JACOPINO da Reggio (Jacopino di Gerardo da Reggio)
L'origine reggiana di questo copista, attivo forse anche come miniatore nella seconda metà del Duecento, ci è tramandata da alcuni documenti bolognesi. Da questi si viene a sapere che J. era figlio di un certo Gerardo da Reggio, città nella quale anch'egli probabilmente nacque. La sua prima menzione risale tuttavia a un documento bolognese del 2 luglio 1269 dove si ricorda che "Jacobinus filius Gerardi de Regio" si era impegnato a scrivere un Digestonuovo per conto dello scolaro Pietro Canetoli pattuendo il prezzo in 58 lire. Un mese dopo, esattamente il 19 agosto, lo stesso J. prometteva ad Arnaldo di Melanto di trascrivere e glossare un'altra copia del Digesto nuovo e l'apparato di Accursio per il prezzo di lire 24. Il 7 ott. 1284 lo ritroviamo in qualità di testimone in un atto di vendita di un codice "glosatum esceptis septem peciis et inluminatum de pena" ceduto dal maestro Consiglio di Giovanni di Matelica a Egidio di Tolosa di Brabante per lire 100. L'ultima menzione sicura risale al 27 ag. 1286, data in cui il copista risulta avere acquistato da Leonardo di Alberto per 60 lire una copia del Digesto vecchio con l'apparato di Accursio (Filippini - Zucchini). In mancanza di ulteriori testimonianze documentarie si è ugualmente supposto che l'attività di J. si sia potuta svolgere anche nel decennio successivo, come parrebbe confermare la sottoscrizione "Ut rosa flos florum sic liber iste librorum/ quem Jacobinus depinxit manu Reginus" contenuta in una copia del DecretumGratiani conservata presso la Biblioteca apostolica Vaticana (Vat. lat., 1375), la cui ricca decorazione può essere datata verso la metà degli anni Novanta.
Proprio il carattere estremamente enigmatico di questa iscrizione ha dato adito a varie interpretazioni circa il possibile ruolo che questo copista poté avere anche come miniatore, peraltro difficilmente verificabile a causa della presenza all'interno di questo codice di almeno cinque differenti miniatori.
Già Toesca, nel proporre una possibile distinzione delle varie mani si era orientato a riconoscere l'intervento del presunto Jacopino in quelle miniature che rivelano la mano del cosiddetto Maestro della Bibbia Lat. 18 della Bibliothèque nationale di Parigi, vale a dire di uno dei protagonisti della miniatura bolognese del "secondo stile". Tale interpretazione è stata riproposta anche da Conti, il quale tuttavia non esclude la possibilità che la firma, nonostante il "depinxit manu", possa in realtà essere riferita allo stazionario presso il quale era stato decorato il codice. Del resto, va ricordato che nei documenti conosciuti J. non viene mai menzionato con la qualifica di "miniator" ma esclusivamente con quella di "scriptor", a indicare la sua prevalente attività in questo ambito, a cui meglio sembra adattarsi la non chiara iscrizione del codice della Vaticana, del tutto inusuale per un miniatore. Ecco perché talvolta si è preferito ricorrere per questa personalità al più generico nome di Miniatore della Bibbia di Parigi, come l'aveva definito Longhi, suggerendone la possibile identificazione con l'irrecuperabile miniatore dantesco Franco Bolognese. Prima di lui sia Venturi, sia Erbach von Fürsenau avevano colto affinità tra le miniature del codice vaticano e quelle di un altro codice di decretali della Biblioteca Vaticana (Pal. Lat., 629) da loro avvicinato alla già citata Bibbia di Parigi, che Conti preferisce collocare in una fase ormai matura del percorso del miniatore bolognese. Tuttavia la mancanza di precisi indizi cronologici impedisce di pervenire a una corretta ricostruzione del suo percorso stilistico, che si può immaginare avviato a stretto contatto con le opere del cosiddetto Maestro della Bibbia di Gerona. Semmai si dovrà notare come le varie opere a lui attribuibili possano essere sostanzialmente suddivise in due gruppi, non lontani stilisticamente tra loro, anche se forse collegabili a due momenti distinti dell'attività del miniatore. Infatti sia la decorazione del manoscritto Pal.Lat. 629 (per la cui datazione vale il post quem della glossa di Johannes Garsias compilata tra il 1280 e il 1282), sia quella del Liber sextusDecretalium della Biblioteca capitular di Toledo (ms. 4.2) a lui ugualmente riferibile, rivelano, pur nell'adesione a certe colte cadenze espressive di matrice bizantina, un diverso livello di maturazione, non ancora toccata, come accadrà invece nelle opere più tarde, da quella insistita ricerca