JACOPO di Lorenzo
Marmoraro romano attivo nel Lazio fra il 1180 ca. e il secondo decennio del sec. 13°, esponente di rilievo di una delle più importanti botteghe cosmatesche a struttura familiare, il cui capostipite, Tebaldo, è accertato solo da una perduta iscrizione che non ne riferiva, peraltro, alcuna qualifica professionale (Claussen, 1987, pp. 58-59). La sequenza dei discendenti va riconosciuta, di figlio in figlio, in Lorenzo, in J. di Lorenzo, in Cosma di J., in Luca e Jacopo di Cosma.Chiariti, già nei primi interventi di Giovannoni (1904a, p. 320, n. 3; 1904b), gli equivoci che nell'Ottocento avevano confuso questa famiglia con quella dei Mellini e identificato Cosma di J. con Cosma di Pietro Mellini, attribuendo di conseguenza all'unico presunto Cosma un ruolo talmente estensivo da farne l'eponimo dei Cosmati (v.), la storiografia più recente si è rivolta a un lavoro sia di sintesi filologica (Claussen, 1987) sia di restituzione critica (Gandolfo, 1980; 1984) che, pur suscettibile di ulteriori approfondimenti, fornisce un quadro coerente e complessivamente ampio dell'attività della bottega di Jacopo. Essa si legò inizialmente all'esperienza compiuta insieme al padre, come accerta la nutrita serie di testimonianze documentarie e monumentali che vedono i due nomi associati: nel ciborio e nell'ambone, entrambi perduti, rispettivamente dell'altare maggiore della chiesa dei Ss. Apostoli a Roma e della basilica di S. Pietro in Vaticano, noti attraverso la trascrizione delle firme (Claussen, 1987, pp. 60, 64-65); nei frammenti di un architrave di porta nel duomo di Segni, datato 1185 ("+ Laurentius cum Iaco / bo filio suo huius op(er)is magist(er) fuit"; Pasti, 1982); nell'ambone, smembrato e male ricomposto, della chiesa romana di S. Maria in Aracoeli ("Laurentius cum / Iacobo filio suo (h)uius / operis magi(s)ter fuit"; Giovannoni, 1945); nel portale che dà accesso alla chiesa del Sacro Speco a Subiaco ("+ Laurentius cum Iacobo filio suo fecit hoc opus"; Giovannoni, 1904a, p. 320); nel portale e in alcuni elementi decorativi della chiesa abbaziale di S. Maria di Falleri presso Civita Castellana ("+Laurenti / us cum Iaco / bo filio suo / fecit hoc opus"); nel portale maggiore del duomo di Civita Castellana, dedicato a s. Maria ("+ Laurentius cum Iacobo filio suo magistri doctissimi romani h(oc) opus fecerunt").Dall'analisi di queste opere è possibile rilevare - accanto alla presenza di un bagaglio di formule tradizionali, comuni ad altre botteghe di lapicidi romani - l'emergenza di caratteri inediti, come la maggiore solennità del gusto decorativo, la comparsa di elementi plastici lavorati ad altorilievo e l'adozione, nelle membrature architettoniche, di un taglio compositivo estremamente misurato e allo stesso tempo articolato; elementi questi che rivelano l'azione congiunta dell'ascendente dell'Antico e dello stimolo innovativo prodottosi a contatto con il cantiere cistercense di Falleri.L'inizio del nuovo secolo segnò l'affermazione di J. in qualità di solo esponente-guida della bottega: scomparso il padre e non ancora compiuto l'apprendistato del figlio, egli ricevette frequenti incarichi nel fervore di iniziative costruttive sostenute dal pontefice Innocenzo III (1198-1216). Nel 1205 risulta impegnato nella chiesa romana di S. Saba, dove, oltre al portale che ne reca la firma ("+ Ad honorem Domini nostri (Iesu) (Christi) anno VII pontificatus Domini nostri Innocentii III PP + hoc opus d(omi)no Iohanne abbate iubente factum est p(er) manus magistri Iacobi"), dovette verosimilmente realizzare anche la cattedra papale (Gandolfo, 1980, pp. 339-343). Rimasta senza effettivo seguito l'ipotesi di classificazione nel Laurentius group (Glass, 1980) della pavimentazione della stessa chiesa, è stata invece accolta con favore la proposta di attribuire i resti del litostroto del duomo di Civita Castellana alla bottega della famiglia di J. e direttamente a J., intorno al termine post quem del 1203, quanto si conserva della pavimentazione del duomo di Ferentino, dedicato ai ss. Giovanni e Paolo (Contardi, 1980).Sempre nel primo decennio del Duecento J. fu attivo al lato meridionale del chiostro di S. Scolastica a Subiaco - firmato "+ Magister Iacobus roman(us) fecit hoc op(us)" -, nel quale l'integrale rivestimento marmoreo e la cura nell'intaglio dei profili architettonici rivelano l'ambizione di un'elaborazione monumentale di gusto antichizzante che anticipa le soluzioni adottate nei più noti chiostri vassallettiani dei decenni successivi. L'introduzione di estrosi inserti figurati, presenti in singolare concentrazione in una colonnina della campata dell'angolo sud-ovest, annuncia un ulteriore tipo di innovazione che contempla, insieme al rispetto della tradizione romana, l'attenzione rivolta a quegli aspetti della cultura siculo-campana (Giovannoni, 1904a, p. 323; Gandolfo, 1989) che avrebbero ricevuto considerevole fortuna nell'adozione dell'elemento mosaicato nei fusti delle colonnine degli stessi chiostri cosmateschi: lo provano anche le due colonnine, le prime del genere nell'ambito della produzione dei marmorari romani (su una di esse l'epigrafe: "+ Iacobus Laurentii fecit has decem et novem columpnas cum capitellis suis"), che rappresentano la sola testimonianza superstite delle diciannove originariamente presenti a S. Bartolomeo all'Isola a Roma (ora nella chiesa dei Ss. Bonifacio e Alessio), al cui arredo presbiteriale vanno inoltre associati per via attributiva i due leoni che si trovano ancora in loco (Gandolfo, 1980, pp. 346-348).La tecnica musiva compare anche nella figurazione iconica della lunetta del portale laterale destro del duomo di Civita Castellana, firmato "Ma(gister) Iaco [...] bus m(e) fecit"; la modestia dei mezzi espressivi che si rileva qui nell'immagine di Cristo benedicente lascia escludere la partecipazione della bottega di J. a un'altra più impegnativa impresa dello stesso genere: l'emblema in scala monumentale dell'Ordine della SS. Trinità, nella facciata del distrutto ospedale di S. Tommaso in Formis a Roma, i cui caratteri rimandano piuttosto ai modi delle più qualificate officine di estrazione siciliana, operanti a Grottaferrata e nel cantiere vaticano negli ultimi anni del pontificato innocenziano (Aggiornamento scientifico, 1988; Iacobini, 1991).Nell'architettura del portico del duomo di Civita Castellana, datato 1210 e - con un impegno progettuale di minori dimensioni - in quella del prospetto dello stesso ospedale di S. Tommaso in Formis si registra invece il più alto raggiungimento delle aspirazioni coltivate dalla bottega di J. nel dominio del campo della tecnica costruttiva e nella piena maturazione del processo di contaminatio classico-cristiana che integra, nell'unitarietà del disegno d'insieme, la varietà degli elementi decorativi. Nei due edifici, le cui iscrizioni indicano J. insieme al figlio Cosma - a Civita Castellana: "+ Magister Iacobus civis romanus cum Cosma filio + suo carisimo fecit ohc opus anno D(omi)ni MCCX"; a S. Tommaso in Formis: "+ Magister Iacobus cum filio suo Cosmato fecit ohc opus" -, è possibile cogliere il traslato cristiano degli archi onorari imperiali nell'esibita e insistita replica del motivo dominante dell'arco in facciata, inedito in questa ampiezza.Nel caso di Civita Castellana è stato in particolare messo in risalto (Bertelli, 1956, pp. 58-59) come la consistenza bidimensionale del portico, privo di volte di collegamento con la preesistente facciata, riveli in modo evidente la ripresa non strutturale, bensì 'emozionale' ed 'emblematica', dei modelli classici, in dipendenza di un disegno politico variamente interpretato, ma comunque riferito alla volontà diretta o mediata di Innocenzo III (Bertelli, 1956; Battisti, 1960; Noehles, 1966; Claussen, 1987, pp. 82-91; Parlato, Romano, 1992, pp. 271-272). Problematica appare la valutazione delle sculture presenti nel portico in funzione decorativa e simbolica, che Noehles (1961-1962) riferiva a una maestranza umbra attiva nel montaggio dell'insieme; ipotesi ampiamente ridimensionata, ma non completamente rifiutata nell'ammissione di un certo divario stilistico all'interno di alcuni degli inserti plastici (Claussen, 1987, pp. 86-88; Parlato, Romano, 1992, p. 272). Se largo appare l'intervento della bottega, all'interno della quale sembra affermarsi la vena espressionistica di Cosma, gli esiti formali di tali inserti risultano comunque distanti dal raffinato classicismo dei grifi alati della cattedra papale nella chiesa di S. Maria in Trastevere a Roma, forse l'ultima opera di collaborazione fra J. e Cosma. Presumibilmente realizzata in occasione della consacrazione celebrata nel 1215 da Innocenzo III, essa interpreterebbe la volontà autocelebrativa del pontefice, grazie al riferimento all'Antico proposto dall'uso esclusivo del marmo bianco, dal pieno recupero del senso plastico e dalla scelta iconografica nelle citate figure animali a sostegno dei braccioli (Gandolfo, 1980).Del mutato contesto politico-culturale del secondo decennio del Duecento sembra aver fatto le spese la bottega di Cosma, che le testimonianze documentarie accertano ormai solo alla guida di essa, lasciando supporre che la morte di J. sia avvenuta in una data non troppo distante dal 1215.Le soluzioni stilistiche echeggianti quelle paterne, ma prive del raffinato plasticismo che aveva contraddistinto queste ultime, sono forse la causa del diminuito favore goduto da Cosma da parte della committenza pontificia: Onorio III (1216-1227) - che come cardinale camerario, anteriormente pertanto al 1216, lo aveva già favorito impegnandolo nella chiesa di titolarità dei Ss. Giovanni e Paolo - sembra essere stato il responsabile del mutato orientamento, dato che nell'ambizioso cantiere da lui avviato per l'ampliamento della basilica di S. Lorenzo f.l.m. a Roma, inizialmente affidato allo stesso Cosma, è da ravvisarsi un repentino cambio di incarico, in favore del più aggiornato classicismo della bottega dei Vassalletto (v.). Da questo momento gli interventi di Cosma e dei suoi figli Luca e Jacopo, tutti al di fuori di Roma (Cosma: il pavimento delle navate del duomo di Anagni, databile 1224-1227; Cosma con Luca e Jacopo: il pavimento della cripta dello stesso duomo, datato 1231, e il completamento del chiostro di S. Scolastica a Subiaco, databile 1227-1243; Luca con Drudo da Trivio: la recinzione presbiteriale del duomo di Civita Castellana, ora in un ambiente annesso, databile 1240-1250 ca.), risultano infatti non soltanto numericamente poveri e geograficamente periferici, ma anche culturalmente attardati, nella ripetizione esausta di schemi ormai superati (Gandolfo, 1984).
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