vescovato dal 1924), immediatamente soggetti alla Santa Sede; le provincie ecclesiastiche di Vrhbosna (Sarajevo; metropolitana dal 1881) con suffraganei Banjaluka (1881), Mostar (1881; con il titolo di duomo e l'amministrazione delle sedi unite di Marcana e Trebigne) e di Zagabria (diocesi dal 1093; metropolitana dal 1853), con suffraganei Križevci (1777) per i cattolici di rito bizantino; Segna (1460; con l'amministrazione di Modrussa), Sirmio (1781; ha unito il titolo di Bosnia, o Djakovo, ov'è la residenza); inoltre i vescovati di Lubiana (1461) e Veglia (sec. X), suffraganei di Gorizia; i vescovati di Cattaro (sec. X), Lesina (sec. XII; con i titoli di Brazza e Lissa), Ragusa (990), Sebenico (1298), Spalato (sec. VII) e Macarsca (sec. VI) uniti dal 1828, suffraganei di Zara. Ma dopo la guerra mondiale la diocesi di Zara è divisa e ha due amministratori apostolici, rispettivamente per la parte della diocesi in territorio iugoslavo e per quella in territorio italiano (v. italia: Culti). Vi è anche dal 1923 uno speciale amministratore apostolico per la Bačka, cioè per la parte iugoslava (Banato) dell'arcidiocesi di Kolocza. È sancita l'uguaglianza fra tutti i culti riconosciuti dallo stato e regolati con leggi: 8 novembre 1929 per gli ortodossi; 14 dicembre 1929 per gli ebrei; 31 gennaio 1930 per i musulmani; 16 aprile 1930 per i protestanti. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, vigono ancora i vecchi concordati col Montenegro (1881), con la Serbia (1914) ecc., in attesa della conclusione di un nuovo concordato.
Forze armate. - Esercito. - La formazione dello stato iugoslavo rese, al termine della guerra 1914-1918 e nei successivi anni 1919 e 1920, assai laboriosa la costituzione dell'esercito. Dopo l'armistizio, le forze serbe mobilitate occuparono gli antichi e i nuovi territorî, riattivarono i depositi serbi e austro-ungarici e altri ne costituirono in relazione alle necessità. Contemporaneamente vennero richiamate le classi serbe che sarebbero state di leva negli anni dell'invasione nemica e gl'individui rimasti per qualsiasi motivo in Serbia durante l'occupazione, nonché le classi anziane delle provincie ex austro-ungariche per fini di controllo e per amalgamarle coi contingenti serbi. Tra il giugno 1919 e l'inizio del 1920, si provvide gradualmente alla smobilitazione. L'esercito fu riordinato completamente nel 1923 e parzialmente ritoccato nel settembre 1929.
Nel 1930 il bilancio della guerra (esercito e truppe di frontiera) ammontava a dinari 2.130.000.000, pari a lire italiane 724.200.000 e al 17% del bilancio generale. La forza bilanciata era di 116.000 uomini (tra cui 7100 ufficiali e 8400 sottufficiali).
Comandante supremo dell'esercito è il re, che delega la sua autorità, in tempo di pace, al ministro della Guerra e Marina e può delegarla, in tempo di guerra, a un generale.
Il ministro della Guerra e Marina è coadiuvato dallo Stato Maggiore centrale, al quale compete la preparazione tecnica della nazione e delle forze armate per la guerra. Il territorio è diviso in 5 regioni d'armata, ognuna delle quali comprende 304 regioni di divisione (in totale 16); ogni regione di divisione comprende 3 distretti, ogni distretto 4 circoli.
L'esercito si compone di: truppe, servizî, scuole.
Le truppe comprendono: armi principali (fanteria, artiglieria, cavalleria, genio, aeronautica); truppe ausiliarie (delle comunicazioni, di intendenza, di sanità, tecniche, di frontiera, non combattenti, gendarmeria). La fanteria comprende 16 brigate, 57 reggimenti, 154 battaglioni; è armata di fucile Mauser, calibro 7,9 (420 per battaglione); fucili mitragliatori, calibro 7,92 e 8 (16 per battaglione); mitragliatrici leggiere, calibro 8 (16 per battaglione); mitragliatrici pesanti, calibri 7 e 8 (8 per reggimento); cannoncini da 37 mm. (4 per reggimento). L'artiglieria comprende: brigate 16, reggimenti 32, della guardia reale e da campagna (cannoni da 75 e 80 mm.; obici da 65, 70, 100 mm.), 5 pesanti campali (cannoni da 104 e 105 mm.; obici da 105, 120, 150, 155 mm.), 5 pesanti (materiale di vario calibro, sino al mortaio da 305), 1 da fortezza (piazzeforti di Cattaro e Sebenico); gruppi: 2 a cavallo (cannoni da 65 e 75 mm.), 5 controaerei (cannoni da 76,5 mm.). La cavalleria comprende 2 divisioni, 5 brigate, 10 reggimenti. È armata di: moschetti e sciabole, fucili mitragliatori (8 per squadrone), mitragliatrici leggiere (8 per squadrone), mitragliatrici pesanti (4 per reggimento). Il genio comprende le specialità pionieri, minatori, pontieri, telegrafisti, elettromeccanici, fotoelettricisti, specialisti, colombofili, ferrovieri; ha materiale di tipo assai vario e non molto moderno. Le truppe ausiliarie comprendono: 5 battaglioni treno; 6 battaglioni automobilisti; 17 compagnie d'intendenza; 17 compagnie di sanità; 1 battaglione speciale per la difesa delle Bocche di Cattaro; 56 compagnie (500 ufficiali e 30.000 uomini di truppa) di "graničari" (truppe di frontiera, con compiti militari e di polizia tributaria); 10 reggimenti (più una compagnia autonoma) di gendarmeria; alcune compagnie divisionali, non combattenti, adibite a servizî ausiliarî.
L'esercito iugoslavo può contare sui seguenti servizî: di Stato Maggiore, comune per l'esercito e la marina; di commissariato (intendenza, controllo amministrativo); tecnici (d'artiglieria, del genio, d'aeronautica, geodetico e geografico militare); sanitario; giustizia militare; religioso; veterinario; musiche militari.
Si hanno scuole militari, per ufficiali e per sottufficiali. Le prime si dividono in scuole di reclutamento (accademia militare di Belgrado; accademia di commissariato; scuole di amministrazione, di sanità militare, di veterinaria militare); di perfezionamento (scuola di fanteria e di tiro d'artiglieria, di cavalleria; del genio, d'aeronautica; di automobilismo; ufficiali di riserva) e di perfezionamento superiore (corso superiore dell'accademia militare di Belgrado).
Il servizio militare è obbligatorio per tutti gl'idonei dal 21° al 50° anno di età compreso (21-40 nell'esercito attivo; 40-50 nella riserva). Gl'inabili e gl'indegni pagano una speciale imposta militare; in caso di guerra, i primi sono chiamati a compiere servizî ausiliarî di retrovia. La ferma è di 18 mesi; di 2 anni per l'aeronautica. La chiamata avviene al 21° anno d'età. Il sistema di reclutamento è nazionale.
I sottufficiali provengono direttamente dai militari di truppa o dalle scuole sottufficiali. Cli ufficiali in servizio attivo escono dall'accademia militare (dopo un corso di tre anni) e possono essere reclutati anche: fra i sudditi iugoslavi, licenziati da scuole militari estere equiparate alle accademie militari, e che superino apposito esame; fra i sottufficiali, previo apposito esame. Gli ufficiali di riserva sono tratti: dagli ufficiali provenienti dall'esercito attivo, dai militari di truppa, e dai sottufficiali che superino apposito esame.
Si deve inoltre rammentare la potente organizzazione dei sokol (v.).
Marina militare. - La marina militare iugoslava nacque con la scomparsa di quella imperiale-regia austro-ungarica, in quanto la maggior parte delle navi di tale marina inalberò, in seguito a decisioni di comitati locali, la bandiera serbo-croato-slovena. Le potenze alleate però non sanzionarono un simile stato di cose e disarmarono e suddivisero fra loro la maggior parte delle navi austro-ungariche, sia incorporandole nelle proprie marine militari, sia demolendole. Allo stato iugoslavo non rimasero quindi che delle torpediniere, dei dragamine e alcune navi onerarie antiquate; poche unità, ma sufficienti per creare il nucleo della futura marina che le idee dei capi navali, provenienti tutti da quella austro-ungarica, e le mire degli uomini politici volevano e vogliono rendere la più forte possibile. A tale scopo non si risparmiano spese di bilancio e propaganda di tutti i generi, quest'ultima assai bene organizzata a cura della Jadranska Straa (La sentinella dell'Adriatico), che corrisponde alla Lega navale italiana e che è riuscita a creare delle sezioni perfino nei più remoti villaggi della vecchia Serbia.
