JACOPO da Bologna
Compositore, attivo intorno alla metà del XIV secolo, insieme con Giovanni da Cascia e un maestro Piero, non meglio identificato, fu considerato dai contemporanei - e tale è nella cospicua bibliografia moderna - una delle tre "corone" della cosiddetta Ars nova italiana. Le sue opere note, perlopiù madrigali a due e tre voci, furono incluse nelle maggiori raccolte di polifonia della fine del Trecento e del primo Quattrocento, ove spesso formano la sezione d'apertura, e costituirono, anche più di quelle dei due colleghi, un punto di riferimento costante per gli autori successivi. Nella storiografia della musica tardomedievale italiana, ove il posto d'onore spetta al fiorentino Francesco Landini, J. detiene tuttavia più di un primato: è fra i primissimi ad avere composto brani polifonici su testo in volgare e suo è il primo madrigale a tre voci; è l'unico contemporaneo di cui si conservi l'intonazione musicale di rime di F. Petrarca, nonché il primo maestro a cui viene attribuito un trattato di musica pratica in lingua italiana.
Così come accade per la maggior parte dei compositori del periodo, le vicende biografiche di J. non paiono aver lasciato traccia in documentazione d'archivio; si ricostruiscono, se pur in minima parte, grazie ad alcune testimonianze indirette e, soprattutto, ai riferimenti cronologici e storici rilevabili - questi in misura apprezzabile - nei testi da lui posti in musica.
La data di nascita di J. resta ignota ma, in assenza di elementi riferibili a prima degli anni Quaranta, essa sarà da porre tra la fine del Duecento e il principio del Trecento. Delle origini bolognesi, evocate dal toponimo con cui è noto nelle fonti musicali - tutte probabilmente postume - non vi è conferma. Un periodo di formazione a Bologna è comunque compatibile con le notizie che abbiamo sulla vivacità musicale della città universitaria, dove fra la fine degli anni Trenta e i primi anni Quaranta è testimoniata la circolazione di almeno una delle composizioni polifoniche attribuite a Jacopo.
Bolognesi erano il cantore Checolino da Mançolino e il compositore di polifonia Giovanni "Baçus correççarius"; almeno un cantore era impiegato alla corte dei Pepoli, il fiorentino Jacopo di Salimbene. Non molto lontano, a Cesena, Marchetto da Padova nel 1319 aveva terminato il Pomerium in arte musice mensurate, trattato cui si associa la raggiunta indipendenza dalla tradizione francese delle tecniche e dello stile italiani in campo polifonico. Antonio Beccari da Ferrara, nella canzone Lagrime i occhi e 'l cor sospiri amari, rievoca con amarezza gli svaghi musicali di cui soleva godere a Bologna, città dalla quale fu bandito nel 1344. La testimonianza si iscrive in una serie dove si incontrano quelle di altri poeti e letterati quali Giovanni del Virgilio (studente, poi maestro di retorica a Bologna, corrispondente di Dante - nel suo Diaffonus), Niccolò de' Rossi (studente nel 1317 - in due sonetti di contenuto musicale), Petrarca (a Bologna fra gli anni 1320-26 - in Senilium, X.2), Pietro Alighieri (studente nel 1327 - in una canzone morale sulle sette arti liberali).
Particolare rilievo ha qui la canzone del Beccari, dove è il ricordo di una fanciulla bolognese intenta a cantare un madrigale di J. (In su' be' fiori, in su la verde fronda), assieme con un altro giuntoci adespoto (Du' ochi ladri sot'una girlanda), ma in un codice musicale, il Ross. 215 della Biblioteca apost. Vaticana, che si presume assai vicino all'attività di Jacopo.
