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JACOPO da Fabriano

di Francesco Sorce - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)
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JACOPO da Fabriano

Francesco Sorce

Si ignora la data di nascita di questo miniatore originario di Fabriano, come testimoniano le numerose firme che egli appose sui codici licenziati dalla sua bottega, e attivo tra Roma e le Marche intorno alla metà del XV secolo.

Nulla si conosce degli esordi della sua carriera: le prime notizie certe risalgono agli inizi del sesto decennio, quando già si trovava alla corte papale.

Nel 1452, come si evince dalla sottoscrizione del copista, realizzò la decorazione del codice Vat. lat. 1799 contenente La guerra del Peloponneso di Tucidide, tradotta da Lorenzo Valla per Niccolò V. Lo stemma del committente, Jean Jouffroy, compare, insieme con la firma del miniatore "Ia. de Fabriano", nella pagina che costituisce l'incipit dell'opera.

Nel 1456 miniò la prima parte del Vat. lat. 1882 della Biblioteca apost. Vaticana, contenente il De civitate Dei di s. Agostino, per Gilforte Bonconti (o Buonconti) da Pisa.

L'opera fu eseguita a Fabriano, stando alla testimonianza dell'iscrizione del foglio 206r, "Opus Iacobi de Fabriano miniatoris quod factum fuit Fabriani AD MCCCCLVI", e terminata da alcuni collaboratori, tra i quali Giovanni da Milano, che firmò il proprio intervento in due fogli diversi (333v e 451v).

La maniera di J., già matura a questa data, esibisce nel suo codice forse più complesso alcuni dei tratti peculiari del proprio repertorio figurativo, accostandosi alla produzione della coeva miniatura di area romana e fiorentina. Il bagaglio ornamentale, reiterato nelle modalità di fondo anche in seguito, si dispiega essenzialmente nei fregi che strutturano in modo sempre equilibrato i margini dell'architettura della pagina, caratterizzandosi per la presenza, talvolta simultanea, di una trama di bianchi girali, secondo il modello tardocarolingio diffuso nella miniatura umanistica, nonché di una filigrana con motivi fitomorfi o geometrici. Il sottile continuo intersecarsi dei moduli ornamentali è inoltre sovente costellato di putti dalle capigliature agitate e dall'anatomia spesso malcerta, interrompendosi ritmicamente per aprirsi in ovali abitati da sofisticate rappresentazioni naturalistiche e da ritratti ideali e reali.

Due frontespizi del Vat. lat. 1882 si distinguono inoltre per le singolari figurazioni all'interno delle cornici che racchiudono le lettere iniziali. Nel foglio 2r si trova una rappresentazione di Roma, delineata secondo la tipologia della veduta compendiaria, che identifica la città pontificia con la Gerusalemme terrena (Maddalo, 1990, pp. 134 s.). Nel foglio 3r, all'interno del margine ornamentale sinistro, si colloca una figurazione di S. Agostino nello studio, che trae ispirazione dalla luce soprannaturale che pervade la stanza nella forma di un ventaglio di raggi dorati. Martin Kemp, sia pure come semplice termine di confronto, ha interpretato la scena quale illustrazione della lettera apocrifa di Agostino a s. Cirillo in cui si narra dell'epifania sotto forma di raggi luminosi di s. Girolamo, appena spentosi nella lontana Betlemme, nello studio del vescovo di Ippona. L'ipotesi di lettura iconografica va accolta con una certa cautela, considerando che l'immagine si colloca nel contesto del De civitate Dei e non dell'illustrazione del testo apocrifo.

Sono altresì riconducibili per via ipotetica alla committenza Bonconti, e dunque allo stesso periodo del Vat. lat. 1882, quattro codici firmati da J.: Reg. lat. 1990, Chig. H.VIII.249, Vat. lat. 493 della Biblioteca apost. Vaticana, Vindob.lat. 14 della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, contenenti rispettivamente il De vita duodecim Caesarum di Svetonio, le Orazioni di Cicerone, una Miscellanea di s. Agostino e Origene e alcune Decadi di Tito Livio. Non datati, recano tutti il blasone del cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, futuro Pio III, miniato quando nella sua biblioteca confluirono i manoscritti di Bonconti dopo la morte di questo avvenuta nel 1462 (Fachechi Danese, p. 38).

Durante il papato di Pio II Piccolomini, J. fu a capo di una bottega in cui lavoravano alcuni dei principali miniatori della corte romana, tra i quali Niccolò Polani, Andrea da Firenze, Giuliano Amadei e Gioacchino di Giovanni o de Gigantibus (Maddalo, 1994, p. 19).