Attualmente la marina iugoslava possiede: 1 incrociatore Dalmacija (ex Niobe germanico trasformato), varato nel 1899, da 2360 t. e 22 nodi circa, armato con 4/;83; 1 esploratore Dubrovnik, varato in Inghilterra nel 1931, da 1880 t. e 37 nodi, armato con 4/140, 1/76 antiaereo, 6 tubi di lancio da 533; 4 sommergibili, dei quali 2 (Smeh e Osvetnik) costruiti in Francia, impostati nel 1927, entrati in servizio nel 1929, da 570 t. e 14/9 nodi, armati con 1/100 e 6 tubi di lancio, e 2 (Hrabri, Nebojša) costruiti in Inghilterra nel 1927, da 870 t. e 15/10 nodi, armati con 2/102 e 6 tubi di lancio; 8 torpediniere ex austro-ungariche da T. 1 a T. 8, entrate in servizio nel 1913-16, da 200 t. e 28 nodi, armate con 2/66 e 2 tubi di lancio; 6 posamine (Jastreb, Kobac, Sokol, Orao, Labud, Galeb) entrati in servizio nel 1917, da 330 t. e 15 nodi, armati con 2/90; 1 nave-appoggio sommergibili Hvar, entrata in servizio nel 1896, da 1870 t. e 13 nodi; i nave-appoggio idrovolanti Zmaj, entrata in servizio nel 1930, da 1870 t. e 15 nodi, capace di portare 8-10 aerei; 2 navi-cisterna: Sitnica, entrata in servizio nel 1891, da 370 t. e 9 nodi, e Lovćen, entrata in servizio nel 1932, da 200 t. e 10 nodi; 1 nave di salvataggio, Spasilac, entrata in servizio nel 1929, da 740 t. e 15 nodi; 1 yacht Vila, entrato in servizio nel 1896, da 230 t. e 12 nodi; 1 nave-scuola Jadran, impostata nel 1930, ed entrata in servizio nel 1932, da 700 t. e 9 nodi; 4 monitori fluviali: Vardar, entrato in servizio nel 1915, da 530 t. e 13 nodi, armato con 2/1120, 2/66, 2 ob. da 120; Drava, entrato in servizio nel 1914, da 450 t. e 13 nodi, armato con 2/120, 2/66, 3 ob. da 120; Sava, entrato in servizio nel 1904, da 380 t. e 9 nodi, armato con 2/120 e 2/66; Morava, entrato in servizio nel 1892, da 390 t. e 9 nodi, armato con 2/120 e 2/66; 1 yacht reale (fluviale) Dragor, entrato in servizio nel 1928, da 250 t. e 10 nodi; 4 navi-vedette, delle quali 2 (Uskok e Četnik) entrate in servizio nel 1927, da 13 t. e 40 nodi, armate con 1 mitr. e 2 tubi di lancio, e 2 (Gramičar e Stražar) entrate in servizio nel 1929, da 36 t. e 9 nodi (queste due ultime sono vedette lacuali); 12 rimorchiatori (servizio mine): Malinska, Marjan, Meljine, Mljet, Mosor, entrati in servizio nel 1931, da 120 t. e 9 nodi, armati con 1/47; D. 2 (class. dragamine), varato nel 1878, da 78 t. e 17 nodi, armato con 2/37; Jaki, entrato in servizio nel 1915, da 370 t. e 15 nodi; Silni, entrato in servizio nel 1914, da 200 t. e 10 nodi; Moćni, entrato in servizio nel 1889, da 260 t. e 11 nodi; Marljivi, entrato in servizio nel 1898, da 130 t. e 12 nodi; Snažni, entrato in servizio nel 1917, da 100 t. e 10 nodi; Ustrajni, entrato in servizio nel 1917, da 160 t. e 9 nodi; 3 rimorchiatori fluviali: Cer, entrato in servizio nel 1909, da 256 t. e 15 nodi; Triglav, entrato in servizio nel 1915, da 90 t. e 11 nodi; Avala, entrato in servizio nel 1914, da 90 t. e 8 nodi.
Gli ufficiali della marina iugoslava, che negli alti gradi provengono dalla ex marina austro-ungarica, vengono ora formati dall'Accademia navale di Ragusa; sono circa 250, compresi quelli dell'aeronautica navale. I sottufficiali sono volontarî, i marinai di leva; la forza bilanciata è di 4000 uomini circa.
Aviazione militare. - Nel 1920 il Ministero della guerra e quello della marina costituirono la divisione dell'aviazione, e nel 1927 il comando d'aviazione, che è un organo alle dirette dipendenze di detto ministero. Le unità dell'aviazione terrestre dipendono dallo stesso capo che è anche ispettore-capo dell'aviazione navale. Il comando d'aviazione ha sede a Petrovaradin, vicino a Belgrado, ed è formato dalla divisione generale, divisione operazioni, divisione tecnica, divisione motori e divisione amministrativa. Nel 1929 è stato organizzato l'ufficio dell'aviazione civile sotto il controllo del comando d'aviazione. Per l'addestramento e la specializzazione vi sono a Petrovaradin le seguenti scuole: da ricognizione, fotografica, radio, meteorologica e quella degli ufficiali per la riserva d'aviazione. L'aviazione militare è formata dai reggimenti dislocati a Novi Sad, Zagabria, Mostar, Sarajevo, Skoplje e Zemun (Semlino). L'aviazione navale ha le sue basi alle Bocche di Cattaro e a Spalato.
Finanze. - Le finanze della Iugoslavia dal 1918. - La scarsezza delle entrate e l'imponenza delle spese improrogabili, in seguito alle devastazioni e ai disordini causati dalla guerra, fecero sì che i primi tre esercizî finanziarî (1919-20-21-22) del nuovo regno e specialmente i primi due, si chiudessero con forti deficit, rendendo necessario un largo ricorso al debito pubblico. Nell'impossibilità di ottenere crediti dall'estero, lo stato fu quindi costretto a rivolgersi al mercato interno, emettendo nel 1921 due prestiti, per l'ammontare complessivo di 650 milioni di dinari, e soprattutto alla Banca Nazionale di emissione, richiedendole, dal gennaio 1920 alla fine del 1922, 2966 milioni di anticipazioni. Adottato nel frattempo come unità monetaria il dinaro (antica moneta nazionale serba) e fissatone il cambio con le corone austro-ungariche, con i leva bulgari e con i perperi montenegrini, la Banca Nazionale aveva dovuto anche provvedere all'unificazione della circolazione e per rimborsare corone, leva e perperi aveva emesso 1276 milioni di dinari carta. Da 711 milioni al principio del 1920 la circolazione era salita così alla fine del 1922 a 5040 milioni (di cui oltre 4,200 emessi per conto dello stato). In seguito a questa inflazione monetaria il dinaro, che al principio del 1920 conservava ancora una valore equivalente al 30,11% della sua antica parità aurea, toccò nel gennaio 1923 il suo corso più basso, 4,96%, della parità aurea.
La cessazione di ogni ulteriore indebitamento dello stato con la Banca e la politica di moderata deflazione, allora iniziata e poi fermamente seguita dal governo, insieme col risanamento del bilancio (dal 1922-23 infatti la ripresa economica del paese ne permise l'equilibrio, nonostante il continuo aumento delle spese) si tradussero però ben presto in un rialzo del dinaro che, alla metà del 1925, raggiunse il valore di 9,13 centesimi svizzeri (di 9,13% cioè della antica parità aurea). Non bisogna dimenticare inoltre che, grazie alle sue migliorate condizioni, la Iugoslavia ha potuto ottenere dall'estero (Stati Uniti, Francia e Svezia), in questi ultimi anni, prestiti considerevoli e ha provveduto a sistemare il suo debito di guerra con gli Stati Uniti (1925) con l'Inghilterra (1927) e con la Francia (1930), eliminando così anche questi elementi d'incertezza della sua situazione e dando largo impulso allo sviluppo economico del paese. Nel maggio 1931 stipulò poi un nuovo prestito internazionale, particolarmente destinato alla stabilizzazione della valuta e ne assegnò l'intero provento (di 1025 milioni di franchi francesi) alla Banca Nazionale, estinguendo parte del debito dello stato con la banca, e lasciando il resto a disposizione del governo per l'esecuzione di opere pubbliche. Rafforzata così anche la riserva di divise estere a disposizione della Banca di emissione, nel giugno 1931 poté assicurare legalmente la raggiunta stabilità di fatto della sua moneta; stabilità che, per la scarsezza degli investimenti stranieri a breve termine e per la poca intensità dei rapporti finanziarî con l'Inghilterra, non risentì eccessivamente, né della crisi creditizia mondiale, verificatasi nell'estate 1931, né della crisi della sterlina del settembre dello stesso anno, nonostante le inevitabili ripercussioni sulla situazione bancaria. La depressione economica generale aveva cominciato però a farsi sentire anche in Iugoslavia e la moratoria Hoover (luglio 1931), riducendo le entrate del saldo attivo delle riparazioni tedesche, aveva costretto il governo a ridurre notevolmente le spese, nonostante che nelle previsioni per il 1931-32 fossero già state energicamente contratte. Assai più gravi furono poi le ripercussioni della crisi mondiale nei primi mesi del 1932, specie nel campo dell'agricoltura e del commercio con l'estero, e per far fronte al diminuito gettito delle entrate (specie delle imposte dirette e delle dogane), senza ricorrere ad aumenti del carico fiscale, fu necessario ridurre ancora quasi tutti i capitoli di spesa del bilancio votato per il 1932-1933.
Bilanci e debito pubblico. - Il gettito dei monopoli di stato e le altre forme di imposizione indiretta (specialmente i dazî doganali) dànno il maggiore contributo alle entrate del bilancio della Iugoslavia, in misura molto superiore alle imposte dirette, anche dopo la riforma fiscale del 1929. L'eccedente netto delle imprese di stato e, fino al 1930-31, le riparazioni tedesche in contanti hanno pure notevole importanza. I maggiori capitoli di spesa (trascurando le spese per le imprese di stato più che compensate, come si è visto, dalle entrate che dalle imprese stesse derivano) sono quelli per la difesa nazionale, per il servizio del debito pubblico e per le pensioni, in gran parte pensioni di guerra. - (Milioni di dinari).
Alla fine del 1931 il debito di guerra consolidato ammontava a circa 15 miliardi di dinari e le riparazioni tedesche attribuite alla Iugoslavia potevano valutarsi alla stessa data a circa 45 miliardi. Alla fine del 1932 il debito pubblico interno ammontava a 6 miliardi e quello estero a 19,9.
Moneta e credito. - Con la legge 11 maggio 1931, entrata in vigore il 28 giugno, il dinaro è stato definitivamente stabilizzato al valore di 26,5 milligrammi di oro fino (corrispondente a 9,13% del valore aureo prebellico del dinaro serbo) ed è stata così fissata la base aurea della circolazione. La legge non ha previsto però alcuna coniazione di monete d'oro ma si è limitata ad assicurare la libera convertibilità dei biglietti in oro, in verghe o in divise estere convertibili in oro e liberamente esportabili dai loro paesi (consentendo la convertibilità solo per somme non inferiori a 250.000 dinari) e a dichiarare la libera esportazione dell'oro e delle divise (le limitazioni al commercio dei cambî furono però ripristinate nell'ottobre 1931 per arginare il deflusso di valuta iugoslava all'estero).
La Banca Nazionale di Iugoslavia (1920) ha il monopolio dell'emissione e l'obbligo di coprire l'ammontare dei biglietti in circolazione e degli altri impegni a vista con una riserva del 35% (25% in oro e il resto in divise estere liberamente convertibili in oro ed esportabili). Al 31 dicembre 1932 i biglietti in circolazione ammontavano a 4772 milioni di dinari e la riserva era di 1761 milioni in oro e 207 in divise.
I principali istituti bancarî sono la Banca Ipotecaria di stato, la Banca agraria privilegiata, la Societa generale iugoslava bancaria, la Banca iugoslava, la Prima cassa di risparmio croata, la Banca dell'artigianato (fondate nel 1862, 1929, 1928, 1909, 1846 e 1926) e la Banca iugoslava riunita sorta da una recente fusione.