Nel Codice Squarcialupi (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Med.Pal., 87), la più ampia e celebre delle antologie manoscritte fiorentine dell'Ars nova (circa 1415-20, fonte assai tardiva per J.), il capolettera miniato con cui inizia la sezione dedicata alle sue opere ritrae il compositore in assai giovane età: all'artista preme forse sottolineare la distanza generazionale con Giovanni, effigiato nella miniatura che precede. Un'altra immagine di J. è forse rintracciabile in un manoscritto bolognese, non musicale, del primo Trecento, dove un "Piero" e due musicisti apparentemente più giovani, "Iacomo" e "Ioani", sono raffigurati al cospetto di Arnaut Daniel (attivo tra il 1180 e il 1200), il trovatore elogiato da Dante.
Il cronista Filippo Villani individua J. a Verona, "artis musice peritissimus", insieme con Giovanni, durante la signoria di Mastino (II) Della Scala (1329-51). Sulle rive dell'Adige - dove già sotto Alberto (I), e soprattutto Cangrande, è certa una rilevante presenza di trovatori - i due musicisti ingaggiano una tenzone artistica, componendo madrigali, "soni" e ballate.
In effetti, nei testi di madrigali che abbiamo dei due maestri si trovano riferimenti e allusioni comuni: a una donna (Anna), a un albero (il perlaro), alle ninfe euguane, e altri ancora. A questi cicli di composizioni a tema, prolungamento in ambito italiano di maniere e procedimenti trobadorici - ma finalmente in canto misurato e a due voci -, appartengono anche opere attribuite a Piero. Villani ravvisa nelle musiche dei due artisti "dulcedo" e "artificium", cioè una particolare maestria tecnica applicata alla soavità del canto: a J. in particolare deve essere riconosciuto il progressivo passaggio da un andamento di tipo improvvisativo a un più calcolato, innovativo, rigore formale, con cui si misureranno più tardi F. Landini, Bartolino da Padova, Johannes Ciconia.
J. dovette soggiornare per qualche tempo alla corte milanese, a giudicare da altre composizioni di tipo celebrativo. Il 1346 è un anno da indicare con certezza, giacché viene esplicitamente citato nel madrigale O in Italia felice Liguria: vi si celebrano i successi della politica viscontea nei confronti di Genova, la nascita dei due figli gemelli di Luchino Visconti (Luca e Giovanni, nati il 4 agosto) e la conquista di Parma (che passa al dominio milanese il 22 settembre). A questo punto, il periodo di residenza di J. a Milano può essere ampliato fino a coincidere con l'intero decennio della signoria di Luchino (1339-49), ed è opinione corrente che il soggiorno veronese di cui riferisce il Villani sia successivo a quello presso la corte viscontea.
Il nome di Luchino è nascosto in acrostico nei testi del mottetto Lux purpurata / Diligite iustitiam e del madrigale Lo lume vostro, dolce mio segnore. Il primo brano si rivolge anche al fratello di Luchino, Giovanni, arcivescovo di Milano: le proposte di datazione oscillano fra l'inizio della loro congiunta signoria (1339) e il ristabilirsi delle relazioni fra Milano e il Papato (1341). Il secondo testo allude anche a Isabella Fieschi, terza moglie di Luchino, ma soprattutto a una congiura di palazzo capeggiata da Francescolo Pusterla, scoperta ed esemplarmente punita nel 1341: i congiurati furono decapitati o costretti all'esilio (fra questi ultimi erano anche Matteo, Galeazzo e Bernabò, nipoti dello stesso Luchino, poi rientrati nel 1354, chiamati al governo da Giovanni).
I cronisti ci riferiscono della passione del signore di Milano per l'arte venatoria, e in effetti almeno una composizione di J. (Per sparverare tolsi el mio sparvero) ha il testo e la struttura musicale di una "caccia" (le due voci superiori procedono in canone): la presenza dello stesso tema in Giovanni e Piero, in generale, e in particolare la presenza nei loro testi di un cane di nome Varino indicherebbero che i tre erano già stati insieme al servizio del Visconti. Morto Luchino nel 1349, forse avvelenato dalla moglie Isabella (a tali dicerie alluderebbe, secondo Pirrotta, il madrigale Prima virtut'è costringer la lingua), J. con i colleghi sarebbe passato a Verona, negli ultimi anni di Mastino (II), figlio di Caterina Visconti, sorella di Luchino.
