IUSTITIA
− Personificazione della Giustizia nell'arte imperiale romana. Sul diritto di un dupondius di Tiberio, dell'anno 23, si vede la testa di Livia, madre dell'imperatore, con l'iscrizione Iustitia.
In Livia, la donna più degna di rispetto dell'Impero, si impersona la I., il concetto politico di I. che, in tal modo, veniva solennemente affermato e, contemporaneamente, in essa si continua il senso di giustizia richiamato a nuova vita da Augusto e passato allo stesso Tiberio; questi infatti aveva 10 anni prima elevato un altare alla Iustitia. Anche i Flavi testimoniarono in modo eloquente il loro desiderio di giustizia incondizionata: immediatamente dopo l'avvento al potere, Vespasiano fa rappresentare su un aureus coniato a Lugdunum una dea seduta in trono, con scettro e spighe, intitolata iustitia Aug(usti). Tito, ripetendo le monete con la I. di Tiberio, proclama la sua piena solidarietà con questo principio fondamentale per ogni regnante. Nerva, conferendo alla iustitia Aug(usti) scettro e fronda, la mette in diretto rapporto con la dea della pace. La coppa dei sacrifici e la fronda in mano alla dea seduta in trono, che Adriano fa coniare poco prima di assumere il potere, sono simboli della sua volontà di giustizia; egli la chiama semplicemente iustitia; solo più tardi, negli ultimi anni di regno, dal 132 in poi, aggiunge Aug(usti), a dimostrare che egli è protettore e custode della giustizia. L'immagine da lui coniata serve in sostanza da modello ai successori. Pescennio Nigro, detto iustus, conferisce regolarmente alla sua iustitia Aug(usti) gli attributi della aequitas(v.): bilancia e cornucopia.
Bibl.: G. Wissowa, Religion und Kultus d. Römer, Monaco 1902, II, p. 333; Strack, II (Hadrian), p. 50; 123, III (Antoninus Pius), p. 148.