MARCELLO, Jacopo Antonio
Figlio del patrizio Francesco di Pietro e di Maddalena Trevisan di Paolo di Giovanni, nacque a Venezia nella parrocchia di S. Angelo, nel 1399, probabilmente il 17 gennaio.
La famiglia paterna era assai ricca e prestigiosa: il 14 ag. 1406 il padre del M. realizzò una tappa fondamentale nel suo articolato processo di penetrazione fondiaria a sud dei colli Euganei, acquistando dai provveditori di Padova, da poco entrata nei domini veneziani, il complesso della gastaldia carrarese di Monselice; tre anni dopo (1409), la nomina di un fratello del M., Pietro, a titolare della pingue diocesi padovana avrebbe definitivamente consolidato tale strategia.
Nel 1418, un anno prima della morte del padre, il M. sposò Fiordelise Miani, figlia legittima dell'allora vescovo di Vicenza Pietro Emiliani (forma latinizzata del cognome Miani) e di Contarina Contarini, dopo la morte della quale Pietro Emiliani era passato allo stato ecclesiastico. Dalla moglie il M. ebbe Francesco, il primogenito, e almeno una figlia, Taddea. Nient'altro è noto della sua vita sino al 1438, data che segna il suo esordio nell'attività politica; il M. si trovava allora sulla soglia dei quarant'anni, che di norma costituiva per gli esponenti del patriziato lagunare il limite al di là del quale interrompere l'esercizio diretto della mercatura e dedicarsi alla vita pubblica.
Il silenzio delle fonti è altresì diversamente colmabile, almeno in parte: è possibile infatti, in base alle molteplici prove di cultura umanistica che il M. avrebbe fornito negli anni a venire, che egli abbia frequentato lo Studio padovano, pur senza conseguirvi il dottorato. A favore di una prolungata permanenza nella città euganea deporrebbero inoltre altri fattori: la presenza, sino al 1428, nell'episcopio padovano del fratello Pietro, gli interessi economici che la famiglia deteneva nell'area di Monselice, dove nel 1447 il M. risultava proprietario di uno splendido palazzo-castello, e due suoi matrimoni, dopo la morte di Fiordelise, contratti con esponenti della nobiltà padovana: una Capodivacca nel 1442 (Fabbri, p. 246) e, l'anno dopo, Lucia Lion di Bartolomeo, sorella di quell'Anna che nello stesso anno, e forse contemporaneamente, sposò il primogenito del M., Francesco. Era chiaramente un preciso disegno, che portò questo ramo del casato ad assumere un ruolo preponderante, e in parte pionieristico, nell'acquisizione di proprietà fondiarie nella vicina Terraferma, non più viste come semplice assicurazione contro i rischi della mercatura marittima, ma quale attiva componente del patrimonio domestico.
L'ingresso del M. nella politica non comportò alcun tirocinio, dal momento che l'8 apr. 1438 fu subito eletto provveditore a Casalmaggiore, sul Po a sud di Cremona, nel corso del terzo conflitto veneto-visconteo.
Non è facile dar conto di tanta fiducia, da parte del Senato, nei confronti di un uomo che si può certamente ritenere abile e determinato e il cui padre era stato nel 1411 a sua volta provveditore nella guerra contro gli Ungari, ma che era del tutto privo di esperienza nel campo militare; si possono solo avanzare congetture, laddove si tenga presente che una sorella del M., Margherita, aveva sposato Marco Foscari, fratello del doge Francesco, il più deciso fautore di una politica espansionistica (secondo Fabbri, sarebbe stato proprio l'intervento del doge a far convergere sul M. il voto del Senato). I Foscari erano fortemente legati a quasi tutti i principali condottieri della Serenissima, sicché molti dei loro parenti e familiari furono, appunto, provveditori in campo o ambasciatori presso i comandanti delle truppe venete, come Francesco Sforza, Bartolomeo Colleoni, il Gattamelata (Erasmo da Narni).
È possibile dunque che il sostegno dei Foscari favorisse l'importante incarico con cui il M. si presentò alla ribalta della grande politica. Gli esordi del M. non furono felici; entrata la guerra nella fase risolutiva, scrive Sanuto che "A dì primo lugio si havè nuova Nicolò Picenin haver hautto Casal Mazor […], et che [il M.] Proveditor, che doveva defender quel luogo, si haveva reso" (I, p. 633); con la sconfitta subita i Veneti furono costretti a ripiegare su Brescia, di cui proprio il M. fu eletto provveditore qualche giorno dopo, il 9 luglio.
