Nicholson, Jack (propr. John Joseph)
Attore cinematografico statunitense, nato a Neptune (New Jersey) il 22 aprile 1937. Arrivato alla notorietà dopo una prolungata gavetta, con un piccolo ruolo interpretato in Easy rider (1969; Easy rider ‒ Libertà e paura) di Dennis Hopper ha ottenuto la prima di dodici nominations all'Oscar, inaugurando la seconda fase di una carriera che lo ha trasformato in una delle icone del cinema contemporaneo. Nel corso degli anni Settanta la sua personalità d'interprete versatile e poliedrico è emersa in una serie di memorabili titoli che hanno rinnovato Hollywood nello stile e nella forma, dopo i quali N. ha continuato a creare personaggi estremi eppure altamente credibili e a contrassegnare un elevato numero di film con la forza dell'innato talento, spinto ai limiti dell'istrionismo grottesco, specie nell'ambito di fortunate opere d'intrattenimento, ma non privo di consapevole autoironia. Ha ottenuto tre premi Oscar, due come miglior attore protagonista, nel 1976 per One flew over the cuckoo's nest (1975; Qualcuno volò sul nido del cuculo) di Milos Forman e nel 1998 per As good as it gets (1997; Qualcosa è cambiato) di James L. Brooks, e uno nel 1984 come miglior attore non protagonista per Terms of endearment (1983; Voglia di tenerezza) sempre di Brooks.
Trasferitosi dal New Jersey a Los Angeles a diciassette anni, N. scoprì solo nel 1974, grazie alle ricerche di un cronista del "Time", la verità sulla propria infanzia, ossia che quelle che aveva sempre considerato sua madre e la sorella maggiore erano in realtà, rispettivamente, la nonna e la vera madre, rimasta incinta giovanissima e abbandonata dal compagno di origine irlandese poco dopo la sua nascita. Vagabondo e sbandato si iscrisse per caso a un corso d'arte drammatica, trovando un maestro in Martin Landau e diventando amico di Dennis Hopper e Roger Corman. Proprio quest'ultimo, pochi anni più tardi, gli avrebbe insegnato la duttilità, la fantasia, la capacità d'improvvisazione, esercitate insieme ad altri giovani attori nella serie di estrosi b-movies prodotti dalla sua factory e da lui stesso diretti (Little shop of horrors, 1961; The raven, 1963, I maghi del terrore; The terror, 1963, La vergine di cera). Anche il regista e sceneggiatore Monte Hellman contribuì al suo apprendistato, inserendolo nel cast dei western rarefatti ed esistenzialisti Ride in the whirlwind (1966; Le colline blu) e The shooting (1971; La sparatoria) che furono subito amati dai maggiori esponenti della Nouvelle vague, come Jean-Luc Godard e Jacques Rivette. Le esperienze di vita accumulate nel corso di quegli anni, nonché la disinvolta partecipazione al filone motociclistico in voga tra i teenager (Hell's angels on wheels, 1967, Angeli dell'inferno sulle ruote, di Richard Rush) gli permisero di trovare le giuste tonalità con cui disegnare il cammeo di Easy rider, nel ruolo dello strampalato avvocato alcolista che si affianca ai due protagonisti hippies nel viaggio verso il cuore nero dell'America. Rompendo con la tradizione dell'Actors Studio, l'attore ricorse a un tipo di recitazione spontanea, immediata, creativa, perfettamente in sintonia con il messaggio libertario espresso dal film che mitizzava gli stessi beautiful losers cantati dai versi di Leonard Cohen e di Bob Dylan.
