Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Jabir è certamente l’alchimista arabo più importante e influente al quale, anche se in gran parte apocrifi, sono attribuiti oltre duemila scritti, alcuni dei quali, come la Summa perfectionis, sono stati prodotti nei secoli successivi in Europa. La sua teoria dei metalli, dei quali individua l’origine nei due principi dello zolfo e del mercurio, costituisce un’alternativa alla teoria della materia aristotelica destinata ad animare il dibattito sulla struttura della materia fino ai tempi della rivoluzione chimica di Lavoisier nel XVIII secolo.
Jabir ibn Hayyan (Geber)
Preparazione del piombo bianco (carbonato di piombo, o cerussa, o biacca)
Libro delle proprietà
Prendi una libbra di litargirio e polverizzala; scaldala a calor dolce con quattro libbre di aceto di vino finché quest’ultimo non sia ridotto a metà del suo volume originario. Prendi allora una libbra di soda e scaldala con quattro libbre d’acqua pura fino a ridurre il volume di quest’ultima alla metà. Filtra le due soluzioni fino a che il filtrato non sia assolutamente limpido, e allora aggiungi a poco a poco la soluzione di soda e quella di litargirio. Si forma una sostanza bianca che precipita al fondo. Decanta l’acqua soprastante e fa’ essiccare il residuo che diverrà un sale bianco come la neve.
in J. Holmyard, Storia dell’alchimia, Firenze, Sansoni, 1959
Jabir ibn Hayyan (Geber)
Sull’opera
Dissero che l’opera si produce da dodici cose e di più: con ciò intendono soltanto che nel loro composto vi sono le nature e le forze dei dodici segni zodiacali, e le nature dei sette pianeti che racchiudono il segreto delle nature […] in esso con la forza e l’azione ogni cosa del mondo perché i sette pianeti […] i corpi dei sette pianeti e gli spiriti sono il procedimento dei corpi, ma l’azione è dello spirito, non del corpo. Questo è il significato della loro espressione “di più”.
in Alchimia, a cura di M. Pereira, Milano, Mondadori, 2006
Jabir (Geber) ibn Hayyan è certamente lo scienziato che meglio di tutti rappresenta la tradizione alchemica araba. Nato nella città di Tus (l’odierna Tous nella provincia iraniana di Razavi Khorasan), trascorre la maggior parte della sua vita a Kufa, città situata sul corso inferiore dell’Eufrate.
Fino agli anni Quaranta del secolo scorso il corpus jabirianum comprendeva oltre 2000 libri, ma grazie agli studi dello storico tedesco Paul Kraus è stato possibile far luce sulla produzione di questo importante scienziato arabo, attribuendo la quasi totalità degli scritti del corpus ai suoi seguaci, in particolare alla setta degli Ismaeliti e degli Assassini, che hanno rielaborato e sviluppato le dottrine del maestro fino al X secolo. La fama di Jabir è talmente grande che anche nell’Occidente latino gli saranno attribuiti testi molto importanti per l’evoluzione e la diffusione dell’alchimia in Europa, come il Liber de investigatione perfectionis, il Liber de inventione veritatis, il Liber fornacum, il Testamentum Geberi e, infine, una delle opere più note e influenti della tradizione alchemica latina, la Summa perfectionis, che, grazie agli studi di William Newman, è stata successivamente attribuita al frate francescano Paolo di Taranto attivo nel XIII secolo.
Non siamo in grado di distinguere quanta parte del corpus jabirianum sia stato scritto nell’VIII e nel X secolo. I gruppi più importanti di questi scritti sono: i Centododici libri, opera basata sulla Tabula smaragdina e dedicata alla potente famiglia di origine persiana dei Barmecidi; i Settanta libri, da cui saranno tradotti in latino molti trattati; i Dieci Libri, in cui sono descritti le fonti dell’alchimia jabiriana; i Libri della bilancia, in cui la dottrina alchemica è esposta nella sua completezza. Il linguaggio utilizzato da Jabir è talvolta oscuro e allusivo, ma non ricorre mai all’impiego di codici criptati o allegorici. Il sistema utilizzato per celare il significato dei misteri alchemici ai lettori non iniziati è quello della dispersione degli argomenti in scritti diversi o per mezzo di artifici compositivi come l’uso frequente di sospensioni, ripetizioni e rinvii.
