JACOPO da Verona
Assai scarse le notizie certe sulla sua vita, tutte ricavabili dal suo Liber peregrinationis che narra il pellegrinaggio compiuto da J. in Terrasanta nella seconda metà del 1335. In esso J. dichiara che erano trascorsi 25 anni e 4 mesi dal suo ingresso nell'Ordine agostiniano (ed. Monneret de Villard, p. 70); questa notizia (riferibile alla data sotto cui è registrata - 28 ag. 1335, giorno di S. Agostino - o alla data di stesura del Liber, presumibilmente fine 1335 - inizio 1336) permette di collocare tale ingresso nel 1310-11 e quindi la nascita di J. verso il 1290; il luogo fu probabilmente Verona ("ego frater Jacobus de Verona", ibid., p. 13).
Nelle cronache veronesi non si trovano tracce di J. e di lui tacciono anche i repertori agostiniani, tranne il Perini. È ancora il Liber a dirci che egli fu "lector eremitarum sancti Augustini" (ibid.); possiamo supporre che visse presso S. Eufemia di Verona, se è da identificare con J. quello "Jacobus" che compare come "lector" in alcuni documenti di S. Eufemia - citati da Simeoni, p. 165 - tra il 12 febbr. 1321 e il 12 ag. 1345 e che in sei di essi (datati dal 26 giugno 1336 all'8 febbr. 1339) è detto priore; per lo "Jacobus" presente nei documenti del 4 apr. 1335 e del 12 ag. 1355 è ricordato anche il nome del padre, Ognibene.
Nulla sappiamo delle sue origini e della sua formazione, ma certamente J. non era uomo umile né ignorante: egli stesso ci racconta di aver sostenuto una disputa con un gruppo di ebrei durante la sosta a Otranto (Liber, p. 14) e di aver predicato davanti al re di Cipro (ibid., p. 17). La lingua del Liber - un latino corretto ma privo di ogni velleità di eleganza - non dice molto della cultura di J.; più eloquente a testimoniare la sua curiosità umanistica appare la trascrizione che egli fa delle epigrafi sulle tombe di Goffredo di Buglione e di re Baldovino I di Gerusalemme, nella chiesa del S. Sepolcro (ibid., p. 28), e di quella accanto all'altare maggiore della chiesa della Natività a Betlemme (ibid., p. 62).
Fu quasi certamente in relazione con Mastino Della Scala, signore di Verona, anche se la frase "dominum Mastinum de la Scala pro quo specialiter accessi" (ibid., p. 109) non sembra indicare con certezza un vero e proprio rapporto di pellegrinaggio vicario - pratica peraltro non insolita - di J. al posto del suo signore.
Ignoriamo il luogo e la data della sua morte, da porre dopo il 12 ag. 1345, se si riferisce a lui il documento di tale data sopra citato.
Il 7 maggio 1335 J. partì da Verona per la Terrasanta. Si imbarcò a Venezia il 30 maggio e giunse a Gerusalemme il 5 agosto, toccando Otranto, Candia e Cipro. Dopo essersi recato a Betlemme e presso il fiume Giordano, partì il 23 per Gaza e da lì per i luoghi santi del Sinai (10 settembre); il 30 era al Cairo. Da questo momento la ricostruzione del suo itinerario diventa incerta: stando al suo racconto, J. dal Cairo sarebbe tornato a Gaza, da lì a Hebron, poi nuovamente a Gerusalemme e, continuando verso Nord, avrebbe attraversato la Galilea puntando su Damasco da dove avrebbe raggiunto Beirut, ultima tappa del viaggio, come egli stesso dichiara (ibid., p. 144), l'unico dato verosimile di questa seconda parte del Liber.
Il racconto del percorso dal Cairo a Beirut non pare invece attendibile: come aveva già notato Monneret de Villard (p. XIX), un itinerario così vasto e articolato attraverso la Galilea mal si addice a un pellegrinaggio veloce come quello di Jacopo. C'è quindi da dubitare che J. abbia realmente visitato i luoghi che descrive in questa seconda parte, come sembra anche indicare il fatto che, a differenza della prima parte (dove è quasi costantemente indicata la data di ogni tappa), nel percorso dal Cairo a Beirut (confuso excursus geobiblico, piuttosto che resoconto di viaggio) non compare alcuna data, neppure quella - significativa e presente in quasi tutti i testi di questo genere - della conclusione del viaggio.
Per la descrizione dei luoghi che con ogni probabilità egli non ha mai visitato, J. è debitore a Burcardo del Monte Sion, un domenicano, probabilmente sassone, pellegrino in Terrasanta dal 1282 al 1285 e autore di una Descriptio Terrae Sanctae che fu per molti secoli la più ricca e dettagliata descrizione della Palestina, largamente diffusa e quindi utilizzata da molti viaggiatori (sino alla fine del Quattrocento), per integrare i loro racconti. Di questo debito restano tracce vistose nel Liber senza che peraltro appaia mai il nome di Burcardo. Röhricht (1898) ipotizza che J. abbia utilizzato anche la carta geografica della Terrasanta e dell'Egitto compilata da Marin Sanuto il vecchio prima del 1321.
