IUGOSLAVIA (XX, p. 15; App. I, p. 767; II, 11, p. 125; III, 1, p. 936)
La Repubblica socialista federativa di I. (nome assunto nell'aprile 1963 in luogo di Repubblica popolare federativa) ha modificato nel periodo considerato per due volte la sua Costituzione (già modificata nel 1953).
La Costituzione del gennaio 1946 aveva introdotto il sistema della democrazia popolare e della proprietà statale dei mezzi di produzione di base, secondo il modello sovietico. La Costituzione del gennaio 1953 aveva cambiato radicalmente la concezione politica dell'organizzazione statale introducendo il sistema dell'autogestione nell'economia e nelle altre sfere della vita sociale. La Costituzione dell'aprile 1963 fissò il diritto del popolo lavoratore all'autogestione. A questa carta furono apportati in varie riprese (1967,1968,1971) ben 42 emendamenti, tendenti a consolidare il ruolo della classe lavoratrice nella società e a limitare i poteri del governo federale, istituendo nuovi rapporti fra la federazione, le repubbliche, le regioni autonome e i comuni. Questi emendamenti configurarono la nuova modifica costituzionale, promulgata il 21 febbraio 1974.
La IV Costituzione s'ispira ai principi della democrazia diretta, sancisce la revocabilità di tutti i mandati elettivi e affida una funzione preminente di raccordo dei vari centri decisionali alla Lega dei comunisti (nome assunto dal Partito comunista nel novembre 1912), coadiuvata dall'Alleanza socialista e dai sindacati. La funzione legislativa è esercitata da un'Assemblea federale composta di 308 delegati, suddivisi fra due camere: il Consiglio federale di 220 membri (eletti nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole, ecc.) e il Consiglio delle repubbliche di 88 membri (rappresentanti le 6 repubbliche e le 2 regioni autonome).
L'Assemblea federale elegge la presidenza collegiale della Repubblica (composta di 9 membri: un rappresentante per ogni repubblica e regione autonoma più il presidente della Lega dei comunisti), la quale elegge ogni anno nel suo seno il proprio presidente, che assume anche le funzioni di presidente della Federazione (nel primo anno è stato eletto a vita il maresciallo J. Broz Tito, presidente della Lega dei comunisti). Su proposta della presidenza della Repubblica, l'Assemblea federale nomina il Consiglio esecutivo federale, al quale compete l'esercizio del potere esecutivo. Ogni repubblica ha una propria assemblea legislativa e un proprio consiglio esecutivo.
Condizioni demografiche e sociali. - L'ultimo censimento generale della popolazione, effettuato nel marzo 1971, ha rilevato una popolazione residente di 20.522.972 ab., rispetto ai 18.549.291 ab. registrati dal censimento precedente del marzo 1961. Secondo una stima del 1974, la popolazione sarebbe salita a 21.153.000 ab., con una densità di 82 per km2 (v. tab. 1). Il tasso d'incremento demografico si mantiene perciò ancora su valori elevati, al di sopra del livello medio europeo: esso è stato del 10,6‰ nel periodo 1961-71 e del 9,3‰ fra il 1971 e il 1974. Tale andamento è dovuto a una contemporanea flessione degl'indici di natalità (dal 26,8‰ del 1955 al 18,0‰ del 1973) e di mortalità (dall'11,4 al 9,1‰), che concorre a mantenere elevato il coefficiente d'incremento naturale (dal 15,4‰ all'8,9‰), su cui influisce assai poco il movimento migratorio (589.000 lavoratori temporaneamente all'estero nel 1971).
Un imponente afflusso di popolazione dalle campagne verso le città ha fatto prevalere l'insediamento urbano su quello rurale (dal 28,2% del 1961 al 55% del 1970). Le città con oltre 100.000 ab. sono passate da 6 nel 1961 a 9 nel 1971. Belgrado, che con il suo agglomerato urbano ha superato il milione di ab., ha avuto un incremento del 31,6% e dai 585.234 ab. del 1961 è passato ai 770.140 ab. nel 1971; Zagabria ha invece superato i 500.000 ab. (da 430.802 nel 1961 a 566.084 nel 1971, con un incremento del 31,4%). Le altre grandi città sono nell'ordine: Skopje (312.091 ab., con un incremento dell'88,5%), Sarajevo (244.045 ab., + 70,5%), Spalato (151.875 ab., + 52,7%), Lubiana (173.530 ab., + 29,3%), Novi Sad (141.712 ab., + 27,8%), Fiume (132.933 ab., + 32,5%) e Niš (132.667 ab., + 63,6%).
Il composito quadro etnico-linguistico rivela fra il 1961 e il 1971 solo lievi variazioni, con aumenti dei musulmani (da 5,2 a 8,4%), degli Albanesi (da 4,9 a 6,4%) e dei Macedoni (da 5,6 a 5,8%) e lievi flessioni per gli altri gruppi (Serbi da 42,0 a 39,7%), Croati (da 23,1 a 22,1%, ecc.).
Nonostante il netto miglioramento registrato negli ultimi anni, il tenore di vita è ancora modesto con squilibri assai forti fra le repubbliche settentrionali più ricche e quelle meridionali più povere. Nel 1970 il reddito medio pro-capite è stato stimato di 492 dollari (900 dollari per la Slovenia contro soli 156 per la regione autonoma del Kosmet). Il tasso di mortalità infantile è ancora piuttosto elevato (43,3‰ nel 1973 rispetto a 112,8‰ del 1955).
Nonostante i progressi dell'istruzione, resa obbligatoria fino al 14° anno, l'analfabetismo è ancora diffuso nelle regioni meridionali (15-20%). Nelle 9 università il numero degli studenti ha raggiunto nel 1972 le 167.777 unità e quello dei docenti le 16.793. Le strutture sanitarie mettevano a disposizione nel 1970 un posto-letto ospedaliero ogni 178 ab. e un medico ogni 909.
Se buoni sono gl'indici dei consumi pro-capite di generi alimentari, non altrettanto si può dire per quelli dei beni di consumo durevoli (1 autovettura ogni 18 ab. nel 1973) e dei mezzi di comunicazione di massa 1 apparecchio radio ogni 6 ab. nel 1972, 1 televisore ogni 9, 1 telefono ogni 23, una copia di giornale ogni 10).
Condizioni economiche. - Nel periodo considerato la I. ha proseguito la sua politica di riforme strutturali tendenti alla socializzazione e all'industrializzazione dell'economia secondo direttrici diverse dagli altri paesi socialisti. Le risorse del sottosuolo e del suolo e i mezzi di produzione sono di proprietà sociale, mentre al settore privato sono rimasti solo le aziende agrarie con meno di 10 ha di arativo, le aziende artigiane con non più di due collaboratori, gli esercizi alberghieri e di ristorazione con non più di 5 dipendenti e le abitazioni per uso diretto. A seguito delle recenti modifiche costituzionali lo stato ha trasferito la proprietà dei mezzi di produzione alle organizzazioni di lavoro, ha ripristinato il diritto di sciopero e di emigrazione dei lavoratori, ha consentito il contributo dei capitali esteri allo sviluppo nazionale.
La politica di autogestione, avviata con la l. del 30 giugno 1950, n. 100, ha portato all'abolizione della pianificazione rigida e all'introduzione del sistema dei piani sociali e dei programmi aziendali formulati sulla base delle concrete possibilità di acquisto e di vendita. Nei comuni è stato introdotto il sistema bicamerale, affiancando all'assemblea municipale una camera dei delegati dei produttori. Sono stati aboliti gli ammassi obbligatori ed è stata reintrodotta l'economia di mercato per i prodotti agricoli. In un secondo tempo il sistema dell'autogestione è stato esteso alle organizzazioni sociali (scuole, ospedali, abitazioni), ai trasporti, alle comunicazioni, nonché alle aziende agricole e commerciali. Le grandi imprese sono state organizzate in unità economiche o comunità fondamentali di lavoro, cioè in unità tecnicamente ed economicamente autonome.
