AVANZI, Jacopo
Pittore bolognese del sec. 14° il cui nome e la cui origine sono noti dalla Crocifissione, firmata "Jacobus de Avanciis de Bononia", conservata presso la Gall. Colonna a Roma. Dei molti documenti riferiti a pittori di nome Jacobus, attivi a Bologna nel corso del sec. 14°, nessuno può essere con certezza riferito all'artista (Filippini, Zucchini, 1947). Molte invece sono le notizie riportate dalle fonti più antiche, anche se ben presto cominciò la questione dell'origine del pittore. Savonarola (Libellus, 1440 ca.) mise A., pittore bolognese, al secondo posto nella graduatoria dei pittori attivi a Padova nel Trecento, dopo Giotto e prima di Altichiero, e gli attribuì la decorazione della cappella di S. Giacomo al Santo di Padova. Circa un secolo dopo, Michiel (Notizie, 1540 ca.) attribuì la decorazione della stessa cappella ad Altichiero e ad A. "pittore veronese, over, come dicono alcuni, bolognese" e, sull'autorità di Campagnola, ancora assieme ad Altichiero, la decorazione della cappella di S. Giorgio sul sagrato della chiesa del Santo, nonché, assieme a Guariento, la decorazione della sala degli Uomini illustri nella reggia carrarese di Padova. Per Vasari (Le Vite) A. era pittore bolognese e concorrente di Altichiero nei lavori per la sala grande del palazzo scaligero a Verona, dove avrebbe dipinto "due Trionfi bellissimi [...] che afferma Gerolamo Campagnola che il Mantegna li lodava come di pittura rarissima". Inoltre, ancora con Altichiero e forse con Sebeto, A. avrebbe dipinto a Padova nella cappella di S. Giorgio e a Verona in casa dei conti Serenghi.Distrutti purtroppo quasi del tutto i palazzi scaligero e carrarese, non restavano, delle opere attribuite dalle fonti ad A., che le due cappelle di S. Giacomo e di S. Giorgio al Santo sulle quali si è esercitata la critica, dal secolo scorso fino a oggi, nella ricerca di plausibili distinzioni di mano tra Altichiero e A. nei due complessi padovani.La cappella di S. Giacomo, poi di S. Felice, fu costruita tra il 1372 e il 1376, su commissione di Bonifacio Lupi di Soragna. La parte superiore, cioè la volta e le lunette con Storie di s. Giacomo, risultava già decorata nel 1377, mentre la zona inferiore, comprendente la Crocifissione sulla parete di fondo, le Storie di re Ramiro sulla parete di sinistra e l'affresco votivo sulla destra, fu terminata nel 1379. La cappella di S. Giorgio, eretta per Raimondino Lupi di Soragna nel 1377, fu conclusa anche nella decorazione nel 1384. Vi sono rappresentate le scene dell'Infanzia di Cristo, la Crocifissione e l'Incoronazione, le Storie dei ss. Giorgio (a sinistra), Caterina e Lucia (a destra). La notevole differenza di linguaggio che si osserva nella prima cappella tra le sei lunette e il resto della decorazione, nonché alcune differenze stilistiche riconoscibili tra i due complessi o tra le varie parti dello stesso complesso - soprattutto tra le diverse storie della cappella di S. Giorgio - hanno fatto sì che, partendo dall'iniziale scarsa chiarezza delle fonti, la critica si sia lasciata trascinare a distinzioni di mano, spesso arbitrarie, e quindi all'identificazione di Altichiero o di A. sulla base di analisi spesso non sufficientemente aderenti all'esame dei dipinti. In tale dibattito A. diventava di volta in volta aiuto di Altichiero, oppure il grande protagonista, almeno della decorazione della cappella di S. Giorgio; ma spesso, rifiutando la sua origine bolognese, lo si è voluto veronese o padovano o anche lo si è identificato con un 'Avanzo vicentino' (pittore quest'ultimo documentato a Vicenza nel 1379 e nel 1380). Si è quindi perduta quasi del tutto la completa personalità del pittore bolognese A., attivo sia a Bologna sia nel Veneto, ancora ricordato come il migliore trecentista bolognese da Lanzi (1795-1796), che gli attribuì gli affreschi della chiesa di S. Apollonia di Mezzaratta (ora a Bologna, Pinacoteca Naz.), un 'fatto d'arme' nella chiesa del Santo a Padova e i 'Trionfi veronesi'. La questione attributiva in epoca moderna cominciò, si può dire, quando Förster (1841), restaurando gli affreschi della cappella di S. Giorgio, ritenne di leggere sotto la scena dei Funerali di s. Lucia la firma "[Iacobus de]Avantiis Ve[ronensis]". Si pensò quindi che la decorazione della cappella fosse attribuibile ad A., ritenuto però veronese, mentre ad Altichiero spettasse la decorazione della cappella di S. Giacomo; del resto i documenti di pagamento per la decorazione di quest'ultima al solo