Questa operazione - che si inscrive nella consolidata prassi di rifarsi a precedenti auctoritates per fondare la propria credibilità - è comunque, a maggior ragione in uno scrittore occasionale come J., spia della sua consapevole intenzione di non scrivere solo per sé, ma di rivolgersi a un pubblico cui intendeva dare informazioni complessive sulla Palestina, non limitandosi a proporre devoti spunti di meditazione, come del resto egli stesso dichiara apertamente all'inizio del suo racconto esprimendo una soggettiva, certo fittizia ma non per questo meno interessante, coincidenza di esperienza e scrittura: "ad terram sanctam direxi gressus meos ut omnia loca possem devotissime visitare. describere et annotare et de ritu et gestis repertis veritatem propalare. ad utilitatem quoque audiencium. ut proficiant. cum legerint" (Liber, p. 13).
Il ricorso a una auctoritas non è l'unica risorsa mobilitata da J. per fare del suo Liber un'opera esauriente sulla Terrasanta: all'intento trattatistico, forse più ancora che a una volontà polemica (certamente presente, ma non preponderante), si può attribuire la presenza del capitolo dedicato alla "Lex Mahometi" (pp. 101-106), la cui stessa consistenza e il cui carattere monografico superano i limiti d'obbligo (per un testo di questo genere) della rituale scandalizzata illustrazione dei costumi dei musulmani; verso questi ultimi J., viceversa, mostra ammirazione quando ne loda la disciplina e la fede nel recarsi in pellegrinaggio alla Mecca, tanto più apprezzabili in confronto ai modi con cui i cristiani "male visitant ecclesias propinquas et pejus sepulcrum remotum" (p. 71).
Per meglio far capire, documentare e rendere credibile il suo racconto, J. fa ricorso per quattro volte anche alle illustrazioni; la prima di esse doveva raffigurare la chiesa del S. Sepolcro: "describam eam modo quo sciam. et postea explanabo. et ultra per ordinem designatur" (p. 25); la seconda i luoghi santi del Sinai: "ut legentes intelligant qualiter stant illi duo montes. hic describam. Sequitur descriptio monte Sinai" (p. 77); la terza la penisola del Sinai: "nota quod in ista descriptione ostenditur via eundi ad Sanctam Katherinam"; la quarta le sorgenti e il corso del Giordano: "ut intelligamus. faciamus figuram" (p. 127). Di questo progetto illustrativo rimane, nell'unico manoscritto superstite, solo la copia quattrocentesca della veduta prospettica degli edifici del Sinai (c. 130v; Castagna, tav. non num.); in corrispondenza delle altre tre illustrazioni annunciate si trovano spazi bianchi (cc. 100r, 137v-138r, 161v-162r). Anche se penalizzato dalla tradizione manoscritta, il tentativo di J. di fornire immagini funzionali alla comprensione del testo occupa un posto significativo nel percorso della trasmissione dell'esperienza del viaggiatore che, grazie all'invenzione della stampa, culminerà poi nel 1486 nelle Peregrinationes di Bernhard von Breydenbach, il primo libro di viaggio illustrato.
Il Liber abbonda, naturalmente, di citazioni e riscontri biblici, ma J. è forse l'ultimo dei pellegrini a dedicare grande attenzione ai luoghi veterotestamentari, ed è anche uno dei pochissimi che dichiara di essersi servito di guide ebree "sepissime interrogavi a Judeis ibi habitantibus et bonum ductorem habui"; nei testi dei successivi pellegrini i luoghi veterotestamentari sono più rari, e prevalgono nettamente quelli neotestamentari: piuttosto che a una precisa sensibilità di J. il dato sembra potersi riferire ai francescani della Custodia di Terrasanta che dalla metà del XIV secolo ridefinirono gli itinerari dei pellegrini riducendo al minimo le memorie del Vecchio Testamento ed esaltando quelle del Nuovo Testamento, che caratterizzavano l'identità cristiana nei confronti della comunità ebraica di Gerusalemme con cui i francescani erano in polemica.
J. è interessato anche alla realtà profana dei paesi che attraversa e dedica un capitolo (pp. 89-92) all'assetto geografico e amministrativo dello Stato mamelucco.
Attivo raccoglitore di reliquie, J., appena può, stacca pietre con strumenti che si è appositamente portato dietro, raccontando senza rimorsi le sue pie depredazioni, biasimando però al contempo quelli che prima di lui avevano fatto la stessa cosa.