Bibl.: Camera dei deputati, Bollettino parlamentare, 1931, II, pag. 257; III, p. 180. Vedi inoltre articoli varî in Revue Économique de Belgrado, 1931-32, le relazioni della Banca Nazionale del Regno di Iugoslavia e The near east yearbook 1931-32, Londra 1932.
Storia.
Gli atti costitutivi. - Lo stato iugoslavo esiste dal 1° dicembre 1918, cioè dal giorno in cui avvenne lo scambio delle dichiarazioni scritte tra i rappresentanti del Consiglio nazionale iugoslavo e l'erede al trono di Serbia, Alessandro Karagjorgjević.
Questo definitivo atto costitutivo fu preceduto da una serie di altri atti politici di cui importa ricordare: la dichiarazione del 7 dicembre 1914 del governo di Belgrado, con la quale esso precisa gli scopi della guerra, cioè la "lotta per la liberazione di tutti i nostri fratelli irredenti, Serbi, Croati e Sloveni"; la costituzione, nel maggio 1915, del Comitato iugoslavo, di cui fu massimo esponente l'avvocato A. Trumbić di Spalato, in rappresentanza degli emigrati serbi, croati e sloveni della monarchia danubiana: questo comitato prospetta la creazione di uno stato iugoslavo, libero e indipendente; la costituzione a Parigi, nel marzo 1917, del Comitato montenegrino per l'unione nazionale con lo scopo di unire la Serbia, il Montenegro e le altre regioni abitate dagli Slavi della monarchia danubiana, in un unico complesso statale; la petizione, presentata nel maggio 1917 dal Club dei deputati iugoslavi al parlamento di Vienna, con la quale i rappresentanti degli Slavi della monarchia asburgica, chiedono, sulla base del principio di nazionalità, l'unione di tutti gli Iugoslavi austro-ungarici in un unico complesso statale, democratico, indipendente e libero dal predominio di qualsiasi altra nazionalità, sotto lo scettro degli Asburgo; la dichiarazione di Corfù del 20 luglio 1917: atto comune del Comitato iugoslavo e del governo serbo; la costituzione in Consiglio nazionale dei deputati degli Sloveni, Croati e Serbi della Croazia, Bosnia, Erzegovina, Dalmazia, Ungheria, Trieste, Istria e regioni slovene; la dichiarazione della Dieta croata di Zagabria del 26 ottobre 1918, con cui è dichiarata sciolta l'unione giuridica con l'Ungheria e con l'Austria; la richiesta presentata il giorno 3 novembre 1918 dal Consiglio nazionale di Zagabria, alle potenze dell'Intesa e all'America, di esser riconosciuto come governo legittimo degli Iugoslavi austro-ungarici; il riconoscimento da parte della Serbia di codesto Consiglio nazionale, avvenuto il giorno 8 novembre 1918; la dichiarazione di Ginevra del 9 novembre 1918 (rimasta lettera morta) con la quale il governo serbo e il Consiglio nazionale si accordavano di costituire un governo unitario di membri (tre designati dal governo serbo e tre dal Consiglio nazionale), che avrebbe dovuto rimanere in carica fino alla costituzione dell'Assemblea costituente, mentre tutti gli altri affari sarebbero stati affidati alle autorità locali; la deliberazione di unione alla Serbia dello stato degli Iugoslavi austro-ungarici avvenuta il giorno 24 novembre 1918; la deliberazione dell'Assemblea di Podgorica, il giorno 26 novembre 1918 (decadenza della dinastia Petrović e unione del Montenegro alla Serbia).
Fase precostituzionale. - La piena e completa unificazione giuridica delle nuove regioni con la Serbia, avvenne il giorno 24 dicembre 1918; in quel giorno Stojan Protić costituì il primo gabinetto iugoslavo, e fu creato un Consiglio di stato di 140 membri, con funzioni parlamentari. Dalla sua formazione alla sua entrata in funzione codesto organo costituzionale subì importanti modifiche. Esso avrebbe dovuto essere soltanto costituito da rappresentanti della Skupština serba, da quelli del Consiglio nazionale di Zagabria, del Montenegro e del Comitato iugoslavo, che continuava a esistere anche dopo avvenuta l'unificazione. Per dare dei seggi anche ai rappresentanti delle altre regioni, il numero dei delegati fu aumentato a 188 e vi fu rappresentata anche la Macedonia.
Nel febbraio 1919, il Consiglio di stato si trasforma in preparlamento e più tardi in parlamento nazionale provvisorio. Convocato nel marzo 1919, il parlamento nazionale provvisorio contava circa 300 delegati, di cui 269 presero parte alla solenne seduta inaugurale. La Serbia vi fu rappresentata da 83, la Croazia-Slavonia e Fiume da 60, la Bosnia-Erzegovina da 42, la Slovenia da 32, la Voivodina da 24, il Montenegro da 12, la Dalmazia da 12 e l'Istria da 4 delegati. In sostanza, nella prima divisione in rappresentanti serbi, montenegrini, irredenti e emigrati, prevalse il concetto territoriale. Il 10 marzo, nel suo discorso inaugurale, il principe-reggente Alessandro accennò all'unione di tutte le stirpi slave, e qualche giorno più tardi i partiti fecero accogliere dall'Assemblea nazionale la risposta al discorso della Corona, in cui furono rivendicate il Friuli con Gorizia, Trieste, l'Istria, Fiume e tutta la Dalmazia.
Dal 10 marzo 1919 al 28 novembre 1920, il parlamento nazionale provvisorio svolse la sua attività, la quale avrebbe dovuto limitarsi alla compilazione e all'approvazione della legge elettorale per l'Assemblea costituente: esso invece allargò le sue attribuzioni e la sua attività al punto di agire come un vero e proprio parlamento con funzioni legislative. Dalle lotte fra i partiti rappresentati in questa assemblea, apparve risultare immediatamente il suo vizio di origine, e non riuscendo nessun partito a conquistare la maggioranza, il governo dovette spesse volte ricorrere a misure arbitrarie che sollevarono proteste. Tuttavia, nonostante la mancanza di coesione e di netta visione della realtà politica, il parlamento nazionale provvisorio elaborò e votò alcune leggi di una certa importanza. Ma il parlamento, campo di lotta dei partiti, non poteva risolvere i compiti che gli erano affidati, perché prima che esistesse una base giuridica, sulla quale iniziare la costruzione dello stato, il partito democratico agì attivamente per dare una propria fisionomia alla struttura interna dello stato e, alla sua volta, il partito radicale non ammise pressioni di alcun partito nel determinare i rapporti con l'estero. Da parte loro i Croati combatterono le tendenze democratiche nell'organamento dello stato e le tendenze radicali nel fissare i rapporti con l'estero. I clericali - prevalentemente sloveni - iniziarono subito la loro politica opportunistica, ora appoggiando i democratici e ora i radicali, le due maggiori tendenze parlamentari. I socialisti, subendo le fasi della lotta parlamentare, si divisero in un'ala destra, più vicina ai partiti nazionali, e in un'ala sinistra con tendenze comuniste. Si delinearono così subito tre specie di partiti più tardi nettamente distinte in Iugoslavia: i partiti politici, i partiti etniconazionali e i partiti di classe: cioè radicali, democratici e clericali; serbi, croati, sloveni e musulmani; borghesi, socialisti e comunisti. Le gravi difficoltà che si opponevano allo svolgimento della vita parlamentare iugoslava, non impedirono al governo di fissare le elezioni per la Costituente per il 26 novembre 1920.
Non essendovi una legge elettorale iugoslava fu adottata la legge elettorale serba. Il paese fu diviso nelle sette provincie storiche, assegnando un mandato per ogni nucleo da 17 a 30 mila abitanti. I distretti amministrativi della Serbia e della Bosnia furono considerati, senza alcuna modificazione, quali collegi elettorali, i comitati della Croazia ottennero pure la stessa fisionomia elettorale. Il Montenegro formò uno, e la Dalmazia due collegi, uno dei quali comprendeva la zona occupata dalle truppe italiane. Gorizia, aggregata al distretto amministrativo di Lubiana, doveva costituire un collegio unico, e Fiume fu incorporata nel collegio di Modrussa. Furono lievemente modificati i confini dei distretti amministrativi nella zona slovena e in quella della Voivodina, che era appartenuta a suo tempo all'Ungheria.
La crisi d'assestamento. - Durante questo periodo d'assestamento, le crisi ministeriali si susseguono. Protić, in seguito al dissidio con Svetozar Pribičević, rassegna le dimissioni (4 agosto 1919) ed è sostituito da Ljuba Davidović, il capo dei democratici, il quale costituisce un ministero democratico, con la collaborazione di tre social-democratici e un montenegrino. Difficoltà esterne, determinate dalla conclusione del trattato di San Germano, provocano una nuova crisi (13 settembre). Dopo un mese e mezzo di tentativi di accordare radicali e democratici, Davidović accetta il reincarico (ottobre 1919), costituisce un nuovo gabinetto democratico con tre socialisti e affida la vicepresidenza a Giorgio Bianchini, deputato di Ragusa. La situazione parlamentare tuttavia non muta, e il gabinetto di coalizione democratica-socialista è costretto a sospendere le sedute dell'assemblea.
Ma poiché la costituzione serba non permetteva l'aggiornamento sine die della Skupština, il governo, posto di fronte al dilemma: o riconvocarla o scioglierla, presentò (15 febbraio 1920) al reggente il decreto di scioglimento. La proposta Davidović non fu accettata; un nuovo tentativo di concentrazione su un programma nazionale fatto da Vesnić fallì e un nuovo esperimento di Protić, inteso a salvare la situazione con una coalizione radicale-nazionale, cozzava contro l'opposizione democratica cui si aggiungevano i risultati delle elezioni municipali in Croazia. Il ritorno di M. Vesnić (maggio 1920) riuscì per un istante a porre fine a tanta anarchia. La Skupština abbandonò il metodo dell'ostruzionismo. Il nuovo governo organizzò il viaggio del principe reggente in Croazia, Slovenia e Bosnia; promulgò il decreto-legge sui danni di guerra (21 giugno 1920), adottò severe misure contro i comunisti, fece votare la legge elettorale e il primo bilancio. Le elezioni per la Costituente (26 novembre 1920) diedero risultati poco rassicuranti per una maggioranza unitaria.