La politica dell'autogestione, che ha avuto un particolare slancio liberistico e decentrativo fra il 1965 e il 1967, ha fatto progredire assai rapidamente la produzione industriale, facendo fiorire soprattutto le industrie dei beni di consumo, ma non ha potuto evitare l'insorgere di forme organizzative e di interessi di tipo capitalistico, che hanno accentuato gli squilibri regionali tra un nord industrializzato e un sud agricolo e hanno generato disoccupazione ed emigrazione verso l'estero di forti aliquote della manodopera. Essa infatti non è riuscita a conciliare le esigenze di un'economia produttivistica con le istanze sociali proprie dell'ideologia marxista.
I piani economici 1961-65, 1966-70 e 1971-75 riflettono il travaglio della gestione sociale e dell'economia mista e hanno rafforzato i meccanismi dello sviluppo, inserendo la I. nella categoria dei paesi di media industrializzazione. Essi però sono vincolanti solo per il governo federale e per le misure di politica generale, lasciando libere le singole unità di produzione e di servizio di autogestirsi economicamente. L'ultimo piano si prefigge in particolare di ridurre gli squilibri interni con una serie di progetti speciali e di obiettivi particolari per le singole repubbliche e regioni autonome. La popolazione attiva si è adeguata alle nuove direttrici dello sviluppo abbandonando in massa l'agricoltura (dal 57% degli occupati nel 1961 al 48,5% del 1971) e riversandosi nelle industrie (29,5%) e nei servizi (14%); una quota notevole era disoccupata o in attesa di prima occupazione (8%).
Gli occupati nel settore socializzato rappresentano poco più della metà dell'intera occupazione, poiché il settore privato è ancora prevalente nelle attività primarie.
L'agricoltura, pur avendo fatto notevoli progressi negli ultimi anni, è un settore ancora carente che necessita di essere ristrutturato e modernizzato con la diffusione della meccanizzazione (1 trattore ogni 215 ha nel 1969) e dei fertilizzanti (36 kg per ha), in modo da elevarne la produttività, finora insoddisfacente. Essa risente negativamente dell'eccessiva polverizzazione del settore privato, della scarsa collaborazione fra aziende private e cooperative, dell'esodo delle forze giovanili. Nel 1969 le aziende private erano 2,6 milioni con una superficie media di 3,3 ha; detenevano l'86% dell'area coltivabile, ma avevano contribuito solo al 70% della produzione agricola. Le aziende sociali erano invece 2073 con una media di 1200 ha e 100 collaboratori. Ora però esse tendono a ingrandirsi e ad assumere la struttura di moderni agrokombinat
Date le condizioni morfologiche e idrologiche del territorio iugoslavo, l'utilizzazione del suolo non ha subito sensibili variazioni. In lieve aumento sono le foreste e i boschi (da 34,1% nel 1961 a 34,6% nel 1972) e gl'incolti e improduttivi (da 7,2 a 8,6%), mentre una contrazione si è avuta nei seminativi e nelle colture legnose (da 32,7 a 32%) e nei prati e pascoli permanenti (da 26 a 24,8%). Fra le opere di bonifica e irrigazione in corso di esecuzione si segnalano il sistema Danubio-Tibisco-Danubio, iniziato nel 1957 nella Voivodina (1,84 milioni di ha) e la bonifica del delta della Neretva (3500 ha), avviata nel 1962 con il concorso tecnico e finanziario della FAO.
La produzione agricola si è più che raddoppiata fra il 1955 e il 1974: sono in forte aumento i raccolti di mais, grano, barbabietola da zucchero, ortaggi e uva; sono invece in diminuzione i cereali minori, le olive e la canapa; stazionari gli altri.
Nel patrimonio zootecnico vi è stato un considerevole aumento nei suini e nel pollame, una forte diminuzione degli ovini e dei caprini e una situazione di stazionarietà per i bovini. Di conseguenza sono aumentate le produzioni di carni e uova, mentre è in netto regresso quella della lana.
Le risorse forestali, eccessivamente utilizzate negli anni Cinquanta, hanno ora stabilizzato la loro produzione di legname (13,9 milioni di m3 nel 1974). Grande sviluppo ha avuto invece l'attività peschereccia che si appoggia a una promettente industria conserviera (da 23.000 t nel 1955 a 54.200 t nel 1974).
Il settore industriale ha realizzato nel periodo considerato i maggiori progressi, con particolare riguardo alle industrie elettrotecniche, chimiche e cartarie. È in atto un processo d'integrazione delle imprese, allo scopo di raggiungere dimensioni operative più convenienti (338 imprese con oltre 1000 addetti nel 1968, pari al 13,4% del totale).
Le industrie estrattive hanno registrato vistosi incrementi produttivi, specie nel settore della bauxite (triplicata rispetto al 1955), dei minerali di rame (quadruplicata rispetto al 1955), di zinco (raddoppiata rispetto al 1955), di ferro (più che raddoppiata rispetto al 1955) e della lignite (raddoppiata rispetto al 1955), confermando le buone posizioni della I. nella graduatoria europea. Modesta è ancora l'estrazione degl'idrocarburi (il petrolio è passato però da 257.000 t nel 1955 a 3,7 milioni nel 1975; il gas naturale da 55 milioni di m3 a 1,5 miliardi di m3), ma buone prospettive sono offerte dalla piattaforma continentale dell'Adriatico. La capacità di raffinazione (12 milioni di t nel 1972) è ormai superiore al fabbisogno nazionale. Oleodotti sono in costruzione da Fiume a Pančevo (Belgrado) e da Salonicco a Skopje e Pančevo.
La produzione di energia elettrica (per il 54% di origine idrica) è ancora carente (pur essendo salita dai 4,34 miliardi di kWh nel 1955 a 35,1 del 1973). Nel 1972 è stato inaugurato il sistema energetico e di navigazione delle Porte di Ferro sul Danubio, frutto di un accordo con la Romania. Le opere comprendono 6 generatori per 2052 MW e una producibilità annua di 11,3 miliardi di kWh, da dividere in parti uguali con la Romania. La diga, lunga 441 m e alta 56 m, ha formato un lago artificiale di 100 km; 4 chiuse agevolano il traffico fluviale. Nel 1972 la Slovenia e la Croazia hanno iniziato la costruzione della prima centrale elettronucleare a Videm Krško, al confine fra le due repubbliche, con una potenza prevista di 600 MW, avvalendosi di assistenza tecnica e finanziaria angloamericana. I giacimenti di minerali di uranio scoperti in Slovenia e in Macedonia copriranno largamente il fabbisogno della centrale, assicurando buoni margini all'esportazione. Le industrie metallurgiche hanno segnato vistosi incrementi nei settori della ghisa e ferroleghe (da 531.000 t nel 1955 a 2.196.000 t nel 1975) e dell'acciaio (da 227.000 t a 2.856.000), dell'alluminio (da 11.500 t a 84.840 t), del rame, del piombo e dello zinco. Le industrie meccaniche hanno conseguito buoni livelli nella produzione di autoveicoli (su licenza di società straniere, 171.283 autovetture e 18.445 autoveicoli industriali nel 1974), di macchine agricole, di carri ferroviari e di navi (592.000 t s. l. nel 1971). Le industrie chimiche hanno avviato le produzioni di base, quali l'acido solforico (da 73.000 t nel 1955 a 947.000 t nel 1973), dei fertilizzanti azotati (da 13.000 t a 269.300 t), delle materie plastiche e resine sintetiche. In pieno sviluppo sono anche le industrie tradizionali tessili, del legno, della carta e dell'alimentazion e.
