Aralica, Ivan
Narratore, saggista e critico letterario croato, nato a Puljani-Promina, nei pressi di Drni, il 10 ottobre 1930. Durante gli studi ha insegnato nelle scuole del circondario di Knin e Zara e dopo la laurea è diventato direttore del Ginnasio pedagogico di Zara. All'attività didattica ha unito sistematicamente quella letteraria.
La prosa di A. è costruita intorno a temi legati alla storia della terra natia ma ancora attuali nell'epoca contemporanea. Per un certo periodo A. è stato considerato un epigono poco significativo delle tematiche legate alla vita rurale, sviluppatesi nella letteratura croata all'inizio del secolo. È passato poi a temi contemporanei, come in Filip (1970, Filippo) e in Ima netko siv i zelen (1977, C'è qualcuno grigio e verde) e a temi storici, con una serie di romanzi che hanno destato l'attenzione della critica: Psi u trgovištu (1979, Cani in piazza), considerata la sua prova più interessante; Put bez sna (1982, Viaggio senza sogno); Duše robova (1984, Le anime degli schiavi); Graditelj svratišta (1986, Il costruttore di locande). Con tale svolta A. ha offerto alla letteratura croata il primo esempio di romanzo storico in cui si affrontano la dominazione turca, l'Islam e la cultura slava. Molta parte dei romanzi pubblicati dallo scoppio della guerra in Bosnia è marcata da una posizione politica assai rigida, che spesso lo fa sconfinare nella retorica (Tajna sarmatskog orla, 1996, Il segreto dell'aquila sarmatica; Gdje pijevac ne pjeva, 1996, Quando il gallo non canta).
Gli esordi risalgono al 1956 con la novella Smovka (Il fico), apparsa sulla rivista Prosvjeta (Cultura), cui seguì nel 1967 il primo romanzo, Svemu ima vrijeme (C'è tempo per tutto). Nello stesso anno ha pubblicato i romanzi brevi Nevjernik (L'infedele) nella rivista Mogućnosti (Possibilità), e Oluje u tihom ozračju (Tempeste a ciel sereno), nella rivista Revija (Rassegna). La sua successiva riflessione sulla cosiddetta tematica turca è arrivata nel momento in cui la critica riteneva che niente si potesse aggiungere a quanto avevano detto I. Andrić e M. Selimović sulle barriere erette dalla storia tra i vari popoli stanziati nei Balcani. L'interesse di A. abbraccia in chiave epica l'ambiente in cui si fronteggiarono l'Impero Ottomano, Venezia e l'Austria. L'autore segue in particolare l'emergere e il consolidarsi della coscienza degli autoctoni che in seguito si concretizza nelle rivendicazioni nazionali.
Lontano dalle polemiche letterarie e dalle sperimentazioni, A. si presenta come un fine cultore dei modi della narrazione popolare, con la sua gradualità nell'esposizione dei fatti. Proprio la personale rielaborazione degli stilemi della tradizione orale, che lo ha reso uno dei maggiori narratori della letteratura croata, rappresenta al tempo stesso il suo maggiore punto debole. Spesso infatti la struttura portante del romanzo viene trascurata a favore di singoli, benché accattivanti, episodi, oppure è evidente l'assenza di descrizioni compiute di fatti e personaggi. I vari livelli della narrazione sono così intrecciati fra di loro che ogni racconto sfocia in un altro, sicché ogni fine costituisce allo stesso tempo un inizio. La critica ha inoltre spesso evidenziato una certa mancanza di omogeneità linguistica dei suoi testi, nei quali convivono elementi lessicali e stilemi classici e moderni.
bibliografia
T. Bakarić, Svemu ima vrijeme (C'è tempo per tutto), in Republika, 1967, 10.
D. Cvitan, Nasljednik Vladana Desnice (L'erede di Vladan Desnica), in Telegram, 1968, 8.
C. Milanja, Arbeska kodova (Codici arabescati), in Forum, 1984, 11-12.
I. Frangeš, Povijest hrvatske književnosti (Storia della letteratura croata), Zagreb-Ljubljana 1987.