Il Liber ci è stato tramandato da un solo manoscritto: Minneapolis, University of Minnesota Library, Mss., 1424/Co (già Cheltenham, Phillips Library, Mss., 6650), cc. 87r-173v, datato 1424 e con la sottoscrizione del copista "per me Johannem de Purmerende" (ed. cit., p. XI). Il Liber è preceduto da tre brevi testi anonimi: una guida della Terrasanta, con l'indicazione delle indulgenze; una preghiera per il viaggio; una Benedictio vini in amore Iohannis Evangeliste et Apostoli; Simeoni (p. 163) ne descrive una copia frammentaria databile alla seconda metà del XIV secolo, conservata nell'Archivio parrocchiale di Quinzano Veronese che però già nel 1949 risultava dispersa (ed. cit., pp. XI-XIII).
Nel XV secolo il Liber fu tradotto in tedesco (il traduttore è rimasto anonimo) ma, forse per un errore di lettura, Verona divenne Berna e quindi l'autore del testo, nei due manoscritti superstiti (per i quali v. Schneider e Zumkeller), risulta Jakob von Bern. Stralci di questa traduzione sono stati pubblicati da R. Röhricht - H. Meissner in Deutsche Pilgerreise nach dem Heiligen Lande, Berlin 1880, pp. 46-64.
Il Liber peregrinationis è stato edito da R. Röhricht, Le pèlerinage du moine augustinien Jacques de Vérone (1335), in Revue de l'Orient latin, III (1895), 2, pp. 155-302 (rec. di L. Conrady, in LiterarischeRundschau für das kathol. Deutschland, XX [1895], pp. 39-41; e di un anonimo in Gerusalemme, XX [1896], pp. 115-117, 141 s.; XXI [1896], p. 9). Una nuova edizione commentata è stata condotta da U. Monneret de Villard: Jacopo da Verona, Liber peregrinationis, in Il Nuovo Ramusio, I, Roma 1950. V. Castagna ha curato la traduzione italiana del Liber pubblicandola con la ristampa anastatica dell'ed. Monneret de Villard: Pellegrinaggio ai luoghi santi. Liber peregrinationis di Jacopo da Verona, Verona 1990.
Fonti e Bibl: Burchardus de Monte Sion, Descriptio Terrae Sanctae, a cura di J.C.M. Laurent, in Peregrinationes Medii Aevi quatuor, Lipsiae 1864, pp. 1-100; G.B. Biancolini, Notizie storiche delle chiese di Verona, VII, Verona 1766, p. 229; B.J. Docen, Bruder Jacobs von Bern Beschreibung seiner Reise, in Beyträge zur Geschichte und Literatur…, a cura di J.Ch. Freihernn von Aretin, IX, München 1807, pp. 1229-1232; F. Khull, Zweier deutsche Ordensleute Pilgerfahrten nach Jerusalem…, Graz 1845, pp. 47-105; R. Röhricht, Marino Sanudo sen. als Kartograph Palästinas, in Zeitschrift des Deutschen Palästinavereins, XXI (1898), pp. 99 s.; L. Le Grand, Les pèlerinages en Terre Sainte, in Revue de questions historiques, LXXV (1904), 150, pp. 383-402; L. Simeoni, Un frammento del pellegrinaggio di J. da V., in Arte e storia, XXV (1906), 21-22, pp. 163-165; Ch. Clermont Ganneau, Recueil d'archéologie orientale, VII, Paris 1907, pp. 141 s.; D.A. Perini, Bibliographia Augustiniana, IV, Florentiae 1937, p. 49; R. Röhricht, Bibliotheca geographica Palestinae, a cura di D.H.K. Amiran, Jerusalem 1963, p. 85; A. Zumkeller, Manuskripte von Werken der Authoren des Augustinereremitenordens in mitteleuropäischen Bibliotheken, Würzburg 1966, p. 212 n. 438; M. Pastore Stocchi, Note su alcuni itinerari in Terrasanta dei secc. XIV e XV, in Riv. di storia e letteratura religiosa, III (1967), p. 193; J. Richard, Les récits de voyages et de pèlerinages, Tournhout 1981, pp. 40, 49, 65 s.; A. Luttrell, The hospitallers interventions in Cilician Armenia 1291-1375, in Id., Latin Greece, The hospitallers and the crusades, London 1982, p. 138; K. Schneider, Jacobus de V., in Die deutsche Literatur des Mittelalters, Verfasserlexikon, IV, Berlin-New York 1983, pp. 447 s.; J. Richard, Les relations de pèlerinages au Moyen Âge et les motivations de leurs auteurs, in Wallfahrt kennt keine Grenzen, a cura di L. Kriss Rettenbeck - G. Möhler, München 1984, p. 146; F. Cardini, In Terrasanta. Pellegrini italiani tra Medioevo e prima Età moderna, Bologna 2002, ad ind.; Enc. Italiana, XIX, p. 1047; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXVI, coll. 767 s.; Repertorium fontium hist. Medii Aevi, VI, p. 141; P.O. Kristeller, Iter Italicum, V, p. 274.