Vesnić pertanto rassegnò le dimissioni (2 gennaio 1921) e assunse il potere Nicola Pašić, il vecchio e abile uomo politico serbo, il quale negoziò col partito dei contadini bosniaci, serbi e sloveni e l'organizzazione musulmana un accordo che gli garantì una quarantina di voti: un rappresentante dei primi e due dei secondi entrarono nel gabinetto. Ai musulmani egli promise l'indennizzazione dei beg espropriati dalle disposizioni della riforma agraria, e ai contadini assicurò l'introduzione nel progetto di costituzione di alcune disposizioni (art. 22-44) di carattere economico e sociale. Soltanto con l'appoggio dei musulmani Pašić si sentì sicuro di far votare la Costituzione. La Costituente, inaugurata dal principe reggente (14 gennaio 1921), sospese le sue sedute dal 1° febbraio al 9 aprile, per dare agio alla commissione elettorale di compiere i suoi lavori e votò nella seduta del 28 giugno 1921, anniversario della battaglia di Kosovo, con 223 voti contro 35 e 159 assenti, la costituzione detta di S. Vito che diede al nuovo stato la fisionomia di monarchia parlamentare ereditaria. L'assassinio del ministro Drašković (21 luglio 1921) diede al Pašić il pretesto di far votare la legge di protezione della sicurezza pubblica e dell'ordine nello stato (1° agosto 1921).
I confini. - Lo stato iugoslavo nacque senza precisi confini, e la delimitazione di essi determinò una serie di contese con gli stati limitrofi (Italia, Romania, Austria, Ungheria, Bulgaria e Albania), contese che si composero appena dopo quattro anni di trattative. Le frontiere fra Italia e Iugoslavia, fissate col patto di Londra, con l'intervento dell'America, il cui presidente dichiarava di ignorare i trattati segreti, venivano poste in discussione. All'aprirsi delle trattative si prospettarono tre concezioni antitetiche per risolvere la questione delle frontiere fra i due stati: l'italiana basata sulla disposizione del patto di Londra, e riaffermata nel memoriale del 10 febbraio 1919, nel quale si chiedeva, insieme con l'adempimento delle clausole del patto su citato, anche l'annessione di Fiume; la iugoslava, esposta oralmente da Trumbić il 10 febbraio 1919 dinnanzi al Comitato dei Dieci, secondo la quale dovevano essere attribuite alla Iugoslavia, Trieste, Fiume, la Dalmazia e la parte montana della provincia di Gorizia, e infine la tesi wilsoniana, che escludeva l'Italia dalla Dalmazia e portava il confine del regno al Monte Maggiore e all'Arsa. L'11 febbraio 1919 i delegati iugoslavi presentavano la proposta di sottoporre la questione all'arbitrato di Wilson, che dal ministro degli Esteri Sonnino era immediatamente respinta, "trattandosi di questioni per la risoluzione delle quali, in pieno accordo con i suoi alleati, l'Italia aveva sostenuto una durissima lotta per tre anni e mezzo". Il 3 aprile, il problema era improvvisamente sottoposto all'esame del Consiglio supremo. Escluso, per influenze di fattori interni, il Sonnino dal Consiglio supremo, incominciano i primi tentativi concreti per giungere a una soluzione media tra la concezione wilsoniana e quella garantita dal patto di Londra. Furono progettate le più disparate e in pari tempo le più complicate soluzioni: dallo stato libero fiumano alla repubblica dalmata, dalla vivisezione del porto di Fiume alla creazione artificiale dei porti sulla costa dalmata, combinazioni presto scombinate perché ispirate a criterî di abilità diplomatica, anziché a quelli che erano i soli ammissibili, della geografia e della storia. Le trattative, interrotte dalla dimostrativa partenza da Parigi della delegazione italiana in seguito alla pubblicazione della nota lettera di Wilson (23 aprile 1919) furono riprese al ritorno della nostra delegazione a Parigi. Furono allora portati contemporaneamente in discussione due progetti: Muller-Macchi di Cellere e Tardieu-Crespi. Caduto il primo perché non accontentava né Italiani né Iugoslavi; perché il confine istriano ai primi, la spartizione della Dalmazia ai secondi, parevano sacrifici troppo gravi per accedere a una artificiosa formola di compromesso, verso la fine di maggio 1919 gli sforzi degli Alleati si concentrarono per far trionfare il progetto Tardieu-Crespi. Il progetto Tardieu-Crespi, cui collaborò il delegato italiano Crespi ed ebbe il consenso di Orlando e di Clemenceau, seguiva in parte la linea americana e in parte la linea italiana. Fiume con l'isola di Veglia diventava stato indipendente, Zara e Sebenico e tutte le isole del patto di Londra passavano all'Italia, mentre l'isola di Pago e tutta la Dalmazia doveva essere neutralizzata e assegnata alla Iugoslavia. Le riserve di Wilson e il rifiuto della delegazione iugoslava fanno cadere anche questo progetto (29 maggio 1919). Identica sorte, in seguito al rifiuto della delegazione italiana, tocca anche al controprogetto del colonnello House, che, allargando notevolmente lo stato di Fiume, ne sacrificava il carattere italiano. Ritiratosi il barone Sonnino, in seguito alla crisi di gabinetto, il nuovo ministro degli Esteri Tittoni tenta, per mezzo di laboriose trattative, di giungere a una formula di compromesso. È così che nell'agosto la delegazione italiana contrappone al progetto House il primo progetto Tittoni, secondo il quale il confine orientale dello stato fiumano coincideva con quello rivendicato dall'Italia, dallo sbocco est del varco di Nauporto al mare. Ma il 12 settembre d'Annunzio occupava Fiume e dopo lunghe trattative, nell'ottobre successivo il governo italiano si impegnava di far accettare dagli Alleati e dall'America il progetto Tittoni, modificato con l'assegnazione di Cherso al nuovo stato, garantendo la continuità territoriale fra il regno e lo stato fiumano. Le trattative fallivano per l'inflessibile volontà di Gabriele d'Annunzio di raggiungere l'annessione di Fiume all'Italia. Un'altra proposta Tittoni, che tendeva a conciliare le due tesi, non era accettata da Lansing che agiva in rappresentanza di Wilson allora infermo. A un nuovo intervento di Wilson che telegraficamente inviava a Nitti lo schema definitivo del suo progetto per la sistemazione del confine orientale dell'Italia, seguiva la consegna del memoriale Clemenceau-Polk al ministro Scialoja (9 dicembre 1919) cui il governo italiano rispondeva col memorandum del 6 gennaio 1920 ai governi britannico e francese, chiedendo pregiudizialmente l'adempimento del patto di Londra. Tre giorni dopo Clemenceau e Lloyd George, pur dichiarandosi in linea morale tenuti ad applicare il patto di Londra, presentavano una nuova rielaborazione della loro proposta del 9 dicembre 1919, cui il governo replicava con il memorandum del 10 gennaio 1920. Le successive trattative dirette, riprese pochi giorni dopo a Londra e a Parigi tra il Nitti, Clemenceau e Lloyd George portavano alla compilazione concordata del noto progetto di compromesso Lloyd George-Nitti del 14 gennaio 1920; ma, presentato alla delegazione iugoslava, il compromesso era respinto e dal presidente Wilson dichiarato inaccettabile.
Le trattative entrarono in questo momento in una nuova fase: quella delle trattative dirette. Questa fase si inizia con i colloqui di Pallanza (11 maggio 1920), di Spa (luglio 1920), integrati dai convegni di Giolitti con Lloyd George a Lucerna (22-25 agosto 1920), e con Millerand ad Aix (2-14 settembre 1920) e si conclude a Rapallo col trattato del 12 novembre 1920. Dimostratosi impossibile il funzionamento dello stato autonomo di Fiume, i due stati interessati sono indotti a riesaminare la situazione creata a Rapallo. Le trattative dirette iniziate al convegno di Losanna e riprese dal capo del governo Mussolini e dal ministro degli Esteri Ninčić, si concretarono nel trattato di Roma (27 gennaio 1924) che fissò le attuali frontiere italo-iugoslave.
Contemporaneamente alla contesa adriatica per i confini occidentali, fra gravi difficoltà la Iugoslavia riesce a fissare le altre sue frontiere. Con la Romania: in base alle decisioni della conferenza della pace del 13 giugno 1919, per cui, dichiarate nulle sia le frontiere fissate col trattato segreto del 1916, in seguito al quale la Romania era entrata in guerra a fianco degli Alleati, sia la linea di divisione raggiunta dall'esercito dopo la conclusione dell'armistizio, il Banato fu diviso secondo criterî prevalentemente etnici; con l'Austria quelle stabilite nel trattato di San Germano erano fissate definitivamente col plebiscito di Klagenfurt, che nell'ottobre 1920 risultava favorevole all'Austria; con l'Albania rimaneva sospesa la definizione fino al 1921, cioè fino che la Conferenza degli ambasciatori non riconoscesse lo stato albanese dentro i confini decisi nel 1913; salito al potere Ahmed Zogu nel 1924, il confine iugoslavo-albanese subì una lieve modifica a vantaggio della Iugoslavia; con la Bulgaria, i confini furono definiti col trattato di Neuilly (27 novembre 1919), in forza del quale la Iugoslavia ottenne la regione della Strumica, di Caribrod, di Bosiljgrad e di Vidin; e finalmente con l'Ungheria, sulla base delle disposizioni del trattato del Trianon, la Iugoslavia ottenne la Bačka Banja e il distretto, parte della Baranya e il Medumurje. L'altra parte della Baranya occupata da truppe iugoslave fu per ordine della Commissione militare interalleata (18 agosto 1921) evacuata e riconsegnata alle autorità ungheresi.
La politica interna: L'opposizione anticostituzionale dei croati. - Votata la costituzione di San Vito e promulgata la legge a difesa dello stato, che, sebbene fosse applicata contro i comunisti, pure fu una continua minaccia contro qualsiasi tentativo anticentralista, il partito dei contadini croati, capeggiati da Stefano Radić, si astenne da ogni attività parlamentare. Radić considerò la costituzione di San Vito illegale; rifiutò il giuramento richiesto dalla costituzione di riconoscere la monarchia dei Karagjorgjević, e assunse, parecchie volte, atteggiamenti decisamente antidinastici e antimonarchici; il suo partito prese il nome di partito repubblicano dei contadini croati.