L’originalità della dottrina chimico-alchemica di Jabir consiste nel tentativo di comprendere e interpretare le sostanze e la dinamica delle loro trasformazioni attraverso una teoria che tenta una sintesi tra dimensione linguistica e ontologica. Secondo questa teoria, che considera il linguaggio non come una convenzione ma come un’intenzione naturale dell’anima, i nomi producono le rappresentazioni mentali degli oggetti che, a loro volta, sono l’essenza delle molteplici realtà dell’essere.
La possibilità, quindi, di ridurre sia il linguaggio che le sostanze alle loro componenti elementari si fonda sulla credenza di una equivalenza ontologica fra linguaggio ed essere. Secondo Jabir i nomi e le sostanze alle quali questi si riferiscono sono legati da un’intima corrispondenza che conferisce all’analisi linguistica un valore euristico nell’ambito degli studi relativi alla composizione chimica delle sostanze e quindi anche per la ricerca alchemica della trasmutazione: attraverso le operazioni alchemiche e l’analisi linguistica dei nomi, l’artefice può rendere la materia nuovamente permeabile alla dinamica dei moti spirituali che presiedono i processi di generazione e modificare quindi l’essenza delle sostanze.
Nel Kitab al-Rahma, tradotto in seguito in latino col titolo Liber Misericordiae, Jabir propone esplicitamente una corrispondenza fra l’uomo e il mondo nei termini posti nella tradizione ermetica del microcosmo specchio del macrocosmo. Prosegue affermando che l’alchimia è creatura tertia, perché si pone a livello intermedio tra macrocosmo e microcosmo. A questa concezione esoterica della speculazione alchemica si contrappone un’alchimia di tipo sperimentale che si caratterizza per un’impostazione sistematica e positiva.
Jabir si fa promotore di un tipo di speculazione aritmologica sulle proporzioni dei costituenti che partecipano alla composizione delle sostanze che conferisce all’alchimia una dimensione di natura quantitativa, a partire dalla quale elabora la sua teoria della bilancia. Secondo questa teoria le sostanze si compongono attraverso il bilanciamento dei loro costituenti primari, ma non sulla base di un effettivo proporzionamento delle masse coinvolte nella trasformazione chimica, bensì per mezzo di un bilanciamento delle loro nature, determinato attraverso l’analisi delle corrispondenze numeriche delle sostanze e dei loro componenti.
Per Jabir la serie di numeri 1, 3, 5, 8, 28 riveste una grande importanza, in particolare il numero 17, che è espressione della somma dei primi quattro numeri della serie. Secondo l’interpretazione di Kraus e Stapleton, questi numeri costituiscono una parte significativa del quadrato magico, la cui somma totale è 45. Se analizzato gnomonicamente si individuano nel quadrato due raggruppamenti di numeri, uno con le cifre 1, 3, 5, 8, la cui somma è 17 e l’altro, composto dalle cifre 4, 9, 2, 7, 6, la cui somma è 28. Questo quadrato magico, noto anche alla tradizione neoplatonica del III secolo e probabilmente più antico, è la fonte dei “numeri significativi” che Jabir applica ad esempio nella sua spiegazione basata sulla speculazione numerologico-alfabetica della costituzione dei metalli.
Sulla base di questa dottrina, nella quale si sancisce il carattere numerico delle sostanze, Jabir elabora una teoria della materia originale che scaturisce dalla tradizionale concezione aristotelica dei quattro elementi. Per prima cosa viene postulata l’esistenza dei quattro attributi fondamentali (calore, freddezza, secchezza, umidità), i quali unitisi alla sostanza formano i composti di primo grado o nature (caldo, freddo, secco, umido). Dalle unioni di queste ultime hanno poi origine i quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco).