Commercio e comunicazioni. - La politica d'industrializzazione ha alimentato cospicue importazioni, mentre ha ridotto le tradizionali esportazioni, per cui ne è derivato uno squilibrio assai grave della bilancia commerciale (nel 1973 le esportazioni sono state appena il 38,7% del totale). Gli scambi avvengono in massima parte con i paesi dell'Europa occidentale (46% delle esportazioni e 58% delle importazioni nel 1970) e del COMECON (32% delle esportazioni e 20% delle importazioni). Fra le destinazioni figura al primo posto l'Unione Sovietica (14,8% nel 1971), seguita da Italia, Rep. Fed. di Germania, Cecoslovacchia e Regno Unito; fra le provenienze invece al primo posto troviamo la Rep. Fed. di Germania (19%), seguita da Italia, Unione Sovietica e Regno Unito. Le vendite riguardano in misura sempre maggiore i prodotti dell'industria metalmeccanica, che hanno distanziato quelli più tradizionali dell'industria tessile, dell'allevamento (carni) e del legno; gli acquisti sono orientati su altri prodotti metalmeccanici (specie attrezzature industriali), ancora insufficienti nel paese, verso i prodotti chimici, tessili, elettrotecnici, i generi alimentari, le materie prime e i combustibili.
Le vie di comunicazione sono ancora inadeguate alle crescenti esigenze dei traffici, che affluiscono soprattutto sull'asse Sava-Danubio, fra Lubiana e Belgrado. È stata avviata la costruzione di autostrade dal confine austriaco per Maribor e Lubiana al confine italiano (aperto al traffico nel 1973 il tronco Vrhnika-Razdrto di 41 km) e dal confine italiano a Fiume-Karlovac-Zagabria-confine ungherese (aperti al traffico i tronchi Fiume-Kikovica di 12 km e Zagabria-Karlovac di 45 km), mentre è in progetto un'autostrada da Skopje al confine greco. Superstrade sono in corso di completamento sulle direttrici Lubiana-Zagabria-Belgrado e Zagabria-Ptuj. In complesso la rete stradale si è allungata dagli 81.681 km del 1961 ai 96.157 del 1973 (di cui 28.464 asfaltati e 41.436 macadamizzati).
La rete ferroviaria è stata integrata da una nuova importante arteria, completata nel 1976, che collega Belgrado al porto di Bar.
La marina mercantile ha avuto un rapido incremento passando da 945.991 t s.l. nel 1961 a 1.873.482 t s.l. nel 1975 (per il 6% navi cisterne), tanto che copre ora il 40% del commercio marittimo iugoslavo. Nello stesso anno i porti iugoslavi hanno smistato un movimento commerciale di 10.675.000 t, con alla testa Fiume, che in un decennio ha raddoppiato i suoi traffici (da 4.647.000 t nel 1962 a 9.941.214 t nel 1972) e il nuovo porto di Capodistria (2.010.000 t nel 1972), che nel 1963 è stato allacciato alla rete ferroviaria. In costante progresso è anche la flottiglia fluviale (622.000 t s. l. nel 1972) che opera sulle vie d'acqua facenti capo al Danubio.
I servizi aerei della JAT (Jugoslovenski Aerotransport) sono stati notevolmente intensificati sia sulle linee interne che su quelle internazionali (2,5 miliardi di passeggeri/km e 10,8 milioni di t/km nel 1972).
Il movimento turistico internazionale, che fa capo soprattutto alle spiagge adriatiche, ha avuto un ulteriore incremento, passando dai 2.657.700 arrivi del 1965 ai 5.170.000 nel 1972, provenienti per lo più dalla Rep. Fed. di Germania, dall'Italia e dall'Austria.
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Storia. - All'aprirsi degli anni Sessanta le persistenti difficoltà nei rapporti con gli altri paesi socialisti confermarono la politica estera della I. nel suo indirizzo polemico contro i blocchi politico-militari. Mentre sul piano bilaterale le relazioni con l'URSS davano pur cenni di miglioramento, dalla conferenza di Mosca del novembre 1960, anche per effetto della pressione cinese, uscì la Dichiarazione degli 81 partiti comunisti e operai, che condannava "la variante iugoslava dell'opportunismo internazionale" come "espressione concentrata delle teorie dei revisionisti contemporanei". La risposta iugoslava fu lo sforzo di ampliare e consolidare le basi geopolitiche del non-allineamento con la convocazione della 1ª conferenza dei paesi non-allineati (Belgrado 1961), che si risolse in un notevole successo diplomatico e politico per la Iugoslavia. Negli anni a seguire, l'affermazione del non-allineamento come processo mondiale, senza limiti regionali o continentali, mosse la politica estera iugoslava alla ricerca di nuovi consensi in America latina, mentre nell'area afro-asiatica essa si scontrava con la linea cinese portatrice dell'alternativa radicale nella lotta anti-imperialista e nel modello di socialismo offerto alle società non-industrializzate. Dopo la 2ª conferenza dei paesi non-allineati (Il Cairo 1964), dove lo scontro si risolse a favore dell'ala moderata guidata dalla delegazione iugoslava, e il successivo tentativo, fallito, di costituire un mercato comune del non-allineamento, gli ulteriori sviluppi di tale politica furono segnati da un ampliamento quantitativo delle adesioni, cui corrispose un progressivo svuotarsi di contenuti.
Per la I. ciò coincise con una ridefinizione della politica di neutralismo attivo, più attenta alla dimensione europea, che si dimostrava come il quadro obbligato dei suoi rapporti. Rapporti non facili, all'inizio degli anni Sessanta: tesi con la Francia, per l'appoggio iugoslavo al FLN e al governo provvisorio algerino; cattivi con la RFG (le relazioni diplomatiche erano state troncate da parte tedesca, nel 1957, in applicazione della "dottrina Hallstein"), che si mostrava poco disponibile agl'indennizzi di guerra, e per contro tollerante verso il terrorismo anti-iugoslavo di elementi emigrati. Sul fronte orientale, invece, la politica estera iugoslava registrava dei successi nella ricerca di un modus vivendi meno precario con il blocco sovietico; mentre si andava smorzando la polemica ideologica, gli scambi di visite a livello di stato e di partito segnarono le tappe di un costante miglioramento dei rapporti della I. con gli altri paesi socialisti europei, e in particolare con l'URSS, che nel 1965 passò al primo posto fra gl'importatori di merci iugoslave. Ma il processo subì una brusca interruzione nel 1968, con l'intervento militare in Cecoslovacchia, che fu condannato dalla I. e innescò una revisione complessiva negli orientamenti della sua politica estera. Da un lato, mentre il neutralismo si ribaltava in politica di "difesa dell'indipendenza e della sovranità", sottolineata dalla mobilitazione militare globale della popolazione civile, una stima realistica degli equilibri internazionali muoveva a cercare ancora una volta una "normalizzazione" nei rapporti con l'URSS, che formalmente venne con la visita di Brežnev in I. nel 1971 (nel relativo comunicato trovava posto il riferimento al reciproco rispetto della sovranità), e che aprì una fase di ripresa e intensificata cooperazione economica - pur nel permanere di una radicata diffidenza destinata a motivare, nelle riunioni preparatorie (1975) per una conferenza dei partiti comunisti europei, le resistenze iugoslave all'adozione di una piattaforma caratterizzata in senso centralistico. Dall'altro lato, si registrò nella politica estera iugoslava un nuovo corso di iniziative verso l'Ovest, che poterono svilupparsi sul terreno di una già consolidata partnership commerciale, in particolare con l'Italia e la RFG. La ripresa, con quest'ultima, delle relazioni diplomatiche nel 1968 favorì l'apertura di crediti, una rapida crescita dell'interscambio e una vertiginosa dilatazione della forza-lavoro iugoslava occupata nel territorio della RFG, mentre le autorità tedesco-federali si mostravano più attente nella prevenzione e repressione del terrorismo ustaša. In questo quadro di nuova duttilità della politica estera iugoslava si collocarono anche, all'aprirsi degli anni Settanta, la cessazione della polemica ideologica e il miglioramento dei rapporti inter-statali con la Repubblica popolare cinese, e di conseguenza anche con l'Albania.
