JACOPO di Michele, detto Gera
Non si conosce la data di nascita di questo pittore, attestato a Pisa dal 1361 al 1395 con residenza nella "cappella" di S. Nicola (Fanucci Lovitch). Nel 1368 doveva già essere affermato, essendo tra i periti chiamati a valutare i lavori (perduti) di Francesco di Neri da Volterra nella chiesa di S. Pietro in Vinculis di Pisa, odierna S. Pierino (Virgili, 1970). È citato come teste in diversi atti tra il 1373 e il 1386; e il 19 marzo 1387 si impegnò con Colo d'Amato, setaiolo di Pisa, a dipingere il trittico con S. Anna, la Madonna e il Bambinotra s. Giovanni Evangelista e s. Jacopo (Palermo, Museo diocesano, già nella locale chiesa dell'Annunciata). L'opera reca la firma: "Jacopo di Migele dipintore ditto Gera da Pisa me pinse" e, come attesta l'atto di commissione (Virgili, 1970 e 1983), comprendeva in origine anche una predella con tre storie della Natività di Cristo e le cuspidi con il Redentore tra l'Annunciata e l'Angelo (ibid., 1970).
L'iconografia della s. Anna metterza si rifà a modelli di Francesco Traini, da cui tuttavia si differenzia per una cifra stilistica più addolcita, per i ritmi replicati nei panneggi, il tenero chiaroscuro nei volti e per taluni indugi decorativi. Accenti dell'arte senese, spiegabili con l'attività pisana dei pittori di Siena e comuni a Giovanni di Nicola, probabile maestro di J., si associano a influssi fiorentini prossimi a Francesco di Neri. Il dipinto siciliano era forse destinato a una chiesa o a un altare che i setaioli pisani avevano a Palermo, dove si registra la presenza di altre due tavole di J. con S. Giorgio e S. Agata (Palermo, Galleria nazionale), frammenti di un disperso polittico, stilisticamente affini e forse coeve al trittico.
Nel 1388 è documentata l'esecuzione di una tavola (perduta) per l'ospedale di Ponsacco presso Pisa. Nello stesso anno J. venne pagato, insieme con il pittore pistoiese Giovanni di Bartolomeo Cristiani, per la pittura di vessilli con le relative aste e con l'insegna dell'Opera del duomo pisano. L'attività per il duomo proseguì anche nel 1389, quando affrescò trenta figure (perdute) nella galleria esterna della cupola; inoltre eseguì l'ornato e la coloritura del Crocifisso marmoreo, ritenuto di Nino Pisano, in origine sopra la porta est del Camposanto (oggi nella chiesa di S. Michele in Borgo) e dipinse le bandiere che nel mese di agosto si ponevano in duomo per la festa della Madonna (Tanfani Centofanti).
Non è documentata la datazione di altre due opere firmate, in origine scomparti centrali di polittici, che sembrano provenire, rispettivamente, dai conventi di S. Nicola e di S. Matteo e si conservano a Pisa nel Museo nazionale di S. Matteo. La prima raffigura la Madonna in trono col Bambino tra s. Maria Maddalena e s. Margherita; l'altra, la Madonna in trono col Bambino tra s. Francesco e s. Antonio Abate.
La composizione e soprattutto il gruppo della Madonna col Bambino sono quasi interscambiabili per le stesse tipologie figurative, gli stessi motivi iconografici - come il cardellino in mano al Bambino - e lo stesso gusto stilistico già avviato alle soluzioni lineari e preziosamente ornate del tardogotico, come mostrano le ricche punzonature nei bordi dei manti, nelle stoffe e nelle grandi aureole incise coi nomi dei santi. Anche le forme del trono sono finalizzate, più che alla resa spaziale, all'ornato che, nella seconda tavola, si accentua nella visione del pavimento tutto ribaltato in primo piano per esaltare il gioco cromatico del fregio a compassi con rosette, presente nell'architettura medievale pisana.
