JACOPO da Valenza
Non si conosce la data di nascita di questo pittore, attivo sicuramente fra 1485 e 1509 nell'area compresa tra Ceneda-Serravalle (l'odierna Vittorio Veneto), Feltre e Belluno. Con il titolo di maestro pittore è registrato fra i testimoni di un documento notarile rogato a Belluno nel 1491, nel quale si dichiara figlio di un Giovanni Fusco e residente in città (Claut, Un aggiornamento…). Un anno dopo abitava a Feltre, ove presenziò a un atto stilato nel monastero di S. Maria del Prato (Ludwig).
Tuttora la principale fonte di notizie su di lui è costituita da una serie di dipinti, tra cui un gruppo di pale d'altare firmate e datate. Talune di queste opere, realizzate a tempera su legno, recano il nome di J. seguito dal toponimo Valenza, la cui localizzazione è stata oggetto di un annoso dibattito critico.
Creduto serravallese da Lanzi (1795-96) e spagnolo da Venturi (1907), J. fu ricondotto a un'origine italiana da Fiocco (1925), che identificò la località in questione con un centro del Piemonte o della Sicilia. L'ipotesi di Lucco (1987), secondo cui si sarebbe trattato di un antico sito nella podesteria di Belluno, oggi scomparso, sembrò segnare una svolta definitiva; ma Claut (1995), sviluppando una succinta affermazione di Tomasi (1989, p. 28), ha messo in relazione il pittore con un "Magistro Iacobo de Valentia lombardiae chyrurgo" apparso come teste a Ceneda in un atto notarile del 22 maggio 1478. J. sarebbe dunque giunto in Veneto da Valenza Po, esercitando dapprima la professione di chirurgo e poi quella di pittore. Il sorprendente riconoscimento attende tuttavia una verifica, poiché in realtà nella bibliografia sull'artista non si ha traccia di quella "serie di documenti concatenati che consentono di riconoscere nel chyrurgus serravallese il pittore Jacopo da Valenza", indicata da Claut (1995, p. 42).
La critica è abbastanza concorde nel ricondurre la formazione di J. all'area di influenza di Bartolomeo e Alvise Vivarini, presso il cui atelier muranese potrebbe avere compiuto l'apprendistato.
La sua più antica opera firmata e datata (1485) è una Madonna col Bambino a mezzo busto, ritrovata presso gli ultimi eredi di Marino Pagani (De Grassi, 2000), nella cui collezione bellunese era stata vista da Cavalcaselle (1871). Tuttavia si pospone abitualmente questa tavola a quella che ritrae la Vergine con il Bambino, i ss. Sebastiano e Antonio, e il vescovo di Ceneda Nicolò Trevisan (Ceneda, cattedrale), riconducibile al 1484, quando Trevisan fondò e dotò l'altare di S. Antonio in cui essa si conserva.
Nella posa del s. Sebastiano si è ravvisata una derivazione dal S. Sebastiano di Antonello da Messina a Dresda, del quale però si perde l'equilibrio formale tra solido plasticismo e morbidezza cromatica, in favore di una goffa rigidezza e di un trattamento più grafico delle superfici. I tratti del volto apparentano questa figura con il Cristo benedicente a mezzo busto (Bergamo, Accademia Carrara) firmato e datato da J. nel 1487.
Tra il 1490 e il 1494 vengono registrati pagamenti a un "m.° Jacomo depentor" per la pala dell'altar maggiore della cattedrale di Feltre, andata perduta nel sacco del 1509.
Alpago Novello (1940), che trascrisse le note di spese, individuava il maestro in Jacopo Parisati da Montagnana, impegnato tra 1489 e 1490 nella decorazione di una sala del palazzo del Consiglio dei nobili di Belluno, dove il pittore dei documenti feltrini risultava essersi trasferito dal 1496 al 1498. Questa ipotesi veniva confutata da Moschetti (1941), che escludeva Parisati perché attestato con continuità a Padova nel periodo interessato, e considerava l'assenza di un toponimo come una prova che lo Jacopo in questione fosse feltrino, tanto più che dopo il trasferimento viene detto "da Cividal". Suggeriva pertanto il nome di Jacopo di Antonio da Feltre, presente al testamento di Parisati rogato in Padova nel 1499. Tuttavia, una serie di documenti dimostra che in quegli anni Jacopo di Antonio risiedeva nella città patavina, donde difficilmente avrebbe potuto spostarsi a Feltre con frequenza pendolare. Si tratterebbe invece, secondo Lucco (1987), di J., attestato a Feltre nel 1492, a sua volta identificato da Claut (1995, pp. 42 s.) con lo stesso Jacopo che nel 1497 inviava a Feltre una "palla picta imaginibus Beate Virginis et beatorum Petri et Pauli" per la chiesa di S. Paolo.
Bisogna attendere il 1502 per ritrovare il nome di J. sul cartellino della Vergine con il Bambino e i ss. Gioacchino, Giovanni Battista, Giuseppe e Anna (Serravalle, S. Giovanni), su cui compare anche il nome del committente, Alberto Pinidello.