Più in generale, nell'intero arco di anni qui preso in esame, la I. ha perseguito con gli stati confinanti una politica di buon vicinato che ha registrato qualche difficoltà minore con l'Austria sulla questione della minoranza slovena, con la Grecia durante il regime dei colonnelli, e con la Bulgaria nella misura in cui lo stato della "questione macedone" ha funzionato da barometro indiretto dei rapporti con il blocco sovietico. Tale politica ha dato buoni frutti specialmente con la Romania, come testimoniano la prassi consolidata di consultazioni periodiche al massimo livello politico e la realizzazione in comune (1964-72), alle Porte di Ferro, di un grandioso progetto idroelettrico e per la navigazione fluviale; e con l'Italia, a partire dal traffico frontaliero fino all'intreccio di legami diretti fra organizzazioni politiche, sociali e culturali dei due paesi. La qualità delle relazioni italo-iugoslave è stata guastata in modo intermittente dal riemergere di attriti o malintesi (che nel 1970-71 causarono il rinvio di alcuni mesi della visita in Italia del presidente Tito e nel 1974 tennero impegnate per settimane le due diplomazie) circa l'interpretazione del Memorandum del 1954; ma la questione si è chiusa, con reciproca soddisfazione, in virtù degli accordi (trattato di Osimo del 10 novembre 1975) che hanno dato definitiva sistemazione geografica e giuridica al confine tra i due paesi.
Dopo la crescita eccezionalmente rapida degli anni Cinquanta, l'andamento fortemente ciclico dell'economia cominciò a rivelare l'accumularsi, nel sistema produttivo, di squilibri strutturali le cui origini vennero denunciate nei ritardi dell'"autogestione operaia", ferma a uno stadio dichiarativo: un vuoto di potere, questo, normalmente colmato dall'iniziativa burocratica, carica di soggettivismo e di arbitrarietà. La nuova Costituzione federale del 1963 (ricordata appunto come "Carta dell'autogestione") mise dunque a punto il progetto istituzionale, mentre l'8° Congresso della Lega dei comunisti di I. preparò la riforma economica (1965) che a tale progetto fornì la base materiale, attribuendo alle imprese l'iniziativa nell'allocazione delle risorse (per il tramite tuttavia della mediazione bancaria) e assegnando al mercato (interno e internazionale) la funzione di regolatore "oggettivo" delle attività economiche e dei loro redditi - aziendali e individuali. Il quadro del "socialismo di mercato" si completò con l'introduzione di un elemento correttivo, il Fondo federale per il finanziamento allo sviluppo economico delle repubbliche e province arretrate (considerate tali, fino al 1970, la Bosnia-Erzegovina, il Montenegro, la Macedonia e il Kosovo). Si andavano intanto accumulando sul piano politico tensioni che per una breve stagione (1966) sembrarono potersi scaricare nell'allontanamento, dalle altissime cariche che copriva, di A. Rankovič, ritenuto responsabile delle "deviazioni" verificatesi nel lavoro del Servizio per la sicurezza dello stato, e assunto a simbolo negativo nella campagna di "lotta al burocratismo". Ben più seri i motivi d'instabilità riconducibili agli sviluppi della "questione nazionale", destinati a smentire la tesi che la crescita materiale avrebbe di per sé rimosso, con l'arretratezza, le radici stesse dei particolarismi e delle rivalità etniche. Come, nel 1960, la collaborazione fra le due più antiche istituzioni culturali del paese aveva prodotto il primo sistema unificato d'ortografia della lingua serbo-croata, testimonianza d'una disposizione aperta che travalicava l'ambito specialistico, così, sette anni dopo, la rottura dell'accordo linguistico aprì un dibattito in cui vennero a espressione le suggestioni dei nazionalismi latenti: prima avvisaglia, a livello culturale, del processo che avrebbe condotto, nel 1971-72, alla più grave crisi politica della I. postbellica, chiusa con l'eliminazione di gran parte della dirigenza croata e con vaste purghe negli apparati di stato e di partito, particolarmente in Serbia.
L'azione drastica contro il movimento nazionalista in Croazia e, rispettivamente, la "resa dei conti con il liberalismo e tecnocratismo", furono due momenti di un'unica campagna (che coprì tutto l'arco - 1969-74 - dal 9° al 10° Congresso della L.c.i.) mirante a ristabilire l'unità e l'autorità del partito come luogo di sintesi e direzione politica. In questo senso si spiega la creazione di due nuovi ristretti organi collegiali, l'Ufficio esecutivo della Presidenza della L.c.i. e la Presidenza della repubblica, intesi a rappresentare, con la loro stessa composizione paritetica su base repubblicana, le istanze supreme di mediazione e ricomposizione delle spinte emergenti dai vari settori della società iugoslava. La costituzione varata nel 1974, che ha accolto e sistemato le revisioni attuate a più riprese negli anni precedenti, ha confermato come l'alto grado di autogoverno garantito alle repubbliche entro la Federazione sia un dato irreversibile dello sviluppo istituzionale; rispetto a esso, tuttavia, il potenziamento delle strutture dell'autogestione nella sfera produttiva e la sua estensione ad altri campi quali i servizi, l'istruzione, ecc., si pongono come premesse di un'integrazione diretta a livello sociale, che in prospettiva dovrebbe rendere obsoleta la concezione classica, politico-territoriale, dell'autonomia repubblicana. In questo processo, la classe politica iugoslava è stata assistita da una buona dose di pragmatismo, che ha consentito sperimentazioni originali come pure risolute revisioni critiche: così nel definire la struttura di potere all'interno dell'azienda, o nel dislocare dal sistema bancario alla produzione diretta il finanziamento degl'investimenti, o ancora, in termini generali, nel valutare i modi e gli effetti dell'inclusione dalla I. nel mercato mondiale, che schematicamente sembra realizzarsi attraverso l'importazione di merci e d'inflazione e l'esportazione di forza-lavoro.
Infine, le proporzioni assunte negli anni Settanta dall'emigrazione iugoslava verso l'Europa occidentale rendono altrettanto gravi i problemi connessi all'eventuale rientro di centinaia di migliaia di lavoratori, in presenza di un tasso già elevato di disoccupazione interna. Questa e altre circostanze, nei tempi più recenti, hanno ristabilito l'importanza e l'urgenza per la I. di darsi una strategia di sviluppo a lungo termine, entro un quadro istituzionale capace di unificare le molteplici esperienze affluenti al patrimonio del "socialismo d'autogestione". Su questa linea si sono mossi gli sforzi rivolti a stabilizzare l'economia, come condizione preliminare a qualsiasi organico intervento sulle strutture, a impegnare le risorse intellettuali, nei vari campi delle scienze sociali, su ipotesi operative circa la crescita della I. nei prossimi decenni, a realizzare infine, sul piano giuridico-istituzionale, un efficace coordinamento fra l'esigenza sempre più pressante di una pianificazione dello sviluppo e le acquisizioni e aspettative inerenti al sistema dell'autogestione. Strumenti fondamentali che l'Assemblea federale ha adottato, su quest'ultimo punto, sono la legge sul lavoro associato e la legge sui lineamenti essenziali del sistema di pianificazione sociale. Vanno segnalati, ancora, l'estendersi del cosiddetto principio di delegazione (per cui l'insieme delle funzioni pubbliche e collettive verrebbe articolandosi dalla viva realtà del lavoro) a tutte le sfere della decisionalità sociale, e il processo d'integrazione (organizzativa, tecnica, psicologica) dell'intera popolazione civile, accanto alle forze armate, entro il concetto strategico unitario della "difesa popolare totale".