Su commissione di Pio II, probabilmente nel 1458, primo anno del suo pontificato, J. decorò il Vat. lat. 1816 in cui si raccolgono i libri XI-XIV della Bibliotheca historica di Diodoro Siculo, tradotti da Jacopo da San Cassiano.

Nei fogli 2r e 105r ricorre la sigla autografa del miniatore. Il codice si caratterizza per il considerevole fasto ornamentale dei frontespizi in cui viene esposto l'ampio repertorio classicista tipico della produzione libraria di Pio II.

Tra il 1460 e il 1462 J. è menzionato nei Libri dei conti pontificali con la qualifica di "maestro dello oriolo e miniatore" ovvero soltanto come "miniatore", attestando come egli si occupasse anche del controllo dell'orologio della corte. Nel 1463 viene definito nei medesimi Libri "miniatore di Sua Santità" (Fachechi Danese, p. 7).

In questi anni realizzò inoltre per Pio II il codice Chig. A.VIII.241 con i Sermoni di s. Agostino, firmando al foglio 4r "Opus Iacob. de Fabriano".

Da attribuire a J. con ogni probabilità anche il Vat. lat. 2051, contenente i libri XI-XVII della Geografia di Strabone, commissionato da Pio II; il manoscritto, che la sottoscrizione del calligrafo data al 1461, è anonimo, ma è caratterizzato da una trama ornamentale del tutto analoga a quella di J. (Ruysschaert, pp. 248-250).

Un apparato decorativo affatto simile, ascrivibile alla stessa mano, si riscontra inoltre nel Chig. J.VII.248, contenente l'Austrialis historia di Pio II, e nel Chig. B.VIII.142, che raccoglie il De Ecclesia di Juan de Torquemada e reca lo stemma del pontefice, eseguiti entrambi entro il 1464, anno della scomparsa del papa.

Dopo il 1463 l'identificazione della presenza di J. nei documenti diviene incerta, dal momento che non si fa più menzione della sua attività di miniatore.

Nel 1471 uno "Jacopo da Fabriano" è ricordato nei Libri dei conti pontificali in occasione del soggiorno romano del duca di Ferrara. Tra il 1477 e l'anno successivo lo stesso nome compare nei libri di prestito della Biblioteca Vaticana, con la qualifica di "scalcus" del papa, sovrintendente cioè alla mensa e ai pranzi solenni del pontefice. In entrambe le circostanze non è possibile stabilire con certezza se si tratti del miniatore; così come affatto incerta, se non improbabile, appare l'identificazione con J., avanzata con dubitativa cautela, di uno Jacopo di Enrico presente nella lista dei canonici della chiesa di S. Niccolò a Fabriano tra il 1478 e il 1498 (Fachechi Danese, pp. 13 s.).

Suggestiva, ancorché congetturale e tutta da verificare, rimane l'ipotesi formulata da Lamberto Donati (pp. 336-340) relativa a un possibile soggiorno veneziano dell'artista e della sua bottega tra il 1471 e il 1474, concepibile sulla base delle stringenti analogie tra gli apparati ornamentali elaborati da J. per i codici romani e quelli presenti in alcuni libri a stampa pubblicati a Roma e poi a Venezia giusto in quegli anni.

La data di morte di J. non è nota.

Fonti e Bibl.: L. Donati, Studi sul passaggio dal manoscritto allo stampato: la decorazione degli incunaboli italiani, in Studi di paleografia, diplomatica, storia e araldica in onore di Cesare Manaresi, Milano 1953, pp. 333-343; T. de Marinis, Un enlumineur ombrien du quinzième siècle, J. da F., in Humanisme actif. Mélanges d'art et de littérature offerts à Julien Caen, II, Paris 1968, pp. 259 s.; J. Ruysschaert, Miniaturistes "romains" sous Pie II, in Enea Silvio Piccolomini papa Pio II. Atti del Convegno…1968, a cura di D. Maffei, Siena 1968, pp. 245-251; S. Maddalo, In figura Romae. Immagini di Roma nel libro medioevale, Roma 1990, pp. 134-147; Id., "Quasi preclarissima supellectile". Corte papale e libro miniato nella Roma del primo Rinascimento, in Studi romani, XLII (1994), 1-2, pp. 16-32; Vedere i classici. L'illustrazione libraria dei testi antichi dall'età romana al tardo Medioevo (catal. della mostra, Città del Vaticano), a cura di M. Buonocore, Roma 1996, pp. 21, 401, 466; M. Kemp, Immagine e verità. Per una storia dei rapporti fra arte e scienza, Milano 1999, p. 52; G.M. Fachechi Danese, J. da F. miniatore di Sua Santità, Fabriano 1999 (con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XVIII, p. 275.

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