JACOBELLO di Bonomo
Pittore veneziano documentato tra l'ottavo e il nono decennio del Trecento, ma di cui vi sono scarse notizie.Una fonte seicentesca, segnalata da Barbieri (1962), attesta che nel 1375 J. sottoscrisse una tavola, oggi perduta, con S. Orsola per la cappella Garzadori nella chiesa di S. Michele a Vicenza, mentre un documento redatto a Venezia nel 1384 (Paoletti, 1903) ricorda il suo impegno ad assumere per due anni Biagio di Luca da Zara in qualità di allievo e garzone; è invece meno sicura la possibilità di identificare J. nel pittore citato in un documento trevigiano del 1385 (Sforza Vattovani, 1980, p. 55). Da queste indicazioni si può comunque dedurre che l'attività di J. dovesse essersi avviata almeno fin dagli inizi dell'ottavo decennio del Trecento e che la rete degli incarichi per la sua bottega veneziana si fosse presto allargata oltre i confini della città lagunare.Questo è dimostrato anche dall'unico lavoro certamente autografo del pittore: il polittico, firmato e datato 1385, che egli eseguì per la chiesa dei Minori conventuali di Santarcangelo di Romagna, ora nella collegiata. In quest'ancona, fondamentale per ricostruire la fisionomia artistica di J., le figure della Madonna e dei santi dichiarano un ortodosso legame con la tradizione figurativa lagunare e, in particolare, con Lorenzo Veneziano, da cui mutuano la gamma cromatica schiarita. L'eredità laurenziana è tuttavia interpretata in modo autonomo, secondo una linea diversa da quella percorsa da Stefano di Sant'Agnese, che nel polittico della cappella di S. Tarasio in S. Zaccaria a Venezia, dello stesso 1385, privilegiava un goticismo più teso e decorativo, un tono emotivo più accentuato. J., invece, dota le sue figure di un'umanità più accigliata e severa - Longhi ha parlato di "filze di santi smunti e tristoni" (1946, p. 48) - e le costruisce plasticamente, con lente ombreggiature, senza eccessi ornamentali e con una cadenza lineare più larga e pacata rispetto a Lorenzo e a Stefano.Attorno al polittico di Santarcangelo, e sulla base di esso, sono state avanzate varie proposte attributive; il contributo più significativo e articolato è quello di Pallucchini (1964), che ha ricostruito un plausibile percorso figurativo di J., riferendo al periodo ante 1385 alcune delle opere riunite da Bologna (1951) sotto la denominazione di Maestro di Arquà. Si tratta del polittico proveniente dall'oratorio della Trinità di Arquà Petrarca (prov. Padova) e ora nella parrocchiale, opera-guida del gruppo costituito da Bologna, e di quello di Lecce (Mus. Prov. Sigismondo Castromediano), datati da Pallucchini rispettivamente intorno al 1370 e al 1380, che legano gli esordi di J. allo stretto seguito di Lorenzo Veneziano, senza rendere tuttavia accettabile la proposta di Dani (1961) circa una sua collaborazione nel polittico di Lorenzo Veneziano del duomo di Vicenza del 1366. L'accettazione nel catalogo di J. dei dipinti di Arquà Petrarca e di Lecce, in rapporto al polittico autografo, configura però, di necessità, un percorso pittorico che declina nel tempo su "una stanchezza interiore che raggela un poco la vivacità d'accenti precedenti" (Pallucchini, 1964, p. 203). Si legano a questa fase più matura il polittico della cattedrale di S. Vito a Praga, restituito a J. da Puppi (1962) e forse di provenienza dalmata; i quattro santi di Venezia (Mus. Correr) e il S. Agostino di Pavia (Pinacoteca Malaspina). Il polittico di Cracovia (Zbiory Czartoryskich) - attribuito a J. da Puppi (1962) e Pallucchini (1964) e cronologicamente vicino alla tavola di Praga - va invece riferito a un diverso maestro veneziano, cui si deve anche l'ancona di S. Brizio della chiesa di Dubì in Boemia, assegnata allo stesso J. da Pujmanova (1987).Alcune nuove attribuzioni a J. sono state avanzate da De Marchi (1987), che, in particolare, riferisce al pittore l'altarolo di Baltimora (Walters Art Gall.) e il modello dei mosaici per la tomba del doge Michele Morosini (m. nel 1382) nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia. Questa attribuzione, confortata da evidenti analogie con il polittico di Santarcangelo, è importante per ancorare J. al contesto lagunare, dove mancano significative attestazioni della sua presenza. Il ruolo del pittore nell'ambiente artistico veneziano va comunque ridimensionato rispetto ai pareri di Paoletti (1903) e di Pallucchini (1964, p. 207), per il quale, in particolare, J. sembra essere "il pittore di maggior peso" in città tra l'ottavo e il nono decennio del Trecento. J. ha però saputo rappresentare con autorevolezza le ragioni della corrente figurativa più tradizionalista e da lui ha potuto formarsi, come ha suggerito Longhi (1946), quel singolare pittore che è il Maestro di Sant'Elsino, forse da identificare con il Biagio di Luca di Zara ricordato nel citato documento del 1384.
Bibl.: P. Paoletti, Un'ancona di Jacobello di Bonomo, RassA 3, 1903, pp. 65-66; L. Testi, La storia della pittura veneziana, I, Le origini, Bergamo 1909, pp. 322-328; R. Longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, Firenze 1946, pp. 45-48; F. Bologna, Contributi allo studio della pittura veneziana del Trecento, Arte veneta 5, 1951, pp. 21-31; A. Dani, Battista da Vicenza. Dati biografici, regesto, documenti inediti, Vicenza 1961, p. 21 n. 16; F. Barbieri, Il museo civico di Vicenza. Dipinti e sculture dal XIV al XV secolo, Venezia 1962, p. 70; L. Puppi, Contributi a Jacobello di Bonomo, Arte veneta 16, 1962, pp. 19-30; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Trecento, Venezia-Roma 1964, pp. 200-207; F. Sforza Vattovani, Riferimenti ''subliminali'' per il Trecento veneto minore (tra Guariento e Jacobello di Bonomo), Arte in Friuli-Arte a Trieste 4, 1980, pp. 45-56; M. Lucco, Pittura del Trecento a Venezia, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, I, pp. 176-188: 188; M. Lucco, Jacobello di Bonomo, ivi, II, p. 586; A. De Marchi, Per un riesame della pittura tardogotica a Venezia: Nicolò del Paradiso e il suo contesto adriatico, BArte 72, 1987, 44-45, pp. 25-66: 25, 58 n. 6; O. Pujmanova, Italské Gotické a Renesančni obrazy československych Sbirkach [Opere italiane dal Gotico al Rinascimento nelle raccolte cecoslovacche], Praha 1987, pp. 84-100; F. Flores d'Arcais, Venezia, in La pittura nel Veneto. Il Trecento, a cura di M. Lucco, Milano 1992, I, pp. 17-87: 74-77.