La città, difesa dal Gattamelata, divenne il centro delle operazioni, ma finì per trovarsi tagliata fuori dai collegamenti allorché Niccolò Piccinino, con una vittoriosa campagna, giunse sul lago di Garda, dove poté congiungere le sue truppe con quelle dell'alleato mantovano, Gianfrancesco Gonzaga. Gattamelata e il M. furono allora costretti a ritirarsi nel Veronese con un'epica marcia a settentrione del Garda, attraversando i domini del vescovo di Trento, ostile ai Veneziani; dopo di che il M. tornò a Venezia, mentre presso il Gattamelata, a Verona, il Senato inviava, per decidere la futura strategia, Federico Contarini e Marco Foscari, il quale ultimo ottenne la nomina del cognato M. a provveditore generale in campo (1° novembre).
Il problema di fondo consisteva nel soccorrere Brescia assediata, e durante l'inverno il M. riuscì effettivamente a farvi giungere i rifornimenti necessari per sostenere l'azione del rettore veneto, l'umanista Francesco Barbaro; ancora, nel febbraio 1439 il M. collaborò, insieme con Gherardo Dandolo e il Gattamelata, alla spettacolare impresa di far risalire l'Adige sin quasi a Rovereto a una flottiglia di 80 navi, che furono calate nel Garda superando le alture del monte Baldo. Al successo tecnico non corrispose però quello militare; la squadra veneziana fu sconfitta e l'esercito dovette ripiegare nel Padovano, mentre anche Verona cadeva, sia pure per pochi giorni, in mano dei Viscontei.
Il 26 aprile la presenza del M. è documentata a Brentonico, in Val Lagarina, ma in agosto si trovava a Venezia, latore di alcune lettere di Francesco Sforza, di cui la Repubblica stava trattando la condotta nella speranza di risollevare le sorti del conflitto.
Il 20 ag. 1439 il M. fu eletto provveditore in campo insieme con Gherardo Dandolo; tentò di rifiutare il gravoso incarico, ma fu confermato, mentre le operazioni prendevano una piega più favorevole ai Veneziani. In ottobre il M. era a Verona, presso lo Sforza, per ottenere la consegna di alcuni prigionieri, poi si spostò ad Arco, nel Trentino, quindi (il 10 dicembre) nel Bresciano, che alcuni mesi dopo sarebbe stato quasi del tutto riconquistato dai Veneziani. Il 7 genn. 1440 gli fu permesso di deporre l'incarico, ma il 13 aprile fu inviato nuovamente presso lo Sforza per accompagnarlo a Venezia, dove "conferir alchune cose de importanzia" (Sanuto, I, p. 314). In agosto era nuovamente provveditore in campo, stavolta in Romagna, dove con le truppe di Micheletto Attendolo recuperò vari luoghi alla S. Sede (era papa Eugenio IV, il veneziano Gabriele Condulmer), ma soprattutto conquistò Ravenna, su cui la Repubblica esercitava da tempo una sorta di protettorato.
Qui il M. rimase per quasi un anno, e a lui si devono l'ideazione e l'avvio dei lavori dell'imponente rocca, che da allora avrebbe costituito il baluardo difensivo della città.
Il M. tornò in patria probabilmente in occasione delle nozze del figlio del doge, Jacopo Foscari, all'inizio di febbraio del 1441, dopo di che, il 14 settembre fu eletto senatore nell'imminenza della pace di Cavriana, che avrebbe segnato una tregua del lungo conflitto con il duca di Milano Filippo Maria Visconti; in seguito per alcuni anni le fonti tacciono sul M., probabilmente dedito all'amministrazione del patrimonio familiare.
Il M. era savio di Terraferma quando, sul finire dell'estate del 1446, si riaccese la guerra con Milano; fu subito nominato provveditore in campo e il 25 settembre riportò il maggior successo della sua carriera militare nella battaglia di Casalmaggiore, nella quale il comandante in capo dell'esercito veneto, Micheletto Attendolo, inflisse una pesante sconfitta ai Milanesi. Nella circostanza, le truppe della Serenissima erano schierate accanto a quelle di Francesco Sforza, in nome del quale conquistarono Cremona e Lodi, spingendosi fin sotto le porte di Milano. Creato cavaliere, il M. continuò a operare nei pressi di Piacenza, ma alla morte di Filippo Maria Visconti (13 ag. 1447) lasciò l'incarico per assumere quello di capitano di Verona, cui era stato eletto sin dal 29 gennaio. In seguito alla sconfitta subita dalle schiere di S. Marco nel settembre 1448 a opera dello Sforza, protagonista in quei mesi tormentati di rapidi mutamenti di alleanze, il M. fu inviato da Verona, insieme con Pasquale Malipiero, a soccorrere i fuggiaschi sul campo di Caravaggio, quindi difese Brescia minacciata dal nemico.