Il capo del governo S. H. S., Nicola Pašić, pensò che l'unico mezzo per far cessare codesto astensionismo parlamentare, sarebbe stato lo scioglimento della Camera per l'indizione di nuove elezioni. Riducendo il numero dei rappresentanti croati a vantaggio dei gruppi che appoggiavano il governo, le difficoltà del funzionamento della Camera sarebbero state risolte. Il numero dei deputati venne da 417 ridotto a 313, e furono indette le elezioni (1923). Sennonché, se il partito radicale ne usciva con evidente vantaggio, il partito radiciano si conquistava altri 20 seggi, raggiungendo il numero di 70. La riduzione del numero complessivo dei deputati rendeva maggiore la vittoria di Radić. S'iniziò allora una serie di approcci per raggiungere un accordo fra i due partiti, che furono interrotti con una rumorosa dichiarazione di Radić a un comizio di Zagabria. Il governo di Belgrado, deciso a risolvere la crisi, fece presentare al parlamento una domanda di autorizzazione a procedere contro Radić per alcuni suoi articoli pubblicati sul Slobodni Dom. Il capo croato, munito di un passaporto falso, abbandonò il paese, e andò a perorare all'estero la causa croata: a Londra non trovò ascolto; ne trovò invece in Russia, dove la sua azione separatista fu ufficialmente riconosciuta, e il partito radiciano iscritto alla Terza Internazionale. Quest'ultimo atto autorizzò il governo ad agire contro il partito dei contadini croati, ricorrendo alla legge per la difesa dello stato, ciò che costrinse la direzione del partito a rientrare alla Skupština, e a fare atto di riconoscimento della monarchia, e, con riserva verso la costituzione, prestare giuramento.
La presenza dei croati alla Skupština pose il gabinetto Pašić in minoranza; fu sostituito da un gabinetto di democratici (aprile-novembre 1924). Ma ritornato Pašić al governo, Radić fu arrestato, e la Skupština disciolta. Le elezioni del febbraio 1925 costituirono una vittoria radicale, ma non già una sconfitta dei radiciani i quali perdettero tre mandati.
La collaborazione dei Croati. - All'arresto di Stefano Radić, seguì un colpo di scena. Suo nipote Paolo, in un discorso alla Skupština, fece una serie di dichiarazioni lealiste; dichiarò a nome del partito di voler collaborare con le autorità costituite, e di tendere alla realizzazione del programma radiciano, non soltanto con mezzi legalmente ammessi, ma agendo dentro l'orbita della costituzione di San Vito. Veniva così superata l'opposizione anticostituzionale, sconfessata tutta l'attività svolta da Stefano Radić all'estero, e in particolare in Russia, per la costituzione di una repubblica croata indipendente. L'11 luglio 1925 era firmato un accordo di collaborazione parlamentare con i radicali, e due giorni dopo, i radiciani si staccavano dal blocco dell'opposizione, costituita dagli sloveni (Korošec), musulmani bosniaci (Spaho) e votavano a favore del governo. Si formava un nuovo gabinetto di coalizione radicale. Stefano Radić, liberato dal carcere, fu ricevuto dal sovrano e si dichiarò disposto a collaborare con Pašić facendo tuttavia delle riserve sulla costituzione, pur accettandola. L'accordo raggiunto fra i due maggiori partiti, radicale e radiciano, diede agio al governo di proporre e di far accettare alla Skupština una serie di provvedimenti nel campo agrario, sociale e dell'istruzione.
Ma composto il disaccordo tra radicali e radiciani, si manifestò una crisi in seno allo stesso partito radicale. Pašić, il vecchio uomo politico balcanico, si trovò di fronte a Ljuba Jovanović, uomo di idee moderne. La lotta fra i due uomini politici e i loro fautori degenerò in lotta personale avendo il Jovanović accusato Rade Pašić, figlio del presidente del consiglio, di aver partecipato ad affari loschi e a danno dell'erario. Pašić, colpito, rassegnò le dimissioni; i radicali che facevano parte del suo gabinetto seguirono il suo esempio. Un gabinetto presieduto da Uzunović che doveva essere il luogotenente di Pašić non seppe fronteggiare la situazione parlamentare. Intanto riaffiorava la lotta fra Serbi radicali e Croati radiciani. Il Pašić, sentendo la difficoltà del momento, si accingeva a intervenire per impedire che Radić riprendesse l'agitazione antiunitaria. Si trattava di riaffermare il potere prima che fossero indette le elezioni amministrative, e di presenziare la cerimonia dell'incoronazione dei sovrani. Ma, travolto Uzunović dalla notizia del trattato di Tirana, il sovrano non conferiva l'incarico né al Pašić, nè al Radić di costituire il nuovo gabinetto, che veniva ricostituito dall'Uzunović. Il giorno dopo l'udienza sovrana Pašic moriva.
I Croati ritornano all'opposizione. - Alla morte di Pašić avvenuta l'11 dicembre 1926, il gabinetto Uzunović indisse le elezioni generali amministrative che si svolsero il 23 gennaio 1927. I partiti della coalizione governativa riportarono l'assoluta maggioranza; ma accuse formulate da Radić contro i metodi terroristici adoperati dal partito radicale a suo esclusivo vantaggio, determinarono le dimissioni di Uzunović, che il sovrano incaricò, tuttavia, di costituire il nuovo gabinetto, dal quale furono esclusi completamente i Croati. L'opposizione croata, alla quale partecipavano anche molti membri del club radicale, costrinsero l'Uzunović a dimettersi (16 aprile 1927). Il nuovo presidente del consiglio Vukičević (20 aprile 1927) assunse la sue funzioni di capo del governo, in un momento molto difficile. Il paese era sotto l'impressione del secondo patto di Tirana che assicurava all'Albania la sua indipendenza. La Skupština aveva la sensazione che il governo non avesse saputo difendere gl'interessi nazionali. Il Vukičević, per evitare un voto di sfiducia, e perché, come diceva nel documento che fa parte del testo del decreto che doveva essere sottoposto alla firma del re, "l'attività legislativa non aveva finora soddisfatto ai reali bisogni della vita statale e nazionale e una lunga serie di disposizioni costituzionali erano rimaste inadempiute" scioglieva (16 giugno 1927) la Camera. Le elezioni (11 settembre 1927) non portarono però notevoli spostamenti, sebbene lo squilibrio fra radicali e democratici che partecipavano alla coalizione governativa imponesse un rimpasto del ministero, cui partecipavano anche due clericali sloveni, fra i quali l'abate Korošec, e un musulmano della Bosnia. Il 5 ottobre 1927, il ministero Vukičević convocava la nuova Camera.
La politica estera. - Da Rapallo al patto di Roma. - La Iugoslavia, che Pašić voleva diventasse una "grande Serbia" e che Trumbić voleva si trasformasse nel "Regno dei Serbi, Croati e Sloveni", era in conflitto con tutti i vicini. Con l'Albania perché, dopo essersi annesso un territorio abitato da più di un mezzo milione di Albanesi, tendeva ad assicurarsi alcune regioni presso il lago di Ochrida e non celava l'intenzione di assorbire completamente il piccolo stato albanese; con la Grecia, per l'atteggiamento dei Greci durante la guerra e più ancora per il porto di Salonicco che i Serbi consideravano come il loro porto naturale, con la Bulgaria, per l'antica rivalità tra Belgrado e Sofia per la Macedonia e perché, a torto o a ragione, riteneva che i moti macedoni fossero un'insidia bulgara; con la Romania, per l'arbitraria divisione del Banato fatta dalla Conferenza di Parigi, che aveva lasciato malcontenti Serbi e Romeni, e per il discutibile trattamento delle minoranze romene in Iugoslavia; con l'Ungheria, per la paura che il piccolo popolo magiaro, ristretto in nuovi troppo angusti confini, sotto la rassegnazione al nuovo stato di cose, celasse chi sa quali piani di rivendicazione e di reintegrazione nazionale; con l'Austria, per lo scacco subito nel plebiscito del bacino di Klagenfurt, che era riuscito a vantaggio degli Austriaci e garantiva a essi la linea difensiva delle Caravanche; e finalmente con l'Italia, per la questione adriatica e fiumana.
Il conflitto più pericoloso era quello con l'Italia; da questo derivavano tutti gli altri, in quanto esso indirettamente li alimentava. Insomma risolvendo i varî dissidî con i popoli balcanici e lasciando insoluto quello adriatico, la situazione internazionale della Iugoslavia non sarebbe mutata; mentre invece, se Belgrado si fosse intesa con Roma, tutte o quasi tutte le questioni si sarebbero automaticamente risolte. Di ciò erano convinte molte personalità politiche di Belgrado, ma influenze estere impedivano al governo iugoslavo di iniziare una propria politica estera. Esisteva allora, e in piena efficienza, la Piccola Intesa. Nel suo programma medio-europeo bisognava inquadrare le necessità balcaniche e adriatiche del governo di Belgrado. Per il tramite di Praga, centro della Piccola Intesa, la Francia concederebbe ogni sorta di appoggi. Con l'aumento di prestigio della Piccola Intesa, l'influenza della Francia era diventata definitiva. Ma la protezione francese e la politica della Piccola Intesa non risolvevano nessun problema balcanico e la Iugoslavia continuava ad agitarsi tra grandissime difficoltà, che la spinsero al patto di Roma del 27 gennaio 1924.
Dal patto di Roma al primo patto di Tirana. - È la fase delle contese balcaniche e dell'affermarsi dell'egemonia iugoslava nei Balcani. L'accordo italo-iugoslavo determinò la ripresa in esame della soluzione del problema della zona franca serba nel porto di Salonicco. Nel 1923, il governo di Belgrado chiedeva una zona esclusivamente serba e la Grecia, sia pure protestando, si vedeva costretta a concederla. Si trovava allora la Grecia in disastrose condizioni interne sotto l'impressione della disfatta anatolica. Nel novembre 1924, la Iugoslavia denunciò la sua alleanza con la Grecia del 1913 e fece comprendere che l'alleanza non sarebbe stata rinnovata se la questione di Salonicco non fosse stata risolta. A una soluzione si giunse però solo il 17 agosto 1926, essendo il dittatore greco Pangalos convinto dell'utilità di un'alleanza con la Iugoslavia.