La tavola può essere considerata esemplificativa dell'arte di J., per le caratteristiche stilistiche e le soluzioni formali adottate, fissando una tipologia di pala d'altare che egli non abbandonò più. Ciò vale anzitutto per l'impostazione generale, con la Vergine seduta su un trono marmoreo sopraelevato e i santi disposti attorno, su una pavimentazione a riquadri geometrici, contro un cielo azzurro attraversato da ordinate e orizzontali nuvolette bianche. Vi si trova inoltre quella fissità nelle pose, quella legnosità delle figure intagliate entro le dure pieghe delle vesti, quel cromatismo smaltato derivato da Bartolomeo Vivarini, che costituiscono i tratti specifici e riconosciuti della sua pittura. Talvolta si ripetono anche le tipologie umane, come quella di Gioacchino, che si ritrova nel Giuseppe della Natività di Berlino (Gemäldegalerie) e nel Nicodemo o Giuseppe d'Arimatea del Compianto sul Cristo morto di Darmstadt (Landesmuseum), firmato. Il Battista a sua volta è ripreso dal cartone utilizzato per la stessa figura nel noto pannello di Alvise Vivarini alle Gallerie dell'Accademia di Venezia. La rimeditazione dei criteri di visione alvisiani, pure se viziata da un evidente scadimento formale, costituisce il più importante contributo di J. all'affermazione di questo gusto pittorico nell'arco prealpino veneto, introdottovi dallo stesso Alvise attraverso la perduta pala per S. Maria dei Battuti a Belluno (Lucco, 1987).
Con poche variazioni, J. ripropose il gruppo centrale delle sue pale in una serie di dipinti devozionali, nella quale spicca una Vergine che allatta il Bambino conservata a Venezia (Museo Correr), firmata e datata 1488.
La tipologia ricalca modelli tipicamente vivarineschi, con Cristo bambino adagiato su un cuscino, a sua volta deposto su un parapetto, e la Madre colta frontalmente a mezzo busto, talora affiancata da una coppia di cherubini. Lo sfondo può presentare una o due finestre aperte su un paesaggio, come nelle due versioni firmate della Vergine che adora il Bambino (Berlino, Gemäldegalerie; Padova, Musei civici agli Eremitani), alle quali si accosta un'altra tavola del Civico Museo Correr di Venezia (cat. 1473); in altri casi la Vergine è girata di tre quarti, come nell'esemplare firmato di Rovigo (Pinacoteca dei Concordi) e in quelli ancora di Berlino (Gemäldegalerie) e Venezia (Civico Museo Correr, cat. 1474).
La produzione di J. per alcuni altari della zona bellunese permette di abbozzare una breve cronologia relativa ai primi anni del Cinquecento. Nel 1503 egli datava la Vergine con il Bambino, i ss. Francesco, Giovanni Battista, Sebastiano e santo vescovo (Berlino, Gemäldegalerie), proveniente dall'altare dell'Immacolata in S. Pietro a Belluno, recante il nome del donatore Francesco Scotto; nel 1504 firmava e datava la Vergine con il Bambino e i ss. Maria Maddalena e Giovanni Battista (Porcen, S. Maria Maddalena); tra 1504 e 1505 l'artista era a Belluno. È andata dispersa una Vergine con il Bambino e i ss. Sebastiano, Rocco, Girolamo (o Antonio abate) e Giovanni Battista, già in S. Maria di Pieve d'Alpago, firmata e datata 1506, citata per l'ultima volta nel 1701 (Claut, Un aggiornamento…).
Prima di far perdere definitivamente le proprie tracce, J. firmò e datò altre due pale: la Vergine con il Bambino, i ss. Giovanni Battista e Biagio, e donatore (1508; Ceneda, cattedrale) e la Vergine con il Bambino e i ss. Agostino e Giustina (1509; Venezia, Gallerie dell'Accademia), proveniente dalla scuola o dalla chiesa di S. Giustina a Serravalle.
Un'estrema testimonianza della sua attività potrebbe essere ravvisata nella pala raffigurante S. Giorgio uccide il drago in presenza di santi e di un donatore nella chiesa di Osigo di Fregona (vicino a Serravalle), che secondo Lucco (1987) e Claut (ibid.) sarebbe stata iniziata da J. nel 1509, lasciata incompiuta per la sua scomparsa, e completata venti anni più tardi da Francesco da Milano.
In realtà non è dato sapere con esattezza l'anno di morte dell'artista, che si ritiene avvenuta a ridosso della sua ultima opera nota. È possibile però che sia J. l'omonimo pittore interpellato nel 1510 dagli amministratori del duomo di Belluno "per conzar" la piccola ancona dell'altare di S. Martino (Claut, ibid., p. 48).
Fonti e Bibl.: L. Lanzi, Storia pittorica della Italia… (1795-96), a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, p. 19; J.A. Crowe - G.B. Cavalcaselle, A history of painting in North Italy (1871), a cura di T. Borenius, I, London 1912, pp. 72-74; G. Ludwig, Archivalische Beiträge zur Geschichte der venezianischen Malerei, in Jahrbuch der Königlich-Preussischen Kunstsammlungen, XXVI (1905), p. 19; L. Venturi, Le origini della pittura veneziana, Venezia 1907, pp. 250 s.; G. Fiocco, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, Leipzig 1925, XVIII, pp. 288 s.; A. Alpago Novello, Documenti relativi a lavori eseguiti nella cattedrale di Feltre dal 1472 al 1500, in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, XII (1940), 67, pp. 1150 s.; A. Moschetti, Non Jacopo da Montagnana, ibid., XIII (1941), 75, pp. 1281-1283; M. Lucco, J. da V., in La pittura in Italia. Il Quattrocento, II, Milano 1987, pp. 656 s.; G. Tomasi, Topografia antica di Serravalle, Fiume Veneto 1989, pp. 28, 95; S. Claut, Notizie e documenti d'arte da alcuni conventi feltrini, in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, LXVI (1995), 290, pp. 42 s.; Id., J. da V., in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, III, Milano 1999, pp. 1029 s. (con bibl.); Id., Un aggiornamento per J. da V., in Jahrbuch der Berliner Museen, XLI (1999), pp. 47-54; M. De Grassi, Una Madonna con il Bambino di J. da V. ritrovata, in Arte veneta, LVII (2000), 2, pp. 62-66.