Si andava però profilando la rottura fra i Milanesi e lo Sforza, che cercò di chiudere il conflitto con la Serenissima ricorrendo proprio al M., con il quale esisteva un rapporto di reciproca stima. Dopo una segreta trattativa tra il M. e gli emissari dello Sforza, si giunse così al trattato di Rivoltella (18 ott. 1448), che prevedeva la spartizione del dominio visconteo tra Venezia e lo stesso Francesco Sforza. Si spianava a quest'ultimo la via per la conquista del Ducato di Milano e il M. fu ancora una volta inviato provveditore in campo presso il nuovo comandante dell'esercito, Bartolomeo Colleoni, nella primavera del 1449, contro Ludovico I di Savoia che tentava di strappare Novara alla Repubblica Ambrosiana. Ma se le operazioni militari furono soprattutto incentrate in Piemonte, tra il Po e il Ticino, il quadro diplomatico si allargava sino a comprendere la Toscana e Napoli, poiché lo Sforza e il M. riuscirono ad assicurarsi l'appoggio di Renato d'Angiò, conte di Provenza e cognato del re di Francia, che aspirava al trono di Napoli: il 26 ag. 1449 Renato d'Angiò li nominava cavalieri dell'Ordine del Crescente, da lui stesso fondato. Qualche mese dopo (21 settembre) si giunse finalmente alla pace e il M. poté tornare a Venezia, dove il 19 ottobre riprese il suo posto in Senato. Non rimase a lungo tra la sua città e l'amata Monselice, vi trascorse solamente l'inverno: il 4 marzo 1450 era provveditore a Crema, dove per incarico della Signoria condusse trattative con lo Sforza, ormai duca di Milano, per una definitiva spartizione dei domini.
A Crema, avamposto della Repubblica nel Milanese, il M. si sarebbe fermato a lungo, fino al 10 apr. 1452, allorché fu nuovamente eletto provveditore in campo presso il nuovo condottiero Gentile della Leonessa contro lo Sforza, ora alleato dei Fiorentini, mentre accanto a Venezia era schierato Alfonso I d'Aragona re di Napoli. Il 31 dic. 1452 il M. risulta eletto consigliere ducale per il sestiere di S. Marco, ma il 3 apr. 1453 fu ancora una volta nominato provveditore in campo a Brescia, con il futuro doge Pasquale Malipiero.
Le operazioni militari ripresero con rinnovato vigore in autunno, a causa dell'improvvisa morte di Gentile della Leonessa, che apriva nuove prospettive di successo allo Sforza, il quale ancora una volta aveva ottenuto l'appoggio militare francese, il cui comando era stato affidato a Renato d'Angiò. Senonché ritrovandosi costui più a suo agio tra gli artisti e i letterati che fra le truppe, all'inizio del 1454 ripassò le Alpi per ritirarsi nel suo castello di Tarascona. Anche il M. aveva chiesto il rimpatrio (16 dic. 1453), accordatogli solo il 6 febbraio dell'anno successivo, quando si trovava a Verona e ormai i contendenti inclinavano alla pace, firmata a Lodi il 9 apr. 1454, quasi un anno dopo la caduta di Costantinopoli, che per Venezia rappresentò un trauma politico e un evento esiziale per i suoi traffici.
Negli anni che seguirono, il M. si limitò a frequentare il Senato, ma senza rivestire particolari incarichi; né si può escludere, a questo proposito, che le sue fortune siano state in qualche modo compromesse dalla drammatica conclusione del dogato del congiunto Francesco Foscari.
Risalgono comunque a quel periodo le più intense e significative prove dell'attività umanistica del M., pur sempre in qualche modo collegata alla politica: nel 1457 fece copiare per Renato d'Angiò la grande Cosmographia tolemaica posseduta da Palla Strozzi e due anni dopo si ripeté con i Commentarii geografici di Strabone, le cui pregevoli miniature furono probabilmente opera di Andrea Mantegna. Quando, nel 1461, morì ancora bambino il suo ultimogenito Valerio, l'avvenimento, fortemente sentito dal M., diede occasione a un profluvio di componimenti, tra i quali spicca la De obitu Valerii filii consolatio di F. Filelfo, parzialmente edita da Benadduci (pp. 1-15).