Tale formula stilistica caratterizza anche altre opere non firmate, ma da tempo riconosciute a J.: la Madonna col Bambino della pieve di Calci, proveniente da S. Maria in Villarada; la Madonna col Bambino del santuario di Montenero presso Livorno; la Madonna col Bambino tra s. Lucia e s. Caterina d'Alessandria della Pinacoteca di Volterra.
L'uniformità stilistica rende difficile porre in sequenza cronologica queste opere. Il dipinto di Volterra sembra collocarsi nell'ultimo periodo per la resa alquanto meccanica e rigida delle figure, compensata peraltro dall'accresciuta cura decorativa, in particolare nell'ornato delle stoffe (Klesse). Alla tavola di Calci potrebbero unirsi come laterali i santi Leonardo e Francesco, comparsi a una vendita Finarte a Milano (1 dic. 1981, lotto 36), come dubitativamente di G. Palmerucci, che ripropongono quasi alla lettera i santi Francesco e Antonio Abate della tavola nel Museo di S. Matteo (essi sono riconosciuti a J. anche da M. Boskovits nelle didascalie apposte alle fotografie del Deutsches Kunsthistorisches Institut di Firenze). La forma della loro carpenteria con un arco ogivale che risulta inserito in un trapezio ornato a pastiglia, mentre lungo i lati corrono fogliami gotici, corrisponde bene alla tavola di Calci con cui sono compatibili anche le misure (cm 112 x 82 per i due santi; cm 135 x 55 per la Madonna).
Spetta inoltre a J. la bandinella processionale dipinta su due facce, rispettivamente con la Flagellazione tra i ss. Michele Arcangelo e Giovanni Battista e la Crocifissione (San Miniato, Museo diocesano d'arte sacra), già nella parrocchiale di Marti presso Palaia di Pisa, forse eseguita per la Compagnia del Battista ivi attestata ab antiquo (Badalassi).
L'opera si rifà ai modelli tipici della tradizione pisana (evidenziabili in simili prodotti di Traini e di Giovanni di Nicola), desumendone anche vivacità di gesti, espressioni, costumi; mentre la personalissima marca stilistica di J. si manifesta nel raffinato decoro delle aureole e dei bordi bulinati in oro (integri, nonostante l'arbitraria riduzione della tavola a forma ottagonale) e nella bellissima gamma cromatica che alterna toni intensi di blu, rosso, giallo oro a note delicate di azzurro, rosa e avorio. Il deciso allineamento con la tradizione pittorica pisana giustifica una data al primo periodo di J. (Carli, 1961).
Tali esiti hanno un indubbio parallelismo con la coeva pittura di Cecco di Pietro; e la familiarità tra i due pittori è testimoniata da due atti del 1389 e del 1393. Ciò comunque non giustifica il passaggio a Cecco della Flagellazione (già Roma, collezione Sestieri), suggerito da M. Burresi. L'opera infatti si lega con una strettissima contiguità alla bandinella di Marti, fino a riproporne stilemi peculiari, come lo sfumato intenso dei volti, il ricco apparato decorativo con le bulinature sull'oro e persino la punzonatura a quadrati dell'aureola, che confermano l'assegnazione a J. già proposta da Zeri (Carli, 1961). Potrebbero appartenergli inoltre i due Santi con rotuli (presentati come di scuola pisana del XIV secolo alla XV Mostra mercato internazionale dell'antiquariato, Firenze 1987, presso Riccardi); mentre sono da espungere dal suo catalogo i due laterali n. 221 della Pinacoteca nazionale di Siena (Torriti).
L'ultima menzione di J. è del 1395, come attesta un pagamento a "Maestro Gera dipintore e a Chocho dipintore" nella lista delle spese per la statua di rame col S. Giovanni Battista di Turino di Sano, posta in quell'anno sulla cupola del battistero pisano (Bonaini). In un atto del 30 giugno 1402 è ricordato come già defunto (Fanucci Lovitch).
La tradizione familiare (erano pittori anche il padre Michele e il fratello Benedetto con i figli Michele e Andrea), è continuata dal figlio Getto (o Ghetto), noto da documenti (Fanucci Lovitch) e da una tavola firmata e datata 1391 (Pisa, Museo nazionale di S. Matteo), stilisticamente allineata ai modi paterni.
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