La carriera di J. si sarebbe dunque svolta fra Milano e Verona (eventualmente, anche in altre città sottoposte alle signorie scaligere e viscontee), per terminare nella città lombarda: il madrigale Aquila altera / Uccel di Dio / Creatura gentil fu forse scritto in occasione della discesa di Carlo IV di Lussemburgo nel 1354 (e inoltre, oppure, della sua incoronazione a Milano l'anno seguente); nel testo di questo e di altri due madrigali (Fenice fu' e vissi pura e morbida e Soto l'imperio del posente prince) si scorgono i riferimenti alle insegne e al nome di Gian Galeazzo, conte di Virtù (dal 1361) e della sua sposa Isabella di Valois (dal 1360).
Nel 1373 uno Jacopo da Bologna è ricordato nei registri dei laudesi di Orsanmichele a Firenze; uno Jaquet de Bolunya "ministrer de saltiri" è attivo in Spagna, alla corte aragonese nel periodo 1378-86. Ma non vi sono prove concrete che in alcuno di essi si possa riconoscere il musicista scaligero e visconteo.
A Milano durante gli anni Cinquanta, o più probabilmente a Verona fra 1349 e 1351, è possibile che J. abbia personalmente conosciuto Petrarca e che l'incontro abbia originato la musica per il madrigale Non al suo amante più Diana piacque (in una versione preliminare, poi perfezionata e collocata nei Rerum vulgarium fragmenta al n. 52).
Il brano è esemplare dello stile e dell'idea formale di J., e continuerà a circolare nonostante il desiderio di novità degli ascoltatori dell'epoca: Simone Prudenzani, che a inizio Quattrocento racconta lo svolgersi di esecuzioni di pezzi contemporanei nell'immaginario castello di Buongoverno, dirà di questo madrigale, vecchio di almeno cinquant'anni, che "benché sia antico" è ancora "molto buono" (cfr. Debenedetti; Nádas).
J., che con la sua opera incide dunque sulle consuetudini del "consumo" musicale del tempo, trova anche il modo di rivendicare esplicitamente il proprio ruolo di artefice responsabile e competente: in Oselletto selvagio per stagione lancia strali contro i dilettanti sprovvisti della preparazione necessaria al comporre; forse non è un caso che J. abbia provvisto questo madrigale di due distinte intonazioni, la seconda come caccia, a dimostrazione non solo delle diverse possibilità di trattamento musicale di un testo, ma anche della raggiunta emancipazione delle strutture e tecniche musicali da quelle poetiche.
Nelle corti settentrionali presso le quali fu ospite, J. come i poeti-musicisti provenzali continua a essere, anche più di altri, il compositore dei potenti, dei quali illustra le virtù e le imprese; tuttavia egli trova anche il tempo e il modo di dettare le regole per la composizione ed esecuzione del repertorio di cui è un esperto. Scrive un trattato (forse in latino, e da altri in seguito tradotto in volgare) sulla notazione mensurale: L'arte del biscanto misurato. Ancora in Oselletto selvagio raccomanda che la polifonia sia "soave e dolce", contro l'uso invalso di "gridar forte": qui riecheggia un passo di un importante trattato teorico di area italiana (Cum notum sit), anonimo, ovvero erroneamente tradito sotto il nome del francese Johannes de Muris. Un mottetto ugualmente anonimo, ma facilmente attribuibile a J. (Laudibus dignis merito laudari, ancora con l'acrostico "Luchinus Dux"), contiene altri interessanti suggerimenti per fare della musica "ars et vera scientia". Forse a questo versante didattico, quasi dottrinale dell'opera di J. vuole alludere il miniatore del Codice Squarcialupi quando pone sul capo del giovane un berretto da maestro, e in grembo un grosso codice rilegato, anziché uno strumento musicale.