L'azione del governo di Belgrado si rivolse quindi verso la Bulgaria con un'azione violenta in Macedonia; e mentre da una parte tentava di trasformare la regione in una provincia serba, accusava quotidianamente i Bulgari di congiure antiserbe. Si volse poi contro l'Albania, la quale dal 9 novembre 1921 era già uno stato con confini ben definiti. Capo del governo albanese era Fan Noli, persona invisa a Belgrado, specie ai circoli militari, i quali, con l'aiuto di truppe regolari serbe verso la fine del 1924 organizzarono una rivolta. L'azione iugoslava si conchiuse con la fuga di Fan Noli e con l'insediamento di Ahmed Zogu. Sennonché Ahmed Zogu, considerata la sua posizione e dovendo optare fra Iugoslavia e Italia, si decise per quest'ultima: cioè nell'amicizia con l'Italia trovò un mezzo per resistere alle pressioni iugoslave. Il governo di Belgrado organizzò allora delle rivolte contro il nuovo capo del governo albanese; ma nel momento in cui truppe irregolari iugoslave e insorti albanesi si preparavano a irrompere in Albania, il giorno 27 novembre 1926 i governi di Roma e di Tirana stipulavano il primo patto di Tirana.
Dal patto di Tirana al colpo di stato. - È il periodo in cui la Iugoslavia tenta di risolvere le sue contese balcaniche inserendole nella politica europea. L'annuncio della stipulazione del primo patto di Tirana costringeva il ministro degli Esteri Ninčić a rassegnare le dimissioni. Un altro tentativo di sommossa di profughi albanesi falliva per il tempestivo intervento del governo italiano (19 marzo 1927), che segnalava ai governi di Parigi, Londra e Berlino l'azione iugoslava. Da quel momento la Iugoslavia si sentì isolata: il patto di amicizia italo-ungherese (6 aprile 1927) poneva in evidenza l'inadempienza del governo di Belgrado alle disposizioni che avrebbero fatto di Fiume il porto naturale dell'Ungheria e faceva tornare in discussione il problema della zona franca del porto di Salonicco, risolto a favore della Iugoslavia dal dittatore Pangalos, e dal nuovo governo greco considerato insoluto. Il governo iugoslavo iniziò allora trattative con la Francia per la stipulazione di un patto franco-iugoslavo che era firmato il giorno 11 novembre 1927. Da quel giorno la politica estera della Iugoslavia, riconosciuta la Piccola Intesa intrinsecamente insufficiente per le sue interne divergenze, subiva le direttive francesi. Il secondo patto di Tirana, fra Italia e Albania (22 novembre 1927), trattato di alleanza difensiva, era la naturale risposta al patto franco-iugoslavo.
Il governo iugoslavo si trovava di fronte a un impegno di carattere internazionale, cioè la ratifica delle convenzioni di Nettuno che da anni veniva rimandata, e si era alla scadenza dell'obbligazione. Anche la denuncia e la rinnovazione al patto di amicizia italo-iugoslavo erano state rimandate al luglio 1928.
Il colpo di stato. - Intanto, il partito democratico indipendente, capeggiato da Pribičević, si avvicinava decisamente al partito di Radić, e ambedue iniziavano la lotta contro il governo di Belgrado, accusandolo di aver subito il trattato di alleanza italo-albanese e di essere in procinto di far accogliere la ratifica delle convenzioni di Nettuno. Il 10 giugno 1928, durante una vivacissima discussione, il deputato Punica Račić sparò contro gli oppositori. Due deputati croati, P. Radić, nipote del capo croato, e Basariček, caddero morti. Stefano Radić e altri due furono gravemente feriti. I funerali delle due vittime, svoltisi il 24 giugno a Zagabria, furono una manifestazione antiserba. Il ministero Vukičević si dimise e l'abate Korošec (27 luglio) costituì il nuovo gabinetto; d'altra parte la coalizione demo-rurale, riunitasi nei locali della storica dieta di Croazia, minacciava un'aperta secessione nel caso che la Skupština non fosse stata disciolta e dichiarava che tutte le deliberazioni e particolarmente gl'impegni finanziarî assunti dalla Skupština erano considerati nulli dalla coalizione demo-rurale. Intanto l'8 agosto anche Stefano Radić moriva in seguito alle ferite riportate.
Il 14 agosto 1928, pochi giorni dopo la morte di Stefano Radić, le convenzioni di Nettuno erano ratificate. La crisi si faceva sempre più acuta: il 18 agosto la direzione del partito dei contadini croati contestava al parlamento di Belgrado il diritto di mandare alla conferenza dell'Unione interparlamentare di Berlino delegati che rappresentassero anche il popolo croato. Sempre più acuta diventava la polemica sull'"amputazione delle terre croate", al punto che si minacciava da parte dei capi dei radicali democratici, dei clericali sloveni e musulmani bosniaci di boicottare economicamente, finanziariamente e moralmente il governo di Belgrado e i suoi fautori. Il 1° dicembre 1928, in occasione del decimo anniversario dell'unità statale, scoppiarono a Zagabria gravi disordini. La nomina del colonnello d'artiglieria Maksimović a prefetto di Zagabria (6 dicembre) provocava un'energica protesta della dieta croata; e il 14 dicembre la coalizione democratica, in occasione del genetliaco del re, non partecipava a nessuna manifestazione insieme ai rappresentanti serbi. Tali avvenimenti determinavano il presidente del consiglio Korošec a dimettersi (1° gennaio 1929); e fu allora che il sovrano, col proclama del 6 gennaio, soppresse la Costituzione del 28 giugno 1921, e sciolse la Skupština. La stessa notte era costituito il nuovo gabinetto la cui presidenza era affidata al generale Pietro Žvković. Contemporaneamente al proclama, erano pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale 4 decreti-legge fondamentali per la nuova situazione e successivamente un quinto, il giorno 8. I decreti-legge che si riferiscono al potere reale, all'amministrazione suprema dello stato, alla difesa della sicurezza pubblica e dell'ordine dello stato, alla legge sulla stampa, alla legge sui comuni e sulle autonomie provinciali e al tribunale di stato per la difesa dello stato, hanno trasformato la Iugoslavia da stato costituzionale in monarchia assoluta.
La dittatura inaugurata il 6 gennaio 1929 cercava di fronteggiare la grave situazione politica ed economica senza giungere a risultati positivi. Il 3 settembre 1931 avveniva un rimpasto ministeriale che portava a collaborare col governo in qualità di ministri senza portafoglio nove ministri già appartenenti ai partiti disciolti all'atto della proclamazione della dittatura. Il giorno dopo il sovrano elargiva la nuova costituzione. Il 12 settembre veniva reso noto il testo della legge elettorale: l'antica opposizione proclamava l'astensionismo dichiarando di non poter accettare come base di lotta un voto pro o contro il re. L'8 novembre, su un programma plebiscitario per il sovrano si svolgevano le elezioni generali per la Skupština con percentuali di votanti assai varie nel paese (70% nella vecchia Serbia e in Macedonia, 54% in Croazia, 50% in Slovenia e 36% in Dalmazia); i membri della lista governativa eletta entravano nella Skupština riapertasi il 7 dicembre e vi costituivano la maggioranza totalitaria. Il 3 gennaio 1932 venivano eletti nelle banovine 45 senatori, altri 28 venivano nominati dal re. Il giorno dopo, il ministero Živković del 3 settembre, formatosi col compito specifico di effettuare le elezioni per la rappresentanza nazionale, rassegnava le dimissioni e leggermente modificato subito si ricostituiva all'infuori di ogni designazione parlamentare. Intanto continuava la lotta contro le forze dell'opposizione. Il capo dell'opposizione croata, Maček, veniva tradotto davanti a un tribunale speciale e a questo processo, durante il quale venivano poste in prima luce le persecuzioni di cui erano vittime i Croati, seguì una serie di processi che si conchiudevano con sentenze capitali. Delle persecuzioni anticroate rimaneva vittima anche uno scienziato croato di fama mondiale, Milan Šufflay (18 febbraio 1931).
A Zagabria, a Spalato, a Marburgo venivano scoperti complotti militari. Lo Stato Maggiore di Belgrado era costretto dalla crescente gravità della situazione in Croazia e in Slavonia, dove le tendenze separatiste si affermavano con un'audacia inquietante, a ritirare dalla Macedonia per dirigerla verso nord-ovest la maggior parte dei contingenti serbi. Nei primi mesi del 1932 scoppiava una rivolta nella Lika che dopo molti mesi veniva a stento repressa. Moti rivoluzionarî si manifestavano anche nella Dalmazia settentrionale, nel Zagorje e nella Slavonia. La violenza delle persecuzioni contro i Croati provocava la protesta dei vescovi cattolici (novembre 1932). Nel maizo 1933 il capo degli autonomisti croati dottor Maček veniva nuovamente tradotto dinnanzi al tribunale speciale e condannato.
Durante questo periodo dittatoriale, cioè dal 6 gennaio 1929, in Iugoslavia si accentuano i dissidî di confine e in particolare viene alimentata la tendenza antitaliana con manifestazioni particolarmente violente durante il periodo che intercorre fra la trasformazione dell'alleanza della Piccola Intesa in complesso confederale di stati e le siglature del Patto a quattro.
Bibl.: Opere italiane: G. Benedetti, Fiume, Porto Barros e il retroterra, Roma 1922; A. Giannini, La questione albanese alla conf. della pace (estratto d. riv. L'Europa Orientale, Roma, 15 gennaio 1922); id., Libro Verde (sui negoziati diretti fra il governo italiano e il governo iugoslavo per la pace adriatica), Roma 1921; Il Trattato di Rapallo nei commenti della stampa (ed. A. Giannini), Roma 1921; G. Stefani, Il movimento jugoslavo, Trieste 1919; A. Tamaro, Origini e crisi della Jugoslavia, in Politica, Roma 1921-22; P. Fumagalli, La Costituzione del Vidovdan, in Rivista Orientale, Roma 1928-29; U. Nani, Italia e Jugoslavia, Milano 1928; id., Oriente europeo, Foligno 1930; O. Randi, Jugoslavia, Roma 1922; M. Bassi, La crisi politica in Jugoslavia, Roma 1930; G. Stefani, La nostra guerra diplomatica. Dalla vecchia alla nuova frontiera (estratto da Problemi d'Italia, Roma 1925); [F. Salata], Il diritto d'Italia su Trieste e l'Istria, Roma 1915.