Altichiero, pubblicati da Gualandi (1845), parevano rafforzare quest'ipotesi, seguita allora dagli studiosi di arte padovana. Cavalcaselle (in Cavalcaselle, Crowe, 1887) riconobbe l'identità di mano nelle due cappelle del Santo e le attribuì quindi ad Altichiero con l'aiuto di Avanzo, considerato però pittore di formazione veronese, distinto dall'A. bolognese. Schubring (1898) individuò nella cappella di S. Giacomo una mano diversa da quella della restante decorazione attribuita ad Altichiero, nelle sei lunette con Storie di s. Giacomo, che attribuì a un 'Maestro di s. Giacomo', mentre nella cappella di S. Giorgio apparirebbe Avanzo veronese, quale aiuto di Altichiero. Per Venturi (1907) Avanzo, pittore veronese, ben distinto dall'A. bolognese, sarebbe stato autore delle sei lunette in S. Giacomo e collaboratore di Altichiero nelle restanti decorazioni e in S. Giorgio.Sul versante emiliano, alcuni critici riportarono l'attenzione sul pittore A. bolognese, cercando di ricostruirne la personalità (Geverich, 1906; Baldani, 1909), attribuendogli alcuni dipinti della Pinacoteca Naz. di Bologna. Filippini (1912) fu il primo a tentare una ricostruzione completa della personalità del pittore, attivo sia a Bologna sia a Padova, dove avrebbe sentito il profondo influsso di Guariento. Egli corresse gli errori attributivi relativi alle tavole (assegnabili a pittori di una generazione precedente) della Pinacoteca Naz. di Bologna e inoltre propose l'attribuzione ad A. della distrutta Battaglia di San Ruffillo, in un oratorio della chiesa di S. Francesco a Bologna. Van Marle (1924) tornò a distinguere A. bolognese dall'Avanzo veronese, aiuto di Altichiero nelle due cappelle padovane, opinione espressa anche da Sandberg Vavalà (1926) sia pure con varianti nella attribuzione ai due pittori dei singoli riquadri. Coletti (1931) capovolse del tutto il problema degli affreschi padovani: in S. Giacomo avrebbe lavorato Altichiero e nelle lunette un altro pittore forse toscano; in S. Giorgio il protagonista sarebbe stato A. pittore padovano, il più moderno tra gli artisti. L'opinione fu ripresa da Bettini (1944), per il quale A. sarebbe stato il protagonista di un'arte borghese, contrapposta a quella aristocratica di Altichiero, e il maggiore artista in Padova alla fine del Trecento, autore degli affreschi di S. Giorgio; le lunette di S. Giacomo sarebbero state dipinte forse da Cennino Cennini.Gli interventi di Longhi (1950; 1973), relegarono la personalità di A. in un ruolo molto secondario nel contesto della pittura emiliana. Finalmente Toesca (1951) riprese il problema della ricostruzione della personalità del pittore, nel contesto della sua ampia analisi sull'arte trecentesca: rivalutò la Crocifissione Colonna; riconobbe nelle due decorazioni del Santo di Padova la mano di Altichiero, ma nelle sei lunette con Storie di s. Giacomo la mano di un altro artista che identificò con A. bolognese, a cui attribuì anche la Strage degli ebrei nel complesso degli affreschi di Mezzaratta.Un ritorno alle opinioni passate si ebbe con Arslan (1958), che assegnò una parte della decorazione della cappella di S. Giorgio ad Avanzo pittore vicentino (attivo a Vicenza nel 1379 e nel 1380).La pubblicazione da parte di Sartori (1963) di alcuni documenti relativi alle due decorazioni del Santo, nei quali unicamente Altichiero viene nominato nei pagamenti non solo per la decorazione di S. Giacomo, ma anche per quella di S. Giorgio, pose finalmente termine alla confusione attributiva delle singole parti delle due cappelle (Fiocco, 1963). Restava però da identificare l'autore delle sei lunette della cappella di S. Giacomo, chiaramente di mano diversa da quella di Altichiero. Mellini (1965) indicò come autore delle lunette A. bolognese, esecutore anche dell'affresco di Mezzaratta e della Crocifissione Colonna. Di simile avviso si mostrò Kruft (1966), anche se con qualche dubbio su una collaborazione in S. Giorgio di un Avanzo vicentino. Ferretti (Pittura bolognese del '300, 1978), riprendendo l'opinione di Toesca e di Mellini, ravvisò però nelle lunette una dipendenza stilistica da Altichiero. Per Conti (ivi) la decorazione di Padova avrebbe preceduto sia la Crocifissione Colonna sia la Strage degli ebrei, opere databili intorno al 1400. Volpe (1980; 1981a; 1981b; 1983a; 1983b) ribadì la posizione di avanguardia degli artisti bolognesi, in particolare di Andrea de' Bartoli e di A., verso il quale sarebbe stato debitore lo stesso Altichiero. Per D'Arcais (1984) infine, la notevole diversità linguistica tra l'affresco di Mezzaratta e le lunette di S. Giacomo, lasciava ancora qualche dubbio circa la possibilità di identificare l'autore di queste ultime con A. bolognese.Un nuovo capitolo sull'attività di A. è stato aperto da recenti ritrovamenti di affreschi ai quali ha fatto seguito un nuovo inquadramento della sua personalità. Si tratta di affreschi molto rovinati, raffiguranti resti di una battaglia e personaggi in vesti romane entro architetture, nella camera grande della rocca di Montefiore Conca presso Rimini, fatta decorare da Galeotto Malatesta detto l'Ungaro, morto nel 1372. Tali affreschi, rintracciati e pubblicati da Pasini (1983) come opera bolognese-veronese, sono stati attribuiti ad A. da Benati (1985) e da Pasini (1986), che ha riconosciuto nella battaglia caratteri simili all'affresco di Mezzaratta, mentre nelle architetture rileva elementi che si trovano anche nelle lunette di S. Giacomo. Inoltre Benati ha individuato nello stemma che sta alla base nella Crocifissione Colonna l'arme dei Malatesta, potendo così precisare la cronologia della tavola, databile al momento in cui il pittore lavorava per i Malatesta, cioè intorno al 1370.Gli affreschi di Montefiore dunque, collocabili entro il 1372, e quindi prima delle lunette padovane con le Storie di s. Giacomo, costituiscono assieme alla contemporanea Crocifissione Colonna una importantissima cerniera che salda le due fasi di un processo evolutivo che porta da Mezzaratta, ove sono evidentissimi gli elementi di un linguaggio tipicamente bolognese, nella violenza della linea di contorno e nella spazialità del tutto empirica, agli affreschi del Santo, ove le scene sono impaginate con ampio e dilatato senso spaziale, sia paesistico sia architettonico, e i personaggi si impongono con grave maestà. Ma se si deve tener fede a quanto scrive Michiel sull'attività di A. a Padova per la reggia carrarese, assieme a Guariento, e, a quanto asserisce Vasari, sui lavori di A. alla reggia scaligera assieme ad Altichiero, si può pensare che A. sia stato nel Veneto, a Padova e forse a Verona, dopo Mezzaratta, ma prima di Montefiore; avrebbe quindi risentito dell'influenza, del resto riconosciuta da Gualandi (1845), della pittura spaziosa di Guariento e di tutto l'ambiente padovano e inoltre sarebbe venuto in contatto con l'ambiente fortemente impregnato di spirito classicistico e antiquariale delle due corti di Padova e di Verona.Si potrebbe quindi prospettare per A. un'evoluzione e uno sviluppo precisato in questi termini: la sua attività avrebbe avuto inizio nel cantiere di Mezzaratta ove l'artista avrebbe eseguito, agli inizi del settimo decennio del Trecento (in anticipo sulle datazioni proposte sinora), la Strage degli ebrei; verso la fine dello stesso decennio si sarebbe trasferito a Padova, dove avrebbe conosciuto Guariento e avrebbe approfondito lo studio di Giotto direttamente sugli affreschi padovani. Di questo soggiorno padovano sarebbero testimonianze, nella decorazione di Montefiore (1370-1372), soprattutto l'impaginazione spaziale delle architetture con figure alla romana, la maggiore e più insistita volumetria e anche l'uso dei colori complementari, tipici dell'ambiente padovano attorno a Guariento, elementi tutti riscontrabili anche nella Crocifissione Colonna. Infine tra il 1376 e il 1377 A. avrebbe eseguito le sei lunette al Santo di Padova. Dopo questa decorazione pare non esistano più tracce del pittore, forse ritornato definitivamente in Emilia; Benati (1985) e Pasini (1986) gli attribuiscono, sia pure dubitativamente, i rovinatissimi affreschi della cappella Malatesta in S. Giovanni Evangelista a Ravenna.Con il catalogo ampliato, oltre i confini veneti, e fuori dal vicolo cieco del rapporto con Altichiero, la personalità di A. si presenta oggi più completa e complessa, come quella di uno dei grandi protagonisti della pittura settentrionale del tardo Trecento, forse il più vivo rappresentante di quella pittura padana con caratteri borghesi e popolareschi, vivace, narrativa ed espressionistica, altra e diversa dal linguaggio aristocratico di Altichiero.Resta ancora da verificare la sua effettiva attività di miniatore, alla quale oggi sembra di poter assegnare le illustrazioni della Tebaide della Chester Beatty Lib. di Dublino (Mellini, 1965; Volpe, 1983a, gli attribuisce la miniatura con il Toro e il Leone di Parigi, BN, lat. 6069G).
Bibl.:
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