Edizioni: The music of Jacopo da Bologna, a cura di W.Th. Marrocco, Berkeley 1954; The music of fourteenth-century Italy, a cura di N. Pirrotta, Corpus mensurabilis musicae, VIII, 4, s.l. 1963; Polyphonic music of the fourteenth century, VI, Italian secular music, a cura di W.Th. Marrocco, München 1967; XIII, Italian sacred and ceremonial music, a cura di K. von Fischer - F.A. Gallo, ibid. 1987. Una nuova edizione è attesa da Oliver Huck; i testi musicali, commentati, sono in G. Corsi, Poesie musicali del Trecento, Bologna 1970. Il trattato teorico è edito da J. Wolf, L'arte del biscanto misurato secondo el maestro Jacopo da Bologna, in Theodor Kroyer. Festschrift zum sechzigsten Geburtstag, a cura di H. Zenk - H. Schultz - W. Gerstenberg, Regensburg 1933, pp. 17-39; P.P. Scattolin, I trattati teorici di Jacopo da Bologna e Paolo da Firenze, in Quadrivium, XV (1974), pp. 7-79.
Fonti e Bibl.: F. Petrarca, Canzoniere, a cura di M. Santagata, Milano 1996, pp. 266-269; F. Villani, De origine civitatis Florentie et de eiusdem famosis civibus, a cura di G. Tanturli, Padova 1997, p. 408; S. Debenedetti, Il "Sollazzo". Contributi alla storia della novella, della poesia musicale e del costume nel Trecento, Torino 1922, pp. 65, 177; E. Li Gotti, La poesia musicale italiana del secolo XIV, Palermo 1944, pp. 21, 30, 51-54; Id., Anna, o Dell'amor segreto, in Accademia, I (1945), pp. 9-11; N. Pirrotta, Due sonetti musicali del secolo XIV, in Miscelánea en homenaje a monseñor Higinio Anglés, Barcelona 1958-61, II, pp. 651-662; Id., Ars nova e stil novo, in Riv. italiana di musicologia, I (1966), pp. 3-19; G. Thibault, Emblèmes et devises des Visconti dans les oeuvres musicales du Trecento, in L'Ars nova italiana del Trecento, III, Certaldo 1970, pp. 131-160; K. von Fischer, "Portraits" von Piero, Giovanni daFirenze und J. da B. in einer bologneser Handschrift des 14. Jahrhunderts?, in Musica disciplina, XXVII (1973), pp. 61-64; P. Petrobelli, "Un leggiadretto velo" ed altre cose petrarchesche, in Riv. italiana di musicologia, X (1975), pp. 32-45; F.A. Gallo, Antonio da Ferrara, Lancillotto Anguissola e il madrigale trecentesco, in Studi e problemi di critica testuale, XII (1976), pp. 40-45; M. del Carmen Gómez Muntané, La música en la casa real catalano-aragonesa durante los años 1336-1432, Barcelona 1979, pp. 49-51, 177 s.; J. Nádas, Song collections in Late-Medieval Florence, in Atti del XIV Congresso della Società internazionale di musicologia, Bologna… 1987, Torino 1990, III, pp. 126-135; B. Wilson, Madrigal, lauda, and local style in Trecento Florence, in Journal of musicology, XV (1997), pp. 137-177; O. Huck, Comporre nel primo Trecento. Lo stile nei madrigali di Piero, di Giovanni e di J., in Kronos, II (2001), pp. 71-86; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, VI, coll. 1619-1625, s.v.Jacobus de Bononia; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, III, pp. 717 s.; TheNew Grove Dict. of music and musicians (ed. 2001), XII, pp. 737-740.