Opere straniere: S. Bocou, La question du Banat, Parigi 1919; A. Chaboiseau, Les Serbes, Croates et Slovènes, Parigi 1919; St. Dedic, O bosanskohercegovačkim Muslimanima, in Novi Život, Belgrado 1922; G. Gravier, Les frontières historiques de la Serbie, Parigi 1919; A. Mousset, Le Royaume des Serbes, Croates et Slovènes, Parigi 1921; S. Ostermann, Italija i Jugoslavija na Jadranu, Zagabria 1920; S. Ostermann, Rijeka i Jugoslavija, Zagabria 1920; S. Ostermann, Borba o Jadran i Baroš, Zagabria 1921; S. Protić, Nacrt ustava, Belgrado 1920; J. Smodlaka, Nacrt jugoslavenskog ustava, Zagabria 1920; L. v. Südland, Die südslavische Frage und der Weltkrieg, Vienna 1918; J. Tomić, Jugoslavija u emigraciji, Belgrado 1921; M. Horvatski, La constitution de Vidovdan, Grenoble 1923; D. Lončarević, Jugoslavien Ensthehung, Vienna 1930; S. Pribitchévitch, La Dictature du Roi Alexandre, Parigi 1933.
Folklore.
Le tradizioni popolari dei Serbi e Croati sono molto antiche. Il vincolo familiare-gentilizio (bratstvo) è ancora vivo specialmente nell'Erzegovina, nel Montenegro e nell'antica Serbia (territorio dei fiumi Lim e Tara). Il sistema penale della vendetta del sangue, alla quale erano soggetti tutti i maschi del gruppo familiare-gentilizio, è spontaneamente cessato quasi del tutto da due o tre generazioni. Ma ancora la festa del santo eponimo della famiglia, p. es. S. Giorgio, S. Giovanni, S. Nicola (Krsno ime o festa "slava"), è celebrata dappertutto festosamente con inviti reciproci e grandi banchetti. In tale ricorrenza tutti i membri della famiglia che abitano nella stessa casa ricevono sulla fronte l'unzione con olio benedetto, fatta loro dal pope con un ramoscello; nel banchetto tutti compartecipano del medesimo pane e mentre dinnanzi all'immagine del santo festeggiato ardono le candele, si fanno brindisi; infine si danza la carola.
Particolarmente stretti sono i vincoli dell'affratellamento, contratto e benedetto in chiesa sia tra uomini, sia tra donne. Anche la fratellanza di latte e il comparatico costituiscono un rapporto ritenuto similmente sacro. Le celebrazioni per i defunti dimostrano quanto fortemente i vivi continuino a sentirsi uniti ai trapassati. Il banchetto funebre viene consumato su tavole improvvisate, spesso nel cimitero medesimo; e banchetti simili si fanno anche al 3°, 7° e 40° giorno dalla morte: dopo di che sembra che lo spirito trovi definitivamente riposo. Si hanno però anche celebrazioni funebri comuni, durante le quali viene preparata nel cimitero una tavola di offerte con un libretto di memorie dei defunti, pane, sale, cera e simili. Il ricordo dei defunti è tramandato, tra i meritevoli capi di famiglia, fino all'ottava o alla nona generazione. Nelle narrazioni epiche, le loro gesta vengono riportate quasi tutte al tempo dei Turchi. In questi canti epici è sopravvissuta fino ai tempi recenti una forma dell'epica medievale di corte e di poeti girovaghi. Cantori professionali (guslari), spesso ciechi, e dilettanti cantano in molte migliaia di versi le gesta degli eroi, in una specie di recitativo, nelle case delle famiglie più cospicue, nei caffè, e durante i periodi festivi, come presso i musulmani il mese del Ramadan. Argomenti favoriti di questi canti sono la battaglia di Kosovo Polje (campo dei Merli), le gesta di Marko, scorrerie e depredazioni durante le guerre contro la Turchia, ratti di donne e di fanciulle, ecc. La tradizione risale fino al sec. XVI. Per l'accompagnamento musicale si trova, nella regione costiera della Dalmazia, la tamburizza bicorde che sostituì un precedente strumento monocorde (gusle). Tra le cerimonie comuni a tutti i paesi, la poesia popolare accompagna soprattutto le nozze, con la domanda formale di matrimonio, con le canzoni nuziali e i discorsi, secondo la tradizione. Il far dono di un melograno, il cospargere la sposa di frumento, sono usi della regione adriatica, che ricordano antichi riti. Le mascherate invernali (cortei di koleda) che si riconnettono con le antiche celebrazioni delle Calende, si sono conservati soprattutto nelle regioni dell'ovest e del sud (Macedonia). Nella Bosnia meridionale, la vigilia di S. Nicola hanno luogo cortei di giovani mascherati da vecchi, che benedicono tutta la comunità famigliare con saluti e brindisi, del corteo fanno parte una fidanzata e un paraninfo, inoltre un capretto e un gatto, e tutti vanno chiedendo doni. Altrove si fanno cortei con un lupo impagliato. Presso i musulmani va in giro un giovane con abiti laceri, con la maschera e una coda di volpe sulle spalle. Per il Natale è caratteristica la ricerca nel bosco di un ceppo (badnjak) tagliato di recente e nella notte del 24 dicembre lo si fa bruciare nel camino, strofinando le offerte sulla superficie tagliata del ceppo, versandovi sopra del vino, ecc. Tutti mangiano una focaccia natalizia, in cui sono stati riposti i simboli di buon augurio. Non mancano le candele accese sulla tavola e in alcuni luoghi anche il bestiame vien fatto passare in mezzo alle candele. Per il giorno di Natale si invita un ospite che porti fortuna e si cerca di determinare il futuro anche altrimenti per mezzo di oracoli. Presepi, canti di Natale e dell'Epifania, quali si trovano presso le popolazioni tedesche dell'Europa centrale, sono penetrati tra la popolazione cattolica della pianura settentrionale per opera dei coloni tedeschi.
Nelle credenze popolari, numerose sono le figure di streghe (strige) e stregoni. Numerosissime narrazioni popolari raccontano, oltre che gli avvenimenti a fondo storico, anche di amiche e benefiche fate dei monti (vile) che appaiono ai pastori; ma se irate li colpiscono con frecce invisibili che procurano malattie e delirio. La figura del lupo-mannaro (v. licantropia) si fonde spesso con quella di vampiri mostruosi che sorgono dalla tomba e durante la notte succhiano il sangue umano. Come mezzi apotropaici si usavano rami di biancospino posti nella tomba o addirittura sul petto del defunto. Assai diffusa è la credenza nel malocchio. La danza nazionale è per lo più una danza collettiva (kolo), nella quale i partecipanti si tengono per mano e si muovono in cerchio a passi ritmici.
Bibl.: F. S. Krauss, Sitte und Brauch der Südslawen, Vienna 1885; id., Slawische Volksforschungen, Lipsia 1908 e 1911; Wissenschaftliche Mitteilungen aus Bosnien und der Herzegowina, Vienna 1893 segg.; Zbornik za narodni život i običaje južnih Slavena (Raccolta per lo studio della vita e degli usi nazionali degli Slavi merid.), Zagabria 1902 segg.; M. Murko, Bericht über die Volksepik der bosnischen Mohammedaner, in Sitzungsber. d. Kais. Akad. d. Wissensch. Wien, philos. hist. Kl., CLXXIII, 3 (1913); id., Geschichte der älteren südslawischen Litteraturen, in Die Litteratur des Ostens, V, ii, Lipsia 1908; Srpski etnografski zbornik, della R. Accademia serba, Belgrado 1902 segg.; J. Cvijić, La péninsule balcanique, Parigi 1918; A. Haberlandt, Volkskunst der Balkanländer, Vienna 1919; Etnol. Biblioteka, a cura del Museo nazionale croato, Zagabria 1925; L. Schultze, Makedonien, Jena 1927.
Per la letteratura e la lingua v. serbo-croata, letteratura; serbo-croata, lingua; sloveni: lingua e letteratura.
Arte.
Le singole parti dello stato appartennero nel passato a diverse sfere culturali; ne deriva che anche il quadro che presenta la storia dell'arte in Iugoslavia non è omogeneo. In linea generale il passato di quest'arte può essere diviso in due diversi mondi artistici di cui uno traeva le sue forme da Bisanzio, ossia dall'arte dell'Oriente cristiano; l'altro dall'Occidente europeo. Ma anche quest'ultimo non è dappertutto identico: mentre la Dalmazia e il litorale ebbero maggiori contatti con l'Italia, il retroterra croato e quasi tutto il territorio sloveno furono piuttosto connessi con l'Europa centrale. Un posto a parte occupano infine i monumenti dei Bogomili in Bosnia e i monumenti dell'arte islamica in Bosnia e Macedonia. Poiché l'arte in Serbia (v.), Dalmazia (v.), e Croazia (v.) è stata trattata a parte (v. anche bizantina, civiltà: Arte), qui si discorrerà in primo luogo dell'arte nelle altre regioni della Iugoslavia.
I primordî dell'arte nell'alto Medioevo - dopo le migrazioni dei popoli - non sono chiari; in questo periodo ha una fisionomia più pronunziata soltanto la Dalmazia, ove si sono conservati numerosi e svariati monumenti dei secoli IX-XI, e ciò non solo nelle città romane, ma anche nel retroterra slavo. In tutto il restante territorio croato e sloveno rimane un solo monumento dell'epoca preromanica: la pietra con un ornamento a tre strisce a Slivnica presso Marburgo (Maribor). Nulla è giunto a noi dell'architettura di stile romanico in Croazia. In Slovenia il monumento architettonico più importante di questo periodo è la chiesa conventuale a Stična (metà del secolo XII). Un quadro più chiaro ci presenta lo stile gotico che in Croazia dominò qua e là sino al sec. XVIII; ma proprio in questa regione - a parte frammenti e rovine - poco si è conservato delle più antiche costruzioni (conventi benedettini del sec. XIII).