All'osservatore del 1976 si propone, dunque, un ridimensionamento dell'"esemplarità" storica della "via iugoslava", ma insieme una considerazione equilibrata dei risultati positivi: il giudizio, comunque, dovrà tener conto delle pressioni e dei condizionamenti internazionali, e dei loro riflessi sulle oscillazioni dei difficili e delicati equilibri interni di uno stato multinazionale.
Bibl.: A. Meister, Socialismo e autogestione. L'esperienza jugoslava, Roma 1967; V. Bakarić, Le vie dello sviluppo socialista in Jugoslavia, Milano 1968; Socialismo e mercato in Jugoslavia, a cura di C. Boffito, Torino 1968; E. Kardelj, Burocrazia e classe operaia, Roma 1969; La Jugoslavia oggi, Milano 1969 (Quaderni dell'osservatore, 3); S. Suvar, Nacije i medjunacionalni odnosi u socijalističkoj Jugoslaviji, Zagabria 1970; Yugoslav Workers' Selfmanagement, a cura di M. J. Broekmeyer, Dordrecht 1970; Lj. Radovanović, Federalizam u ustavnom sistemu Jugoslavije, Belgrado 1972.
Letteratura (v. serbo-croati, letteratura, XXXI, p. 423; slovenia, letteratura, XXXI, p. 961). - La letteratura iugoslava del dopoguerra ha continuato per molti anni a rendere testimonianza della lotta nazionale e della Resistenza, esperienze sconvolgenti per il paese, la cui popolazione vi era stata letteralmente decimata (1.700.000 morti, cioè il 10% degli abitanti). I principali esponenti della "poesia della Resistenza" - I. G. Kovačić, K. Destovnik-Kajuh, K. Racin (tutti e tre uccisi come partigiani), R. Zogović, V. Nazor, J. Popović, B. Čopić, S. Kulenović, J. Kaštelan, E. Kocbek, V. Popović, i fratelli Franičević - hanno continato a rappresentare, per un lungo periodo, un modello di letteratura politicamente impegnata. D'altra parte, però, con l'affievolirsi dei tragici ricordi della guerra, si faceva strada, tra i poeti della giovane generazione, un certo fastidio per le esigenze del "realismo socialista " che i portavoce dello zdanovismo si sforzavano, senza grande successo, di trasferire nella vita letteraria iugoslava.
La rottura con l'URSS e le democrazie popolari dell'Est, sopravvenuta nel 1948, determinò una svolta profonda: la condanna staliniana del "revisionismo titoista" ebbe notevoli conseguenze sul piano culturale e letterario. Durante il Congresso degli scrittori svoltosi a Zagabria nel 1949 il romanziere croato P. Šegedin mise in questione - in maniera piuttosto discreta, va detto - il principio della partijnost (spirito di partito) nelle arti e nelle lettere. Nel 1951 lo scrittore serbo D. Čosić (n. 1921) pubblicò il romanzo Daleko je sunce ("Il sole è lontano") che narra di un contadino-partigiano, un brav'uomo, il quale viene fucilato dai suoi compagni che non riescono a comprendere il suo comportamento per certi aspetti "biologico", il suo essere "radicato", che mal si concilia con la nuova ideologia. I libri di O. Davičo (n. 1909), membro a suo tempo del gruppo surrealista di Belgrado (soprattutto il suo romanzo Pesma, "La poesia", 1952) e di A. Isaković (Velika deca, "I grandi bambini", racconti, 1952) affrontano i temi della lotta rivoluzionaria sotto una luce sfumata, assai diversa da quella che era detta ironicamente "la tecnica del bianco e nero".
Un evento decisivo, che venne a confermare e a definire questa nuova situazione, fu il famoso "Rapporto introduttivo", pronunciato da M. Krleža (n. 1893) al congresso degli scrittori tenutosi a Lubiana nel 1952, che fece piazza pulita dei dogmi culturali staliniani e dei precetti dello zdanovismo. Tutti questi apporti resero più disteso il clima artistico e diedero un impulso benefico alle più diverse tendenze creative. Un gran numero di narratori, giovani e meno giovani, poté, in questo periodo, maturare o rinnovarsi, secondo i casi, e affermarsi nella vita letteraria: M. Lalić, C. Kosmač, V. Desnica, R. Marinković, M. Selimović, v. Kaleb, M. Kranjec, I. Potrč, P. Šegedin, J. Javoršek, E. Koš, Ć. Siarić, Z. Jeličić, V. Jelić, D. Sušić, N. Simć, M. Matkovic (scrittore drammatico), J. Ribnikar, J. Franičević-Pločar, M. Mihelić, M. Oljača, J. Barković, S. Bogdantić, E. Šinko e numerosi altri (si vedano i nomi citati più oltre). La poesia poteva contare, da un lato, sui vecchi esponenti del surrealismo (si vedano i nomi citati più oltre) e, d'altro lato, sulla continuità delle migliori tradizioni liriche d'anteguerra, rappresentate da A. Gradnik (morto nel 1967), G. Krklec, D. Maksimović, E. Mekuli, D. Cesarić, L. Gal, N. Šop e numerosi altri. Accanto ai "poeti della Resistenza", già menzionati, vennero in luce, in breve tempo, alcuni talenti straordinari: V. Popa, V. Parun (che è stato paragonato ad A. Achmatova), M. Pavlovic, M. Dizdar (morto prematuramente nel 1971), ecc. Gli anni Cinquanta furono, sia nel campo della prosa che in quello della poesia, tutto un susseguirsi di nuove voci, che giungevano da ciascuno dei diversi centri della federazione iugoslava. Va sottolineata, in maniera del tutto particolare, la nascita di una nuova letteratura macedone che per la prima volta si esprimeva nella lingua nazionale di quel popolo (B. Koneski, V. Maleski, A. Šopov, K. Čašule, D. Solev, S. Janevski; v. oltre per i nomi dei poeti più giovani).
Questo processo di rinnovamento non fu esente da difficoltà o da errori: le nuove tendenze vennero accusate di perdere l'orientamento progressista e di contribuire alla restaurazione della vecchia cultura borghese. Ne nacque una lunga e aspra polemica tra la corrente realista e quella che era detta moderna o modernista, raggruppata attorno ad alcune riviste come Delo ("Opera") a Belgrado, Krugovi ("Cerchi") a Zagabria e Beseda ("Parole") a Lubiana (cui seguì nella stessa città la rivista Perspektive). Questa fase di dibattito e di sperimentazione, malgrado gl'inevitabili eccessi cui dette luogo, fu un momento complessivamente fecondo per la produzione letteraria, che ebbe il suo coronamento con l'assegnazione del premio Nobel per la letteratura a I. Andrić. Numerosi autori, appartenenti sia alla generazione d'anteguerra sia a quella che aveva preso parte alla Resistenza (J. Kaštelan, D. Kostić, C. Minderović, M. Bor, J. Udović, C. Vipotnik, M. Baniević, D. Vešovic, R. Tošović, D. Ivanišević, Š. Vučetić, T. Mladenović, ecc.), diedero un sincero appoggio agli orientamenti in corso. Accanto a M. Krleža, la cui prestigiosa presenza rimaneva un punto di riferimento fondamentale, va ricordato anche il critico sloveno J. Vidmar che contribuì a chiarificare la situazione con le sue analisi acute e polemiche. Attenzione particolare meritano anche alcuni vecchi surrealisti come M. Ristić, brillante saggista e teorico, D. Matić e A. Vučo. Nel 1965 fece ritorno dall'esilio M. Crnjanski, uno dei più grandi scrittori serbi di questo secolo.
