DALLE CARCERI, Ivano
Appartenne ad una delle principali famiglie egemoni della Verona del tardo sec. XII, proprietaria - a quanto pare - di una casa nella piazza del Mercato, in un luogo chiamato ad Carceres. Un Gibertino Dalle Carceri fu podestà di Verona dal 1171 al 1173 e nel 1179; un fratello del D., Redondello, fu podestà nel 1210 e un altro, Enrico, fu vescovo di Mantova dal 1193 almeno fino al 1225.
Il D. fu uno dei "lombardi" che al seguito di Bonifacio, marchese del Monferrato, parteciparono alla quarta crociata e si stabilirono in Grecia. Egli fu inviato, insieme con Marco Sanuto, dal doge veneziano a Bonifacio per indurlo a far pace con Baldovino, imperatore latino di Costantinopoli, e per far passare l'isola di Creta nelle mani di Venezia. Il 12 ag. 1204ad Adrianopoli Bonifacio strinse con i Veneziani un accordo segreto, con il quale rinunciava ai suoi diritti su Creta; lo stesso giorno consegnò al D. e a Marco Sanuto, giunti da Costantinopoli insieme con Guglielmo di Villehardouin, una ricevuta per la somma di mille marchi d'argento versatigli dai Veneziani; testimoni furono anche Giberto da Verona e Pecoraro da Mercanuovo. Da allora il D. compi la sua carriera in Grecia.
La partitio imperii Roinaniae del 1204, che precedette la conquista latina di Costantinopoli, assegnò Oreo, nella parte settentrionale del Negroponte (l'antica isola Eubea) e Caristo, in quella meridionale, a Venezia, mentre la città di Negroponte e la parte centrale dell'isola furono concesse a Bonifacio di Monferrato, che divenne re di Tessalonica e si accinse a conquistare la Grecia settentrionale. Nella primavera del 1205 Bonifacio si impadroni di tutto il Negroponte e nell'agosto concesse in feudo l'isola a tre dei suoi seguaci veronesi: non è chiaro quale terzo fu assegnato a ciascuno, ma forse Oreo nel Settentrione, pervenne a Pecoraro de' Pecorari da Mercanuovo, Calcide a Giberto da Verona e Caristo, nel Meridione, al D., mentre la città di Negroponte doveva essere tenuta congiuntamente e indivisibilmente da tutti e tre i terzieri, i dominatores tertie partis. Il D. teneva le sue terre secondo il sistema, feudale introdotto dai conquistatori latini e dal 1209 aveva infeudato una parte delle stesse ad Alberto Valvo. Dalla fine del 1208 circa divenne, poi, dominus di tutto il Negroponte, li sires de Nigrepont, in seguito alla morte di Giberto da Verona e al ritorno in Italia di Pecoraro.
Quando, nel settembre 1207, Bonifacio di Monferrato fu ucciso, Oberto da Biandrate divenne reggente per il figlio di questo, Demetrio, ancora bambino. Ben presto, però, Oberto cominciò a tramare, con l'appoggio dei magnati "lombardi" di Tessalonica, per sostituire a Demetrio un altro figlio di Bonifacio, nato da un precedente matrimonio, Guglielmo, marchese dei Monferrato. Enrico di Fiandra, che era succeduto a Baldovino come imperatore latino di Costantinopoli, si inoltrò allora in Grecia per assicurarsi l'omaggio dei suoi oppositori "lombardi"; e dopo aver coronato Demetrio come "re" nel gennaio del 1209, iniziò una campagna contro Oberto e i "lombardi".
Il D. fu uno dei capi "lombardi" e poco prima del 6 genn. 1209 i baroni lo elessero, insieme con Amé Pofey, per negoziare con Enrico. Nell'aprile dello stesso anno mentre si trovava ad Almiro, l'imperatore apprese che alcune galere del D. avevano attaccato una grande nef, la quale trasportava provviste a lui destinate e inviò suoi uomini a difenderla. Poi convocò Parlamento a Ravenica per pervenire a un accordo di pace con i suoi avversari. Prima dell'assemblea il D. sollecitò un incontro con i baroni franchi Conon de Béthune e Anseau de Cayeux; ma la missione non portò a nulla. Nessuno dei "lombardi", quindi, si recò a Ravenica e il D. e gli altri "lombardi" rifiutarono di cercare con l'imperatore un accordo, sapendo che questo non sarebbe stato a loro favorevole. Enrico, allora, li assediò nel castello di Tebe, insistendo nell'attacco finché il D. e Albertino di Canossa, signore di Tebe, domandarono prima una tregua e quindi si arresero nel maggio 1209. Fu probabilmente allora che il D. abbracciò il partito di Enrico e gli rese il dovuto omaggio ligio per il feudo che in questo modo conservò.