Dopo questi anni di lontananza dalla politica, il M. sarebbe progressivamente ritornato in quello che costituiva pur sempre il suo mondo, dapprima senza assumere incarichi fuori della sua città (il 2 ott. 1458 rifiutò di recarsi ambasciatore a Napoli); fu quindi membro del Consiglio dei dieci dall'ottobre 1458 al settembre 1459, consigliere ducale per il sestiere di S. Marco dall'ottobre 1459 al settembre 1460, prendendo parte attiva, in entrambe queste magistrature, alle direttive concernenti la Dieta allora in corso a Mantova. Ancora consigliere ducale nel 1461-62, il 10 maggio 1462 fu del novero dei 41 elettori del doge Cristoforo Moro, dopo di che, nello stesso anno, accettò la nomina a luogotenente della Patria del Friuli.
La Repubblica stava accingendosi a un duplice impegno bellico: l'assedio di Trieste, a motivo di annose controversie doganali con i sudditi istriani, e l'invasione della Morea contro i Turchi. Nel settembre 1463 il M., lasciato a Udine il suo vicario Giorgio Bevilacqua da Lazise, si portò in Istria con 500 soldati a cavallo della compagnia del Colleoni, sostituendo Vitale Lando quale provveditore in campo. Le operazioni non si protrassero a lungo: duramente impegnata in Grecia, la Repubblica acconsentì a un compromesso di pacificazione, che fu ratificato il 17 dic. 1463 con la mediazione di Pio II. Rimpatriato, il M. fu nuovamente eletto consigliere ducale e avogadore di Comun nel 1464; morì a Venezia, nella sua casa a S. Angelo, fra il novembre 1464 e il luglio 1465.
Per sua espressa volontà fu sepolto nella cappella maggiore della chiesa di S. Cristoforo della Pace, nell'isola omonima, oggi cimitero monumentale. La chiesa, opera di Pietro Lombardo, fu così chiamata in ricordo della pace di Lodi ed era in quel momento in fase di costruzione a opera di fra Simone da Camerino, confessore e uomo di fiducia di Francesco Sforza nonché uno dei principali artefici del trattato siglato un decennio prima. L'iscrizione tombale, fatta apporre dai figli del M., accenna a questa pace come a una gloria precipua del M., che anche fra i più duri contrasti seppe conservarsi la stima e l'amicizia di avversari come Renato d'Angiò e, appunto, lo Sforza.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti…, IV, cc. 459, 461; Avogaria di Comun, Balla d'oro, reg. 162, c. 99v; Segretario alle Voci, Misti, regg. 4, cc. 62r, 94r, 105v, 118r, 125v, 134r, 140v, 144r; 14, cc. 150v, 162r; Senato, Deliberazioni, Secreti, regg. 18, c. 177r; 20, cc. 7, 158v, 198r; Senato, Terra, reg. 3, cc. 23r, 25r, 65r, 68v, 91v, 99v, 101v; Consiglio dei dieci, Misti, regg. 14, cc. 1r, 8r, 65v, 68v, 71r, 79v, 89, 93r, 98r; 15, cc. 161r, 163r, 167r, 176r, 181r, 193v; Giudici del Proprio, Lezze, f. 6, c. 11v (vertenza del M. contro Pietro e Stefano Barozzi, per la proprietà di alcune case); Notarile, Testamenti, b. 1232/620 (testamento di Fiordelise Miani, 13 ott. 1425); Venezia, Biblioteca del Civ. Museo Correr, Codd. Cicogna, 3782: G. Priuli, Li pretiosi frutti del Maggior Consiglio, II, cc. 182r-183v; G. Simonetta, Rerum gestarum Francisci Sfortiae… Commentarii, a cura di G. Soranzo, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXI, 2, pp. 89, 246, 259 s., 263, 283, 285, 290, 294, 297, 302, 306, 310 s., 313 s., 350, 362-364; D. Malipiero, Annali veneti dall'anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo - A. Sagredo, in Arch. stor. italiano, s. 1, 1843-44, t. 7, parti 1ª e 2ª, p. 208; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, IV, Venezia 1896, pp. 241, 300; V, ibid. 