PAZZI, Jacopo de'
PAZZI, Jacopo de’. – Nacque nel 1423, ultimo figlio di Andrea di Guglielmino e di Caterina di Jacopo di Alamanno Salviati. Suoi fratelli maggiori furono Antonio, Guglielmo e Piero; sue sorelle Lena e Albiera, andate in spose rispettivamente a Lamberto di Bernardo Lamberteschi e Lorenzo di Ilarione dei Bardi.
Accatastato nel quartiere di S. Giovanni, gonfalone Chiavi, nel 1445, alla morte del padre, insieme con i due fratelli maggiori Antonio e Piero (Guglielmo era già morto prematuramente almeno dal 1439), entrò in possesso della gigantesca eredità di famiglia. Pochi anni dopo, nel 1451, morì Antonio e nell’autunno 1464 anche Piero; nelle mani di Pazzi e dei suoi molti nipoti (in parte nati da Piero, in parte da Antonio) si concentrò così l’intero patrimonio familiare.
Nel 1442 Pazzi aveva preso in moglie la giovanissima Maddalena di Antonio Serristori.
È alla prima fase della sua vita pubblica che risalgono alcune lettere inviate a Giovanni di Cosimo de’ Medici, tra il 1442 e il 1447 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, V, 442, 598; VII, 229), rivelatrici di familiarità con la casa Medici. Dello stesso tenore, almeno formalmente, è la lettera di condoglianze per la morte di Cosimo il Vecchio che Pazzi inviò da Lione nell’ottobre 1464 a Piero de’ Medici (ibid., CLXIII, 39).
Intanto, nel consueto percorso di ascesa ai pubblici incarichi che interessava i cittadini dell’élite, Pazzi ottenne per due volte, nel 1455 e nel 1463, la carica di priore. Fu inoltre gonfaloniere di Giustizia nel 1468 e dei Dodici buonuomini nel 1473, mentre le estrazioni della cedola con il suo nominativo che si ebbero nel 1467 andarono a vuoto perché era fuori città. Estratto all’ufficio dei Dodici in due altre occasioni, nel 1462 e nel 1474, in entrambe fu trovato insolvente con il fisco e dunque ineleggibile: è forse proprio a questa vicenda che va fatta risalire la lettera scritta, nel dicembre del 1474, a un Lorenzo il Magnifico apparentemente più patrono che antagonista, con la quale Pazzi chiese esplicitamente di poter essere accolto «nel numero de’ principali» (ibid., XXX, 1065).
Erede del banco di cui era stato a capo il padre Andrea, Pazzi fu, tra le altre cose, socio preminente di una bottega dell’arte della seta nella quale operò per più di venti anni (Spallanzani, 1987, p. 312). Per la sua straordinaria ricchezza, nel Catasto del 1457 figurava nel ristretto numero di famiglie cittadine tassate per una cifra compresa tra 50 e 100 fiorini: si trattava di sole otto famiglie, tra le quali era anche quella dei suoi nipoti, figli del fratello Antonio (De Roover, 1988, p. 44). Il suo capitale annoverava numerosi beni immobili e poderi nel contado fiorentino, a Montughi, Careggi, Fiesole, Montemurlo, Prato, quote di denari di Monte e molte società in affari; per sbrigare la corrispondenza d’affari e gestire i bilanci Pazzi stipendiava appositamente un giovane contabile la cui attività denunciò nello stesso Catasto del 1457.
All’ingente patrimonio e agli uffici pubblici, Pazzi unì titoli onorifici di pubblica visibilità: il 24 febbraio 1469, mentre era in carica come gonfaloniere di Giustizia, i consigli deputati decisero di insignirlo del cavalierato, cosa che, come ricorda Lionardo Morelli «si fece con molta festa e allegrezza detto dì» (Cronaca di Lionardo di Lorenzo Morelli..., in Cronache..., a cura di I. di San Luigi, 1785, p. 185).
Così come i fratelli, inoltre, Pazzi sovvenzionava la cerimonia del fuoco benedetto, il fuoco distribuito ai fedeli nel giorno del sabato santo, in cui simbolicamente riviveva il ricordo dell’avo Pazzino, che aveva partecipato alla prima crociata con Goffredo di Buglione. L’iconografia del fuoco ricorre anche nei capitelli del cortile interno del palazzo Pazzi Quaratesi, edificato sul canto de’ Pazzi che ancora oggi occupa l’angolo tra via del Proconsolo e borgo degli Albizzi. Sebbene una tradizione datata abbia fatto risalire al padre Andrea il progetto del palazzo, attribuendo invece a Pazzi la responsabilità di averlo distrutto in un tentativo di rifacimento, è invece fortemente probabile che sia stato proprio Pazzi a farlo edificare, tra il 1458 e il 1462, secondo nuovi criteri architettonici, al posto dell’originario edificio trecentesco e ad ampliarlo con gli ambienti di una casa adiacente ottenuta dal fratello Piero nel 1462 tramite lodo.