Nel frattempo Oberto era fuggito in Negroponte; Enrico lo inseguì e quando apprese che Oberto si organizzava per attaccarlo li, si procurò un salvacondotto dal D. il quale, poi, lo accompagnò nell'isola. Qui il D. dichiarandosi "honi liges" dell'imperatore, impose a Oberto di non operare contro Enrico (giugno del 1209 circa). La rivolta dei "lombardi" ebbe termine e l'imperatore confermò al D., che probabilmente gli aveva salvato la vita, il suo feudo. Negroponte divenne così parte integrante dell'Impero latino e soggetto alle leggi feudali di "Romania". Dal gennaio 1209 in poi la posizione del D. come dominus del Negroponte fu anche riconosciuta in una serie di bolle di Innocenzo III, il quale chiedeva al D. di pagare le decime e di restituire le proprietà ecclesiastiche che deteneva ingiustamente. Il D. fu presente al Parlamento di Ravenica, dove il 2 maggio 1210 fu elaborato un concordato che stabiliva la posizione della Chiesa di Roma nell'Impero latino di Costantinopoli.
Il D. cercò, comunque, di mantenere una certa indipendenza dall'imperatore, riconoscendo l'autorità di Venezia sull'isola di Negroponte, dove i Veneziani avevano interessi strategici. Nel marzo del 1209 tre suoi procuratori, suo fratello Redondello, suo zio paterno Gerardino de Montenario, e il suo vassallo o "fidelis" Alberto Valvo, erano a Venezia, dove giurarono fedeltà al doge in nome del D., impegnandosi a far prestare dallo stesso D. entro un mese il giuramento di obbedienza a Venezia. Quando i suoi procuratori tornarono in Grecia, il D. era a Tebe con l'imperatore, al quale aveva fatto omaggio nel maggio 1209 circa. Questo doppio omaggio era contrario al diritto feudale della "Romania". L'omaggio a Venezia era stato prestato soltanto dai procuratori del D. e non era stato da lui ratificato; ma la questione era ulteriormente complicata dal fatto che la concessione del Negroponte, disposta da Bonifacio nel 1205, era contraria alla partitio imperii Romaniae, secondo la quale il terzo settentrionale e quello meridionale dell'isola, che il D. teneva sin dal 1208, spettavano a Venezia. Fu presumibilmente a causa di queste complicazioni che il giuramento con cui il D. ratificò il suo omaggio a Venezia avvenne solo nel febbraio 1211.
Col giuramento del 1211 il D. riconobbe di aver avuto il Negroponte dal doge, ma non divenne suo vassallo ligio; tuttavia, questa ammissione costituì un importante passo verso lo stabilirsi del controllo veneziano sul Negroponte. A Venezia era riconosciuto il diritto di avere nell'isola una chiesa e un fondaco, e il godimento di privilegi commerciali immuni da tributi. Inoltre rappresentanti veneziani esercitavano la giurisdizione sui concittadini attivi nel Negroponte, mentre molti veneziani acquistarono proprietà nell'isola e loro mercanti vi operarono dal 1211 in poi.
Il D. promise anche di versare a Venezia un tributo annuo di 2.100 pezzi d'oro, di assicurare i giuramenti di fedeltà dei suoi sudditi, sia latini sia greci (inclusi anche i magnates greci) e di mantenere gli ordinamenti giuridici e fiscali in vigore prima della conquista del 1204. Questo trattato fu trascritto il 7 maggio 1204 da uno scriptor notarius et iudex dell'imperatore, cosa che fa pensare a un riconoscimento imperiale degli interessi veneziani nel Negroponte e dell'omaggio del D. al doge.