1901, pp. 6, 8, 13 s., 19, 27 s., 45, 79, 134; M. Sanuto, Le vite dei dogi. 1423-1474, a cura di A. Caracciolo Aricò, I, Venezia 1999, pp. 172, 179, 197, 204, 255, 258-260, 268, 275, 278, 283, 289, 306, 308, 314, 318, 417, 419, 430, 436 s., 439-441, 469, 480 s., 633, 658; II, ibid. 2004, pp. 34, 54, 62; M.A. Sabellico, Historiae rerum Venetarum…, in Degl'istorici delle cose veneziane…, I, 2, Venezia 1718, pp. 576, 638, 662, 667, 676, 723; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, I, Venezia 1752, pp. 63, 158; E.A. Cicogna, Della famiglia Marcello patrizia veneta, Venezia 1841, pp. 18 s., 24 s., 40; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, pp. 204, 218; T. Toderini, Francesco Sforza e Venezia. Documenti. 1436-1470, in Archivio veneto, IX (1875), p. 120; G. Soranzo, Bibliografia veneziana, Venezia 1885, pp. 74, 447; G. Benadduci, A J.A. M. patrizio veneto parte di Orazione consolatrice ed Elegia di Francesco Filelfo…, Tolentino 1894, pp. 1-15 (per nozze Marcello - Grimani Giustinian); H. Martin, Sur un portrait de Jacques-Antoine M. sénateur vénitien (1453), in Mémoires de la Société nationale des antiquaires de France, LIX (1900), p. 254; J. Joubert, L'Ordre du Croissant et ses chevaliers italiens, in Ateneo veneto, XXIX (1906), 2, pp. 404-406; Epistolario di Guarino Veronese, a cura di R. Sabbadini, III, Commento, Venezia 1919, pp. 140, 479, 485, 487 s., 490; E. Resti, Documenti per la storia della Repubblica Ambrosiana, in Arch. stor. lombardo, LXXXI-LXXXII (1954-55), pp. 211, 221; R. Fabbri, Le Consolationes de obitu Valerii Marcelli ed il Filelfo, in Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, III, 1, Umanesimo e Rinascimento a Firenze e Venezia, Firenze 1983, pp. 227-250; D. Gallo, Dai Carraresi ai Marcello, in Ca' Marcello. Un palazzo principesco in Monselice, Padova 1983, pp. 49, 54-58; M.E. Mallett - J.R. Hale, The military organisation of a Renaissance State. Venice c. 1400 to 1617, Cambridge, MA, 1984, pp. 172 s., 175, 179, 204; D. Girgensohn, Il testamento di Pietro Miani ("Emilianus") vescovo di Vicenza († 1433), in Archivio veneto, s. 5, CLXVII (1989), pp. 25 s.; M.L. King, Umanesimo e patriziato a Venezia nel Quattrocento, II, Il circolo umanistico veneziano. Profili, Roma 1989, pp. 576-581; S. Marcon, La silloge dell'Anonimo Marucelliano: un episodio di calligrafia epigrafica (tav. V-XVII), in Quaderni per la storia dell'Università di Padova, XXIV (1991), p. 49; M.L. King, J.A. M. and the war for the Lombard Plain, in Continuità e discontinuità nella storia politica, economica e religiosa. Studi in onore di Aldo Stella, a cura di P. Pecorari - G. Silvano, Vicenza 1993, pp. 63-85; E. Casali, Religione e "instruzione" cristiana, in Storia di Ravenna, IV, a cura di L. Gambi, Venezia 1994, pp. 420, 454; G.B. Picotti, La Dieta di Mantova e la politica de' Veneziani, a cura di G.M. Varanini, Trento 1996, pp. 243, 301, 471; M.M. Mallett, La conquista della Terraferma, in Storia di Venezia…, IV, a cura di U. Tucci - A. Tenenti, Roma 1996, pp. 201, 211, 239; G.M. Varanini, Proprietà fondiaria e agricoltura, ibid., V, a cura di A. Tenenti - U. Tucci, ibid. 1996, p. 823; M. Zorzi, Dal manoscritto al libro, ibid., p. 851; M.C. Billanovich, Attività estrattiva negli Euganei…, Venezia 1997, pp. 35 s.; P. Viti, Filelfo, Francesco, in Diz. biogr. degli Italiani, XLVII, Roma 1997, p. 619; G. Trebbi, Il Friuli dal 1420 al 1797. La storia politica e sociale, Udine 1998, p. 44; F. Bianchi, La Ca' di Dio di Padova nel Quattrocento…, Venezia 2005, p. 193.