Intanto si mettevano in luce alcuni narratori straordinariamente dotati: M. Bulatović (nato nel 1930, il più tradotto tra i giovani scrittori, da ricordare soprattutto per i romanzi Davoli dolaze, 1956; trad. it., Milano 1966) e Crveni petao leti prema nebu (1959; trad. it., Milano 1960); R. Konstantinović, saggista brillante e seguace, a suo modo, del nouveau roman, A. Hieng (autore drammatico e romanziere), il sottile narratore S. Novak, il raffinatissimo D. Kiš, M. Kovač, con i suoi inquietanti racconti fantastici, e inoltre D. Mihajlović, B. Pekić, B. Zupančić, B. Šćepanović, F. David, A. Šoljan, I. Kušan, R. Smiljanić, A. Vuletić, V. Stefanović, S. Asanović, J. Hrjstić, D. Rupel, R. Šeligo, M. Stevanović e molti altri. Anche la giovane poesia ha conosciuto, a sua volta, una consimile fioritura: dopo il duo Popa-Pavlović vanno citati, tra i poeti serbi, B. Miljković (suicidatosi nel 1961), S. Raičković, I. V. Lahić, M. Bečković, B. Petrović tra i croati, I. Slamnig (sperimentatore sottile e originale), S. Mihalić (dedito a una tematica "esistenziale"), V. Gotovac, D. Dragojević, L. Palljetak, D. Horvatić, A. Majetić, J. Sever, J. Zidić, G. Babić, ecc. I poeti sloveni hanno tentato tutte le avventure della poesia moderna, talvolta con esiti felici; vanno ricordati K. Kovič, L. Krakar, J. Menart, C. Zlobec, J. Minatti, D. Zajc, G. Straiša, I. Svetina e, tra i più giovani, T. Šalamun e la poetessa S. Makarevič. In questa rassegna dei più validi rappresentanti della giovane poesia vanno inclusi numerosi nomi di autori del Montenegro (B. Šćepanović morto tragicamente nel 1966, J. Brković, S. Perović) e della Bosnia-Erzegovina (I. Sarajlić, R. Petrov-Nogo, N. Martić, ecc.) né va trascurata la perdurante rinascita dalla poesia macedone (G. Todorovski, M. Matevski, B. Giuzel, P. Boškovski, R. Pavlovski).
Gli anni Sessanta e l'inizio del presente decennio hanno visto l'espandersi delle letterature nazionali, che, se da un lato ha significato un consolidamento delle rispettive identità nazionali, si è talvolta arenato nelle secche delle mitologie tradizionali. Una politica delle nazionalità estremamente articolata ha tuttavia stimolato lo sviluppo delle culture specifiche, ivi comprese quelle delle minoranze nazionali (albanesi, ungheresi, italiani e altri), che hanno avuto a disposizione giornali e case editrici nelle lingue rispettive, oltre a diverse istituzioni culturali (teatro, scuola, università). Citiamo, tra gli scrittori della minoranza italiana - i quali spesso scrivono in dialetto - i nomi dei più interessanti: E. Sequi (direttore della rivista La battana di Fiume), O. Ramous (poeta e drammaturgo), G. Scotti (poeta e traduttore), L. Martini, G. Curto e G. Zanini.
Bibl.: F. Trogrančić, Storia della letteratura croata. Dall'umanesimo alla rinascita nazionale, Roma 1953; A. Cronia, Storia della letteratura serbo-croata, Milano 1956; G. Maver, Letteratura serbo-croata, in Storia delle letterature moderne d'Europa e d'America, IV, ivi 1960; B. Meriggi, Le letterature della Jugoslavia, Firenze-Milano 1970.
Archeologia. - Le ricerche archeologiche, antiquarie ed epigrafiche sul territorio della I. s'iniziarono negli ultimi decenni del secolo scorso e nei primi dell'attuale, con un forte contributo di studiosi austriaci e tedeschi. Anche archeologi italiani svolsero successivamente una certa attività, specialmente in Dalmazia e in Istria. Negli ultimi decenni gli archeologi iugoslavi hanno intensificato sia l'attività di scavo, sia lo studio di materiali conservati nei musei; ha avuto un grande incremento, accanto agli studi ormai tradizionali sul periodo romano, la ricerca preistorica.
Le testimonianze del Paleolitico inferiore e superiore sono relativamente numerose (interessanti fra le altre le figure rupestri di Lipci); meno rilevanti quelle del Mesolitico (ma si tenga presente l'insediamento di Lepenski Vir). Abbondanti le testimonianze del Neolitico, con larga rappresentanza d'industria litica, ceramiche caratteristiche, talvolta sculture. Per il Neolitico più antico, riveste particolare importanza il gruppo di Starčevo (stazioni di Starčevo, alla confluenza del Danubio e della Sava; di Bubani presso Niš; di Čoka presso Subotica), con ceramica dipinta con splendidi colori, conservata in gran parte nel Museo Nazionale di Belgrado; per il Neolitico più recente, sono fondamentali gli stanziamenti riuniti intorno a Vinča, nei pressi di Belgrado, caratterizzati da ceramica incisa e dipinta e da idoletti. Importanti anche la stazione di Butmir in Bosnia, con ceramica decorata a spirale e idoletti (materiale conservato nel Museo di Sarajevo); le grotte di Grabak, Pokrivenik e Markova nell'isola di Hvar, con ceramica incisa e dipinta; i trovamenti di Danilo presso Sebenico, con ceramica dipinta. Per quanto riguarda l'Eneolitico, sono da ricordare le grandi stazioni di Sarvaš presso Osijek, di Vušedol presso Vukovar in Slavonia (ceramica "slavona" nei musei di Osijek e Zagabria), di Ljubljansko Barje presso Lubiana (ceramica incisa conservata nel Museo di Lubiana).
Già dal Neolitico e dall'Eneolitico si può parlare di scambi abbastanza intensi con l'Europa centrale e con il bacino mediterraneo, con particolare riferimento alle coste delle penisole balcanica e italiana. Almeno a partire dall'Eneolitico è attestata la "via dell'ambra" dai mari del nord attraverso l'Europa e l'Adriatico fino alla Grecia e alla Sicilia.
L'età del Bronzo coincide, nella parte della Penisola Balcanica attualmente occupata dalla I., con la presenza di popolazioni indo-europee quali Greci (che tuttavia si stabiliscono poi più a sud), Traci, Illiri. Ritrovamenti di utensili, armi, vasellame, ornamenti in bronzo si sono verificati un po' dappertutto in I.; sono anche piuttosto numerose le testimonianze della diffusa cultura centroeuropea della tarda età del Bronzo, detta "dei campi di urne"; pochi sono però gli stanziamenti sistematicamente studiati. Fra quelli più importanti, sono da ricordare Vatin presso Vršac in Vojvodina, Žuto Brdo e Dubravica in Serbia. Statuette fittili di buona fattura si sono rinvenute a Kličevac, a Vršac, a Bapska. I "castellieri" disseminati lungo tutta la costa adriatica sono in parte dell'età del Bronzo (in parte di epoca più tarda).