Se vi è ancora incertezza su chi fu l’artefice del progetto e della costruzione dell’edificio, è tuttavia sicuro che Giuliano e Benedetto da Maiano svolsero una lunga attività per Pazzi. Dopo la congiura antimedicea, tra l’estate del 1478 e quella del 1479, i due architetti presentarono una istanza al Comune di Firenze per ottenere soddisfazione, sui beni confiscati ai Pazzi, di crediti per lavori eseguiti nel palazzo di via del Proconsolo, nella villa di Montughi e nella cappella di famiglia in S. Croce.
L’evento decisivo della vita di Pazzi fu il coinvolgimento nella congiura ordita contro la famiglia Medici nell’aprile 1478. Il ritratto più vivace che si ha di lui, certo non imparziale, viene dal Commentario alla congiura dei Pazzi di Angelo Poliziano, dove è dipinto come un iracondo e bestemmiatore, preda del vizio del gioco, uso, in caso di sfortuna, a lasciarsi andare a una collera furiosa. Inoltre, Poliziano lo presenta affetto da vizi opposti come la terribile avarizia e un’altrettanto terribile smania di sperpero. Membro di una famiglia nel complesso poco gradita al partito dominante mediceo, Pazzi – la cui autorità è riconosciuta da Machiavelli (Istorie fiorentine, VIII, II) con l’uso del termine ‘capo’ impiegato per indicarlo – è considerato da Poliziano di gran lunga il peggiore esponente del suo casato.
Tra i principali compagni di Pazzi nella congiura antimedicea furono il nipote Francesco di Antonio, l’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati, suo fratello Jacopo, un secondo Jacopo Salviati, e i concittadini Jacopo di Poggio Bracciolini e Bernardo di Giovanni Bandini già dei Baroncelli. Tra i personaggi minori furono Antonio Maffei da Volterra e un prete, scrivano di Pazzi, tale Stefano di ser Niccolò da Bagnone, cui Pazzi aveva affidato ufficialmente l’educazione della sua unica figlia Caterina, nata fuori dal matrimonio. Sebbene non vi sia sicurezza sul fatto che della trama fossero a conoscenza i due nipoti, Renato di Piero e Guglielmo di Antonio, anche costoro rimasero vittima della dura reazione medicea.
L’occasione per realizzare il disegno dei congiurati fu data dalla presenza a Firenze del cardinale Raffello Riario, nipote del conte Girolamo a sua volta nipote del pontefice Sisto IV. Era previsto che il cardinale, ospite nella villa dei Pazzi a Montughi, il 26 aprile 1478, si recasse a Firenze in visita ai sontuosi arredi del palazzo Medici, dove Lorenzo avrebbe allestito un banchetto da consumarsi dopo la messa in Duomo. Qui i congiurati progettavano di colpire. Una volta appreso che Giuliano non avrebbe partecipato al pranzo, i cospiratori decisero di agire in Duomo. Quando l’officiante prese la comunione, segnale convenuto per dare avvio all’azione, Bandini, Francesco de’ Pazzi e altri accerchiarono Giuliano e lo pugnalarono al petto. Lorenzo invece, aggredito alla gola da Maffei, riuscì a difendersi, provocando la reazione del suo seguito, la fuga dei sicari e il tumulto della cittadinanza.
Consapevole ormai che il tentativo era andato fallito, ma ancora forte dei suoi accoliti, Pazzi si recò in piazza della Signoria per chiamare il popolo in armi: il suo appello rimase però inascoltato, ed egli rischiò di essere colpito dalla violenta sassaiola che gli si scatenò contro dall’alto del Palazzo. Sulla via di casa, come racconta Machiavelli, incontrò il cognato Giovanni Serristori, uomo di parte medicea prima che suo parente acquisito, il quale «lo confortò a tornarsene a casa affermandogli che il popolo e la libertà era a cuore degli altri cittadini come a lui» (Istorie fiorentine, VIII, VIII). Perduta ogni speranza, Pazzi si risolse a fuggire dalla città muovendo verso porta alla Croce scortato da una banda d’armati. I medicei, nel frattempo, ripreso il controllo del Palazzo si diedero alla repressione violenta. La casa dei Pazzi fu a fatica risparmiata dal saccheggio. Francesco de’ Pazzi, che per le gravi ferite a una gamba si era rifugiato nell’abitazione dello zio, venne tratto all’esterno grazie all’intervento di Piero Corsini, interrogato dagli Otto di guardia e subito impiccato nella piazza della Signoria, a fianco di un altro cospiratore, l’arcivescovo Salviati.