di effetti volumetrici, riflesso dei fatti nuovi della cultura giottesca. In tale senso sembra orientare anche la collaborazione, soprattutto all'interno del codice di Toledo, di artisti dallo stile ancora arcaizzante, come dimostra sia l'autore delle miniature dell'Infortiatum EI8 della Biblioteca nazionale di Torino, sia quello attivo nel Giustiniano della Bibliothèque nationale di Parigi (Lat., 4476). Lo stesso si dica per la Bibbia del manoscritto Lat. 18 e per il poco più tardo salterio (Bibliothèque nationale, Smith Lesouëff, 21), ispirato all'altro noto salterio della Biblioteca Universitaria di Bologna (ms. 346) dove tuttavia la rilettura dei modelli bizantini già segue ritmi di stampo ormai gotico, mediati anche dalla conoscenza di certi esempi d'Oltralpe. Del resto non è improbabile che lo stesso miniatore si sia potuto cimentare anche nell'ambito della pittura monumentale come conferma la tavoletta, resa nota da Longhi, con la Crocifissione, oggi in collezione privata. Un rapporto, quello con la pittura, che si coglie anche nella decorazione degli Statuti della Confraternita di S. Maria dei Battuti datati al 1260 (Bologna, Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Fondo Ospedali, 1), ma redatti probabilmente nel 1286. Se confermata, tale attribuzione potrebbe venire a costituire un utile indizio cronologico per ricostruire il suo percorso stilistico, permettendo al tempo stesso di valutare i suoi rapporti con l'attività del Maestro della Bibbia di Gerona, nel cui ambito è possibile il miniatore abbia operato. Anche le opere apparentemente più tarde mostrano infatti precisi rapporti con i modelli del più anziano maestro, come dimostra la Bibbia in due volumi della British Library (Add., 18720), la cui decorazione pare in parte ancora dipendere dall'esempio della Bibbia di Gerona, sia pure reinterpretato alla luce delle sperimentazioni più massive e solenni, di matrice forse giottesca, che caratterizzano la tarda produzione di Jacopino. Lo stesso si dica per il già citato Decretum Gratiani della Vaticana, dove il miniatore ci appare in veste di coordinatore affiancato da numerosi aiuti orientati, si direbbe, a riproporre i modelli del più noto maestro inserendoli entro schemi più rigidi, come appare anche nel codice miscellaneo della Biblioteca comunale dell'Archiginnasio di Bologna (FondoOspedali, 2: Vita del beatoRaniero da Perugia, Statuti e Divozioni dei Battuti di S. Maria della Vita) in parte miniato dallo stesso Jacopino. Prossimo al manoscritto Lat. 1375 appare anche l'Aristoteles (Lat. 6297) della Bibliotèque nationale di Parigi e il Liber sententiarum di Pietro Lombardo della Bibliotèque Mazarine (ms. 766), miniato quest'ultimo insieme con un artista della Francia meridionale, operoso evidentemente a Bologna. A questi deve essere aggiunto, secondo quanto propone Marie-Thérèse Gousset (2000) anche un altro manoscritto conservato presso la Bibliothèque municipale di Tolosa. La ricca produzione che è stata riferita al cosiddetto Jacopino e l'importante ruolo che questi dovette ricoprire a Bologna nell'ambito della miniatura ha dato adito a una possibile ipotesi di identificazione di questo miniatore con il documentatissimo Antolino di Rolando detto il Cicogna, attivo anche come pittore, che le fonti ricordano in contatto con il miniatore Guglielmo, la cui mano si identifica a fianco di quella di J. nelle già citate Decretali del Pal. Lat. 629. Tale identificazione risulta tuttavia in contrasto con il possibile intervento del nostro miniatore ravvisato dal Conti nelle Decretali della Biblioteca capitular di Toledo (ms. 4.12) che si deve ritenere certamente eseguito dopo il 1303, data a cui risale la glossa ordinaria di Giovanni di Andrea che accompagna il testo. L'affinità con certe opere più tarde di J. lascia comunque incerti sulla possibile attribuzione di questo codice che, se accettata, rivelerebbe un artista ormai pienamente consapevole delle novità giottesche, in grado di sviluppare ulteriormente quanto era venuto a evidenziare nelle opere precedenti, avviando quel graduale distacco tra pagina e figurazione che troverà di lì a poco pieno svolgimento nella miniatura bolognese. Del resto esiti non molto dissimili da quelli del codice di Toledo si ravvisano anche in una miniatura di ignota collocazione, raffigurante I tre angeli alla tavola di Abramo, che è stato proposto di attribuire al Maestro della Bibbia Lat. 18 (Medica).
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