L'età del Ferro, con varianti locali, si può dividere in un primo (1000-400 circa a. C.) e un secondo periodo (dal 400 in poi). I ritrovamenti sono numerosi: armi, utensili, statuette, ornamenti in metallo; ceramica, resti di carattere architettonico. Particolarmente rilevante la cultura di Glasinac, le cui testimonianze si sono ritrovate in un territorio compreso fra la sponda adriatica e la Morava, fra la Sava e il Montenegro (cioè in quello che era noto agli antichi come paese degl'Illiri, comprendente varie popolazioni). La cultura di Glasinac prende il nome da un altopiano a E di Sarajevo, dove sono state scoperte numerosissime tombe del primo periodo (a Brezje, a Ilijak; nelle vicinanze, insediamenti a Debelo Brdo, Donja Dolina). Il materiale è conservato nel Museo di Sarajevo. Alla fine del 6°-inizio del 5° secolo a. C., una serie di ritrovamenti nelle necropoli tumulari di Trebenište, di Atenica, soprattutto di Novi Pazar ("tesori" con oggetti di produzione illirica, greca o greco-illirica) testimonia la forza degl'influssi greci sulle tribù illiriche. L'intensità degli scambi sul suolo dell'attuale I. durante le età del Bronzo e del Ferro è peraltro provata anche da ritrovamenti in isole (Hvar), lungo le valli dei fiumi (Neretva), e da oggetti come elmi etruschi sul Glasinac, situle bronzee in varie località fra cui Vače in Slovenia (collegabili con la cosiddetta "arte delle situle", le cui testimonianze si trovano dall'Etruria Padana al Danubio). È stato anche rilevato dagli studi degli ultimi anni il forte rigoglio di alcuni gruppi autoctoni, come quello "liburnico-japodico" dal sec. 9° alla fine del 6° a. C. (particolare sviluppo nella zona costiera) e dal sec. 5° all'epoca della dominazione romana (particolare sviluppo nella Bosnia settentrionale e nella Slovenia meridionale).
Nella prima metà del 4° secolo a. C. una vasta area comprendente parte della Dalmazia, la Bosnia, la Serbia è invasa dai Celti: la civiltà di La Tène di cui essi sono portatori si fonde in maniera caratteristica con quella dei Traci e degl'Illiri. Segestica (Sisak), Singidunum (Belgrado) sono di fondazione celtica. Sempre nel 4° secolo a. C. i Greci, che già in precedenza (v. sopra) hanno esercitato un notevole influsso sulle tribù illiriche, passano a una fase di diretta fondazione di colonie sulla costa dalmata (la colonizzazione della fascia costiera adriatica più a sud - v. albania - è assai più precoce): Melaina Korkyra, fondata da Cnidi sull'isola di Curzola; Herakleia, fondata sulla costa fra Salona e Sebenico; Issa, sull'isola di Vis, fondata dai Siracusani sotto Dionigi il Vecchio; Pharos, dedotta da abitanti di Paro sull'isola di Hvar. Issa a sua volta deduce colonie a Curzola presso il villaggio di Lumbarda nello stesso 4° secolo, a Tragurion (Traù) e Epetion (Stobrec) nel 3° secolo; ha nel 2° secolo un suo stanziamento nell'illirica Salona. Prime promotrici dell'urbanizzazione, le città greche battono moneta, sono centro di scambio di prodotti, producono esse stesse beni di alta qualità.
I Romani entrano nella regione a partire dal 3° secolo. Sulla situazione, prima della conquista romana, delle popolazioni delle varie regioni appartenenti all'attuale I., e sulla loro conquista e romanizzazione, v. dalmazia; pannonia; mesia; macedonia. Almeno inizialmente, le città si sviluppano non lontano da precedenti insediamenti greci; la romanizzazione tende poi a diffondersi lungo arterie di comunicazione come strade e fiumi. Fra le città romane che presentano più rilevanti resti architettonici, si può ricordare anzitutto Salona (foro, basiliche, teatro, anfiteatro, mura e porte, ecc.); poi Pola (anfiteatro, tempio di Augusto, arco dei Sergi), Zara (edifici del foro, con criptoportico), Skoplje (teatro, foro, ecc.). Nei dintorni di Zara, si sono identificate rilevanti tracce di centuriazione. La produzione artistica è di differente livello a seconda del grado di penetrazione della cultura romana: le città della costa (forse soprattutto Salona: statue, stele, sarcofagi) ne appaiono permeate in maggior misura. Interessanti alcuni singoli monumenti, come l'edicola funeraria di Sempeter. Nella tarda antichità si ha un periodo di notevole fioritura, con la presenza della corte imperiale a Sirmium (qui vengono prodotti nel 3° secolo alcuni importanti sarcofagi) e con realizzazioni come il Palazzo di Diocleziano a Spalato presso Salona: fondamentale esempio di palazzo-fortezza, che rielabora lo schema del castrum adattandolo a residenza imperiale. Vedi tav. f. t.
Bibl.: G. Novak, sub. v. iugoslavia, in Encicl. Univ. Arte, VIII, Venezia-Roma 1958, coll. 375-377; 387 seg. e ivi ampia bibl. prec.; A. e J. Šašel, Inscriptiones Latinae quae in Iugoslavia inter annos MCMXL et MCMLX repertae et editae sunt, Lubiana 1963; G. Alföldi, Bevölkerung und Gesellschaft d. röm. Prov. Dalmatien, Budapest 1965; A. Stipčević, Gli Illiri, Milano 1966; id., Bibliografia Illyrica, Sarajevo 1967; J. J. Wilkes, Dalmatia, Londra 1969; J. e T. Marasović, Der Palast der Diokletian, Vienna-Monaco di Baviera 1969; F. Lo Schiavo, Il gruppo liburnico-japodico..., in Mem. Lincei, XIV, 6 (1970), pp. 363-523; A. Mócsy, Gesellschaft und Romanisation in der röm. Prov. Moesia Superior, Amsterdam 1970; Époque préhistorique et protohistorique en Yougoslavie - Recherches et résultats (Comité National d'organistion du VIIIe Congrès international des sciences préhist. et protohist.), Belgrado 1971; J. Alexander, Jugoslavia before the Roman conquest, Londra 1972; L. Popović, Greek-Illyrian treasures from Yugoslavia, Sheffield 1974; A. Mócsy, Pannonia and Upper Moesia..., Londra-Boston 1974.
Arti figurative e architettura. - Durante la guerra antitedesca, nel momento storico della rivoluzione, come anche nell'ambiente dei campi di prigionia o di concentramento, nacque in I. un movimento artistico che si definì di rivolta; vi parteciparono artisti come A. Austinčić, B. Jakac, D. Kun, F. Michelič, P. Karamatijević, B. SOotra, M. Detoni, V. Radauš e molti altri.
Dopo il 1945, le esitazioni e i dilemmi suscitati dall'impegno di totale partecipazione sociale, secondo un utilitarismo rigoroso, si troveranno sorpassati nell'evoluzione stilistica dei pittori, allora ancora relativamente giovani, appartenenti alla generazione d'anteguerra. In seguito, nella mutata situazione generale, gli stessi problemi saranno visti come soluzione di continuità. È invece sul piano della continuità che si manifestano i cambiamenti della pittura degli espressionisti iugoslavi d'anteguerra. Questi liberano le forze istintive e, ponendo un'equazione diversa nel rapporto tempo-spazio, sostituiscono il tempo continuo con il tempo come serie di momenti separati; in questo ambito vanno segnalati i nomi di O. Herman (1886-1974), J. Bijelić (1886-1964), M. Koniović (nato nel 1898), Zora Petrović (1894-1962). Accanto a loro il realismo poetico e l'intimismo si sviluppano nell'arte di M. Tartalja (nato nel 1894), O. Postružnik (1900), M. Celebonivić (1902), G. A. Kos (1896-1970), P. Milosavljević (1908), N. Gvozdenović (1902), L. Sokić (1914).
Contenuti e moduli espressivi diversi si rivelano nella pittura di P. Lubarda (1907-1974; celebre la sua mostra del 1951; Lubarda fu poi premiato nella Biennale di San Paolo del 1953 e in quella di Tokio del 1955) e nelle opere di I. Tabakovic (nato nel 1898), M. Milunović (1897-1967), G. Stupica (nato nel 1913), M. Pregelj (1913-67), K. Hegedusić (1901-75) e di altri pittori che esprimono una discontinuità rispetto alla tradizione d'anteguerra, appartenendo a una corrente di astrazione lirica.