Poche sono le notizie in nostro possesso in merito al governo del D. nella sua signoria. Sappiamo che dal 1209 subinfeudò terre ad Alberto Valvo e che conservò nella sede episcopale di Negroponte il greco Teodoro, resistendo all'opposizione del clero latino guidato dall'arcivescovo di Tebe, Berardo. Favorendo Teodoro il D. si proponeva, probabilmente, di accattivarsi il sostegno dei sudditi greci. Tale politica, comunque, gli procurò la decisa ostilità di Berardo, ostilità che si manifestò in modo aperto quando il D. volle sposare una certa Isabella, il cui marito era morto da poco in circostanze sospette. Berardo, allora, lo scomunicò. Tuttavia il clero veneziano intervenne in favore del D. e con bolle del 23 e 25 maggio 1212 Innocenzo III revocò la scomunica, a condizione che il proposito del D. di sposare Isabella non datasse da prima della morte del marito di lei e che non fosse dimostrata la sua resposabilità per la stessa.
L'ultima notizia sul D. risale al maggio 1212 e probabilmente egli morì verso la metà del 1216, certamente prima del 17 novembre di quell'anno, quando i suoi successori furono infeudati.
Egli aveva fatto parte di quel gruppo di "lombardi" che nella conquista della "Romania" non si erano schierati né con il partito dei Franchi, né con quello dei Veneziani. Ed era riuscito a conservare la signoria sfruttando le forze contrapposte. Anche se Venezia riuscì nel 1211 a prendere possesso del Negroponte, il suo potere sull'isola non riuscì ad estendersi finché il D. rimase in vita. Dopo la morte di questo, invece, la situazione mutò. Il Negroponte rimase in gran parte nelle mani della famiglia del D., ma fu il bailo veneziano che il 17 nov. 1216 (o poco prima) dette in feudo il terzo settentrionale dell'isola ai nipoti del D., Merino e Rizzardo, figli del fratello Redondello, mentre il terzo meridionale passava a Guglielmo e Alberto, figli di Giberto da Verona e il terzo centrale alla moglie del D., Isabella, e a sua figlia Berta.
Fonti e Bibl.: Le fonti principali sono: Henri de Valenciennes, Histoire de l'Empereur Henri de Constantinople, a cura di J. Longnon, Paris 1948, parr. 604, 664-686; G. Tafel-G. Thomas, Urkunden zur dlteren Handels- und Staatsgeschichte der Republik Venedig, Wien 1856, I, pp. 469, 513 ss.; II, pp. 90-96, 175-184; Migne, Patr. lat., CCXVI, Paris 1855, coll. 328 s., 331, 612 s.; V. Cervellini, Come i Veneziani acquistarono Creta, in Nuovo Archivio veneto, n. s., XVI (1908), pp. 268-278; R.-J. Loenertz, Lei Ghisi: Dynastes vénitiens dans l'Archipel (12071390), Firenze 1975, pp. 328, 426 ss. I vecchi studi di K. Hopf, Geschichte Griechenlands von Beginn des Mittelalters bis auf gnsere Zeit, in Allgemeine Encyklopddie der Wissenschaften und Kúnste, LXXXV (1867), e di W. Miller, Essays on The Latin Orient, Cambridge 1921, nonché gli altri che su di essi si sono basati, come ad esempio la tavola genealogica in C. Hopf, Chroniques gréco-romanes inédites ou peu connues, Berlin 1873, p. 479, contengono numerosi errori e non sono utilizzabili. Non ci sono testimonianze che Giberto da Verona si chiamasse anchegli Dalle Carceri. Il Libro de los Fechos et Conquistas del Principado de la Morea, a cura di A. Morel-Fatio, Genève 1885, par. 207, afferma che nel 1209 il D. rese omaggio a Geoffroi de Villehardouin, principe di Acaia, ma il passo è sospetto. La biografia dei D. è riscritta in R.-J. Loenertz, Les seigneurs tierciers de Négropont de 1205 à 1280, in Byzantion, XXXV (1965), pp. 237-244, 273 s., con aggiunte in Id., Les Ghisi, pp. 28 s., 31 s., 326 n, 440, 453 ss., 475. Si vedano, inoltre D. Jacoby, La Féodalité en Grèce médiévale: les "Assises de Romanie", sources, application et diffusion, Paris 1971, pp. 188 ss.; K. Setton, The Papacy and the Levant; 1204- 1571, I, Philadelphia 1976, pp. 17 n., 27 n., 35 s., 39 s., 407 n., 410 s. Infine si avverte che E. Janssens, Le Castel Rosso de Karystos, in Studies in Memory of David Talbot Rice, a cura di G. Robertson-G. Henderson, Edinburgh 1975, deve essere usato con precauzione.