Pochi giorni dopo anche il destino di Pazzi si compì. È ancora Poliziano a raccontarlo, non senza qualche licenza narrativa. Ormai abbandonato da tutti, fu scoperto nei pressi di San Godenzo, in località Il Castagno, da un giovane contadino, la cui pietà egli tentò di comprare invano, con l’offerta di alcuni fiorini d’oro, perché gli facesse la grazia di consegnarlo già morto ai suoi nemici. Pazzi fu tradotto in palazzo Vecchio, dove confessò ogni cosa senza necessità di ricorrere alla tortura.
Poche ore dopo, il 28 aprile anche lui fu impiccato a una finestra del palazzo dei Priori; la stessa sorte toccò al nipote Renato.
Le conseguenze della cospirazione ebbero un tragico impatto sulla famiglia. Non solo nei giorni immediatamente a seguire (tra il 17 e il 19 maggio vennero imprigionati nelle Stinche e poi nella Rocca di Volterra i nipoti), ma soprattutto nella lunga durata. I beni dei Pazzi vennero posti sotto sequestro il giorno successivo all’uccisione di Giuliano de’ Medici, anteriormente alla convocazione dei Cinque ufficiali dei ribelli prevista per i primi di maggio. Le proprietà furono confiscate e messe in vendita ancora prima che i colpevoli fossero legalmente condannati: dagli immobili tutto venne battuto all’asta e svenduto. Fu stabilita anche la commissione di Sei ufficiali procuratori e sindaci per gli affari dei Pazzi, che cominciò a lavorare nel maggio del 1480 (Brown, 2002, pp. 352 s.). Alla confisca si accompagnò un infamante decreto di damnatio memoriae, con cui si stabiliva, tra le altre cose, che il nome e lo stemma dei Pazzi dovessero essere cancellati in perpetuo, che nessuno potesse più imparentarsi con loro, pena l’esclusione dai pubblici uffici e l’esser considerato pubblico ribelle (la provvisione del 23 maggio è pubblicata in Poliziano, 1958, p. 61). È possibile che una parte cospicua del patrimonio di Pazzi sia stato trasmesso in eredità ai fratelli di sua moglie (la famiglia Serristori era intima di Lorenzo il Magnifico e partecipò alla confisca e al saccheggio dei beni dei traditori).
Il corpo, per la troppa pioggia caduta in quei giorni, fu deposto in S. Croce nella tomba di famiglia, ma, ritenuto indegno di riposare in suolo consacrato, fu dissepolto e inumato, lungo le mura «tra la porta alla Croce alla porta alla Giustizia» (Landucci, 1969, p. 21). La domenica seguente una banda di ragazzi estrasse da terra il cadavere e ne fece oggetto di vilipendio. Il corpo nudo, legato a un bastone fu trascinato in macabra processione per la città e infine gettato in Arno, all’altezza del ponte Rubaconte. Il cadavere trasportato dalla corrente non mancò di ispirare strambotti e canzoni dissacranti.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Catasto, 830, cc. 681r-691v; Carte Strozziane, Serie I, CCXCV: Copia d’una lettera scripta in Francia per lo Ducha Giovanni a Jacopo de’ Pazzi, Firenze 22 giugno 1465; ibid., Serie II, CXXXIV; Raccolta Sebregondi, 4087/a, b; 4098; Mediceo avanti il principato, filze XXX, n. 1065; XLVI, n. 46; XLVII, n. 481; CLXIII, n. 39; Cronaca di Lionardo di Lorenzo Morelli, originale dal 1347 al 1520, in Cronache di Giovanni di Jacopo e di Lionardo di Lorenzo Morelli, a cura di I. di San Luigi, Firenze 1785, pp. 165-212; B. Masi, Ricordanze… dal 1478 al 1526, a cura di G.O. Corazzini, Firenze 1906, pp. 9 s.; L. de’ Medici, Lettere, I-XII, a cura di R. Fubini et al., 1977-2007, ad indices; F. Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1931, pp. 30-36; A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi (Coniurationis commentarium), a cura di A. Perosa, Padova 1958; L. Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, a cura di I. Del Badia, Firenze 1969, pp. 17 s.; N. Machiavelli, Istorie fiorentine, in Id., Tutte le opere, a cura di M. Martelli, Milano 1993, pp. 817-823; P. Parenti, Historia Fiorentina, a cura di A. Matucci, Firenze, 1994-2005, pp. 9, 14, 17-20; T. Daniels, La congiura dei Pazzi: i documenti del conflitto tra Lorenzo de’ Medici e Sisto V, Firenze 2013, ad ind.; L. Guidetti, Ricordanze, a cura di L. Böringer, Roma 2014, pp. 60-62, 72 s., 81, 85.
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