Per quanto riguarda la composizione dei metalli, due delle nature sono esterne e due sono interne. Ad esempio: il piombo è freddo e secco esteriormente e caldo e umido interiormente, mentre l’oro è caldo e umido all’esterno e freddo e secco all’interno. Secondo questo schema la mineralogia di Jabir prevede che i metalli si generino nelle viscere della terra per l’unione dello zolfo, che conferirebbe le qualità, o nature, di aridità e calore, con il mercurio, che invece produce le nature di freddo e umido. Questa concezione dei metalli è uno dei principali contributi di Jabir alla storia dell’alchimia e della chimica. Anche se sembra aver avuto origine nell’opera di Apollonio di Tiana, è attraverso il corpus jabiriano che questa teoria si diffonde prima nell’islam e poi in Occidente.
Lo zolfo e il mercurio ai quali fa riferimento Jabir sono dei “principi materiali” che non corrispondono alle sostanze reali indicate da questi nomi; si tratta di “entità ipotetiche” che trovano nel mercurio e nello zolfo la migliore approssimazione presente in natura. Le varie specie metalliche sono determinate dalla diversa proporzione e dal grado di purezza con il quale zolfo e mercurio partecipano alla loro composizione. Nel caso in cui zolfo e mercurio si trovino nel massimo grado di purezza e si combinino in maniera equilibrata, il risultato ottenuto è l’oro, il metallo con il massimo grado di perfezione, collocato al vertice della gerarchia minerale. La corruttibilità caratteristica degli altri metalli dipende dallo squilibrio e dalle impurità presenti nella loro composizione, una dimensione, questa, che sia sul piano teorico che su quello empirico rende plausibile la pretesa dell’uomo di intervenire, modificandoli, sui processi di generazione e trasformazione naturali delle sostanze. Prima di un tale intervento si rende tuttavia opportuno determinare le condizioni di equilibrio del metallo secondo la teoria della bilancia. Soltanto dopo aver “quantificato” la proporzione con la quale le quattro nature partecipano alla costituzione del metallo si può procedere alla trasmutazione: per prima cosa si scompongono i metalli nei loro costituenti elementari e quindi, attraverso l’applicazione di un elisir appropriato ricavato da sostanze organiche e inorganiche, si procede a una loro riorganizzazione secondo la proporzione caratteristica del metallo che si vuol generare.
Jabir presenta anche una classificazione delle sostanze inorganiche dividendole in tre gruppi: 1) gli spiriti, ossia quelle sostanze che una volta sottoposte a riscaldamento volatilizzano completamente; 2) i metalli, cioè le sostanze fusibili che sono anche malleabili, sonore e lucenti; 3) le sostanze fusibili o infusibili che non sono malleabili ma possono essere ridotte in polvere.
Nei suoi scritti Jabir non si occupa soltanto della trasmutazione dei metalli ma più in generale raccoglie ricette e procedure tecniche di carattere chimico generale, relative alla tintura, alla siderurgia, alla distillazione degli acidi, all’impermeabilizzazione delle stoffe e alla fabbricazione del vetro. Jabir conosceva anche gli ossidi di rame, ferro e mercurio e gli ossidi gialli e rossi del piombo. A lui viene attribuita la scoperta dell’ossido di arsenico (arsenico bianco) e del suo uso per sbiancare il rame. Egli descrive tre varietà di allume, il vitriolo verde, il sale ammoniaco, la borace, il salnitro, e un metodo per l’estrazione del sale comune. Il nome di Jabir è anche accostato all’introduzione del sublimato corrosivo, il nitrato d’argento, l’ossido rosso del mercurio, e il tetracloruro d’oro in soluzione. Jabir fa riferimento anche agli acidi solforico e nitrico, alla distillazione dell’acido acetico e all’uso dei carbonati alcalini come quelli di potassio e di sodio. Le principali operazioni chimiche da lui descritte e utilizzate sono: la calcinazione, la sublimazione, la soluzione, la filtrazione e la cristallizzazione e il processo di coppellazione per il saggio e la purificazione dell’oro. Inoltre, illustrando l’architettura e il funzionamento dei forni e delle fornaci, Jabir sviluppa un’analogia con il processo di digestione del corpo umano, che considera un processo di trasformazione dipendente dal diverso grado di calore fornito. La teoria della trasformazione per gradi di una sostanza trova un seguito immediato nell’opera di al-Razi e successivamente viene accolta anche nell’Occidente latino, dove viene sviluppata da Ruggero Bacone.