Già con il successivo Five easy pieces (1970; Cinque pezzi facili) di Bob Rafelson ‒ dove interpreta il protagonista Bobby 'Eroica' Dupea, musicista in fuga dall'integrazione borghese ‒ conquistò la seconda nomination all'Oscar, diventando una delle figure carismatiche del cosiddetto New Hollywood. La sua irresistibile mimica e il suo fascino irriverente furono utilizzati da registi come Mike Nichols, lo stesso Rafelson, Hal Ashby, Roman Polanski o Michelangelo Antonioni per cogliere lo spirito dei tempi attraverso le peripezie di personaggi ribelli, trasgressivi, anticonformisti: il Jonathan di Carnal knowledge (1971; Conoscenza carnale) di Nichols, nevrotico collezionista d'avventure erotiche su cui incombe il destino di una beffarda impotenza; il frustrato conduttore radiofonico di The king of Marvin gardens (1972; Il re dei giardini di Marvin) di Rafelson; l'anarcoide marinaio di The last detail (1973; L'ultima corvée) di Ashby, incaricato di consegnare alla giustizia militare un giovane collega accusato di furto; il detective J.J. Gittes che perde le ultime illusioni nell'inferno di Chinatown (1974) di Polanski; il giornalista dalla sdoppiata identità dell'enigmatico Professione: reporter (1975) di Antonioni. Il primo Oscar conquistato grazie al trionfo di One flew over the cuckoo's nest, dove è l'internato McMurphy che risveglia nei compagni di manicomio il gusto della vita e il senso della dignità, ha finito con il riassumere e tramandare la cifra di quell'irripetibile stagione, una miscela di veemente denuncia delle istituzioni e compiaciuta vocazione al romanticismo dropout.
Nella nuova condizione di star, sia pure appartenente all'ala 'antagonista' di Hollywood, N. ha saputo gestire la popolarità con una serie di apparizioni in prodotti d'autore: tra le superflue bizzarrie dell'anti-western The Missouri breaks (1976; Missouri) di Arthur Penn e le realistiche scene di sesso di The postman always rings twice (1981; Il postino suona sempre due volte) di Rafelson, i dibattiti ideologici di Reds (1981) di Warren Beatty e le iperboli melodrammatiche di Terms of endearment, l'humour nero di Prizzi's honour (1985; L'onore dei Prizzi) di John Huston e la fastidiosa enfasi di Heartburn (1986; Heartburn ‒ Affari di cuore) di Nichols, spicca senz'altro la tenebrosa e inquietante figura del protagonista di The shining (1980; Shining) di Stanley Kubrick. Il Jack Torrance guardiano invernale dell'Overlook Hotel, che cade preda di visioni omicide identificandosi a poco a poco con l'uomo che molti anni prima aveva vissuto un'analoga trance, ha incarnato il vertice del 'metodo' dell'attore, in eccezionale equilibrio tra la sconvolgente adesione interiore e l'abbandono a un consumato repertorio di occhiate, ghigni, pantomime melliflue e terrificanti esplosioni di collera. In seguito il coté virtuosistico ha preso spesso il sopravvento, soprattutto nei cammei improntati a una sorta di autoironico citazionismo: il diavolo tentatore di The witches of Eastwick (1987; Le streghe di Eastwick) di George Miller, lo scatenato Joker di Batman (1989) di Tim Burton, il licantropo di Wolf (1994; Wolf ‒ La belva è fuori) di Nichols, l'imbelle presidente degli Stati Uniti e il manager di Las Vegas di Mars attacks! (1996) di Burton. Che un attore a tutto tondo come N. non potesse restare imprigionato nei cliché della maschera luciferina, lo hanno tuttavia confermato il realismo, la misura, la complessità con cui ha dato vita all'autodistruttivo vendicatore di The crossing guard (1995; Tre giorni per la verità) e all'ex poliziotto dilaniato dalle proprie ossessioni di The pledge (2001; La promessa) entrambi di Sean Penn, allo scrittore misantropo e ipocondriaco di As good as it gets e al malmesso pensionato di About Schmidt (2002; A proposito di Schmidt) di Alexander Payne, che intraprende un picaresco viaggio per esorcizzare i fantasmi della propria esistenza. Dirigendo Drive, he said (1971; Yellow 33), Goin' south (1978; Verso il sud) e The two Jakes (1990; Il grande inganno) N. ha inoltre cercato di mettere a frutto l'insegnamento ricevuto dai suoi numerosi e importanti maestri, riuscendo peraltro sporadicamente a riprodurne l'originalità e la profondità stilistiche.
D. Brode, The films of Jack Nicholson, New York 1990, Secaucus (NJ) 1996³; L. Marzo, Jack Nicholson, Roma 1996.