Nella regione slovena lo stile gotico è rappresentato dalla chiesa parrocchiale, il presbiterio e il chiostro del convento dei domenicani a Ptuj (antica Poetovium), la chiesa sulla Ptujska Gora (principio del secolo XV), e tutta una serie di chiese del tardo gotico (a Kranj, Škofja Loka, Crngrob e altrove). Da questo stile gotico si passò gradualmente, ma direttamente, all'architettura barocca, poiché il periodo del Rinascimento, fatta eccezione per la Dalmazia e scarsi esempî nel litorale croato (a Segna), non ha lasciato monumenti importanti né in Slovenia né in Croazia; ciò che è anche comprensibile, trattandosi di due regioni che sono state in rapporto più stretto con l'Europa centrale anziché con l'Italia. Per lo stesso motivo anche nell'arte decorativa predominavano nel sec. XVII forme del cosiddetto rinascimento tedesco, molto frequente in Slovenia, specialmente nei lavori d'intaglio (soffitti, cassettoni, altari). Più interessante è nel sec. XVII l'architettura profana; in questa epoca, e fino alla metà del sec. XVIII, fu costruita, in Croazia e Slovenia, tutta una serie di castelli, fra i quali merita rilievo quello di Statenberk pri Makolah (arch. Camesini). Tali costruzioni documentano già un grande cambiamento nell'orientamento culturale; cessate le lunghe controversie religiose, comincia a predominare l'influsso che nell'architettura sacra era apparso già nel sec. XVII (la chiesa di S. Giacomo e del convento dei francescani, a Lubiana; la chiesa di Santa Caterina, e una parte della corte vescovile, a Zagabria), ma che divenne prevalente solo al principio del secolo XVIII (a Lubiana: la cattedrale, arch. A. Pozzo; la chiesa di S. Pietro e quella del convento delle Orsoline - su disegno di Domenico Rossi -; in Croazia: parti della chiesa di Lepoglava, la chiesa a Daruvar, la chiesetta tipica di S. Giorgio - sv. Juraj - a Purga presso Lepoglava). Nell'epoca del rococò e del classicismo l'attività artistica diminuisce e riprende appena nel periodo romantico.
Nelle arti plastiche non ci sono pervenute - dal periodo più antico - cose di grande valore; e in genere si tratta in primo luogo di opere delle arti minori. Tra queste merita rilievo la statua in legno della Madonna a Velesovo, del principio del sec. XIII. Anche qui le condizioni mutano sotto l'influenza dell'arte italiana. I monumenti principali di Lubiana sono opera di F. Robba: la fontana dinnanzi al Municipio, gli altari nella chiesa delle Orsoline e in quella di S. Giacomo; sono pure opere del Robba: l'altare di S. Ignazio nella chiesa di S. Caterina a Zagabria, e a Lepoglava la cappella di Patačić e il soffitto a stucchi della biblioteca del convento.
Numerosi sono invece i monumenti di pittura. Appartengono alla fine del sec. XII i manoscritti miniati di Stična; intorno al 1250 sono stati dipinti gli affreschi a Ptuj (frammenti), e verso la fine del secolo le più antiche pitture a Turnišče nel Prekmurje. Non mancano resti di dipinti medievali in Croazia, ma la Slovenia si presta meglio a seguirne lo sviluppo dal principio del sec. XIV fino al sec. XVI, con tutta una serie di monumenti nello spirito della pittura alpina centroeuropea di quell'epoca. Ne sono rappresentanti principali: Johannes Aquila da Radgona (seconda metà del secolo XIV, un gruppo di dipinti del Prekmurje) e Johannes de Laybacco, figlio di Frederico da Villacco, autore del noto quadro a Millstadt in Carinzia (1428) che portò con sé in Carniola lo stile di suo padre (affreschi a Visoko, 1443; Muljava, 1456, e altrove). Lo stile gotico continuò a predominarvi per lungo tempo; sono del 1520 gli affreschi goticamente concepiti (ma con qualche elemento del Rinascimento) della chiesa di S. Primož (Primo) sopra Kamnik.
Uno dei monumenti più interessanti è il soffitto dipinto del principio del '600 nell'antico palazzo comitale di Celje. Il barocco è stato apportatore di nuova vita anche nella pittura. Oltre ai pittori noti in Croazia, fra i quali emerge il tirolese J. Ranger (morto nel 1753), a Lubiana dipingeva Giulio Quaglio (affreschi nella cattedrale) il cui indirizzo illusionistico è stato seguito anche dai pittori indigeni. I rappresentanti principali della pittura del secolo XVIII in Slovenia sono: Fr. Jelovšek, Fort. Bergant, V. Mencinger, A. Cebei, J. M. Kremser-Schmidt, L. Layer, ecc.
La storia dell'arte medievale in Serbia (v. serbia: Arte), le cui origini ci sono pressoché ignote, è legata sin dal tempo del grangiuppano Stefano Nemanja con lo sviluppo dell'arte bizantina e dell'oriente cristiano, ma non vi mancano contatti con l'arte occidentale che vi giungeva soprattutto attraverso la Dalmazia. Anche la Bosnia aveva forme proprie originali; nell'architettura del Medioevo vi esisteva un tipo speciale di basilica duplice (a Zenica, Dabravina, Gornja Tuzla, Šiprag), ma l'architettura ecclesiastica vi decadde più tardi sotto la pressione della setta dei Bogomili, sicché fra le costruzioni prevalgono torri e castelli a carattere militare. Ma monumenti bosniaci più interessanti sono le sculture sepolcrali bogomili: spesso grandi monoliti in forma di tombe, sarcofaghi e obelischi. L'esemplare più bello è il sarcofago di Donja Zgošča (ora a Sarajevo) con motivi romanici e ornamenti geometrici popolareschi. In Bosnia e in Serbia il dominio turco ha lasciato alcuni monumenti di arte islamica; meritano menzione le moschee di Skoplje e Bitolj, la moschea del Bey (Begova džamija) in Sarajevo (del 1529) e quella del Ferhad-Bey a Banjaluka (del 1576). L'arte cristiana mantenne e tramandò durante il periodo turco, quasi esclusivamente nei conventi provinciali, la tradizione dell'artigianato; finche l'arte serba, prima nella Voivodina nella seconda metà del sec. XVIII, e più tardi, nel sec. XIX, anche nella stessa Serbia, non accettò le forme occidentali.
Verso il principio del 1800 l'arte in Croazia e Slovenia continua le antiche tradizioni, accogliendo però, nello stesso tempo, anche impulsi esterni, come l'accademismo e il romanticismo, senza per altro giungere a caratteristiche proprie. Appena verso la metà del secolo hanno inizio in tutti i principali centri dell'attuale Iugoslavia, tendenze nuove su basi nazionali. Esse si manifestano soprattutto nella pittura. A Lubiana J. Wolf crea la base per una nuova pittura monumentale; ne sono scolari i fratelli Janez e Jurij Šubić e Anton Ažbe che a Monaco fonda una propria scuola. Verso la fine del secolo la pittura slovena raggiunge una forte fioritura per merito del gruppo d'impressionisti, ricco di personalità vigorose, quali: R. Jakopič, I. Grohar, M. Jama, F. Vesel, Vavpotič, Sternen e Tratnik. Fra i giovani B. Jakac, Veno Pilon (cultore anche di arti grafiche) e i fiatelli F. e T. Kralj. Fra i Croati il primo a liberarsi del convenzionalismo è stato N. Mašić (morto nel 1902), mentre il posto più cospicuo era occupato dall'allievo di Cabanel, il Dalmata, V. Bukovac (Faggioli) e, accanto a questi, da C. Medović. A questa generazione è legata l'attività dei pittori B. Čikoš, K. Crnčić e O. Iveković. Originale è, nei suoi paesaggi dalmati, E. Vidović; per le sue illustrazioni (fra l'altro della Divina Commedia) ha acquistato fama M. Rački, per le incisioni T. Krizman. Fra i giovani sono da menzionare i pittori Račić, M. Kraljević, V. Becić, L. Babić, J. Miše, M. Uzelac, Trepse e Gecan; e gl'incisori V. Kirin e M. Gjurić. A Belgrado operavano verso la fine del secolo Gj. Krstić, L. Koen, il pleinarista raguseo M. Murat, il generico e ritrattista U. Predić; una tecnica perfetta caratterizza P. Jovanović; il più originale fra gli impressionisti è la pittrice N. Petrović; la pittura monumentale è rappresentata da A. Aleksić. Fra i più giovani: B. Popović, P. Dobrović e J. Bjelić.
Fra gli scultori la personalità di gran lunga più eminente in tutta la Iugoslavia è Ivan Meštrović; non lo raggiunge nessuno della generazione più vecchia e l'influenza sua è grande sui giovani scultori e pittori. Fra gli anziani la Croazia e la Dalmazia annoverano J. Rendić, F. Frangeš, R. Valdec, S. Rosandić; gli Sloveni Gangl, I. Zajc, F. Berneker; la Serbia P. Ubavkić e Gj. Jovanović. Fra i giovani sloveni notevoli A. Dolinar e i fratelli Kralj.
Nell'architettura emergono in Serbia Kosta Jovanović, A. Bugarski, J. Ilkić; fra i più giovani Brašovan, Zloković, i fratelli Krstić; in Croazia V. Kovačić e D. Ibler; in Slovenia M. Fabjani, S. Vurnik e J. Plečnik che ha già fondato una propria scuola.
V. tavv. I-VIII.
Bibl.: J. Mal, Zgodovina umetnosti pri Slov., Hrvatih in Srbih (Storia dell'arte presso Sloveni, Croati e Serbi), Lubiana 1924; G. Millet, L'ancien art serbe; Les églises, Parigi 1919; V. R. Petković, La peinture serbe du moyen âge, I, Belgrado, 1930; N. Okunev, Monumenta artis serbicae, I-IV, Zagabria-Praga 1928-1933; I. Kukuljević, Slovnik umjetnika jugoslavenskih (Lessico degli artisti jugoslavi), Zagabria 1858; I. Kršnjavi, Pogled na razvoj hrvatske umjetnosti (Uno sguardo sullo sviluppo dell'arte croata), in Hrvatsko Kolo, Zagabria 1905; Kolo hrvatskih umjetnika. Album slika (Artisti croati. Album di quadri), I-IV, Zagabria 1906 segg.; Szabo, Pregled crkvenog graditeljstva u Hrvatskoj i Slavoniji (Rassegna dell'architettura ecclesiastica in Croazia e Slavonia), in Katolički List, 1917; Strohal, Die Kunstzustände Krains in den vorigen Jahrhunderten, Graz 1884; Riviste: Bollettino d'archeologia e storia dalmata (ora Vjesnik za arheol. i historiju dalmatinsku); Starohrvatska Prosvjeta (Cultura antica croata), Knin 1895 segg.; Vjesnik hrvatskoga arheološkoga društva (Bollettino della Soc. arch. croata), Zagabria 1879 segg.; Starinar (Antiquario), Belgrado; Zbornik za umetnostno zgodovino (Miscellanea di storia d'arte), Lubiana 1920 segg.