Gli artisti più giovani, preoccupati in un primo momento dal problema della relatività dell'oggetto, in cerca di una rappresentazione che tenga conto degli elementi soggettivi, in seguito si volgono all'astrattismo, ai simboli e alla pittura segnica, o all'informale. Rappresentanti dell'informale, dell'espressionismo astratto e di altre tendenze simili sono E. Murtić (nato nel 1921), Z. Prica (1916), F. Kulmer (1925), P. Omčikus (1926), D. Ivačković (1930). I pittori dell'informale s'interessano alle possibilità plastiche della materia, all'utilizzazione dei "non-mezzi" - filo, tela di sacco, lamiera - materiali antitradizionali. Sono presenti anche certi valori surrealisti, ben visibili nella pittura di O. Petlevski (1930), J. Bernik (1933), L. Vozarević (1925-68), M. Popović (1923), B. Baretić (1935), Z. Pavlović (1932), B. Protić (1931), Z. Turinski (1935), F. Šimunović (1908), O. Gliha (1914).
La pittura magica, metafisica e surrealista mantiene sempre la sua importanza. D'altronde la tradizione del surrealismo esiste in I., come prova la collaborazione di A. Breton e M. Ristić a Nemoguće (L'impossibile) nel 1930. Agli stessi orientamenti si riferisce la corrente della retrospezione magica, rappresentata da L. Seika (1932-1970), B. Miljus (nato nel 1936), M. Šuštaršić (1927), M. Stančić (1926), e la pittura detta della "crudeltà ribelle" di M. Dado Durić (nato nel 1933) e di L. Popović (nato nel 1934).
Da questa corrente che possiamo chiamare "crudele", fino alla nuova figurazione mancava poco per giungere alla pittura della protesta, della negazione, dello humour nero, del disinganno, della favola urbana. Protagonisti di questa tendenza sono: R. Reljić (nato nel 1938), V. Velčiković (nato nel 1935), L. Ivanović (1925), N. Kavurić-Kurtović (1938), D. Kalajić (1943), D. Otašević, (1940), M. Popović (1923), Z. Pavlović (già ricordato), P. Nešković (1938), M. Srbinović (1925), Ž. Dak (1942), B. Bem (1936), Z. Jeraj (1937) I. Mujezinović (1942), A. Jemec (1934), O. Ivanjicki (1931), F. Maurits (1945).
Il geometrismo si manifesta a partire dall'astrattismo di S. Ćelić (1925); M. B. Protić (1922); T. Lulovski (1940), fino alle correnti del neo-costruttivismo, della minimal art (R. Damnjanović, nato nel 1936) e ai simboli trasformati della op art e del surrealismo, alle "nuove tendenze" dei pittori di Zagabria, come I. Picelj (1924), che nel 1951, con B. Rašica e A. Srnec, forma il gruppo Exat 51 ispirato all'astrazione pura (importante fu anche il suo contributo all'op art intorno al 1960). Sempre fra i pittori di Zagabria si distinguono: V. Kristl (1923), noto anche come iniziatore dei cartoni animati della Zagreb Films; M. Šutej (1936), I. Knifer (1924); M. Galić (1934); L. Šibenik (1935); M. Čubraković (1924). Un altro aspetto del geometrismo si manifesta nell'opera di pittori che s'interessano al repertorio formale dell'ornamentazione antica e al mito, come L. Vozarević (1925-1968); A. Tomašević (1921-1968); D. Kondovski (nato nel 1927). Negli arazzi il livello più alto è rappresentato dai nomi di B. Petrović (1922), M. Zorić (1909), L. Vujaklija (1914), J. Buić (1930). Quest'ultimo concepisce i suoi arazzi quasi come sculture, con forti rilievi, nodi, cordoni.
Nella scultura il cambiamento si verifica dopo il 1945. A Zagabria è legato all'opera di V. Bakić (nato nel 1915), dagli allumini piegati in forme puriste alle forme tondeggianti e riflettenti di rame; alle sculture di K. A. Radovani (1916); alle opere enigmatiche composte di punte martellate fino a formare dei nuclei di D. Džamoja (1928). Accanto a loro sono ancora da ricordare le figure geometriche in bronzo di I. Kožarić (1921); B. Ružić (1919); K. Kantoci (1908); i legni di Š. Vulas (1932). A Belgrado, la concezione moderna della scultura si riflette in primo luogo nell'opera di numerosi scultori, come O. Jevrić (1922); O. Jančić (1929), autrice di pietre antropomorfe ispirate ad H. Arp; J. Kratohvil (1924); M. Vuković (1925); O. Logo (1931); A. Bešlić (1912); M. Jurišić (1928). In Slovenia P. Tršar (1927); S. Batič (1925); M. Savinšek (1922-1961); S. Tihec (1928); F. Rotar (1933); J. Boljka (1931). In regioni tradizionalmente più appartate come la Macedonia, la Bosnia e l'Erzegovina sono attivi scultori come P. Hadži-Boškov (1928); B. Kućanski (1931); S. Arsić (1928). B. Bogdanović (1922), autore di curiose "costruzioni sacre", è specialmente noto per i cimiteri ebraici di Belgrado, di Sremska Metrovica, di Prilep, Mostar, Krusevac e Jasenovac.
L'incisione è un settore particolarmente avanzato dell'arte iugoslava e molti sono gli artisti conosciuti anche all'estero; tra i più significativi si ricordano: T. Krizman (1882-1955); B. Jakac (1899); M. Petrov (1902); V. Svečnjak (1906); B. Šotra (1906-1960); R. Debenjak (1908); P. P. Karamatijević (1912-1963); N. Rajzer (1918); A. Oprešnik (1919); A. Kinert (1919); D. Stojanović-Sip (1920-1976); M. Nagorni (1932); B. Karanović (1924); R. Kragulj (1934); V. Makuc (1926); M. Krsmanović (1930); B. Kršić (1912), Ćelić, Bernik, Petlevski, Šutej, Rihter, ecc.
Il periodo dopo l'ultima guerra aveva posto dei problemi nuovi all'architettura - costruzione d'immobili per abitazione e industrie, cosa che aveva dato un nuovo impulso alla pratica della costruzione. D'importanza particolare era la costruzione delle nuove città o di interi complessi di abitazione, come gran parte di Novi Beograd. In rapporto alla situazione d'anteguerra, anche l'industrial design si è molto più esteso. Accanto agli architetti che hanno cominciato la loro attività nel periodo d'anteguerra, come N. Dobrović, D. Brašovan, A. Albini, M. Galić, D. Ibler, M. Kauzlarić, E. Ravnikar, S. Planič, ecc., si afferma anche una generazione più giovane: V. Richter, B. Rašica, Bregovac, Perković, V. Turina, Z. Kolacio, A. Mutnjaković e altri, in Croazia; S. Kristl, E. Mihevc, N. Kralj, M. Mihelič, ecc., in Slovenia; B. Bogdanović, I. Antić, A. Brkić, M. Mitrović, S. Maksimović e altri, in Serbia; I. Štraus, J. Finci, N. Kušan, in Bosnia e Erzegovina; Tomovski e altri in Macedonia.
Nel presentare un quadro dell'arte contemporanea in I., è giusto infine tener conto di una differenza importante fra la situazione della vita artistica di anteguerra e quella di oggi: cioè l'organizzazione non centralizzata della vita artistica attuale. In numerose città della I., nei comuni e nei centri nazionali si sono create istituzioni che aiutano e facilitano le iniziative culturali e artistiche. Nuovo vigore hanno anche assunto organizzazioni sorte fra le due guerre, come il gruppo Zemlja (terra), cui appartenne K. Hedegusić che nel villaggio di Hlebine ha dato vita a una comunità di pittori-contadini, il cui maggior rappresentante è I. Generalič. Vedi tav. f. t.
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